N. 400 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 1993- 9 giugno 1994

                                N. 400
 Ordinanza   emessa   l'11   novembre   1993   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 9 giugno 1994) dal Corte di cassazione sui  ricorsi
 riuniti  proposti da Verusio Giovanni ed altri contro Ministero per i
 beni culturali ed ambientali ed altri
 Beni culturali - Diritto di prelazione del Ministro per i beni
    culturali in caso di alienazione a titolo oneroso  di  detti  beni
    appartenenti  a  privati  al  prezzo  pattuito  nell'alienazione -
    Previsione dell'esercitabilita' del diritto in questione entro due
    mesi dalla denuncia dell'alienazione e,  in  caso  di  mancanza  o
    irregolarita'  (come  nella  specie) della stessa, senza limiti di
    tempo - Ingiustificato deteriore trattamento del proprietario  del
    bene  culturale espropriato rispetto ad ogni altro espropriato sia
    per l'illimitatezza nel tempo del vincolo espropriativo sia per la
    mancata  garanzia  di  un  adeguato  indennizzo  nell'ipotesi   di
    prelazione  esercitata  a  notevole  distanza dall'alienazione del
    bene.
 (Legge 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 31, 32 e 61 comb. disp.).
 (Cost., artt. 3 e 42).
(GU n.28 del 6-7-1994 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto il primo
 al n. 1556/1992 del r.g. aa.cc., ord. 124-quater proposto da Giovanni
 Verusio, elettivamente domiciliato in Roma,  piazza  Borghese  n.  3,
 presso  lo  studio  dell'avv.to  Giovanni  Giuseppe  Guarino  che  lo
 rappresenta e difende unitamente all'avv.to Nicolo' Paoletti,  giusta
 delega  a  margine del ricorso, ricorrente, contro il Ministero per i
 beni culturali ed ambientali, in persona  del  Ministro  pro-tempore,
 elett.te  domiciliato  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12 presso
 l'avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta  e  difende  ope
 legis,   controricorrente,   nonche'   Ernst   Beyeler   e  Silvestro
 Pierangeli, intimati, e sul secondo ricorso iscritto al n.  1912/1992
 del  r.g.  aa.cc.,  proposto  da  Silvestro Pierangeli, elettivamente
 domiciliato in Roma, via Principessa Clotilde n. 2, presso lo  studio
 dell'avv.to  Angelo  Clarizia  che  lo  rappresenta e difende, giusta
 delega a margine del ricorso, ricorrente contro il  Ministero  per  i
 beni culturali ed ambientali, in persona del Ministro
  pro-tempore,  elettivamente  domiciliato  in  Roma,  rappresentato e
 difeso come sopra, controricorrente, nonche' Ernst Beyeler e Giovanni
 Verusio intimati, e sul terzo ricorso iscritto al  n.  3412/1992  del
 r.g.  aa.cc., proposto da Ernst Beyeler, elettivamente domiciliato in
 Roma, via Archimede n. 171, presso lo  studio  dell'avv.to  Francesco
 Caravita   di   Toritto  che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente
 all'avv.to Beniamino Caravita di Toritto, giusta procura speciale per
 notaio dott. Paul Ru'st di Basilea (Svizzera)  del  12  luglio  1991,
 rappresentato  e  difeso  anche  dall'avv.to  Pietro  Guerra,  giusta
 procura speciale per notaio dott. Paul Ru'st  di  Basilea  (Svizzera)
 del  2  luglio  1993,  ricorrente  contro,  il  Ministero  per i beni
 culturali  ed  ambientali,  in  persona  del  Ministro   pro-tempore,
 elettivamente domiciliato in Roma, rappresentato e difeso come sopra,
 controricorrente,  nonche'  Giovanni  Verusio,  Silvestro Pierangeli,
 Solomon R. Guggenheim Corporation, intimati.
    Avverso la decisione n. 58/1991 del Consiglio di Stato dep. il  30
 novembre 1991.
    Udita  nella  Pubblica Udienza tenutasi il giorno 11 novembre 1993
 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. dott. Baldassarre.
