N. 400 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 1993- 9 giugno 1994
N. 400 Ordinanza emessa l'11 novembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 giugno 1994) dal Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti da Verusio Giovanni ed altri contro Ministero per i beni culturali ed ambientali ed altri Beni culturali - Diritto di prelazione del Ministro per i beni culturali in caso di alienazione a titolo oneroso di detti beni appartenenti a privati al prezzo pattuito nell'alienazione - Previsione dell'esercitabilita' del diritto in questione entro due mesi dalla denuncia dell'alienazione e, in caso di mancanza o irregolarita' (come nella specie) della stessa, senza limiti di tempo - Ingiustificato deteriore trattamento del proprietario del bene culturale espropriato rispetto ad ogni altro espropriato sia per l'illimitatezza nel tempo del vincolo espropriativo sia per la mancata garanzia di un adeguato indennizzo nell'ipotesi di prelazione esercitata a notevole distanza dall'alienazione del bene. (Legge 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 31, 32 e 61 comb. disp.). (Cost., artt. 3 e 42).(GU n.28 del 6-7-1994 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto il primo al n. 1556/1992 del r.g. aa.cc., ord. 124-quater proposto da Giovanni Verusio, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Borghese n. 3, presso lo studio dell'avv.to Giovanni Giuseppe Guarino che lo rappresenta e difende unitamente all'avv.to Nicolo' Paoletti, giusta delega a margine del ricorso, ricorrente, contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali, in persona del Ministro pro-tempore, elett.te domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso l'avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis, controricorrente, nonche' Ernst Beyeler e Silvestro Pierangeli, intimati, e sul secondo ricorso iscritto al n. 1912/1992 del r.g. aa.cc., proposto da Silvestro Pierangeli, elettivamente domiciliato in Roma, via Principessa Clotilde n. 2, presso lo studio dell'avv.to Angelo Clarizia che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso, ricorrente contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, rappresentato e difeso come sopra, controricorrente, nonche' Ernst Beyeler e Giovanni Verusio intimati, e sul terzo ricorso iscritto al n. 3412/1992 del r.g. aa.cc., proposto da Ernst Beyeler, elettivamente domiciliato in Roma, via Archimede n. 171, presso lo studio dell'avv.to Francesco Caravita di Toritto che lo rappresenta e difende unitamente all'avv.to Beniamino Caravita di Toritto, giusta procura speciale per notaio dott. Paul Ru'st di Basilea (Svizzera) del 12 luglio 1991, rappresentato e difeso anche dall'avv.to Pietro Guerra, giusta procura speciale per notaio dott. Paul Ru'st di Basilea (Svizzera) del 2 luglio 1993, ricorrente contro, il Ministero per i beni culturali ed ambientali, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, rappresentato e difeso come sopra, controricorrente, nonche' Giovanni Verusio, Silvestro Pierangeli, Solomon R. Guggenheim Corporation, intimati. Avverso la decisione n. 58/1991 del Consiglio di Stato dep. il 30 novembre 1991. Udita nella Pubblica Udienza tenutasi il giorno 11 novembre 1993 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. dott. Baldassarre. Uditi gli avv.ti Guarino, Clarizia, B. Caravita di Toritto, Guerra e Ferri. Udito il p.m., nella persona del dott. Morozzo della Rocca, sostituto procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione che conclude per non manifesta infondatezza della questione di legittimita' degli artt. 32, primo comma e 61, secondo comma della legge n. 1089/1939 per contrasto con gli artt. 42 e 97 della Costituzione; in subordine, rigetto dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 3 agosto 1977, l'avv. Giovanni Verusio denunciava al Ministero dei beni culturali ed ambientali, ai fini dell'eventuale esercizio delle prelazione, la vendita a Silvestro