N. 437 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 1994

                                N. 437
 Ordinanza  emessa  il  23  marzo  1994  dal  pretore  di  Cremona nel
 procedimento penale a carico di Faisi Gianfranco Cristiano
 Processo penale - Sentenza di applicazione della pena su richiesta
    dell'imputato - Effetti - Divieto di irrogare  pene  accessorie  e
    misure di sicurezza, con l'eccezione della confisca obbligatoria -
    Lamentata  omessa previsione della confisca di somme o beni di cui
    l'imputato della contravvenzione p. e p. dall'art.  708  del  c.p.
    (possesso ingiustificato di valori) non giustifichi la provenienza
    -  Lesione  del principio di ragionevolezza e della funzione della
    pena anche per quanto riguarda il recupero sociale del reo.
 (C.P.P. 1988, art. 445).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.30 del 20-7-1994 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Faisi Gianfranco Cristiano, evocato in giudizio per rispondere del
 reato p. e p. dell'art. 708 del c.p. (essendo  stato  condannato  per
 delitti  determinati da motivi di lucro), era colto in possesso della
 somma di L. 29.750.000, di cui non giustificava la provenienza.
    Fatto accertato in Cremona il 20 dicembre 1991, anteriormente alla
 dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento, chiedeva ed otteneva,
 previo consenso del p.m., di essere ammesso  alla  procedura  di  cui
 agli artt. 444 e segg. del c.p.p.
    Le  parti  concordavano  la pena di mesi quattro, giorni venti, di
 arresto,  cosi'   calcolata:   concesse   le   attenuanti   generiche
 equivalenti alla recidiva, mesi sette di arresto, ridotti di un terzo
 ex art. 444 del c.p.p.
    Poiche'  l'esame  degli  atti  esclude il proscioglimento ai sensi
 dell'art. 129  del  c.p.p.,  la  pena  dianzi  indicata,  che  appare
 congrua,    dovrebbe   essere   applicata,   ritenute   corrette   la
 qualificazione del fatto e la  comparazione  delle  circostanze,  con
 restituzione del denaro al Faisi, non potendosi disporre la confisca,
 che  l'art.  445,  primo comma, del c.p.p. contempla solo nei casi di
 cui all'art. 240, secondo comma, del c.p.
    Questa conclusione si fonda sul tenore letterale dell'art. 445, ma
 occorre verificare la corrispondenza di essa alla essenza e  funzione
 dell'ordinamento giuridico penale.
    Ai  fini dimostrativi, occorre premettere che la confisca consiste
 nell'espropriazione, da parte dello Stato, delle  cose  attinenti  al
 reato,  poiche'  servirono o furono destinate a commetterlo o perche'
 ne sono il prodotto o il profitto (confisca facoltativa) o perche' ne
 costituiscono il prezzo o perche' l'uso, il porto, la detenzione,  la
 fabbricazione  e  l'alienazione  di  esse costituisce reato (confisca
 obbligatoria).
    Come ogni misura di sicurezza, quella disciplinata  dall'art.  240
 del  c.p.  ha lo scopo di prevenire la commissione di illeciti, anche
 se il presupposto di applicazione, per  le  altre,  e'  rappresentato
 dalla  pericolosita'  della  persona, mentre nella confisca rileva la
 pericolosita' delle res, "che puo' passare per induzione al soggetto,
 in  quanto  la  disponibilita'  di  cose,  che  sono  strumenti   per
 commettere  reati  o provenienti da reati, costituisce un incentivo a
 compierne dei nuovi", mantenendo viva  l'idea  e  l'attrattiva  degli
 stessi.
    L'esegesi  della  disposizione  in  esame permette di cogliere una
 differenza di grande importanza sul piano ricostruttivo. Infatti,  le
 cose  di  cui  all'art.  240,  secondo comma, n. 2, sono connotate da
 pericolosita' intrinseca, tanto palese  da  determinare  l'illiceita'
 della  loro  fabbricazione,  detenzione, ecc. la confisca va ordinata
 pur se non sia pronunziata  sentenza  di  condanna,  appunto  per  la
 destinazione e l'attitudine di quegli oggetti a recare danno.