    Uditi gli avv.ti Guarino, Clarizia, B. Caravita di Toritto, Guerra
 e Ferri.
    Udito il p.m.,  nella  persona  del  dott.  Morozzo  della  Rocca,
 sostituto  procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione
 che conclude  per  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  degli  artt.  32, primo comma e 61, secondo comma della
 legge n. 1089/1939  per  contrasto  con  gli  artt.  42  e  97  della
 Costituzione; in subordine, rigetto dei ricorsi.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con  atto  notificato  il  3  agosto 1977, l'avv. Giovanni Verusio
 denunciava al Ministero dei beni culturali  ed  ambientali,  ai  fini
 dell'eventuale  esercizio  delle  prelazione,  la vendita a Silvestro
 Pierangeli,  per  il  prezzo  di  L.  600.000.000,  del  dipinto  "il
 giardiniere"  di  Vincent  Van  Gogh,  che  era  stato  dichiarato di
 interesse storico-artistico particolarmente importante.
    In  data 21 novembre 1977 il Pierangeli chiedeva l'autorizzazione,
 che era poi negata, all'esportazione del dipinto.
    In data 2 dicembre  1983  lo  stesso  Pierangeli  e  il  cittadino
 svizzero  Ernst  Beyeler,  per  conto  del  quale le parti assumevano
 essere stato stipulato  il  contratto  di  vendita,  comunicavano  al
 predetto  Ministero  l'intenzione di trasferire l'opera al Geggenheim
 Museum di  Venezia  al  prezzo  di  lire  italiane  corrispondenti  a
 2.100.000   dollari   U.S.A.,   chiedendo   di   far   conoscere   se
 l'amministrazione intendesse esercitare la prelazione.
    La   richiesta   era   pero'   disattesa   sul   duplice   rilievo
 dell'unilateralita'  della  denuncia  e  della  mancanza di un vero e
 proprio contratto di vendita, che potesse attivare la potesta'  dello
 Stato all'esercizio del diritto di prelazione.
    In  data  2  maggio 1988 il Beyeler vendeva il dipinto al predetto
 Museo per il prezzo di dollari  U.S.A.  8.500.000  maggiorato  di  un
 interesse annuo del 6%.
    Essendo     stata     la    vendita    regolarmente    notificata,
 l'amministrazione dei beni culturali, con nota  del  1  luglio  1988,
 richiamati  i  precedenti  atti,  comunicava  che  non ricorrevano le
 condizioni per l'esercizio del diritto di prelazione, per mancanza di
 sufficienti elementi attestanti la proprieta'  dell'opera  d'arte  in
 capo al Beyeler.  Questi impugnava, innanzi al T.A.R. del Lazio detto
 atto,  nonche', con successivo ricorso, il silenzio rifiuto formatosi
 sulla propria richiesta, in data 5 luglio 1988, di  restituzione  del
 quadro,  fatto  custodire  nel  frattempo  presso  la Galleria d'arte
 moderna di Roma.  Infine, con decreto 24 novembre 1988,  il  suddetto
 Ministero,  rilevato  che la denuncia della vendita fatta dal Verusio
 nel 1977 era invalida,  in  quanto,  tra  l'altro,  non  sottoscritta
 dall'acquirente,del  quale  occultava  la  vera  identita', disponeva
 l'esercizio della prelazione per il  prezzo  di  L.  600.000.000,  da
 versarsi  all'avente  diritto  con  prelievo da capitolo del bilancio
 dell'esercizio  finanziario  in  corso.    Anche  questo   atto   era
 impugnato,   con   tre   distinti   ricorsi   allo  stesso  tribunale
 amministrativo, dal Beyeler,  da  Giovanni  Verusio  e  da  Silvestro
 Pierangeli.    L'adito  giudice,  dopo avere disposto la riunione dei
 cinque ricorsi, li rigettava con sentenza 16 novembre 1989-26 gennaio
 1990, che, impugnata dai tre ricorrenti, ha  trovato  conferma  nella
 decisione 19 ottobre 1990-30 gennaio 1991, qui in esame.
