N. 454 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 1993- 7 luglio 1994
N. 454 Ordinanza emessa il 1 e 22 dicembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 7 luglio 1994) dal tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Allocca Benito contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed altro. Edilizia e urbanistica - Vincoli di inedificabilita' - Divieto di trasformazioni urbanistiche ed edilizie, a causa di vincoli paesaggistici, fino alla effettiva adozione dei piani regionali o dell'autorita' ministeriale - Mancata previsione della durata del vincolo non oltre il termine di cinque anni, stabilito per l'applicazione del divieto di inedificabilita', dall'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986, sancito per l'approvazione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1-bis dello stesso d.l. n. 312/1985 - Incidenza sui diritti di uguaglianza e di proprieta', nonche' sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. (D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1-quinquies, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431). (Cost., artt. 3, 42 e 97).(GU n.35 del 24-8-1994 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la saguente ordinanza. Visto il ricorso n. 1528/1991 proposto da Allocca Benito, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Marone, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Napoli alla via Cesario Console n. 3, contro Ministero per i beni culturali e ambientali, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ope legis, e nei confronti del comune di Pollica, in persona del sindaco pro-tempore, n.c., per l'annullamento del decreto ministeriale in data 3 maggio 1991, recante l'annullamento della determinazione sindacale n. 563 del 18 aprile 1990, con la quale era stato rilasciato il nulla-osta ex art. 7 della legge 28 giugno 1939, n. 1497 per opere edilizie in zona vincolata; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione statale; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista la sentenza parziale decisa in pari data; Visti gli atti di causa; Alla pubblica udienza del 1 dicembre 1993, relatore il dott. Donadono, uditi gli avv.ti G. Marone e Saltelli. F A T T O Con decreto del 3 maggio 1991, il Ministro per i beni culturali e ambientali, su conforme parere n. 6466 del 2 aprile 1991 della Soprintendenza per i beni ambientali di Salerno e Avellino, ha annullato il nulla-osta n. 523 del 18 aprile 1990, rilasciato dal sindaco di Pollica in favore del sig. Benito Allocca, per l'esecuzione in zona vincolata di opere edilizie consistenti nella realizzazione di un sottotetto, a livello di copertura, relativo a fabbricato sito in localita' Calamona. In particolare, l'autorita' ministeriale ha rilevato che il suddetto intervento edilizio sarebbe inibito dall'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, che, nelle more dell'adozione dei piani territoriali paesistici, consente unicamente le opere di manutenzione, consolidamento o restaturo, non comportanti alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici. Con ricorso notificato il 9 e 13 luglio 1991, l'interessato ha impugnato il suddetto decreto, deducendone l'illegittimita' per diversi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere. L'amministrazione dei beni culturali e ambientali si e' costituita in giudizio, resistendo al gravame. All'esito degli incombenti istruttori disposti con sentenza interlocutoria n. 213 del 2 luglio 1993, questa sezione, con sentenza parziale decisa contestualmente alla presente ordinanza, ha respinto tutte le censure concernenti aspetti diversi dall'applicabilita' dell'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431. D I R I T T O 1. - Il ricorrente ha dedotto l'illegittimita' dell'impugnato provvedimento nella parte in cui, per annullare l'autorizzazione sindacale rilasciata, su delega regionale, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939, ravvisa il perdurante assoggettamento dell'immobile interessato dai progettati lavori edilizi al regime di salvaguardia imposto dall'art. 1-quinquies, aggiunto al d.l. 27 giugno 1985, n. 312, in sede di conversione dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, anche dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1986 previsto dall'art. 1- bis per l'adozione da parte delle regioni dei piani territoriali paesistici. Per quanto riguarda la durata del vincolo assoluto