    Invece,  il  prodotto  (risultato  che  ottiene  il  reo dalla sua
 attivita' criminosa), il profitto (vantaggio economico  ricavato  dal
 reato)  e il prezzo (compenso dato o promesso per indurre, istigare o
 determinare  un  altro  soggetto  a  commettere   il   reato)   assai
 difficilmente  presentano  ex  se  il  contrassegno  di  una reale ed
 effettiva pericolosita'.
    Quest'ultimo concetto, in relazione a tali cose, dev'essere inteso
 come  possibilita'   che   esse,   qualora   siano   lasciate   nella
 disponibilita'  del  reo,  vengano  a  creare  in  lui  l'impulso per
 ulteriori illeciti.
    Il legislatore, tuttavia, ritiene che far acquisire al delinquente
 il  prezzo  del reato sia assai pericoloso, sicche' del tutto inutile
 si rivela la valutazione discrezionale del  giudice,  il  quale  deve
 disporre obbligatoriamente la confisca. Per il prodotto e il profitto
 sussiste,  invece,  un  ampio  margine  di  scelta, in quanto le cose
 possono essere pericolose e possono non esserlo: soltanto nella prima
 evenienza sara' legittimamente disposta  l'ablazione.  Alcuni  esempi
 chiariscono meglio l'assunto.
    Il  coltello  da cucina che servi' a cagionare lesioni personali o
 il bastone  con  il  quale  si  intendeva  colpire  l'avversario  non
 necessariamente   dovrebbe   essere  confiscato,  "perche'  l'estrema
 facilita' con cui l'agente  puo'  venire  in  possesso  di  un  altro
 strumento dello stesso genere esclude, almeno nella maggior parte dei
 casi,  che  quel  determinato  coltello o bastone possa costituire un
 fattore di pericolosita'".
    Va  sempre  attuata,  per  contro,  la  confisca  del  macchinario
 appositamente  costruito per commettere reati di falso, a causa della
 difficolta' di procurarsi altri mezzi simili, o del  denaro  ricavato
 dalla  vendita  di  merce  rubata, quando non debba essere restituita
 alla persona offesa, o degli oggetti preziosi acquistati  con  denaro
 ottenuto  dal  p.u.  per  omettere o ritardare un atto d'ufficio. Non
 sfugge  ad  alcuno  che,  ove  quelle  cose   fossero   lasciate   al
 delinquente,  costui  potrebbe  trovare  nel  vantaggio conseguito la
 spinta a commettere altri  illeciti.  Percio',  le  cose  costituenti
 prodotto  o  profitto  del reato sono pericolose in un gran numero di
 ipotesi.
    Premesse  codeste  nozioni  tecnico-giuridiche,   lo   svolgimento
 ulteriore  dell'indagine impone di evidenziare che il procedimento di
 cui  agli  artt.  444  e  segg.  del  c.p.p.,  caratterizzato   dalla
 volontaria  sottoposizione alla pena da parte dell'imputato, il quale
 rinunzia al dibattimento e alla facolta' di contestare  l'accusa,  ma
 consegue   indubbi   vantaggi   dalla   sua   scelta,   non  consente
 l'applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, ad eccezione
 della confisca obbligatoria.
    L'interpretazione sistematica delle norme relative al giudizio  de
 quo  e  al complesso dei benefici previsti rende chiaro l'intento del
 legislatore di agevolare il ricorso  al  rito  speciale,  sicche'  la
 confisca  anche nei limitati casi dell'art. 240, secondo comma, nn. 1
 e  2  del  c.p.,  appare  come   eccezione   alla   regola   generale
 dell'incompatibilita' tra patteggiamento e misure di sicurezza (cfr.,
 sul punto Cass., ss.uu. ud. 15 dicembre 1992 (dep. 24 febbraio 1993),
 ric. Bissoli, in Cass. pen. 1993, 1388, n. 807).