   Il  Consiglio  di  Stato  ha  preso in esame, in via pregiudiziale,
 l'eccezione di difetto di giurisdizione del  giudice  amministrativo,
 sollevata  da  tutti  i  ricorrenti in riferimento al solo decreto di
 prelazione  del  24  novembre  1988,  affermandone  la  rilevabilita'
 d'ufficio sulla base del petitum sostanziale, e in considerazione del
 difetto  di  potere, da tenere distinto dalla semplice illegittimita'
 (o eccesso) del suo esercizio.  Ha considerato quindi che,  nel  caso
 in  esame,  l'atto  di prelazione era stato esercitato dalla pubblica
 amministrazione sul dichiarato  presupposto  della  mancanza  di  una
 regolare   denunzia  dell'alienazione  del  bene  vincolato  e  nella
 proclamata permanenza della facolta'  di  procedere  alla  prelazione
 anche  oltre  i  due  mesi  dalla  presentazione  della denuncia, non
 essendo state rispettate le condizioni prescritte,  da  considerarsi,
 per tanto, come non avvenute.  Ha ritenuto, quindi, che il difetto di
 potere sia ricollegabile solo all'inesistenza (e non all'invalidita')
 della   notifica  della  prelazione,  traendone  la  conseguenza  che
 l'asserita nullita' della notifica al Verusio -  per  altro  eccepita
 solo in appello - non incidesse sulla giurisdizione. Lo stesso dicasi
 per  la  mancata notifica al Pierangeli, non sussistendo un interesse
 rilevante del venditore a vedere coinvolto nel procedimento  ablativo
 un  mero intermediario.  In contrasto con l'assunto degli appellanti,
 ha  ribadito  la  vigenza  del  r.d.  n.  363/1913,  regolamento   di
 esecuzione  delle  precedenti leggi sulle antichita' e le belle arti,
 anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 1089 del 1939 perche':
       a) mancando nella legge vigente una disciplina delle  modalita'
 di denuncia delle alienazione di beni vincolati, deve necessariamente
 farsi  rinvio,  per  individuare dette modalita', ad altra fonte, che
 non puo' essere che il citato r.d.,  anche  in  considerazione  della
 piena  corrispondenza  tra  gli  artt.  30,  31  e  32 della legge n.
 1089/1939 e gli artt. 5 e 6  della  legge  n.  364/1909,  di  cui  il
 regolamento in questione era esecutivo;
       b) in particolare, l'art. 30 non ha fissato requisiti minimi ed
 essenziali  dalla  cui mancanza derivi la nullita' dell'alienazione e
 non ha quindi ridotto i requisiti previsti dalla norma  regolamentare
 a  semplici  elementi  secondari, la cui mancanza determinerebbe solo
 irregolarita' formali non sanzionate;
       c)  la  sanzione  di  nullita'  della  denuncia   non   diviene
 inammissibile   per   il   solo  fatto  di  essere  comminata  in  un
 regolamento, trattandosi di una disciplina che, in quanto compatibile
 con  le  disposizioni  della  legge  n.  1089/1939,  deve   ritenersi
 richiamata dall'art. 73 della legge stessa.
    Rigettando altra doglianza, il consiglio di Stato ha ritenuto che,
 in  caso  di  mancata  denuncia  dell'alienazione  (ipotesi  a cui e'
 equiparata quella  della  denuncia  priva  dei  requisiti  essenziali
 previsti  dal regolamento), l'amministrazione puo' esercitare in ogni
 tempo la prelazione.  Ha anche escluso che potesse  essersi  avverata
 la  prescrizione  del  diritto  dell'amministrazione,  posto  che  il
 termine sarebbe potuto decorrere solo dal  momento  di  una  regolare
 denuncia,  e che l'esercizio della prelazione potesse essere precluso
 per un preteso acquisto per usucapione da  parte  del  Beyeler.    Ha
 ritenuto     infine    manifestamente    infondate    le    eccezioni
 d'illegittimita' costituzionale della  normativa  in  questione,  sia
 perche'  non  potrebbe essere dedotta una violazione del principio di
 parita' di trattamento ex art. 3  della  Costituzione,  dato  che  la
 situazione  di  chi  omette  la  denuncia  o ne presenta una nulla e'
 diversa da quella di chi pone in  essere  una  denuncia  valida;  sia
 perche'  non  v'e'  compressione  ingiustificata,  ex  art.  42 della
 Costituzione, del diritto di proprieta' dei beni vincolati,  rispetto
 ai  quali  possono ipotizzarsi gli obblighi di lealta' e trasparenza,
 negli atti di alienazione, come  previsti  dalla  legge.    Ha  anche
 escluso che fosse stato violato il principio posto dall'art. 97 della
 Costituzione,  secondo  cui l'organizzazione dei pubblici uffici deve
 assicurare il buon  andamento  dell'amministrazione,  atteso  che  il
 ritardo  nell'esercizio  della  prelazione  era  stato determinato da
 illegittimi comportamenti dei privati.   Ricorrono, separatamente,  a
 queste  sezioni  unite  Giovanni  Verusio con cinque mezzi, Silvestro
 Pierangeli, con unico, articolato motivo ed Ernst Beyeler con cinque.