di immodificabilita' dello stato dei luoghi sancito dalla c.d. "legge Galasso", questa sezione ha in passato sostenuto che la mancata approvazione della pianificazione paesaggistica da parte della regione, nel termine all'uopo fissato del 31 dicembre 1986, determina la decadenza del regime di salvaguardia. Il divieto di trasformazioni urbanistiche ed edilizie opererebbe, pertanto, nella sua assolutezza fino alla consumazione del termine certus quando espresso nel primo comma del citato art. 1- bis, ferma restando la permanenza del vincolo derivante dalla dichiarazione di particolare interesse paesaggistico e la conseguente sottoposizione delle aree in questione previsto per i beni tutelati in base alla legge n. 1497/1939 anche dopo la cessazione del divieto assoluto di immodificabilita' del territorio (cfr. t.a.r. Campania, sez. prima 26 febbraio 1991, n. 23). Questa sezione ha ritenuto che tale interpretazione fosse indenne da ogni ipotizzabile profilo di incostituzionalita', armonizzandosi con il principio della necessaria delimitazione temporale dei vincoli comportanti lo svuotamento dei diritti dominicali senza indennizzo, e garantendo al tempo stesso l'interesse primario alla tutela ambientale, comunque salvaguardato dall'assoggettamento, in via permanente, dei beni vincolati al particolare regime autorizzativo da parte delle autorita' ministeriali e regionali, o di quelle subdele- gate. Senonche' l'orientamento ormai dominante nella giurisprudenza e' nel senso che il regime di immodificabilita' assoluta dello stato dei luoghi e' destinato a permanere in vigore fino alla effettiva adozione dei piani da parte della regione, ovvero, da parte dell'autorita' ministeriale; sarebbe, percio', ininfluente sulla vigenza delle emisure di salvaguardia il decorso del termine del 31 dicembre 1986, indicato nel primo comma dell'art. 1- bis del d.l. n. 312/1985, come modificato dalla legge n. 431/1985. Tale scadenza, infatti, avrebbe l'unico scopo di regolamentare temporalmente l'esercizio dei poteri della regione e dello stato, assolvendo ad una funzione sollecitatoria nei confronti della prima ed inibendo per converso, fino a quel momento, l'intervento sostitutivo dell'autorita' ministeriale previsto dal secondo comma dello stesso art. 1- bis. Tale interpretazione e' seguita sia dalla maggioranza dei tribunali amministrativi, ivi compresi alcuni che, in un primo tempo avevano aderito all'opposta soluzione (cfr., per tutti, questo stesso t.a.r. Campania sez. II, 28 settembre 1992, n. 210, nonche' sez. V, 28 luglio 1992, n. 249; t.a.r. Lombardia, sez. Brescia, 27 novembre 1989, n. 1134; t.a.r. Lazio, sez. II, 17 giugno 1987, n. 1042), sia dal giudice amministrativo di appello (cfr. c.s., sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1351; 17 ottobre 1988, n. 1126), sia dalla giurisprudenza penale (cfr. cass., ss.uu., 15 marzo 1989, n. 3; ss.uu., 23 aprile 1993, n. 4). 2. - Questo collegio ha pertanto ritenuto di aderire alle conclusioni di una elaborazione giurisprudenziale da considerare alla stregua di "diritto vivente" (cfr. anche t.a.r. Campania, 11 novembre 1993, n. 361). Nel contempo va rilevato, tuttavia, che il quadro normativo cosi' emergente - comportante la reiezione dell'impugnativa proposta dal ricorrente - suscita dubbi, non manifestamente infondati, sulla incostituzionalita' dell'art. 1-quinquies del d.l. n. 312/85, aggiunto dalla legge di conversione n. 431/1985, nella parte in cui non prevede una delimitazione temporale, certa e predeterminata, della durata del divieto assoluto e generalizzato di modificazioni all'assetto del territorio compreso nei cd. "decreti Galassini" (cfr. gia' in tema t.a.r. Campania, sez. I, 11 novembre 1993, ord. n. 362). Invero la giurisprudenza ha costantemente disatteso le eccezioni sulla illegittimita' costituzionale in parte qua della cd. "legge Galasso". E' stato infatti rilevato che quest'ultima, imponendo all'amministrazione regionale ovvero a quella ministeriale l'adozione, obbligatoria e non piu' meramente facoltativa, di una pianificazione a tutela dell'ambiente, comporterebbe comunque la previsione di un termine finale del vincolo assoluto, ancorche' indeterminato nella sua concreta durata; peraltro, la mancata approvazione del piano da parte dell'autorita' costituirebbe inosservanza di un dovere, che non sarebbe priva di tutela giurisdizionale, in quanto i soggetti interessati sarebbero legittimati a ricorrere al