N. 271 SENTENZA 22 - 30 giugno 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale  -  Pretore  di  Bolzano  -  Lingua  del  processo  -
 Espressione  del  cittadino nella propria madre-lingua - Formulazione
 degli atti nella lingua diversa  da  quella  del  processo  -  Omessa
 previsione  -  Esistenza di specifiche garanzie normative nell'ambito
 di una disciplina speciale posta in sede di attuazione  statutaria  -
 Non fondatezza nel sensi di cui in motivazione.
 
 (D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, art. 17, sesto comma).
 
 (Cost.,  artt.  3  e  24;  statuto speciale Trentino-Alto Adige, art.
 100)
 
(GU n.28 del 6-7-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 17, sesto comma,
 del  d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto
 speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di  uso  della
 lingua  Tedesca  e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con
 la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari),  promossi
 con  n.  2  ordinanze emesse il 22 giugno 1993 dal Pretore di Bolzano
 nei procedimenti penali a carico  di  Rabensteiner  Hubert  e  Putzer
 Hubert,  iscritte  ai  nn.  801  e  802 del registro ordinanze 1993 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 prima serie
 speciale dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Rabensteiner Hubert e di  Putzer
 Hubert  nonche'  gli  atti di intervento del Presidente del Consiglio
 dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1994 il Giudice relatore
 Enzo Cheli;
    Uditi gli avvocati Giuseppe De Vergottini per Rabensteiner  Hubert
 e  Putzer  Hubert  e  l'Avvocato  dello Stato Plinio Sacchetto per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. -  Nel  corso  dei  procedimenti  penali  a  carico  di  Hubert
 Rabensteiner,  imputato di ricettazione, e di Hubert Putzer, imputato
 di lesioni personali volontarie,  il  Pretore  di  Bolzano,  con  due
 ordinanze  di identico contenuto, adottate in data 22 giugno 1993 (n.
 801 e n. 802), ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
 nei  confronti  dell'art. 17, sesto comma, del d.P.R. 15 luglio 1988,
 n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto  speciale  per  la  Regione
 Trentino-Alto  Adige  in  materia di uso della lingua tedesca e della
 lingua  ladina  nei  rapporti   dei   cittadini   con   la   pubblica
 amministrazione   e  nei  procedimenti  giudiziari),  per  violazione
 dell'art. 24 della Costituzione nonche' dell'art. 100  dello  Statuto
 speciale  del  Trentino-Alto  Adige  "nella parte in cui impedisce al
 cittadino di esprimersi nella propria madre-lingua, anche se  diversa
 dalla  lingua  del  processo"  e  per  violazione  dell'art.  3 della
 Costituzione "nella parte in  cui  prevede,  quale  sanzione  per  la
 formulazione  degli atti nella lingua diversa da quella del processo,
 la nullita' assoluta e insanabile degli atti" stessi.
    Rilevano le  ordinanze  che  l'illegittimita'  costituzionale  era
 stata  eccepita  nei  due  procedimenti  dalla  difesa  e il pubblico
 ministero si era associato, in seguito al non accoglimento  da  parte
 del Pretore della richiesta dell'imputato di
 rendere,  in  un  caso,  "dichiarazioni spontanee" (ord. n. 801) e di
 rispondere, nell'altro,  all'"esame"  (ord.  n.  802)  nella  propria
 lingua  materna (tedesco), diversa da quella del processo (italiano),
 ritualmente scelta dagli stessi imputati ai sensi dell'art. 17, primo
 comma, del d.P.R. n. 574 del 1988.
