N. 360 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1993- 30 maggio 1994

                                N. 360
 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1993 (pervenuta alla Corte
    costituzionale  il  30 maggio 1994) dalla corte dei conti, sezione
    giurisdizionale per la regione Sicilia, sul  ricorso  proposto  da
    Tristano  Giuseppe contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri
    ed altra.
 Pensioni - Trattamento pensionistico dei magistrati e categorie
    assimilate - Previsione con norma  autoqualificata  interpretativa
    che:  a) per importo corrispondente alle classi o aumenti biennali
    maturati nella posizione di provenienza, di cui all'art.  5  della
    legge   6  agosto  1984,  n.  425,  deve  intendersi  l'incremento
    acquisito  per  classi  ed  aumenti  periodici   derivanti   dalla
    progressione  economica  relativa alla sola anzianita' di servizio
    effettivamente prestato nella  posizione  di  provenienza;  b)  le
    pensioni  spettanti ai magistrati ordinari e categorie assimilate,
    collocati  a  riposo  anteriormente  al  1   luglio   1983,   sono
    riliquidate  sulla  base  delle  misure  stipendiali  vigenti alla
    stessa data, con esclusione degli adeguamenti  periodici  previsti
    dall'art.   2,   legge  n.  27/1981;  c)  gli  eventuali  maggiori
    trattamenti spettanti o in godimento sono conservati ad personam e
    sono riassorbiti con la normale progressione economica di carriera
    o con i futuri miglioramenti pensionistici - Mancata previsione di
    un meccanismo d'adeguamento automatico delle pensioni  -  Elusione
    del   giudicato   in   relazione   alla   sentenza   della   Corte
    costituzionale n. 501/1988.
 (Legge 8 agosto 1991, n. 265, art. 1, sesto comma, e 2, primo comma).
 (Cost., artt. 24 e 136).
(GU n.26 del 22-6-1994 )
                          LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 1/94/ord. nel  giudizio  di
 pensione,  iscritto al n. 5508/C del registro di segreteria, promosso
 dal dott. Giuseppe Tristano contro la Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri   e  la  corte  dei  conti,  nelle  persone  dei  rispettivi
 presidenti pro-tempore, per la modifica del  decreto  del  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  in data 28 febbraio 1992 relativo alla
 determinazione del trattamento di quiescenza;
    Visti gli atti e i documenti di causa;
    Udito  all'udienza  del  21  ottobre 1993 il relatore, consigliere
 dott. Luciano Pagliaro.
                               F A T T O
    Il dott. Tristano Giuseppe, gia' magistrato della Corte dei conti,
 cessato  dal  servizio  il  13  gennaio  1985  con  la  qualifica  di
 presidente  della  Corte  dei  conti,  ha  impugnato  il  decreto del
 presidente del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio  1992,  con  il
 quale  e'  stata  riliquidata,  a  decorrere  dal  1 gennaio 1991, la
 pensione in  godimento,  in  esecuzione  delle  decisioni  di  questa
 sezione  n.  2/89/C,  7/90/C  e  10/90/C,  lamentando,  in  sostanza,
 l'errata determinazione del trattamento di  quiescenza  in  relazione
 agli  anni di servizio effettivamente svolto, nonche' l'attribuzione,
 ai sensi dell'art. 1, sesto comma, e dell'ultima parte  dell'art.  2,
 primo  comma,  della legge 8 agosto 1991, n. 265, a titolo di assegno
 ad personam riassorbibile con i futuri miglioramenti della differenza
 tra l'importo della pensione calcolata in base al diverso trattamento
 spettante secondo le disposizioni di cui all'art. 1, quarto e  quinto
 comma,  e  all'art.  2, primo e secondo comma, della medesima legge e
 quello   corrisposto   in   esecuzione   delle    citate    decisioni
 giurisdizionali.