Pierangeli, per il prezzo di L. 600.000.000, del dipinto "il giardiniere" di Vincent Van Gogh, che era stato dichiarato di interesse storico-artistico particolarmente importante. In data 21 novembre 1977 il Pierangeli chiedeva l'autorizzazione, che era poi negata, all'esportazione del dipinto. In data 2 dicembre 1983 lo stesso Pierangeli e il cittadino svizzero Ernst Beyeler, per conto del quale le parti assumevano essere stato stipulato il contratto di vendita, comunicavano al predetto Ministero l'intenzione di trasferire l'opera al Geggenheim Museum di Venezia al prezzo di lire italiane corrispondenti a 2.100.000 dollari U.S.A., chiedendo di far conoscere se l'amministrazione intendesse esercitare la prelazione. La richiesta era pero' disattesa sul duplice rilievo dell'unilateralita' della denuncia e della mancanza di un vero e proprio contratto di vendita, che potesse attivare la potesta' dello Stato all'esercizio del diritto di prelazione. In data 2 maggio 1988 il Beyeler vendeva il dipinto al predetto Museo per il prezzo di dollari U.S.A. 8.500.000 maggiorato di un interesse annuo del 6%. Essendo stata la vendita regolarmente notificata, l'amministrazione dei beni culturali, con nota del 1 luglio 1988, richiamati i precedenti atti, comunicava che non ricorrevano le condizioni per l'esercizio del diritto di prelazione, per mancanza di sufficienti elementi attestanti la proprieta' dell'opera d'arte in capo al Beyeler. Questi impugnava, innanzi al T.A.R. del Lazio detto atto, nonche', con successivo ricorso, il silenzio rifiuto formatosi sulla propria richiesta, in data 5 luglio 1988, di restituzione del quadro, fatto custodire nel frattempo presso la Galleria d'arte moderna di Roma. Infine, con decreto 24 novembre 1988, il suddetto Ministero, rilevato che la denuncia della vendita fatta dal Verusio nel 1977 era invalida, in quanto, tra l'altro, non sottoscritta dall'acquirente,del quale occultava la vera identita', disponeva l'esercizio della prelazione per il prezzo di L. 600.000.000, da versarsi all'avente diritto con prelievo da capitolo del bilancio dell'esercizio finanziario in corso. Anche questo atto era impugnato, con tre distinti ricorsi allo stesso tribunale amministrativo, dal Beyeler, da Giovanni Verusio e da Silvestro Pierangeli. L'adito giudice, dopo avere disposto la riunione dei cinque ricorsi, li rigettava con sentenza 16 novembre 1989-26 gennaio 1990, che, impugnata dai tre ricorrenti, ha trovato conferma nella decisione 19 ottobre 1990-30 gennaio 1991, qui in esame. Il Consiglio di Stato ha preso in esame, in via pregiudiziale, l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata da tutti i ricorrenti in riferimento al solo decreto di prelazione del 24 novembre 1988, affermandone la rilevabilita' d'ufficio sulla base del petitum sostanziale, e in considerazione del difetto di potere, da tenere distinto dalla semplice illegittimita' (o eccesso) del suo esercizio. Ha considerato quindi che, nel caso in esame, l'atto di prelazione era stato esercitato dalla pubblica amministrazione sul dichiarato presupposto della mancanza di una regolare denunzia dell'alienazione del bene vincolato e nella proclamata permanenza della facolta' di procedere alla prelazione anche oltre i due mesi dalla presentazione della denuncia, non essendo state rispettate le condizioni prescritte, da considerarsi, per tanto, come non avvenute. Ha ritenuto, quindi, che il difetto di potere sia ricollegabile solo all'inesistenza (e non all'invalidita') della notifica della prelazione, traendone la conseguenza che l'asserita nullita' della notifica al Verusio - per altro eccepita solo in appello - non incidesse sulla giurisdizione. Lo stesso dicasi per la mancata notifica al Pierangeli, non sussistendo un interesse rilevante del venditore a vedere coinvolto nel procedimento ablativo un mero intermediario. In contrasto con l'assunto degli appellanti, ha ribadito la vigenza del r.d. n. 363/1913, regolamento di esecuzione delle