N. 390 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 dicembre 1993

                                N. 390
 Ordinanza emessa il 23 dicembre  1993  dal  pretore  di  Imperia  nel
 procedimento penale a carico di Cha Ottavio ed altri
 Inquinamento - Scarichi provenienti da pubbliche fognature - Obbligo
    di   adeguare   gli   scarichi   ai   limiti   di   accettabilita'
    legislativamente previsti - Mancata  distinzione  tra  i  soggetti
    privati  e  quelli  pubblici  titolari di un servizio pubblico non
    suscettibile  di  sospensione  -  Ingiustificata   disparita'   di
    trattamento  tenuto  conto  che  vengono  assoggettati  a sanzione
    penale anche quei soggetti che  si  trovano  nella  impossibilita'
    (per mancanza di fondi) di adeguare gli scarichi.
 (Legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 8, 11, primo comma, lett. a), e
    21, secondo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.27 del 29-6-1994 )
                              IL PRETORE
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento penale contro Cha
 Ottavio + 27, all'udienza del 23 dicembre 1993.
    In  data  15 settembre 1992 il procuratore della Repubblica presso
 la pretura circondariale di  Imperia  emetteva  distinti  decreti  di
 citazione  nei  confronti  di  28 sindaci della provincia di Imperia,
 accusandoli di violazioni alla legge Merli, per  aver  mantenuto  gli
 scarichi   fognari   dei   rispettivi   comuni  senza  la  prescritta
 autorizzazione, che anzi  in  alcuni  casi  era  stata  espressamente
 negata con provvedimento del presidente della provincia.
    All'udienza  del  2  febbraio  1993  tutti i procedimenti venivano
 riuniti.   Il   p.m.   nella   sua   relazione   illustrava    l'iter
 amministrativo,   sostanzialmente   identico   per  tutti  i  comuni,
 evidenziando che l'amministrazione provinciale di Imperia, nel  corso
 del  1991,  aveva  effettuato i controlli sugli impianti, denunciando
 quindi i sindaci che non avevano regolarizzato le  reti  fognarie  di
 loro competenza entro l'ultimo termine concesso (30 giugno 1992).
    Tutte   le  difese  contestavano  le  accuse,  producendo  copiosa
 documentazione amministrativa, volta a dimostrare che ogni sindaco si
 era adoperato per completare il programma,  e  se  gli  scarichi  non
 erano   ancora   in   regola,   cio'   era  dovuto  alla  carenza  di
 finanziamenti.
    Esaurito  il  dibattimento,  il p.m. concludeva affinche' gli atti
 fossero trasmessi alla Corte costituzionale.
    In questa sede occorre richiamare le argomentazioni del p.m.
    In proposito si evidenzia come accanto a posizioni in cui  possono
 venire    in   considerazioni   omissioni,   disinteresse   o   altre
 manchevolezze   certamente   rilevanti   in   termini    di    penale
 responsabilita',  ve  ne sono altre in cui viene in considerazione la
 mera qualifica soggettiva di titolare dello  scarico,  con  scarsa  e
 pressocche' nulla possibilita' di evidenziare addebiti di colpa, pure
 in  presenza  di una situazione, quale e' lo scarico non autorizzato,
 riconducibile alla  fattispecie  penale.  In  sostanza  la  normativa
 propone  un  problema  di scarico non autorizzato o non conforme alle
 fonti primarie e secondarie che lo regolano, che coinvolge  anche  il
 sopravvenuto  titolare  dello  scarico  senza che allo stesso possano
 muoversi addebiti in termini di omissione o di inerzie.
    Nasce quindi una profonda  ritrosia  nell'iscrivere  nel  registro
 delle  notizie  di  reato il nominativo della persona che, perdurando
 l'attuale  situazione,  dovesse  prendere  il  posto  degli   attuali
 imputati  nella  carica di sindaco: e cio' induce a riflessione sulla
 razionalita' di un sistema che espone, in termini  di  automatismo  e
 quasi  di  responsabilita'  oggettiva,  a conseguenze penali il fatto
 della semplice assunzione di una carica amministrativa.