    In  particolare,  quanto al primo punto, ritiene l'interessato che
 l'amministrazione   abbia   errato   nel   non    calcolare,    nella
 determinazione  del  trattamento  di  quiescenza,  gli anni di studio
 universitario, costituenti servizio effettivo ai  fini  pensionistici
 e,  peraltro,  computabili  senza  necessita'  di  riscatto.  Con  la
 conseguenza che 12 e non 8 sarebbero gli anni  di  servizio  militare
 che concorrerebbero alla determinazione della base pensionabile.
    Relativamente  al  secondo  punto,  il ricorrente ha osservato che
 l'assegno ad personam dovrebbe concernere soltanto le maggiori  somme
 corrisposte  in  conseguenza  dell'interpretativo  dell'art.  5 della
 legge n. 425/1984 difforme da quella indicata dall'art. 4 della legge
 n. 265/1991 e non anche  quelle  che  gli  sono  state  liquidate  in
 relazione agli adeguamenti periodici previsti dall'art. 2 della legge
 19  febbraio  1981, n. 27, posto che questi ultimi benefici economici
 non  sarebbero  compresi  nell'ambito  delle   recenti   disposizioni
 interpretative.
                             D I R I T T O
    Il  primo  motivo  di  ricorso  e' certamente infondato, posto che
 l'amministrazione  ha  esattamente  calcolato  nella   qualifica   di
 presidente di sezione l'importo corrispondente alle (8) classi e agli
 aumenti  biennali  (14)  maturati  dal  ricorrente nella posizione di
 provenienza (presidente di sezione).
    E', poi, evidente che l'interessato confonde nelle  motivazioni  a
 sostegno  della sua pretesa tra il servizio computabile ai fini della
 determinazione  dell'anzianita'  utile   ai   fini   di   quiescenza,
 anzianita' che comunque e' irrilevante ai fini del quantum allorche',
 come nel caso, l'interessato raggiunga comunque il limite massimo dei
 quaranta  anni, e quello influente ai fini della determinazione della
 retribuzione  da  assumere  quale  base  pensionabile,  finendo   per
 chiedere,   in  effetti,  il  riconoscimento  degli  anni  di  studio
 universitario (in ragione della sua precedente appartenenza al  ruolo
 degli  ufficiali  in s.p.e.) nella qualifica attribuitagli al momento
 del  collocamento  a  riposo.  Tale  riconoscimento,  pero',  non  e'
 previsto affatto dall'art. 5 della legge n. 425/1984,  che,  come  si
 vedra',  prevede  un  meccanismo  di  calcolo  della retribuzione del
 magistrato nel momento  di  passaggio  di  qualifica  collegato  alla
 posizione economica conseguita nella qualifica di provenienza.
    Il  secondo  motivo  di  ricorso,  che  e' diretto, in sostanza, a
 contestare in radice la legittimita' della  trasformazione  di  parte
 della   pensione   in   assegno   personale  riassorbibile,  dovrebbe
 ugualmente essere  disatteso  alla  luce  delle  disposizioni  recate
 dall'art.  1,  quarto e sesto comma e dall'art. 2, primo comma, della
 legge 8 agosto 1991, n. 265.
    Senonche' tali disposizioni appaiono contrastare  con  i  precetti
 costituzionali per i seguenti motivi.
    La  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n. 501 del 1988, ha
 statuito l'illegittimita' costituzionale  degli  artt.  1,  3,  primo
 comma, e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141, nella parte in cui, in
 luogo  degli  aumenti  ivi  previsti,  non  disponevano  a favore dei
 magistrati ordinari, amministrativi, contabili  e  militari,  nonche'
 dei   procuratori   e   avvocati  dello  Stato,  collocati  a  riposo
 anteriormente al 1 luglio  1983,  la  riliquidazione,  a  cura  delle
 amministrazioni competenti, della pensione sulla base del trattamento
 economico  derivante  dall'applicazione  degli  artt.  3 e 4, legge 6
 agosto 1984, n. 425, con decorrenza dalla data del 1 gennaio 1988.