giudice amministrativo per ottenere l'adempimento del suddetto obbligo. Si osserva, inoltre, che non sarebbe costituzionalmente illegittima l'imposizione alla proprieta' privata di limitazioni intrinseche alla natura dei beni dotati di valore paesistico, costituenti una categoria originariamente di diritto pubblico. Una prima considerazione viene in evidenza: le suddette argomentazioni non sembrano idonee a superare il dubbio di contrasto della normativa in questione con l'art. 3 della Costituzione. Emerge, infatti, una disparita' di trattamento tra i soggetti propietari di beni ubicati in regioni nelle quali si e' provveduto all'approvazione dei piani, rispetto ai soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle quali tanto l'autorita' regionale, quanto quella statale competente in via sostitutiva, rimangono inadempienti ben dopo la scadenza fissata dal legislatore. Tale scadenza, peraltro, si riferisce alla sola amministrazione regionale, laddove l'intervento ministeriale non risulta condizionato da nessun termine, sia pure ordinatorio. La discriminazione appare tanto piu' grave, in quanto la causa della sperequazione e' imputabile ad un comportamento omissivo, palesemente illegittimo, dell'autorita'. Il che estende il sospetto di incostituzionalita' anche alla violazione del principio di buon andamento ed imparzialita' dell'attivita' amministrativa sancito nell'art. 97 della Costituzione. Sotto altro profilo, la norma qui impugnata si palesa anche in conflitto con l'art. 42 della Costituzione. Come noto, e' stata riconosciuta la natura sostanzialmente espropriativa di quelle limitazioni che incidono sulle facolta' di utilizzazione dei beni in misura tale da determinare uno svuotamento di rilevante entita' delle attribuzioni connaturali al diritto di proprieta' (cfr. Corte cost. 9-29 maggio 1968, n. 55). E' stato, altresi', precisato che le facolta' concernenti l'utilizzo a fini edificatori dei suoli continua ad inerire al diritto di proprieta' (cfr. Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5) che non puo' essere gravato indefinitamente da vincoli che, per lo stato di incertezza determinato, sottraggono la possibilita' di una adeguata e razionale disponibilita' del bene e ne diminuiscono notevolmente il valore di scambio (cfr. Corte cost., 27 aprile-12 maggio 1982, n. 92; n. 55/1968 cit.). In effetti la salvaguardia ex lege posta dall'art. 1-quinquies (e dall'art. 1- ter) del d.l. n. 312/1985 pone un vincolo assoluto di portata analoga, quanto agli effetti sullo ius aedificandi, a quello che si instaura allorche' la normativa urbanistica condiziona l'utilizzazione edilizia dei suoli al preventivo perfezionamento di una pianificazione attuativa. Giova osservare, fin d'ora, che la misura interdittiva non si riferisce ad una intera categoria di beni, e non interessa la generalita' dei soggetti, ma piuttosto incide a titolo individuale su determinate, per quanto vaste, aree territoriali; per cui non si puo' affermare che essa costituisca una limitazione tipica del regime di appartenenza regolante tutti i beni rientranti in una speciale categoria. Va inoltre rilevato che la salvaguardia ex lege e' finalizzata alla formazione di una strumentazione, di cui viene riconosciuto il carattere urbanistico, nonostante la particolare valenza ambientale e le interconnessioni che giustificano un modello organizzativo improntato al principio di leale cooperazione tra Stato e regioni (cfr. Corte costituzionale 24-27 giugno 1986, n. 151). Orbene, siffatti vicoli sono stati riconosciuti compatibili con i precetti costituzionali, sotto il duplice profilo della tutela della proprieta' privata e del principio di uguaglianza, solo sul presupposto necessario della prefissione di un ragionevole limite di tempo per l'operativita' del divieto, destinato a decadere qualora lo strumento esecutivo non sia tempestivamente approvato. Cio' ha, appunto, indotto a ritenere tuttora vigente l'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui stabilisce un limte quinquennale alle disposizioni degli strumenti urbanistici generali comunque comportanti vincoli di inedificabilita' (cfr. Corte cost., 27 aprile-12 maggio 1982, n. 92; c.s., ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7; Cass. ss.uu., 10 giugno 1983, n. 3987). Non e' superfluo sottolineare che l'adunanza plenaria del consiglio di Stato ha ritenuto, nella medesima decisione n. 7/1984 sopra citata che i soggetti