    Premesso che gli  imputati  avevano  scelto  che  il  processo  si
 svolgesse  in  italiano  perche'  i  rispettivi  avvocati  di fiducia
 avevano accettato  l'incarico  a  tale  condizione  e  che  gli  atti
 processuali successivi ai sensi dell'art. 17, sesto comma, del citato
 d.P.R.  n. 574, avrebbero dovuto essere formulati, a pena di nullita'
 assoluta e insanabile, in italiano, in quanto lingua del processo, il
 pretore remittente prospetta da parte della  norma  in  questione  la
 violazione:
       a) dell'art. 24 della Costituzione, per la lesione apportata al
 diritto  di difesa, che comprende - anche ai sensi dell'art. 6, n. 3,
 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - "tanto  il  diritto
 di   difendersi   di   persona   quanto   il   diritto   di  giovarsi
 dell'assistenza di un difensore". Nei due casi di specie, il  diritto
 degli  imputati  alla  assistenza  tecnica  e  professionale  sarebbe
 garantito dalla presenza del difensore di fiducia, mentre il  diritto
 ad  esercitare  l'autodifesa risulterebbe di fatto leso a causa della
 impossibilita'  di  rendere  dichiarazioni  spontanee  o  di   essere
 sottoposto  ad  esame  nella propria lingua materna, in quanto lingua
 diversa da quella del processo;
       b) dell'art. 100 dello  Statuto  speciale,  in  attuazione  del
 quale  e'  stato  emanato  il  d.P.R. n. 574 del 1988, che prevede la
 facolta' dei cittadini di lingua tedesca di usare la  propria  lingua
 nei rapporti con gli organi giurisdizionali;
       c)  dell'art. 3 della Costituzione, perche', nella parte in cui
 prevede, quale sanzione per la formulazione degli atti  nella  lingua
 diversa  da  quella  del  processo, la nullita' assoluta e insanabile
 "introduce, immotivatamente, una disparita'  di  trattamento  tra  la
 lingua scelta dall'imputato e quella ufficiale dello Stato, posto che
 l'art.  109  c.p.p.,  in  materia  di lingua degli atti, prevede come
 sanzione la nullita' relativa".
    2. - Nel  giudizio  si  sono  costituiti  entrambi  gli  imputati,
 riportandosi  alle  ordinanze  di  rimessione,  ed  e' intervenuto il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura dello Stato.
    3. - Il Presidente del Consiglio conclude per l'inammissibilita' e
 comunque   per   l'infondatezza   della   questione.  Muovendo  dalla
 considerazione  che  la  liberta'  dell'imputato  nella  scelta   del
 difensore  risulta  salvaguardata  dall'art.  15, quinto comma, dello
 stesso d.P.R. n. 574 (dove si consente al difensore  di  madre-lingua
 diversa da quella del processo di svolgere i propri interventi orali,
 a scelta, in italiano o in tedesco), l'Avvocatura sostiene che appare
 coerente  non  consentire  all'imputato  -  alla  cui libera volonta'
 risale  la  scelta  della  lingua  del  processo  -   di   esprimersi
 diversamente dalla lingua prescelta.
    Rispetto  alla  tesi del Pretore, secondo la quale il diritto alla
 difesa  tecnica  non  puo'  prevalere  sul  diritto   all'autodifesa,
 l'Avvocatura  dello  Stato rileva che la soluzione accolta dal d.P.R.
 n. 574 assicurerebbe il massimo contemperamento possibile tra  i  due
 aspetti   del  diritto  di  difesa,  anche  in  considerazione  della
 circostanza che l'uso di una lingua diversa in sede di interrogatorio
 potrebbe  pregiudicare  proprio  la  piena  intesa  tra  imputato   e
 difensore.  Quanto  alla  astratta  ipotizzabilita'  di  un  processo
 bilingue, viene poi richiamata la sentenza di questa Corte n. 62  del
 1992  che,  in  una  questione  attinente  alla minoranza linguistica
 slovena, ha fatto rinvio, ai fini della tutela di tale minoranza  nei
 rapporti  con  gli  organi giurisdizionali, alla discrezionalita' del
 legislatore in ragione delle condizioni  sociali  esistenti  e  della
 disponibilita' di risorse organizzative e finanziarie.