    In aderenza ai principi affermati dal giudice  delle  leggi  nella
 predetta  sentenza,  le  sezioni  di  questa  Corte,  a partire dalla
 decisione delle  sezioni  riunite  n.  76/C  del  14  novembre  1988,
 univocamente  ritennero,  adottando conseguenti decisioni nell'ambito
 di numerosi giudizi  promossi  dai  pensionati  interessati,  che  la
 riliquidazione  delle  pensioni avrebbe dovuto essere effettuata, con
 decorrenza dal 1 gennaio 1988, sulla base  delle  misure  stipendiali
 vigenti a tale data, comprensive degli adeguamenti periodici previsti
 dall'art.  2  della  legge  19  febbraio  1981,  n. 27 e applicando i
 benefici recati dagli artt. 3 e 4 della legge  n.  425/1984.  L'unico
 contrasto  interpretativo  tra  le  sezione ha riguardato il problema
 dell'operativita' o meno per il futuro del meccanismo di  adeguamento
 automatico  delle retribuzioni (art. 21. 27/81) anche nell'ambito dei
 trattamenti di quiescenza. (Corte costituzionale sent. n. 42  del  28
 gennaio-10   febbraio  1993).  Questa  sezione  si  e'  costantemente
 orientata nel senso dell'operativita'.
    Esaminando un  precedente  ricorso  giurisdizionale  proposto  dal
 dott.  Tristano,  questa sezione, (dec. n. 7/90/C del 4 aprile 1990),
 ha dichiarato, in particolare, sulla  base  di  analoga  affermazione
 contenuta  nella  citata  decisione  delle  sezioni  riunite,  il suo
 diritto alla riliquidazione della pensione, tenuto conto delle misure
 stipendiali aggiornate al 1 gennaio 1988,  secondo  i  criteri  prima
 cennati, considerando la necessita' di estendere la riliquidazione al
 1  gennaio  1988  anche  al  personale che, come il ricorrente, fosse
 cessato nel periodo compreso tra  il  1  luglio  1983  (data  cui  ha
 esclusivo  riferimento  la sentenza della Corte costituzionale n. 501
 del 1988 per determinare i suoi  destinatari)  e  l'1  gennaio  1988,
 poiche'  diversamente  si sarebbe verificata l'assurda conseguenza di
 riconoscere  ai  pensionati  da  data  piu'  recente  un  trattamento
 inferiore  rispetto a quello che, per effetto della predetta sentenza
 del giudice delle leggi, veniva ad essere giudizialmente attribuito a
 quelli collocati a riposo in data antecedente al 1 luglio 1983.
    Giudicando  su  altro  ricorso del dott. Tristano, questa sezione,
 con la decizione 10/90/C del 4 aprile 1990, (riconosciuta la  propria
 giurisdizione  in  vista  del  fatto  che  la  questione controversa,
 sebbene riferita ad un momento nel quale l'interessato era ancora  in
 attivita'   di   servizio,  rilevava  esclusivamente  ai  fini  della
 determinazione  della  pensione  e  non  anche  del  trattamento   di
 attivita')  ha  statuito che, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 425
 del 1984, il trattamento di quiescenza liquidato  al  dott.  Tristano
 nella  qualifica  di  Presidente  della  Corte  dei conti, attribuita
 all'atto del collocamento a riposo ai sensi della legge  n.  336  del
 1970, avrebbe dovuto assumere come base pensionabile, diversamente da
 quanto  disposto  dall'amministrazione  (che aveva tenuto conto della
 sola anzianita' relativa agli anni di servizio effettivo svolto nella
 qualifica  di  provenienza),  lo  stipendio  iniziale   della   nuova
 qualifica   maggiorato  dell'importo  corrispondente  alle  classi  o
 aumenti biennali comunque maturati nella  posizione  di  provenienza.
 Con  questa  seconda  decisione,  la  sezione  non ha fatto altro che
 confermare in sede pensionistica  una  giurisprudenza  amministrativa
 assolutamente  sul  punto,  e  d'altra  parte, ormai da molti anni le
 amministrazioni  interessate  hanno  confermato  la  propria   azione
 all'interpretazione suddetta.