    Assai  per  tempo  e'  stato,  pero', avvertito dagli operatori di
 giustizia che la soluzione normativa, orientata  dalla  finalita'  di
 una   rapida  definizione  del  procedimento,  comporta  il  parziale
 sacrificio di un valore pregnante e piu' significativo, rappresentato
 dall'esigenza insopprimibile di tutelare la  collettivita'  contro  i
 comportamenti  criminosi,  che  le  utilita'  derivanti  da reato non
 eliminate dalla sentenza di patteggiamento, inducono assai  spesso  a
 reiterare.
    Si  consideri  che  la  suprema  Corte,  sulla base di motivazioni
 ineccepibili, ha affermato che non poteva  essere  disposta,  con  la
 sentenza  di applicazione della pena su richiesta, la confisca di una
 somma  di  denaro  ottenuta  attraverso  l'attivita'  di  spaccio  di
 stupefacenti  (sezione  quarta, 22 aprile 1992, Roggi, in giust. pen.
 1992,  III,  c.  552, n. 143; sezione quarta, 9 marzo 1992, Iezzi, in
 Arch. n. proc.  pen.  1992,  p.  567)  o  di  un  veicolo  usato  per
 commettere  il  delitto  di  detenzione  di  droga (sezione sesta, 19
 maggio 1992, p. 435) o dei titoli di credito ricevuti dall'imputato e
 rappresentanti il vantaggio usuraio dal medesimo conseguito  (sezione
 seconda,  14  giugno  1990,  Ferretti,  in  Riv.  pen. 1992, p. 393),
 poiche' tali cose devono qualificarsi profitto del reato.
    Non sfugge ad alcuno che questi esiti, oltre  che  con  il  comune
 sentire,  contrastano  con  un  principio connaturato all'ordinamento
 penale: evitare  che  il  delinquente  possa  ottenere  dal  reato  i
 risultati economici programmati, essendo cio' socialmente pericoloso.
 A  giustificare siffatte dissonanze non basta osservare che il regime
 di  favore  proprio  del  patteggiamento   sarebbe   illegittimamente
 vulnerato  e  ristretto,  ove  si  consentisse  la  confisca  di cose
 esulanti alla specifica ed unica eccezione fissata dalla legge.
    In senso contrario, puo' replicarsi che ogni  istituto  giuridico,
 essendo parte di un insieme, deve coesistere in modo armonico con gli
 altri  che  regolano  lo svolgimento corretto dei rapporti della vita
 collettiva, senza creare differenze che non  trovino  spiegazione  in
 motivi apprezzabili e condivisi dalla generalita'.
    Un'apertura  nell'ambito del sistema e' stata prodotta dall'art. 2
 del d.l. 22 febbraio 1994, n. 123, il quale stabilisce  la  confisca
 del  denaro,  dei beni e delle altre utilita', di cui il soggetto non
 puo'  giustificare  la  provenienza,  nei  casi  di  condanna  o   di
 applicazione  della  pena  ex art. 444 del c.p.p. per uno dei delitti
 previsti dagli artt. 416-bis, 629, 630, 644, 644-bis,  648,  648-bis,
 648-ter del c.p., 12-quinquies, primo comma, del d.l. 8 giugno 1992,
 n.  306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.
 356, 73 e 74 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e
 sostanze psicotrope.
    La stessa disciplina opera nei confronti di chi abbia commesso  un
 delitto  avvalendosi  delle condizioni previste dall'art. 416-bis del
 c.p. ovvero al  fine  di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni
 indicate  nello  stesso  articolo, nonche' di chi e' stato condannato
 per un delitto in materia di contrabbando.