precedenti leggi sulle antichita' e le belle arti, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 1089 del 1939 perche': a) mancando nella legge vigente una disciplina delle modalita' di denuncia delle alienazione di beni vincolati, deve necessariamente farsi rinvio, per individuare dette modalita', ad altra fonte, che non puo' essere che il citato r.d., anche in considerazione della piena corrispondenza tra gli artt. 30, 31 e 32 della legge n. 1089/1939 e gli artt. 5 e 6 della legge n. 364/1909, di cui il regolamento in questione era esecutivo; b) in particolare, l'art. 30 non ha fissato requisiti minimi ed essenziali dalla cui mancanza derivi la nullita' dell'alienazione e non ha quindi ridotto i requisiti previsti dalla norma regolamentare a semplici elementi secondari, la cui mancanza determinerebbe solo irregolarita' formali non sanzionate; c) la sanzione di nullita' della denuncia non diviene inammissibile per il solo fatto di essere comminata in un regolamento, trattandosi di una disciplina che, in quanto compatibile con le disposizioni della legge n. 1089/1939, deve ritenersi richiamata dall'art. 73 della legge stessa. Rigettando altra doglianza, il consiglio di Stato ha ritenuto che, in caso di mancata denuncia dell'alienazione (ipotesi a cui e' equiparata quella della denuncia priva dei requisiti essenziali previsti dal regolamento), l'amministrazione puo' esercitare in ogni tempo la prelazione. Ha anche escluso che potesse essersi avverata la prescrizione del diritto dell'amministrazione, posto che il termine sarebbe potuto decorrere solo dal momento di una regolare denuncia, e che l'esercizio della prelazione potesse essere precluso per un preteso acquisto per usucapione da parte del Beyeler. Ha ritenuto infine manifestamente infondate le eccezioni d'illegittimita' costituzionale della normativa in questione, sia perche' non potrebbe essere dedotta una violazione del principio di parita' di trattamento ex art. 3 della Costituzione, dato che la situazione di chi omette la denuncia o ne presenta una nulla e' diversa da quella di chi pone in essere una denuncia valida; sia perche' non v'e' compressione ingiustificata, ex art. 42 della Costituzione, del diritto di proprieta' dei beni vincolati, rispetto ai quali possono ipotizzarsi gli obblighi di lealta' e trasparenza, negli atti di alienazione, come previsti dalla legge. Ha anche escluso che fosse stato violato il principio posto dall'art. 97 della Costituzione, secondo cui l'organizzazione dei pubblici uffici deve assicurare il buon andamento dell'amministrazione, atteso che il ritardo nell'esercizio della prelazione era stato determinato da illegittimi comportamenti dei privati. Ricorrono, separatamente, a queste sezioni unite Giovanni Verusio con cinque mezzi, Silvestro Pierangeli, con unico, articolato motivo ed Ernst Beyeler con cinque. Il Ministero dei beni culturali resiste con distinti ed uniformi controricorsi. Vi sono memorie delle parti con esclusione del Pierangeli. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Disposta la riunione dei tre ricorsi, in quanto proposti contro la stessa decisione, e considerato ricorso principale quello piu' remoto del Verusio, il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 61, 31 e 32 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 per contrasto in gli artt. 3 e 42 della Costituzione. La questione di costituzionalita' va esaminata tenendo presenti i limiti della cognizione di queste sezioni unite, che, per i ricorsi proposti avverso decisioni del consiglio di Stato, sono segnati dall'attinenza dei motivi alla giurisdizione (artt. 111 della Costituzione e 362 del c.p.c.) Nella specie i tre ricorrenti hanno formulato censure, variamente ed ampiamente illustrate, che ricollegano l'eccepito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo alla carenza di potere dell'amministrazione dei beni culturali ed ambientali. L'opposto avviso del consiglio di Stato, che ha ritenuto sussistente tale potere (e non viziato il suo esercizio) si fonda sul presupposto che le irregolarita' della denuncia dell'atto con il quale venga trasmessa, in tutto o in parte, la detenzione delle cose protette, di cui all'art. 30 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e la nullita' che l'omissione determina attribuiscano all'amministrazione la facolta', prevista dal secondo comma dell'art. 61 della stessa legge, di esercitare il diritto di prelazione, a norma degli artt. 31 e 32, senza limiti di tempo. 