    Con  la  decisione  n.  2/89/C  del  14 marzo 1989, questa sezione
 affermava,  infine,  il  diritto  del  ricorrente  a  conseguire   il
 pagamento  della  rivalutazione  monetaria  e  degli interessi legali
 anche in relazione alle maggiori somme  che  erano  risultate  a  lui
 dovute  anche  sul  trattamento di quiescenza (oltre che su quello di
 attivita'), a seguito di una  pronuncia  del  giudice  amministrativo
 passata  in giudicato. Tale decisione, pero', contrariamente a quanto
 si  afferma   nel   provvedimento   impugnato,   e'   estranea   alla
 determinazione  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri del 28
 febbraio 1992,  posto  che  non  si  dispone  nulla  in  ordine  alla
 rivalutazione  monetaria  e  agli  interessi  di  cui  alla decisione
 giurisdizionale. E, d'altra parte, essa non  viene  assolutamente  in
 rilievo ai fini che qui interessano.
    Nelle  more  dell'esecuzione  delle  decisioni  sopra indicate, e'
 stata emanata la legge 8 agosto 1991, n. 265, che, per cio'  che  qui
 interessa, prevede che:
      1)  per  importo  corrispondente  alle classi o aumenti biennali
 maturati nella posizione di provenienza,  di  cui  all'art.  5  della
 legge  6  agosto 1984, n. 425, deve intendersi l'incremento acquisito
 per classi e aumenti periodici derivanti dalla progressione economica
 relativa alla sola anzianita'  di  servizio  effettivamente  prestato
 nella posizione di provenienza (art. 1, quarto comma);
      2) le pensioni spettanti ai magistrati ordinari, amministrativi,
 contabili,  militari, nonche' ai procuratori ed avvocati dello Stato,
 collocati a riposo anteriormente al 1 luglio 1983,  sono  riliquidate
 sulla  base  delle  misure stipendiali vigenti, in applicazione degli
 articoli 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425,  alla  data  del  1
 luglio  1983,  con  esclusione  degli  adeguamenti periodici previsti
 dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (art. 2, primo comma,
 prima parte);
      3)  gli eventuali maggiori trattamenti spettanti o in godimento,
 conseguenti ad  interpretazioni  difformi  da  quelle  stabilite  dal
 quarto  comma,  dell'art.  1  e  dal  primo  comma  dell'art. 2, sono
 conservati ad personam e sono riassorbiti con la normale progressione
 economica di  carriera  o  con  i  futuri  miglioramenti  dovuti  sul
 trattamento  di  quiescenza  (art.  1,  sesto  comma, e art. 2, primo
 comma, ultima parte).
    Si  tratta  come  appare  evidente,  di  tre  distinti  gruppi  di
 disposizioni:
      una  prima disposizione di interpretazione autentica del diritto
 vigente la quale, relativamente all'art. 5 della legge 6 agosto 1984,
 n. 425, in senso antitetico a quello accolto da questa sezione  nelle
 sue  decisioni, nega che, con riguardo al diritto previgente avessero
 fondamento  le  pretese  relative  alla  quantificazione  della  base
 pensionabile, nel caso di passaggio alla qualifica superiore, secondo
 il criterio delle maggiorazioni dello stipendio iniziale previsto per
 la  nuova posizione dell'importo corrispondente alle classi o aumenti
 biennali comunque conseguiti  nella  precedente  qualifica  (art.  1,
 quarto comma);
      altra  disposizione,  disattendendo  l'interpretazione  data dai
 giudici di merito alla sentenza additiva della  Corte  costituzionale
 n.  501  del  1988,  esclude, in sostanza, che avessero fondamento le
 pretese relative alla riliquidazione delle pensioni sulla base  delle