    Soprattutto, la suddetta sentenza e' richiamata nella parte in cui
 afferma  che  la  tutela  della  minoranza  linguistica e' assicurata
 quando si consenta a questi cittadini  di  non  essere  costretti  ad
 adoperare  una  lingua  diversa  da  quella  materna nei rapporti con
 l'autorita' giudiziaria.
    Con riferimento, infine, alla contestata lesione del principio  di
 eguaglianza  l'Avvocatura  rileva  che  la  nullita' assoluta viene a
 rafforzare  la  tutela  dell'imputato  appartenente  alla   minoranza
 tedesca  e  che,  comunque,  la  diversita' di disciplina rispetto al
 codice  di  procedura  penale  trova  la  sua  giustificazione  nella
 specialita'  della  situazione  che caratterizza le Regioni a statuto
 speciale.
    4. - In prossimita' dell'udienza le parti private hanno presentato
 memorie di  identico  contenuto,  dove,  pur  riconoscendosi  che  la
 disciplina prevista dal d.P.R. n. 574 del 1988 appare ispirata ad una
 tutela  ottimale del cittadino di lingua tedesca, si mette in risalto
 la lesione del diritto all'autodifesa che deriverebbe da  un  sistema
 rigido  quale  quello  introdotto  con  la  norma  impugnata, che non
 consentirebbe   deroghe   alla   lingua   del   processo    prescelta
 dall'imputato.
    In  particolare,  richiamando  le  norme  del Patto internazionale
 relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre  1966  e  della
 Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
 liberta' fondamentali del 4 novembre 1950, le memorie  si  soffermano
 sul  diritto  di  difesa  come diritto inviolabile della persona, non
 comprimibile da norme finalizzate a proteggere il gruppo  linguistico
 minoritario.
    La  difesa  delle  parti  private si sofferma anche sulle maggiori
 garanzie riconosciute alle minoranze linguistiche dal nuove codice di
 procedura penale e prospetta la possibilita' di  un'integrazione  tra
 la  normativa  codicistica  e  quella  posta  in  sede  di  norme  di
 attuazione. In questa ottica si richiama, in particolare, l'art.  109
 cod.  proc.  pen., che attribuisce al cittadino italiano appartenente
 ad una  minoranza  linguistica  riconosciuta  il  diritto  ad  essere
 interrogato  o  esaminato,  a  sua richiesta, nella madre-lingua ed a
 vedere redatto il relativo verbale nella stessa lingua, oltre che  in
 quella   ufficiale  del  processo,  nonche'  l'art.  26  delle  norme
 attuative di  detto  codice,  relativo  al  diritto  di  nominare  il
 difensore   senza   limiti   derivanti   dall'appartenenza  etnica  o
 linguistica dello stesso.
                        Considerato in diritto
    1.   -   Il   Pretore   di   Bolzano   dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 17, sesto comma, del d.P.R. 15 luglio  1988,
 n.  574, nella parte in cui tale disposizione "impedisce al cittadino
 di esprimersi nella propria  madre-lingua,  anche  se  diversa  dalla
 lingua  del  processo",  nonche'  nella  parte in cui "prevede, quale
 sanzione per la formulazione  degli  atti  nella  lingua  diversa  da
 quella  del  processo, la nullita' assoluta e insanabile", deducendo,
 per il primo profilo, la violazione dell'art. 24 della Costituzione e
 dell'art. 100 dello Statuto speciale e per il secondo  la  violazione
 dell'art. 3 della Costituzione.
    Le  due  ordinanze  di  rimessione muovono dal presupposto che, ai
 sensi della norma impugnata, l'imputato appartenente  alla  minoranza
 linguistica  tedesca  che  abbia  scelto  come  lingua  del  processo
 l'italiano non sia piu' legittimato a rendere dichiarazioni spontanee
 o ad essere esaminato, a sua richiesta, nella propria lingua materna,
 con la conseguenza che gli atti processuali adottati in violazione di
 tale divieto verrebbero  a  incorrere  in  una  nullita'  assoluta  e
 insanabile.