    Qualcuno potrebbe contestare  nel  merito  la  correttezza  di  un
 discorso    che    individua   l'automaticita'   di   un   meccanismo
 sanzionatorio,  ma  non  esiste  un  serio   argomento   testuale   o
 sistematico  per  escludere  che  dopo  il 1986 o 1987 per la regione
 Liguria, l'esercizio di uno scarico fognario non munito di depuratore
 o che, seppur depurato, abbia valori fuori tabella,  non  costituisca
 reato.
    Nel gennaio del corrente anno '83, quando praticamente iniziava il
 processo,  il T.A.R. Liguria emetteva un'ordinanza di remissione alla
 Corte costituzionale nel giudizio intercorrente fra il  comune  e  la
 provincia di Genova ed avente per oggetto la legittimita' dell'ordine
 emanato  dalla  provincia  affinche', per gli scarichi e le fognature
 preesistenti, venisse richiesta una nuova autorizzazione  ex  art.  4
 della   legge   regionale   nonche'   della   diffida  ad  astenersi,
 medio-tempore, dal mantenere gli stessi in esercizio.
   Il T.A.R. ritenne di sollevare d'ufficio, in quanto rilevante e non
 manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' dell'art.
 1, lett. a), degli artt. 8, secondo comma, e 21, secondo comma, della
 legge 10 maggio 1976, n. 319 (legge Merli). In particolare  l'art.  8
 nello  stabilire un termine massimo entro il quale debbano attuarsi i
 fini dei piani regionali di risanamento delle  acque  previsti  dalla
 legge  medesima - cosi' implicitamente rendendo operanti le normative
 "a regime" per gli scarichi  esistenti  e  le  relative  disposizioni
 sanzionatorie   -,   ha   omesso   di  considerare  -  opportunamente
 differenziando la previsione normativa - la specifica  posizione  dei
 comuni  i  quali  assumono  la  doppia  posizione  di  titolari degli
 scarichi e, insieme, di titolari di un pubblico servizio che non puo'
 essere nemmeno temporaneamente pretermesso.
    Per  quanto  concerne  l'art.  1,  lett.  a),  esso  appare  norma
 fondamentale, nell'includere in unica disciplina gli scarichi privati
 e  pubblici,  cosi' delineando la precisa indicazione del legislatore
 estranea alla configurabilita' di una disciplina  degli  scarichi  in
 virtu' della loro riferibilita' a soggetti pubblici o privati.
    Infine,  l'art.  21,  secondo  comma costituisce il corollario del
 sistema configurato, che comporta l'applicazione  delle  sanzioni  di
 legge  in  misura  non  diversificata  al  soggetto  pubblico come al
 privato.
    Sembra tuttavia rispondente a criteri di logica e  ragionevolezza,
 oltre  che  di  coerenza sistematica, che una legge di largo respiro,
 quale la legge  Merli,  che  si  proponeva  una  compiuta  disciplina
 dell'uso delle acque e l'attuazione di complesse misure volte al loro
 risanamento,  tenesse  conto  di  una  realta' non solo esistente, ma
 altresi' incidente sul sistema normativo.
    L'operativita' della normativa  in  questione  nei  confronti  dei
 comuni  avrebbe dovuto, tenere conto della presenza sul territorio di
 una complessa rete di scarichi costituenti pubblici servizi,  nonche'
 della  specificita'  del soggetto pubblico titolare degli scarichi in
 essa compresi.
    La distinzione sistematica che taluno ritiene di individuare nella
 legge Merli in realta' non  e'  in  essa  individuabile,  ma  avrebbe
 dovuto ispirarla, in applicazione di un principio di ragionevolezza e
 di  rispetto  del  principio  costituzionale  che vuole ricollegabili
 discipline diverse a diversita' di situazioni.
    Lo stesso  conseguimento  dei  fini  della  legge  avrebbe  potuto
 giovarsene,  in  presenza di obiettive e complesse difficolta' capaci
 di compromettere il fine primario della difesa ambientale.
    D'altra parte appare evidente che, per quanto concerne le  singole
 realta'  ambientali,  adeguamento  degli scarichi esistenti non possa
 che  avvenire  nell'ambito  del  generale  programma  di  risanamento
 idrico,  in  modo  graduale  e tenendo conto dei limiti e dei vincoli
 derivanti all'azione dei comuni dalle norme che disciplinano la spesa
 pubblica.