 misure  stipendiali  vigenti,  in  applicazione  degli articoli 3 e 4
 della legge 6 agosto 1984, n. 425, e con il computo degli adeguamenti
 periodici di cui all'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, alla
 data del 1 gennaio 1988 (art. 2, primo comma, prima parte);
      disposizioni innovative con le quali  viene  dettata  una  nuova
 disciplina  della  materia,  da  valere  per  l'avvenire,  ispirata a
 principi estremamente  restrittivi  rispetto  a  quelli  posti  dalle
 previgenti  norme sullo stato economico del personale di magistratura
 ed equiparato, e indifferenti, in particolare, a quelle  esigenze  di
 costante  adeguamento delle pensioni alle retribuzioni, la cui tutela
 piu' volte la Corte costituzionale ha  riconosciuto  corrispondere  a
 specifiche  norme  dalla  nostra  Carta  fondamentale (art. 1, primo,
 secondo, terzo e quinto comma, art. 2, secondo comma);
      disposizioni transitorie  riferite  indistintamente  a  tutti  i
 trattamenti  spettanti o in godimento, derivanti sia da provvedimenti
 dell'amministrazione spontaneamente adottati nell'ordinaria attivita'
 di esecuzione, sia provvedimenti emessi  in  esecuzione  di  pronunce
 giurisdizionale  passate  in  giudicato,  con  le quali si prevede un
 riassorbimento  graduale  dei  benefici  ricevuti   in   seguito   ad
 interpretazioni  difformi  da  quelle  dichiarate autentiche (art. 1,
 sesto comma, e art. 2, primo comma, ultima parte).
    In esecuzione delle richiamate decisioni  di  questa  sezione,  la
 Presidenza   del   Consiglio   dei  Ministri,  con  il  provvedimento
 impugnato,  ha  correttamente   rideterminato   il   trattamento   di
 quiescenza  del  dott.  Tristano,  ma,  all'art.  2  del  decreto, ha
 stabilito,  ai  sensi  dell'art.  1,  sesto  comma,  della  legge  n.
 265/1991,  di  attribuire parte (L. 108.769.000 a fronte di un totale
 di L. 208.731.500 a.l.) di tale trattamento a titolo  di  assegno  ad
 personam  riassorbibile  con  i  futuri  miglioramenti. In attuazione
 dello ius superveniens, dunque, cio' che il giudice aveva  attribuito
 all'interessato  a titolo di pensione (e cioe', il diritto al computo
 nella base pensionabile dello stipendio iniziale della  qualifica  di
 presidente  della corte dei conti maggiorato degli importi per classi
 di  stipendio  e  aumenti  biennali  maturati  nella   qualifica   di
 presidente  di  sezione, ai sensi dell'art.  5 della legge n. 425 del
 1984, e il diritto alla riliquidazione della  pensione,  a  decorrere
 dal 1 gennaio 1988, secondo le misure stipendiali vigenti a tale data
 per  il personale in servizio, nonche' a conseguire per il futuro gli
 adeguamenti ex art. 2 della legge 27 del 1981,  in  attuazione  della
 sentenza della Corte costituzionale n.  501 del 1988) viene ad essere
 trasformato,  per  effetto  delle disposizioni di cui al quarto comma
 dell'art. 1 e al primo comma dell'art. 2 della legge 265 del 1991, in
 assegno personale destinato a precludere al pensionato (vita  natural
 durante,  nel  caso di specie, considerato che l'importo dell'assegno
 e' maggiore addirittura dell'importo liquidato a titolo di  pensione)
 l'attribuzione   dei   futuri   miglioramenti   economici   fino   al
 riassorbimento.
    Ritiene il collegio che le disposizioni di cui all'art.  2,  primo
 comma,  e all'art. 1, sesto comma, della legge 8 agosto 1991, n. 265,
 siano in contrasto rispettivamente con  gli  artt.  136  e  24  della
 Costituzione.