    Il Ministero dei beni culturali resiste con distinti  ed  uniformi
 controricorsi.
    Vi sono memorie delle parti con esclusione del Pierangeli.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    1.  -  Disposta  la  riunione  dei tre ricorsi, in quanto proposti
 contro la stessa decisione, e considerato ricorso  principale  quello
 piu'  remoto  del  Verusio,  il  collegio  ritiene  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  61,  31  e  32  della  legge 1 giugno 1939, n. 1089 per
 contrasto in gli artt. 3 e 42 della Costituzione.
    La questione di costituzionalita' va esaminata tenendo presenti  i
 limiti  della  cognizione di queste sezioni unite, che, per i ricorsi
 proposti avverso decisioni  del  consiglio  di  Stato,  sono  segnati
 dall'attinenza   dei  motivi  alla  giurisdizione  (artt.  111  della
 Costituzione e 362 del c.p.c.)
    Nella specie i tre ricorrenti hanno formulato censure,  variamente
 ed  ampiamente  illustrate,  che  ricollegano  l'eccepito  difetto di
 giurisdizione del  giudice  amministrativo  alla  carenza  di  potere
 dell'amministrazione dei beni culturali ed ambientali.
    L'opposto   avviso   del  consiglio  di  Stato,  che  ha  ritenuto
 sussistente tale potere (e non viziato il suo esercizio) si fonda sul
 presupposto che le irregolarita'  della  denuncia  dell'atto  con  il
 quale  venga trasmessa, in tutto o in parte, la detenzione delle cose
 protette, di cui all'art. 30 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e la
 nullita' che l'omissione determina attribuiscano  all'amministrazione
 la  facolta',  prevista  dal secondo comma dell'art.  61 della stessa
 legge, di esercitare il diritto di prelazione, a norma degli artt. 31
 e 32, senza limiti di tempo.
    2. - E' stato gia' rilevato (sent. 1  luglio  1992,  n.  8079,  21
 agosto  1962,  n.  2613)  -  e non v'e' motivo di dissentire - che il
 diritto di prelazione, di cui all'art. 31 cit., nelle  alienazioni  a
 titolo   oneroso   di  cose  di  interesse  artistico  e  storico  si
 differenzia nettamente dalla  prelazione  legale  disciplinata  dalle
 norme  di  diritto  comune,  che  nel  rapporto contrattuale attua la
 surroga del soggetto attivo all'acquirente originario, in  quanto  lo
 Stato,  in  forza delle norme della legge in esame, esplica un potere
 di supremazia  per  il  conseguimento  dell'interesse  pubblico  alla
 conservazione  ed  al generale godimento di determinati beni, ponendo
 in essere in negozio di diritto pubblico rientrante  nelle  categoria
 degli  atti  espropriativi in senso lato (v. sent. 30 luglio 1982, n.
 4363).