    Non puo'  ritenersi,  invero,  ragionevolmente  ipotizzabile  che,
 qualora  effettive  condizioni  legate  ad  esigenze  di  spese  o  a
 complessita' obiettive dei problemi da  risolvere  nell'ambito  delle
 singole  realta' locali rendano impossibile, ancorche' in presenza di
 una tempestiva attivazione degli enti interessati, il raggiungimento,
 nel termine prescritto, dei fini assunti dai piani regionali,  scatti
 automaticamente non soltanto il sistema autorizzatorio a regime (cio'
 che di per se' sarebbe accettabile) ma altresi' il conseguente regime
 sanzionatorio,  senza  che  peraltro il sindaco, quale rappresentante
 del comune, sia in grado  di  sottrarsi  ad  adempimenti  comportanti
 anche  conseguenze  penali,  sospendendo  il servizio pubblico le cui
 strutture non sia stato possibile adeguare.
    L'avere  omesso  una   disciplina   differenziata   per   siffatte
 situazioni   integra,   una  scelta  del  legislatore  manifestamente
 irragionevole ed illogica e  presumibilmente  violativa  dell'art.  3
 della  Costituzione  per non avere disciplinato in modo differenziato
 situazioni nettamente diverse quali sono quelle che fanno capo, da un
 lato, ai privati titolari di scarichi e, dall'altro lato,  ai  comuni
 che   assumono   la  titolarita'  di  scarichi  (quali  le  pubbliche
 fognature) costituenti esse stesse un  servizio  pubblico  e  per  le
 quali  l'onere  dell'adeguamento  ai limiti di legge eccede spesso le
 disponibilita' del comune non soltanto in senso materiale, bensi'  in
 virtu'  dei precisi vincoli che prepongono all'assunzione della spesa
 pubblica.
    Tutte  le  doglianze  lamentate  sono  rilevanti  nel procedimento
 penale in corso.
    Oltre la sopra evidenziata distinzione di  fondo  tra  i  sindaci,
 titolari  di  pubbliche  fognature,  e  i  soggetti  privati,  e'  da
 evidenziare la diversita' di situazioni emerse nel corso del processo
 tra i vari sindaci: vi e'  il  caso  di  chi  non  ha  realizzato  il
 programma  e continua a scaricare, sia di chi si trova all'improvviso
 titolare di uno scarico munito di un depuratore ma con  valori  fuori
 tabella,  sia  di chi e' titolare di uno scarico senza depuratore per
 omissioni ed inerzie addebitabili ad altri.  Il tutto  da  ricondursi
 nell'ambito  sanzionatorio  dell'art.  21, secondo comma, della legge
 Merli, che di tali sostanziali differenziazioni non tiene conto.   E'
 da aggiungere infine che, nelle ultime battute del processo, e' stato
 emanato un decreto-legge, il n. 454 del 15 dicembre 1993. Detta norma
 per altro, a parte l'aleatorieta' della fonte normativa, non scioglie
 il  problema  di  fondo  dato dalla diversa natura del titolare dello
 scarico, rispetto a quella specifica del sindaco, ne', nell'ambito di
 tale funzione, differenzia diversi livelli di responsabilita' di  cui
 la  normativa  penale  non puo' non tener conto, a pena del contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione.
    Nei  termini  sopradetti  ritiene  il  pretore  rilevante  e   non
 manifestamente  infondata  la  questione  sollevata. Cio' comporta la
 sospensione del giudizio e la rimessione  della  questione  all'esame
 della Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87 dichiara
 rilevante e non manifestamente infondata per violazione  dell'art.  3
 della  Costituzione la questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 8, undicesimo comma, 1 lett. a)  e  21,  secondo  comma,  della
 legge 10 maggio 1976, n. 319;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale, la
 notifica della presente ordinanza, a  cura  della  cancelleria,  alle
 parti e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
    Ordina  infine la comunicazione di essa al Presidente della Camera
 dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
      Imperia, 23 dicembre 1993
                          Il pretore: VARALLI

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