    Quanto  alla  prima  disposizione, deve rilevarsi, in primo luogo,
 che  essa  e'  diretta  a  disciplinare  soltanto  gli  effetti  gia'
 prodottisi  nella  sfera  giuridica degli interessati (tant'e' che e'
 destinata al personale cessato prima del 1 luglio 1983)  per  effetto
 della  piu'  volte  citata sentenza della Corte costituzionale n. 501
 del 1988, mentre la regolamentazione della materia per il  futuro  e'
 affidata  al  successivo secondo comma. Ne deriva che la questione di
 legittimita' costituzionale qui sollevata,  se  accolta,  inciderebbe
 soltanto  sulle  situazioni  antecedenti  all'entrata in vigore della
 legge n. 265 del 1991, senza pregiudicare l'applicazione delle  norme
 sopravvenienti  a carattere innovativo. In questo senso, la questione
 e',   percio',   rilevante,    posto    che    dalla    dichiarazione
 d'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  primo  comma,  della
 predetta  legge,  deriverebbe  specificamente  la  possibilita'   del
 ricorrente  di  conservare  a  titolo  di  pensione  e non di assegno
 personale riassorbibile,  le  maggiori  somme  attribuitegli  con  la
 decisione  di  questa  Corte  n.  7/90/C  sopra  citata e non implica
 denuncia di illegittimita' costituzionale delle norme innovative.
    Deve evidenziarsi, poi, che  la  questione  di  costituzionalita',
 sebbene    riguardi    anche   il   problema   interpretativo   circa
 l'operativita' per il futuro dell'adeguamento automatico  ex  art.  2
 della  legge  n.  27  del 1981, fino ovviamente all'entrata in vigore
 della legge n. 265 del 1991 che tale  operativita'  ha  ora  escluso,
 concerne   soprattutto   i   criteri   adottati   in  specie  per  la
 determinazione della riliquidazione della pensione alla  data  del  1
 gennaio 1988.
    Gia'  in precedenza questa sezione aveva posto, nel corso di altro
 giudizio, la medesima  questione,  sotto  il  diverso  profilo  della
 incompatibilita'   della  norma  con  i  principi  costituzionali  in
 relazione, pero', anche all'assetto futuro e  non  solo  passato  del
 rapporto  pensionistico,  che la Corte costituzionale (sentenza n. 42
 del 28 gennaio-10 febbraio  1993)  non  ha  affrontato  direttamente,
 ritenendola,  probabilmente  assorbita nell'ambito della affermazione
 di carattere  generale  circa  la  sussistenza  nella  materia  della
 discrezionalita' del legislatore.
    Nella  specie,  invece,  la  questione viene posta in relazione ai
 soli effetti della sentenza della Corte  costituzionale  n.  501  del
 1988 verificatisi prima dell'entrata in vigore della legge n. 265 del
 1991.  E,  in  tale  prospettiva,  non  sembra  dubbio  che  la norma
 denunciata  si  ponga  in  netto  contrasto  con  l'art.  136   della
 Costituzione.
    Non  spetta,  infatti,  al  legislatore  interpretare  o  comunque
 disporre, anche con norma formalmente autonome e  indipendenti  dalla
 pronuncia   costituzionale,  in  ordine  agli  effetti  che  derivano
 direttamente dalle decisioni del giudice delle leggi.  E'  questo  un
 compito esclusivamente riservato al giudice di merito. Ne deriva che,
 in  ogni  caso,  la  norma  denunciata,  anche  quando dovesse essere
 perfettamente in linea con il contenuto della  sentenza  della  Corte
 costituzionale  che  pretende di interpretare o applicare, e' viziata
 da  assoluta  carenza   di   competenza   legislativa.   Tanto   piu'
 l'affermazione  vale,  ovviamente,  allorche' come nel caso, la norma
 denunciata appare ispirata a scopi diversi  da  quelli  semplicemente
 esecutivi  della  sentenza  costituzionale  e  che,  per  di piu', si
 pongono in palese contrapposizione sia con i principi  costituzionali
 a    fondamento    della    pronuncia   che   con   l'interpretazione
 giurisprudenziale pacifica (sui principali  punti  che  concernono  i
 criteri di riliquidazione delle pensioni al 1 gennaio 1988, salvo che
 per   la  applicabilita'  anche  per  il  futuro  del  meccanismo  di
 adeguamento automatico ex art. 2 della legge n. 27 del 1981).