    Nella specie, il consiglio di Stato ha precisato,  sulla  scia  di
 non  controverso  indirizzo, che il provvedimento con cui si esercita
 la prelazione "costituisce espressione di un potere  di  acquisizione
 coattiva  delle  cose di interesse storico ed artistico di proprieta'
 dei privati"; "deve essere ricondotto alla  piu'  generale  categoria
 degli  atti  ablatori  (rispetto  al  quale il negozio di alienazione
 costituisce mera condizione legittimante del potere" (pag.  32  della
 decisione  impugnata); integra "un vero e proprio atto espropriativo"
 (pag. 49).
    E' anche consolidato il principio  secondo  cui  la  nullita'  dei
 contratti  aventi  ad  oggetto  beni sottoposti a vincolo artistico o
 storico per violazione del citato art. 61 ha carattere  relativo,  in
 quanto prevista nel solo interesse dello Stato (conf. tra altre sent.
 26  aprile  1991, n. 4559, 24 novembre 1989, n. 5070, 15 maggio 1971,
 n. 1440).  Non potendo dubitarsi della natura di atto  amministrativo
 (recettizio,  secondo la sent. 8 febbraio 1982, n. 720) e trattandosi
 di  controversia  in  cui  e' parte la pubblica amministrazione, deve
 ritenersi - alla stregua  delle  normali  regole  sul  riparto  della
 giurisdizione  -  che sussista la giurisdizione del giudice ordinario
 ove si controverta dell'appartenenza all'amministrazione  del  potere
 (discrezionale)  di  prelazione, il cui esercizio comprime il diritto
 soggettivo (di proprieta' o altro diritto sulla o relativo alla  cosa
 protetta)   del   privato,  e  sussista  invece  quella  del  giudice
 amministrativo quando si contesti il  legittimo  esercizio  di  detto
 potere,  effettivamente  appartenente  alla pubblica amministrazione.
 Per tanto, sul presupposto del venir meno del potere  in  parola  per
 effetto  dell'inutile  decorso  del  termine  prescritto dall'art. 32
 citato, e' stata fermata la giurisdizione dell'A.G.O. in ordine  alla
 controversia  riguardante  la  tempestivita'  dell'atto di prelazione
 (conf. le citt. sent. nn. 8079/1992, 1440/1971).
    Con riguardo alla doglianza comune ai tre ricorsi  riuniti  (primo
 motivo  rispettivo)  va  notato,  anche ai fini della rilevanza della
 questione di legittimita' costituzionale, che il consiglio  di  Stato
 ha  ritenuto  -  e  la  statuizione  appare  al  collegio aderente ai
 principi in tema di competenza giurisdizionale  -  che  la  (gradata)
 questione  relativa  alla  regolarita'  della notifica al Verusio del
 decreto con il quale e' stata esercitata  la  prelazione  attiene  al
 corretto  esercizio  e non alla sussistenza del potere di prelazione,
 ricorrendo la seconda ipotesi solo  nel  caso  di  inesistenza  della
 notifica.   Lo   stesso   giudice   amministrativo,   per  latro,  ha
 incidentalmente rilevato l'inammissibilita'  della  censura  "perche'
 dedotta per la prima volta in appello".
    3.  -  L'art. 61 della legge n. 1089/1939 - sulla premessa che "le
 alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere,  compiuti
 contro  i  divieti  stabiliti  dalla  presente  legge o (ed e' questa
 l'ipotesi che qui interessa) senza l'osservanza  delle  condizioni  e
 modalita'  da esse prescritte, sono nulli di pieno diritto" - dispone
 al secondo comma che resta sempre salva la facolta' del  Ministro  di
 esercitare il diritto di prelazione a norma degli artt. 31 e 32.
    Sul  piano  lessicale i rafforzativi "di pieno diritto" nerl primo
 comma  e  "sempre"  nel  secondo   inducono   a   ritenere   corretta
 l'interpretazione  data  alla norma dal consiglio di Stato, anche con
 decisioni diverse da quella qui impugnata (Sez. 6, 7 ottobre 1987, n.
 802, 31 gennaio 1984,' n. 26, 23 marzo 1982, n. 129).