2. - E' stato gia' rilevato (sent. 1 luglio 1992, n. 8079, 21 agosto 1962, n. 2613) - e non v'e' motivo di dissentire - che il diritto di prelazione, di cui all'art. 31 cit., nelle alienazioni a titolo oneroso di cose di interesse artistico e storico si differenzia nettamente dalla prelazione legale disciplinata dalle norme di diritto comune, che nel rapporto contrattuale attua la surroga del soggetto attivo all'acquirente originario, in quanto lo Stato, in forza delle norme della legge in esame, esplica un potere di supremazia per il conseguimento dell'interesse pubblico alla conservazione ed al generale godimento di determinati beni, ponendo in essere in negozio di diritto pubblico rientrante nelle categoria degli atti espropriativi in senso lato (v. sent. 30 luglio 1982, n. 4363). Nella specie, il consiglio di Stato ha precisato, sulla scia di non controverso indirizzo, che il provvedimento con cui si esercita la prelazione "costituisce espressione di un potere di acquisizione coattiva delle cose di interesse storico ed artistico di proprieta' dei privati"; "deve essere ricondotto alla piu' generale categoria degli atti ablatori (rispetto al quale il negozio di alienazione costituisce mera condizione legittimante del potere" (pag. 32 della decisione impugnata); integra "un vero e proprio atto espropriativo" (pag. 49). E' anche consolidato il principio secondo cui la nullita' dei contratti aventi ad oggetto beni sottoposti a vincolo artistico o storico per violazione del citato art. 61 ha carattere relativo, in quanto prevista nel solo interesse dello Stato (conf. tra altre sent. 26 aprile 1991, n. 4559, 24 novembre 1989, n. 5070, 15 maggio 1971, n. 1440). Non potendo dubitarsi della natura di atto amministrativo (recettizio, secondo la sent. 8 febbraio 1982, n. 720) e trattandosi di controversia in cui e' parte la pubblica amministrazione, deve ritenersi - alla stregua delle normali regole sul riparto della giurisdizione - che sussista la giurisdizione del giudice ordinario ove si controverta dell'appartenenza all'amministrazione del potere (discrezionale) di prelazione, il cui esercizio comprime il diritto soggettivo (di proprieta' o altro diritto sulla o relativo alla cosa protetta) del privato, e sussista invece quella del giudice amministrativo quando si contesti il legittimo esercizio di detto potere, effettivamente appartenente alla pubblica amministrazione. Per tanto, sul presupposto del venir meno del potere in parola per effetto dell'inutile decorso del termine prescritto dall'art. 32 citato, e' stata fermata la giurisdizione dell'A.G.O. in ordine alla controversia riguardante la tempestivita' dell'atto di prelazione (conf. le citt. sent. nn. 8079/1992, 1440/1971). Con riguardo alla doglianza comune ai tre ricorsi riuniti (primo motivo rispettivo) va notato, anche ai fini della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, che il consiglio di Stato ha ritenuto - e la statuizione appare al collegio aderente ai principi in tema di competenza giurisdizionale - che la (gradata) questione relativa alla regolarita' della notifica al Verusio del decreto con il quale e' stata esercitata la prelazione attiene al corretto esercizio e non alla sussistenza del potere di prelazione, ricorrendo la seconda ipotesi solo nel caso di inesistenza della notifica. Lo stesso giudice amministrativo, per latro, ha incidentalmente rilevato l'inammissibilita' della censura "perche' dedotta per la prima volta in appello". 