N. 414 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 1994

                                N. 414
 Ordinanza  emessa  il  21  aprile  1994  dal  giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Palmi nel  procedimento  penale  a
 carico di Bugge' Carmelo ed altri
 Processo penale - Richiesta di rinvio a giudizio - Genericita' del
    fatto  contestato  dal  pubblico  ministero  -  Insufficienza  del
    materiale probatorio - Conseguente impossibilita' per il g.i.p. di
    esprimere qualunque valutazione - Lamentata omessa  previsione  di
    sanzione  per  l'inosservanza del precetto processuale - Incidenza
    sul diritto di difesa - Lesione del principio  di  obbligatorieta'
    di  motivazione  dei  provvedimenti  giurisdizionali e dell'azione
    penale.
 (C.P.P., 1988, art. 417).
 (Cost., artt. 24, 111 e 112).
(GU n.28 del 6-7-1994 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti del proc. pen. 46/90  R.G.N.R.  nei  confronti  di:
 Bugge'  Carmelo, n. a Seminara il 2 ottobre 1938 (RC) ivi res. via S.
 Mercurio, 301 dif. uff. avv.  Guerrisi  del  foro  di  Palmi;  Divino
 Enrico,  n.  a  Seminara  il  18  febbraio  1949, ivi res., via arch.
 Ferrarese dif. fid. avv. Marco Masseo ed Eleonora Masseo del foro  di
 Palmi,  imputati  di  peculato  (art.  314/1981  c.p.v.-110  c.p. per
 essersi appropriati, in concorso fra loro, con piu' azioni  esecutive
 del  medesimo  disegno  criminoso;  avendo  la  disponibilita'  ed il
 possesso di danaro appartenente al comune di Seminara, il primo quale
 sindaco ed il secondo quale tesoriere comunale, di  somme  di  danaro
 appartenute al Comune medesimo in Seminara dal 1974 al giugno 1983
                               PREMESSA
    Con  richiesta  di  rinvio a giudizio pervenuta all'ufficio G.I.P.
 presso questo tribunale, datata 6 luglio  1991,  il  p.m.  esercitava
 l'azione penale nei confronti dei sunnominati Bugge' Carmelo e Divino
 Enrico, formulando l'imputazione negli esatti termini di cui sopra.
    Inoltre,   le  fonti  di  prova  fondanti  l'imputazione  venivano
 indicate con la seguente dicitura: "Rapporto c.c. e  atti  allegati",
 atti  di  cui  peraltro non vi e' traccia nel fascicolo processuale e
 che  comunque  non  sono  sufficientemente  descritti,  non   essendo
 individuati ne' soggetto redigente ne' data del rapporto.
    All'udienza  preliminare odierna il p.m. insisteva nella richiesta
 di rinvio a giudizio  e  la  difesa  chiedeva  la  pronuncia  di  una
 sentenza  di  non  luogo  a procedere per insussistenza del fatto nei
 confronti di entrambi gli imputati.
                               RILEVANZA
    Ritiene  questo  g.u.p.  che, a mente dell'art. 23 c.p.v. legge n.
 87/1953, il giudizio  non  possa  essere  definito  indipendentemente
 dalla  risoluzione  della  questione  di legittimita' costituzionale,
 essendo nel caso di specie  di  fatto  preclusa  al  giudice  sia  la
 pronuncia  del  decreto  che  dispone  il  giudizio  che quella della
 sentenza di non luogo a procedere.
    Va   infatti   osservato   che,   indipendentemente    dall'esatta
 individuazione dell'oggetto della valutazione di cui all'art. 425 del
 c.p.p.   e   pertanto   senza   entrare  nel  merito  della  querelle
 giurisprudenziale in corso  in  ordine  ai  caratteri  dell'innocenza
 apprezzabile  dal giudice dell'udienza preliminare (innocenza perche'
 provata la non colpevolezza - rectius la non responsabilita' penale -
 innocenza perche' non provata la colpevolezza) nessuna pronuncia puo'
 comunque essere adottata nel caso in cui  i  limiti  dell'imputazione
 siano   talmente   generici   da   precludere   in  radice  qualunque
 valutazione.