    Come  emerge  dalla  motivazione  addotta  per  il  ricorso   alla
 decretazione di urgenza, il nuovo assetto normativo mira "ad impedire
 che   imputati   e   condannati   per  gravi  reati  di  criminalita'
 organizzata, o per reati strumentali  al  proliferare  della  stessa,
 continuino  ad  avere  la  disponibilita' di patrimoni sproporzionati
 all'attivita' svolta e al reddito dichiarato, pur quando non sono  in
 grado  di  giustificarne la lecita provenienza e detta disponibilita'
 di beni puo' aggravare il reato contestato o agevolare la commissione
 di altri".
    La  medesima  ratio   e'   invocabile   anche   in   ordine   alla
 contravvenzione  p.  e  p.  dall'art.  708  del c.p., tipico reato di
 sospetto, per la cui sussistenza e' sufficiente,  se  l'imputato  non
 prova  la legittimita' della provenienza del denaro, degli oggetti di
 valore e delle cose non confacenti al suo stato o  non  fornisca  una
 prova aliunde, che risulti accertato il possesso di tali beni (Cass.,
 sezione  terza, 17 giugno 1985, in Cass. pen. 1986, 1946; Giust. pen.
 1986, II, 300; Riv.  pen.  1986,  260).  L'interessato  deve  fornire
 "validi  elementi  di concreta valutazione delle circostanze idonee a
 suffragare l'ipotesi da lui  espressa  di  provenienza  dei  beni  da
 attivita'  lecita"  (Cass. 7 febbraio 1986, in Giust. pen. 1987, III,
 179, benche' non occorra che egli dia prova piena della  legittimita'
 del  possesso  delle  cose di sospetta provenienza (Cass. 28 febbraio
 1985, in Cass. pen. 1987, 86).
    L'omessa  o  incredibile   giustificazione   origina   la   penale
 responsabilita' dell'imputato.
    Durante la vigenza dell'abrogato codice di procedura, al quale era
 estraneo  l'istituto  del patteggiamento, con la sentenza di condanna
 veniva ordinata senz'altro la confisca del denaro o  dei  valori  non
 giustificati.
    Nessun   inconveniente   si  determinava  nemmeno  con  l'istituto
 introdotto dall'art. 77 della legge 24 novembre  1981,  n.  689,  che
 pure  escludeva  pene  accessorie  e misure di sicurezza ad eccezione
 della confisca di cui all'art. 240, secondo comma, del  c.p.  Invero,
 l'art.  80  della  legge  citata,  stabilendo  che  il  provvedimento
 contemplato dall'art. 77 non poteva essere emesso  nei  confronti  di
 chi  ne  avesse  in  precedenza  beneficiato  o  di  colui che avesse
 riportato condanna a  pena  detentiva,  indicava  due  condizioni  di
 demerito,  le quali consentivano di assicurare, in modo concreto, gli
 effetti  premiali  della  sentenza  solo  alle  persone  di   ridotta
 capacita'  a delinquere e nei confronti delle quali doveva formularsi
 una prognosi fausta circa la loro condotta futura.
    Percio', il denaro e gli oggetti preziosi di sospetta  provenienza
 erano  sempre  confiscati, non potendo l'imputato, appunto per le sue
 pregresse  esperienze  criminose,  essere  ammesso  a   fornire   del
 trattamento di favore dell'art. 77 della legge n. 689/1981.
    Del  tutto  diversa  e',  invece,  la  situazione  creata dal rito
 speciale disciplinato dagli artt. 444 e segg. del c.p.p., il quale ha
 ampliato   "la   significativita'   della    previsione    premiale",
 estendendola ad ogni imputato, quali che siano i precedenti penali, e
 comprendendo  un  gran numero di reati. Poiche' l'art. 445 ha mutuato
 la formula dell'art. 77 della legge n. 689/1981 per  l'esclusione  di
 pene  accessorie  e  misure di sicurezza, ad eccezione della confisca
 obbligatoria, consegue la rinunzia in  via  generale  ad  espropriare
 cose che con altra probabilita' ritorneranno nel circuito criminoso.