    2. - La questione non e' fondata nei termini di seguito precisati.
    L'art.  100, primo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto
 Adige dispone che "i cittadini di lingua tedesca della  provincia  di
 Bolzano  hanno  facolta' di usare la loro lingua nei rapporti con gli
 uffici  giudiziari  e  con  gli  organi  e  uffici   della   pubblica
 amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale
 ....".Al fine di dare attuazione a tale principio e' stato emanato il
 d.P.R.  15 luglio 1988 n. 574, che ha disciplinato l'uso della lingua
 tedesca, parificata nella Regione a quella italiana nei rapporti  con
 gli  organi  e  gli uffici, amministrativi e giurisdizionali, e con i
 concessionari di servizi di pubblico interesse,  nonche'  negli  atti
 pubblici  (art.  1,  primo  comma),  statuendo,  tra l'altro, che gli
 organi,  gli  uffici  ed  i  concessionari   in   questione   "devono
 predisporre   o  adeguare  le  strutture  organizzative  al  fine  di
 consentire l'uso dell'una o dell'altra lingua" (art. 3, primo comma).
    Per quanto concerne, in particolare, il processo penale, la lingua
 da usare per gli atti processuali e' quella materna dell'indiziato  o
 dell'imputato,  lingua  che  puo'  essere  dichiarata  dalla  persona
 inquisita - in sede di arresto in flagranza o di fermo di  polizia  e
 di  primo  interrogatorio  -  ovvero individuata in via presuntiva in
 base alla notoria appartenenza ad un gruppo linguistico  e  ad  altri
 elementi gia' acquisiti al processo (artt. 14 e 15 d.P.R. n. 574).
    A chiusura di tale disciplina generale,l'art. 17, primo, secondo e
 terzo  comma,  dello  stesso  d.P.R.,  n.  574 prevede, peraltro, che
 l'imputato, dopo il primo interrogatorio e non oltre  l'apertura  del
 dibattimento,  "puo'  decidere  che  il  processo prosegua nell'altra
 lingua", mediante dichiarazione sottoscritta dallo  stesso  imputato,
 resa  una  sola  volta  per  ciascun  grado  del  giudizio. A seguito
 dell'esercizio di tale facolta'  -  prosegue  il  sesto  comma  dello
 stesso  articolo  - "gli atti successivi vengono formulati nell'altra
 lingua a pena di nullita' ai sensi del capoverso  dell'art.  185  del
 precedente codice di procedura penale".
    Quest'ultima   norma   viene  censurata  dal  giudice  a  quo  con
 riferimento alla sua asserita rigidita',  sul  presupposto  che,  una
 volta  operata  da  parte  dell'imputato  la  scelta della lingua del
 processo, come lingua diversa da quella  materna,  non  sarebbe  piu'
 concessa   allo   stesso   imputato   la   possibilita'   di  rendere
 dichiarazioni  spontanee  o  di  essere   esaminato   nella   propria
 madre-lingua.
    Tale  interpretazione  non  puo' essere condivisa, dal momento che
 trova il suo  fondamento  esclusivamente  nella  disciplina  speciale
 emanata  per  il  Trentino-Alto Adige con il d.P.R. 15 luglio 1988 n.
 574,  senza  dare  adeguato  rilievo   alle   norme   successivamente
 introdotte,  in  tema  di  lingua degli atti del processo penale, dal
 nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R.  22  settembre
 1988, n. 447.