    Ed invero, nessun fatto storico puo' essere apprezzato come  vero,
 verosimile,  probabile, possibile o falso se manca o e' assolutamente
 generica  sia   la   descrizione   dell'accadimento   da   apprezzare
 (imputazione)  sia  quella  degli  elementi  chiamati a supportare il
 giudizio (fonti di prova). Ne' in questo caso puo' dirsi di essere in
 presenza  dell'ipotesi  di  mancanza  di  prove  della  colpevolezza,
 poiche'  al  giudice  non  e'  dato  sapere  quale  atto dell'incarto
 processuale sia considerato dall'Accusa  come  fonte  di  prova,  ne'
 quale  sia  l'ipotesi  accusatoria rispetto alla quale raffrontare il
 materiale probatorio raccolto.
    Infine,  non  e'  proponibile  il  ricorso  all'escamotage   della
 dichiarazione  di  nullita' della richiesta di rinvio a giudizio, con
 conseguente restituzione degli atti all'ufficio  di  procura  per  la
 rinnovazione   dell'esercizio  dell'azione  penale  in  termini  piu'
 "intelligibili".
    Infatti, il supremo collegio  ha  in  piu'  occasioni  evidenziato
 l'abnormita'  di  un  provvedimento di questa natura, non previsto da
 alcuna disposizione processuale. In altri termini,  non  e'  dato  al
 giudice   superare   le   lacune   dell'ordinamento  processuale  con
 provvedimenti "creativi" di ipotesi di nullita' non previste,  attesa
 l'assoluta mancanza di corredo sanzionatorio al dettato dell'art. 417
 del  c.p.p.,  che  pur  menziona  fra  i requisiti della richiesta di
 rinvio a giudizio l'enunciazione del fatto (lett. b) e  l'indicazione
 delle  fonti  di  prova acquisite (lett. c). (cfr cassazione 5 maggio
 1992, Nichele, C.E.D. cassazione n. 191347).
    Infine,  va  osservato  che  il  potere  del  p.m.  di  modificare
 l'imputazione  e'  appunto un potere e non un obbligo per l'organo di
 accusa e comunque difficilmente, in casi di estrema  genericita'  del
 capo   di  imputazione,  sara'  possibile  considerare  semplicemente
 "diverso" il fatto, e non gia' "nuovo".  Pertanto,  se  l'imputazione
 non  viene  modificata,  come nel caso di specie o, se il fatto e' da
 considerare "nuovo" e l'imputato non presta il consenso, il g.u.p. si
 ritrovera' ad affrontare l'evidenziata impasse decisionale.
                      NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Cio' premesso, pare a questo g.u.p. che l'art. 417, c.p.p.,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  alcuna  sanzione per l'inosservanza del
 precetto processuale, sia in contrasto con il dettato  costituzionale
 sotto diversi profili:
    In primo luogo e' palese la violazione del diritto di difesa (art.
 24 della Costituzione): da quale accusa puo' difendersi l'imputato se
 il  fatto,  come  descritto nell'imputazione, non e' sufficientemente
 caratterizzato? Nel caso di specie  manca  addirittura  l'indicazione
 delle   somme   che  si  assumono  sottratte  e  delle  modalita'  di
 commissione del reato. A  cio'  si  aggiunga  che  ove,  appunto,  la
 richiesta  sia viziata sotto piu' profili, per l'indicazione mancante
 o erronea delle fonti di prova,  sara'  addirittura  preclusa  quella
 sorta  di  esegesi  del  capo  di  imputazione  (pratica a cui questo
 giudicante ha dovuto far ricorso in piu'  occasioni)  che,  sia  pure
 attraverso  lo  stravolgimento  dei  principi  costituzionali, spesso
 consente   di   ricostruire   l'intenzione   dell'organo   requirente
 attraverso l'esame del corredo probatorio.