    La  "meritorieta'  processuale"  dell'imputato,  che  facilita  la
 rapida definizione del procedimento, viene, dunque,  ricompensata  ad
 alto costo sociale, lasciandogli la libera disponibilita' di cose che
 incentivano la commissione di ulteriori fatti di reato.
    Con  specifico riguardo all'art. 708 del c.p., la mancata confisca
 del denaro e dei beni addirittura vanifica il contenuto del  precetto
 penale,  che  perde  la  sua deterrenza: l'autore del reato, aduso ad
 esperienze  giudiziali  (lo  status   di   condannato   per   delitti
 determinati  da  motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la
 prevenzione di delitti contro il patrimonio e'  condizione  personale
 necessaria  dell'illecito), particolarmente quando si tratti di somme
 cospicue o di oggetti preziosi di notevole valore, paventa non  tanto
 la pena principale, quanto la perdita delle utilita' patrimoniali che
 egli  si  riprometteva di ricavare dalla sua attivita' criminosa e in
 vista delle quali ha agito.
    Se le precedenti considerazioni sono esatte, devesi  ritenere  che
 l'art. 445 del c.p.p., non consentendo la confisca nel caso dell'art.
 708  del  c.p.,  rompa  la  coerenza interna dell'ordinamento penale,
 poiche' contraddice il principio di ragionevolezza in base  al  quale
 nessuno deve ricavare utilita' dal proprio operare contra legem.
    Devesi,  poi,  osservare,  che,  nell'attuale  momento  storico la
 dottrina  prevalente,  considera  le  misure  di  sicurezza  sanzioni
 criminali   e,   per   quanto   al   prodotto  o  profitto  di  reato
 autorevolmente si afferma che la confisca va assumendo sempre piu' il
 significato di pena accessoria.
    L'impossibilita' di espropriare il  denaro  e  le  altre  utilita'
 provenienti   dall'attivita'  delinquenziale,  pur  nella  logica  di
 premialita' che ispira il patteggiamento, neutralizza la funzione  di
 tendenziale  recupero  sociale  che  l'art.  27,  terzo  comma, della
 Costituzione assegna alla pena.
    Non appare,  quindi,  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 445 del c.p.p., in riferimento
 agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non  prevede
 che  il  giudice, pronunziando la sentenza di applicazione della pena
 su richiesta delle parti, ordini la  confisca  delle  somme  e  degli
 altri  oggetti  di  cui  l'imputato  dalla  contravvenzione  p.  e p.
 dall'art. 708 del c.p. non giustifichi la provenienza.
    La rilevanza della questione nel presente  giudizio  e'  di  ovvia
 constatazione,  in  quanto l'accoglimento della richiesta nei termini
 esposti in narrativa, impone il dissequestro e  la  restituzione  del
 denaro  al  prevenuto, benche' le giustificazioni del possesso, anche
 per  le  modalita'  di  conservazione  delle  banconote,  non   siano
 assolutamente degne di credito.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 445 del c.p.p., in  riferimento
 agli  artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede
 il giudice, pronunziando la sentenza di applicazione  della  pena  su
 richiesta delle parti, ordini la confisca delle somme e degli oggetti
 di  cui  l'imputato  della  contravvenzione p. e p. dall'art. 708 del
 c.p. non giustifichi la provenienza;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e  la
 sospensione del processo in corso;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, il presente provvedimento
 sia  notificato  all'imputato,  al  suo  difensore  e   al   pubblico
 ministero,  e  sia  comunicato  ai  Presidenti  delle  due Camere del
 Parlamento.
      Cremona, addi' 23 marzo 1994
                           Il pretore: NUZZO

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