3. - L'art. 61 della legge n. 1089/1939 - sulla premessa che "le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalla presente legge o (ed e' questa l'ipotesi che qui interessa) senza l'osservanza delle condizioni e modalita' da esse prescritte, sono nulli di pieno diritto" - dispone al secondo comma che resta sempre salva la facolta' del Ministro di esercitare il diritto di prelazione a norma degli artt. 31 e 32. Sul piano lessicale i rafforzativi "di pieno diritto" nerl primo comma e "sempre" nel secondo inducono a ritenere corretta l'interpretazione data alla norma dal consiglio di Stato, anche con decisioni diverse da quella qui impugnata (Sez. 6, 7 ottobre 1987, n. 802, 31 gennaio 1984,' n. 26, 23 marzo 1982, n. 129). D'altra parte la norma del secondo comma, che non avrebbe significato se si intendesse nel senso di consentire la prelazione nel termine di due mesi (art. 32) dall'invalida notifica, non consente di invidividuare alcun altro momento iniziale per il decorso di tale termine, che rimane, per tanto, estraneo ai casi di omessa o irregolare denunzia. Ne' puo' dubitarsi che le formalita' prescritte dall'art. 57 del regolamento approvato con r.d. 30 gennaio 1913, n. 363, che, come accertato con la decisione impugnata, non sono state osservate nella specie, siano integrative del disposto combinato degli artt. 61, 31 e 32 della legge n. 1939/1939, in forza del richiamo contenuto nell'art. 73 di questa. 4. - Da quanto precede discende la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale di detto combinato disposto, atteso che, se per effetto della pronuncia di incostituzionalita' dovesse essere emendata la normativa che consente l'esercizio della prelazione in ogni tempo, la pubblica amministrazione verrebbe privata del potere di incidere in qualsiasi momento sul diritto soggettivo del privato, degradandolo ad interesse legittimo; con la conseguenza di ricondurre le controversie riguardanti la tardivita' della prelazione ex art. 61 alla giurisdizione dell'A.G.O. E cio' nel caso in esame conseguirebbe sia nell'ipotesi di totale espulsione del secondo comma del citato art. 61, sia in quella di declaratoria di incostituzionalita' delle norme denunciate nella parte in cui non prevedono che, in presenza di violazione dei divieti o inosservanza di condizioni e modalita' di cui al primo comma dell'art. 61, il termine previsto dall'art. 32, primo comma, decorra dalla data in cui l'amministrazione abbia acquisito la conoscenza certa di tutti i dati dei quali e' obbligatoria la comunicazione. Si desume, infatti, dalla decisione impugnata - con la quale il consiglio di Stato non ha trattato il pregiudiziale profilo della rilevanza delle disattese questioni di legittimita' costituzionale - che l'amministrazione dei beni culturali "ha mantenuto, nel corso dell'intera e complessa vicenda, un comportamento cauto e prudente, determinandosi all'esercizio del potere di prelazione soltanto allorquando ha acquisito la documentata certezza (con l'acquisizione della documentazione bancaria del 16 settembre 1988) che il dipinto era stato acquistato per conto del Beyeler e con danaro dallo stesso rimesso (non rileva che sia stato materialmente riscosso presso la banca italiana" (pag. 50). Risulta accertato, per tanto che alla data (30 novembre 1988) della cennata notifica al Verusio del decreto con il quale e' stato esercitato il diritto di prelazione (notificato al Beyeler il successivo 22 dicembre)) erano decorsi piu' di due mesi dalla piena conoscenza da parte dell'amministrazione competente, sia della contestata inosservanza di modalita' e condizioni della denuncia, sia di tutti i dati e notizie che con essa il venditore avrebbe dovuto dare. 5. - La questione di legittimita' costituzionale non appare manifestamente infondata in relazione alle norme degli artt. 3 e 42 della Costituzione. Il carattere di provvedimento espropriativo, che e' stato riconosciuto all'atto con cui l'amministrazione esercita la prelazione