    L'art.  109,  secondo comma, di detto codice emanato in attuazione
 della direttiva  n.  102  espressa  nella  legge  di  delegazione  16
 febbraio  1987 n. 81, ha garantito, infatti, in generale al cittadino
 italiano appartenente ad una
 minoranza linguistica riconosciuta il diritto ad essere interrogato o
 esaminato  nella  madre-lingua  (con  la  conseguente  redazione  del
 relativo  verbale  in  tale lingua, oltre che in quella ufficiale del
 processo), diritto attivabile a  richiesta  dell'interessato  davanti
 all'autorita'  giudiziaria  avente  competenza,  in  primo  o secondo
 grado, nel territorio di insediamento della stessa minoranza.
    Tale garanzia, in quanto destinata a preservare l'effettivita' del
 diritto  alla  difesa  di  cui  all'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione, non solo come difesa tecnica, ma anche come autodifesa,
 non  puo'  non spettare - indipendentemente dai contenuti particolari
 della disciplina introdotta per il Trentino-Alto Adige con il  d.P.R.
 n.  574  -  anche  ai  cittadini di lingua tedesca della Provincia di
 Bolzano, rispetto ai quali - sempre ai sensi dell'art.  109,  secondo
 comma,  cod.  proc.  pen. - restano peraltro salvi "gli altri diritti
 stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali".
    Nei confronti dei cittadini  appartenenti  al  gruppo  linguistico
 tedesco  della  Provincia  di Bolzano il diritto relativo alla scelta
 della lingua del processo di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 574 non si
 presenta, quindi, alternativo,  bensi'  concorrente  con  il  diritto
 attribuito  in  generale a tutti i cittadini appartenenti a minoranze
 linguistiche  riconosciute  ad  essere  interrogati  o  esaminati,  a
 propria  richiesta,  nella  lingua  materna:  collegandosi  il  primo
 diritto all'art. 6 della Costituzione, in relazione alle esigenze  di
 tutela   riconosciute  a  favore  del  patrimonio  culturale  di  una
 particolare minoranza, ed il secondo all'art. 24 della  Costituzione,
 in  relazione  all'esigenza  di  far  salvo,  attraverso la difesa in
 giudizio, un diritto inviolabile della persona umana.
    Questa Corte, ha gia' avuto modo di rilevare tale  diversita'  dei
 due  piani  di  garanzia, quando ha sottolineato l'"interferenza", ma
 non la "coincidenza o sovrapposizione" tra la tutela  spettante  alla
 minoranza  linguistica riconosciuta, che si realizza non costringendo
 gli appartenenti a tale  minoranza  ad  usare  nei  rapporti  con  le
 autorita' pubbliche una lingua diversa da quella materna, e la tutela
 connessa  alla garanzia costituzionale del diritto di difesa riferita
 al singolo e suscettibile di realizzarsi, in  relazione  all'esigenza
 di  una  corretta  utilizzazione degli strumenti processuali e di una
 adeguata  comprensione  degli  stessi,  attraverso  l'uso  da   parte
 dell'inquisito  stesso  della  lingua materna (v. sent. 62 del 1992).
 L'interferenza  tra  le  due  garanzie  consente,  in  questo   caso,
 all'imputato  appartenente  alla  minoranza  linguistica  tedesca  di
 scegliere, ai sensi  della  disciplina  speciale  posta  in  sede  di
 attuazione statutaria, la lingua del processo anche in funzione delle
 esigenze  della  difesa  tecnica,  senza  per questo dover rinunciare
 all'esercizio del diritto di  autodifesa,  ai  sensi  dell'art.  109,
 secondo comma, cod. proc. pen., nella propria lingua materna.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non  fondata,  nei  sensi di cui in
 motivazione, la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 17,  sesto  comma,  del  d.P.R.  15  luglio  1988,  n.  574 (Norme di
 attuazione dello Statuto speciale in  materia  di  uso  della  lingua
 tedesca e ladina nei procedimenti giurisdizionali), in relazione agli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione  ed  all'art.  100 dello Statuto
 speciale del Trentino Alto Adige, questione sollevate dal Pretore  di
 Bolzano con le ordinanze di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 giugno 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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