    Ne',  d'altronde,  puo' sostenersi che, facendo carico all'ufficio
 di procura la  dimostrazione  della  colpevolezza  dell'imputato,  la
 mancanza  di  prove  conduce  necessariamente  alla  pronuncia di una
 sentenza a contenuto liberatorio. Sul punto si rinvia alle precedenti
 osservazioni circa l'impossibilita' logica di una  pronuncia  di  non
 luogo a procedere in casi consimili. Ed ancora, se cosi' fosse non si
 comprende  quale  sia  la  formula  da adottare (perche' il fatto non
 sussiste, perche' l'imputato non lo ha commesso o altre).
    Va anche sottolineato che, paradossalmente, la  sentenza  ex  art.
 425  del  c.p.p.  dovrebbe  essere  pronunciata anche in un quadro di
 sufficienza o addirittura di  completezza  del  materiale  probatorio
 raccolto:  si  pensi  ad  una  denuncia  estremamente circostanziata,
 corredata di documenti  tali  da  rendere  superflua  ogni  ulteriore
 attivita'  di indagine al p.m., a cui tuttavia il sistema processuale
 non puo' non imporre un minimo di  diligenza  nella  redazione  della
 richiesta di rinvio a giudizio.
    Altro  aspetto  di  incostituzionalita' e' la violazione dell'art.
 111: se il combinato disposto degli artt. 417, 424 e 425  implica  la
 scelta della sentenza a contenuto liberatorio, il giudice e' posto di
 fronte   all'assoluta   impossibilita'   di   assolvere   all'obbligo
 motivazionale, perche' non in  grado  di  valutare  se  il  materiale
 probatorio  (che  in  ipotesi ben puo' esistere ed essere sufficiente
 per il rinvio a giudizio) e'  effettivamente  carente  o  addirittura
 dimostrativo dell'innocenza dell'imputato.
    Infine,  a  giudizio  di  questo  g.u.p. deve ritenersi violato il
 precetto dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  (art.  112  della
 costituzione): se e' vero che il g.i.p. svolge un'azione di controllo
 sull'operato  (o  sull'inerzia)  del  p.m.  per garantire l'effettivo
 esercizio dell'azione penale,  attraverso  gli  istituti  della  c.d.
 imputazione  coatta  o quello delle nuove indagini (art. 409 c.p.p.),
 di fatto la norma costituzionale verrebbe svuotata di contenuto se  a
 fronte  di  una richiesta di rinvio a giudizio viziata da generalita'
 del capo di imputazione e/o lacunosa nell'indicazione delle fonti  di
 prova potesse percorrere l'unica strada della sentenza di non luogo a
 procedere.
    Conseguentemente,  l'interpretazione  piu' favorevole all'imputato
 finirebbe per rendere inoperante il principio costituzionale  proprio
 nei  casi  piu'  macroscopici  di negligenza del p.m., identificabili
 appunto nella redazione approssimativa del capo di imputazione.
    Visto l'art. 23 della legge 11 febbraio 1953, n. 87.
                                P. Q.M.
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  417 del c.p.p. in ralazione agli artt. 24,
 111 e 112 della Costituzione nei termini di cui in premessa.
    Ordina  la  trasmissione  della  presente   ordinanza   unitamente
 all'intero fascicolo processuale alla Corte costituzionale.
    Dispone  la  sospensione  del  procedimento  n.  46/90 a carico di
 Bugge' Carmelo e Divino Enrico.
    Manda alla cancelleria per la notifica a Bugge' Carmelo  e  Divino
 Enrico,   sopra  generalizzati  al  p.m.,  sede,  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri c/o avv. dello Stato, Roma.
    Ordina che copia della  presente  ordinanza  venga  comunicata  ai
 presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Palmi, addi' 21 aprile 1994
                           Il giudice: VITI

 94C0767