in presenza di rituale denuncia ex art. 30, non viene meno ed e' anzi accentuato allorche' la "prelazione" venga esercitata a norma dell'art. 61 c.p.v., come innanzi precisato, senza l'osservanza di limiti di tempo. In tal caso, pur se l'acquisizione allo Stato e l'effetto dell'esercizio di un potere discrezionale di espropriazione il soggetto che viene privato del bene di interesse artistico o storico ex art. 61 percepisce un indennizzo (tale dovendo considerarsi "il prezzo" corrisposto dallo Stato) calcolato in modo del tutto diverso da quanto previsto in materia di espropriazione e senza possibilita' di revisione in sede amministrativa o giudiziaria; e subisce, con riguardo ai limiti temporali, un trattamento ingiustificatamente deteriore a colui che sia assoggettato all'ordinario procedimento espropriativo. Invero, mentre tutte le leggi in tema di espropriazione per pubblica utilita' assegnano all'espropriante rigorosi termini decadenziali, la "prelazione" ex art. 61 (prevista in caso di omessa o irregolare denunciata dell'alienazione) non solo non e' sottoposta a decadenza, ma non soggiace nemmeno al limite della prescrizione, atteso che il termine prescrizionale, "decorrerebbe, in ogni caso, da quando nasce il diritto ovvero n'e' consentito l'esercizio (cioe' con la regolare denuncia)" (pag. 39 della decisione impugnata, la quale esclude anche l'eventuale acquisto per usucapione). In linea particolare risalta poi la differente situazione in cui viene a trovarsi, ai fini dell'indennizzo, il soggetto che abbia effettuato (come nella specie) una denuncia irregolare (soggetto che soggiace alla forzosa percezione di un indennizzo, pari al prezzo denunciato, che potrebbe essere divenuto,, per effetto del decorso del tempo e relativa svalutazione monetaria o per altre cause, del tutto inadeguato), rispetto a quella di chi abbia del tutto omesso di denunciare l'alienazione. In tal caso, infatti, non essendovi un prezzo "denunziato", qualora l'amministrazione non sia nemmeno in grado di accertare il prezzo contrattualmente stabilito, l'indennizzo dovrebbe essere calcolato, ai sensi del terzo comma dell'art. 31 della legge n. 1089/1939, estensivamente interpretato, ovvero in base al valore di mercato. Ne' si puo' opporre il carattere sanzionatorio di detta "prelazione", sia perche' siffatto carattere mal si concilia con la discrezionalita' dell'acquisizione, sia perche' questa, alla stregua del sistema normativo in esame, puo' essere disposta indipendentemente dall'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 63, sulla base di valutazioni afferenti al pubblico interesse, e non e' prevista quale conseguenza della condanna penale. La questione di legittimita' costituzionale risulta pertanto non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 42 della Costituzione, sotto un duplice profilo: illimitata compressione del diritto reale dell'alienante, ingiustificatamente sottoposto ad un trattamento diverso da quello riservato ad ogni altro espropriato, essendo data facolta' all'amministrazione di porre in essere l'atto ablativo in ogni momento, con correlativa incertezza, del pari illimitata nel tempo, circa l'effettivo assetto dei rapporti giuridici concernenti il bene; mancata garanzia per l'espropriato di un adeguato indennizzo, in quanto la corresponsione di somma pari al prezzo contrattuale ben si attaglia alla sola ipotesi di "prelazione" esercitata nel breve lasso di due mesi, ma non anche a quella esercitabile in ogni tempo.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, nn. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del disposto coordinato degli artt. 61, 31 e 32 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione; Sospende il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al procuratore generale presso questa Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che la stessa sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi', 11 novembre 1993 Il presidente: BILE 94C0752