    D'altra  parte  la  norma  del  secondo  comma,  che  non  avrebbe
 significato  se  si  intendesse nel senso di consentire la prelazione
 nel termine  di  due  mesi  (art.  32)  dall'invalida  notifica,  non
 consente di invidividuare alcun altro momento iniziale per il decorso
 di  tale termine, che rimane, per tanto, estraneo ai casi di omessa o
 irregolare denunzia.  Ne' puo' dubitarsi che le formalita' prescritte
 dall'art. 57 del regolamento approvato con r.d. 30 gennaio  1913,  n.
 363,  che,  come accertato con la decisione impugnata, non sono state
 osservate nella specie,  siano  integrative  del  disposto  combinato
 degli  artt.  61,  31  e  32  della  legge n. 1939/1939, in forza del
 richiamo contenuto nell'art. 73 di questa.
    4. - Da quanto precede discende la rilevanza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale di detto combinato disposto, atteso che,
 se per effetto della pronuncia di incostituzionalita' dovesse  essere
 emendata  la  normativa  che consente l'esercizio della prelazione in
 ogni tempo, la pubblica amministrazione verrebbe privata  del  potere
 di  incidere in qualsiasi momento sul diritto soggettivo del privato,
 degradandolo ad interesse legittimo; con la conseguenza di ricondurre
 le controversie riguardanti la tardivita' della prelazione ex art. 61
 alla  giurisdizione  dell'A.G.O.     E  cio'  nel   caso   in   esame
 conseguirebbe sia nell'ipotesi di totale espulsione del secondo comma
 del   citato   art.   61,   sia   in   quella   di   declaratoria  di
 incostituzionalita' delle norme denunciate nella  parte  in  cui  non
 prevedono  che,  in presenza di violazione dei divieti o inosservanza
 di condizioni e modalita' di cui al  primo  comma  dell'art.  61,  il
 termine previsto dall'art. 32, primo comma, decorra dalla data in cui
 l'amministrazione abbia acquisito la conoscenza certa di tutti i dati
 dei  quali  e'  obbligatoria  la comunicazione.   Si desume, infatti,
 dalla decisione impugnata - con la quale il consiglio di Stato non ha
 trattato il pregiudiziale profilo  della  rilevanza  delle  disattese
 questioni  di legittimita' costituzionale - che l'amministrazione dei
 beni culturali "ha  mantenuto,  nel  corso  dell'intera  e  complessa
 vicenda,   un   comportamento   cauto   e   prudente,  determinandosi
 all'esercizio  del  potere  di  prelazione  soltanto  allorquando  ha
 acquisito   la   documentata   certezza   (con  l'acquisizione  della
 documentazione bancaria del 16 settembre 1988)  che  il  dipinto  era
 stato  acquistato  per  conto  del  Beyeler e con danaro dallo stesso
 rimesso (non rileva che sia stato materialmente  riscosso  presso  la
 banca italiana" (pag. 50).
    Risulta  accertato,  per  tanto  che  alla data (30 novembre 1988)
 della cennata notifica al Verusio del decreto con il quale  e'  stato
 esercitato  il  diritto  di  prelazione  (notificato  al  Beyeler  il
 successivo 22 dicembre)) erano decorsi piu' di due mesi  dalla  piena
 conoscenza   da  parte  dell'amministrazione  competente,  sia  della
 contestata inosservanza di modalita' e condizioni della denuncia, sia
 di tutti i dati e notizie che con essa il  venditore  avrebbe  dovuto
 dare.
    5.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  non appare
 manifestamente infondata in relazione alle norme degli artt. 3  e  42
 della Costituzione.  Il carattere di provvedimento espropriativo, che
 e'  stato riconosciuto all'atto con cui l'amministrazione esercita la
 prelazione in presenza di rituale denuncia ex art. 30, non viene meno
 ed e' anzi accentuato allorche' la "prelazione"  venga  esercitata  a
 norma dell'art. 61 c.p.v., come innanzi precisato, senza l'osservanza
 di  limiti di tempo.  In tal caso, pur se l'acquisizione allo Stato e
 l'effetto dell'esercizio di un potere discrezionale di espropriazione
 il soggetto che viene privato  del  bene  di  interesse  artistico  o
 storico   ex   art.   61   percepisce  un  indennizzo  (tale  dovendo
 considerarsi "il prezzo" corrisposto dallo Stato) calcolato  in  modo
 del  tutto  diverso da quanto previsto in materia di espropriazione e
 senza possibilita' di revisione in sede amministrativa o giudiziaria;
 e  subisce,  con  riguardo  ai  limiti  temporali,   un   trattamento
 ingiustificatamente   deteriore   a   colui   che   sia  assoggettato
 all'ordinario procedimento espropriativo.