    E' chiaro che rientra, invece, nel potere del legislatore  dettare
 una  diversa  disciplina  per  il  tempo  posteriore  a quello cui fa
 riferimento la sentenza della  Corte  costituzionale.  Ma  e'  questa
 questione che nella specie non viene in rilievo.
    Quanto  alla  disposizione  di  cui all'art. 1, sesto comma, della
 legge n. 265 del 1991, cui rinvia  anche  l'ultima  parte  del  primo
 comma  del  successivo art. 2, deve rilevarsi che la legge n. 265 del
 1991 per la sua  natura  formale  di  norma  interpretativa  dovrebbe
 fornire  al  giudice  il  significato  autentico  delle  disposizioni
 interpretate, affinche' egli applicandole al caso singolo  sottoposto
 alla  sua  cognizione  decida il merito della causa. In realta', essa
 sopravvive quando si e' ormai da  tempo  formata  sulla  materia  una
 serie  di  pronunce  giudiziali passate in cosa giudicata e quando la
 norma autenticamente interpretata (ci si riferisce,  in  particolare,
 all'art.  5  della  legge n. 525/85, ma lo stesso discorso vale anche
 per la sentenza della Corte costituzionale n. 510  del  1988)  ha  da
 molti  anni  ricevuto da parte delle competenti amministrazioni, vuoi
 sulla base di giudicati amministrativi,  vuoi  per  iniziativa  delle
 stesse  amministrazioni, presa magari per estendere ai non ricorrenti
 gli  effetti  dei  numerosi  giudicati  intervenuti  sulla   vicenda,
 applicazione   concreta   nei   confronti   di   tutti  i  dipendenti
 destinatari. E' evidente allora che il legislatore non ha  voluto  in
 effetti  fornire  ai  giudici  il criterio interpretativo della norma
 preesistente a fini nomofilattici, ma piuttosto  ha  inteso  togliere
 effetti,   almeno   parziali,   ed   efficacia  alle  decisioni  gia'
 definitivamente assunte tanto nella sede giudiziaria  che  in  quella
 amministrativa,   sostanzialmente  vanificando,  nelle  ipotesi  come
 quello in esame, perfino gli effetti e l'efficacia del giudicato,  ed
 obbligando  gli  interessati quantomeno ad onerose reiterazioni della
 relativa azione.
    Come  osservato  dalla  Corte  costituzionale  nella sentenza 7-10
 aprile 1987, n. 123, in tal  modo  il  legislatore  viola  il  valore
 costituzionale  del  diritto  di  agire,  che  implica il diritto del
 cittadino non solo ad ottenere una sentenza di merito  senza  onerose
 reiterazioni,  ma  anche  quello  di potere contare sull'esecuzione e
 sull'intangibilita' della sentenza di merito passata in  giudicato  a
 lui favorevole.
    Anche  questa  seconda  questione  e'  rilevante, poiche' soltanto
 dall'annullamento della norma denunciata deriva la  possibilita'  del
 ricorrente  di  fruire  a  titolo  di trattamento di quiescenza delle
 maggiori somme attribuitegli con la decisione di  questa  sezione  n.
 10/90/C del 4 aprile 1990, passata in giudicato.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87, ritiene rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, e
 dell'art. 1, sesto comma, della legge  8  agosto  1991,  n.  265,  in
 relazione agli artt. 136 e 24 della Costituzione;
    Sospende  il  giudizio  ed  ordina la trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale;
    Dispone che, a cura della segreteria della  sezione,  la  presente
 ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera
 dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
    Cosi' provveduto in Palermo, nella  camera  di  consiglio  del  21
 ottobre 1993.
                     Il presidente f.f.: PAGLIARO

 94C0673