    Invero, mentre tutte  le  leggi  in  tema  di  espropriazione  per
 pubblica   utilita'   assegnano   all'espropriante  rigorosi  termini
 decadenziali, la "prelazione" ex art. 61 (prevista in caso di  omessa
 o  irregolare denunciata dell'alienazione) non solo non e' sottoposta
 a decadenza, ma non soggiace nemmeno al  limite  della  prescrizione,
 atteso che il termine prescrizionale, "decorrerebbe, in ogni caso, da
 quando nasce il diritto ovvero n'e' consentito l'esercizio (cioe' con
 la  regolare  denuncia)" (pag. 39 della decisione impugnata, la quale
 esclude  anche  l'eventuale  acquisto  per  usucapione).    In  linea
 particolare  risalta  poi  la  differente  situazione  in cui viene a
 trovarsi, ai fini dell'indennizzo, il soggetto che  abbia  effettuato
 (come  nella  specie)  una denuncia irregolare (soggetto che soggiace
 alla forzosa percezione di un indennizzo, pari al prezzo  denunciato,
 che  potrebbe  essere  divenuto,, per effetto del decorso del tempo e
 relativa  svalutazione  monetaria  o  per  altre  cause,  del   tutto
 inadeguato),  rispetto  a  quella  di  chi  abbia del tutto omesso di
 denunciare l'alienazione. In tal  caso,  infatti,  non  essendovi  un
 prezzo  "denunziato",  qualora  l'amministrazione  non sia nemmeno in
 grado di accertare il prezzo contrattualmente stabilito, l'indennizzo
 dovrebbe essere calcolato, ai sensi  del  terzo  comma  dell'art.  31
 della legge n. 1089/1939, estensivamente interpretato, ovvero in base
 al valore di mercato.  Ne' si puo' opporre il carattere sanzionatorio
 di detta "prelazione", sia perche' siffatto carattere mal si concilia
 con  la  discrezionalita' dell'acquisizione, sia perche' questa, alla
 stregua  del  sistema  normativo  in  esame,  puo'  essere   disposta
 indipendentemente  dall'applicazione  delle  sanzioni di cui all'art.
 63, sulla base di valutazioni afferenti al pubblico interesse, e  non
 e' prevista quale conseguenza della condanna penale.  La questione di
 legittimita'   costituzionale  risulta  pertanto  non  manifestamente
 infondata in relazione agli artt. 3 e 42 della Costituzione, sotto un
 duplice  profilo:   illimitata   compressione   del   diritto   reale
 dell'alienante,  ingiustificatamente  sottoposto  ad  un  trattamento
 diverso da quello riservato ad ogni altro espropriato,  essendo  data
 facolta'  all'amministrazione  di  porre in essere l'atto ablativo in
 ogni momento, con correlativa incertezza,  del  pari  illimitata  nel
 tempo,  circa  l'effettivo assetto dei rapporti giuridici concernenti
 il  bene;  mancata  garanzia  per  l'espropriato   di   un   adeguato
 indennizzo,  in  quanto  la  corresponsione  di  somma pari al prezzo
 contrattuale ben  si  attaglia  alla  sola  ipotesi  di  "prelazione"
 esercitata  nel  breve  lasso  di  due  mesi,  ma  non anche a quella
 esercitabile in ogni tempo.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,  nn.
 1  e  23  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  disposto coordinato degli artt. 61, 31 e 32 della legge 1 giugno
 1939, n. 1089 per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione;
    Sospende il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  ed al procuratore generale presso
 questa Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che
 la stessa sia comunicata ai Presidenti della Camera  dei  deputati  e
 del Senato della Repubblica.
      Roma, addi', 11 novembre 1993
                          Il presidente: BILE

 94C0752