interessati sono legittimati a promuovere gli interventi sostitutivi ovvero ad agire in via giurisdizionale avverso il comportamento illegittimamente omissivo dell'amministrazione, senza che cio' eliminasse i sospetti di incostituzionalita' di una interpretazione diversa della disciplina urbanistica. Senonche', la dominante giurisprudenza - nel richiamarsi alle suddette considerazioni per giustificare, ora, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale in materia - afferma in sintensi che: a) un termine certus an, sebbene incertus quando, e' comunque fissato dalla legge, con riferimento all'adozione dei piani ex art. 1- bis; b) l'ordinamento contempla gli strumenti per ottenere l'adempimento dell'obbligo di provvedere alla formazione della pianificazione paesaggistica. Al riguardo, il collegio ritiene che le argomentazioni addotte per escludere ogni contrasto con l'art. 42 della Costituzione non siano del tutto convincenti. Infatti, non solo e' stato chiarito che, nelle materie coperte da riserva di legge, la mancata delimitazione temporale di un termine, riguardante l'esercizio di potesta' autoritative che incidano su posizioni soggettive riconosciute e garantite dalla Costituzione, non e' idonea a soddisfare l'obbligo del legislatore di "determinare in modo tassativo lo spazio di tempo" di assoggettamento del diritto; ma e' stato altresi' precisato che tale diritto "non puo' essere degradato ad interesse occasionalmente protetto in rapporto al dovere dell'amministrazione di esercitare correttamente ( ..il) potere" (cfr. Corte cost. 31 gennaio-2 febbraio 1990, n. 41). La fattispecie del giudice delle leggi nella richiamata sentenza riguardava precetti indubbiamente diversi, coinvolgendo, in tema di assolvimento del servizio militare di leva, il valore delle "difesa della Patria" e quello della "liberta' personale" (artt. 52 e 23 della Costituzione); e sarebbe incongruo prospettare nella specie un parallelismo od una graduazione con valori disomogenei come quelli della "tutela del paesaggio" e della "proprieta' privata" (art. 9 e 42 della Costituzione). Tuttavia sembra al collegio pur sempre valido, nel caso qui in esame il principio di fondo che l'indeterminatezza temporale per l'esercizio di un potere non soddisfa, nonostante la tutela giurisdizionale, il dovere del legislatore di prevedere comunque termini tassativi, nelle materie coperte da riserva di legge. Inoltre, e' stato ribadito da ultimo "l'esigenza di delimitare nel tempo l'esercizio della potesta' espropriativa si pone con particolare vigore nell'ipotesi che la dichiarazione di pubblica utilita' si contenuta direttamente nella legge o si riferisca a de- terminate categorie di opere, quando manchi, cioe', uno specifico atto amministrativo che dichiari la pubblica utilita'" (cfr. Corte costituzionale 17-30 marzo 1992, n. 141). Tale principio sembra invero applicabile non solo ai casi in cui la proprieta' privata sia assoggettata a procedure finalizzate al trasferimento coattivo del diritto di proprieta', ma anche quando il perseguimento dell'interesse generale e' affidato all'imposizione di vincoli che, sebbene non preordinati alla espropriazione in senso stretto, siano di intensita' tale da comportare uguale sacrificio per le posizioni soggettive interessate. Sotto altro profilo, la prevalente giurisprudenza assume l'insussistenza di dubbi sulla costituzionalita' della norma impugnata, dal momento che i vincoli correlati alla protezione del paesaggio non hanno carattere espropriativo, poiche' corrisponde a caratteristiche intrinseche dei beni tutelati. L'affermazione di principio, per quanto condivisibile nei suoi presupposti (cfr. Corte costituzionale 9-29 maggio 1968, n. 56; 23 aprile-6 maggio 1976, n. 106, nonche' da ultimo Corte costituzionale, 11-20 luglio 1990, n. 344), non appare del tutto pertinente ed applicabile alla fattispecie in esame. I beni dotati di particolare interesse ambientale subiscono, invero, i limiti immanenti al regime che ne disciplina l'utilizzo e la disponibilita', ed in tale ambito si puo' convenire che i vincoli sanciti dalla legge sono immanenti alla natura del bene. In altre parole, la fruizione del bene ambientale e' condizionata ab origine dalla concorrenza sul medesimo oggetto dell'interesse dominicale connesso alla sua utilita' individuale e dell'interesse pubblico connesso alla concomitante utilita' sociale, in armonia con il disposto del secondo comma dell'art. 42 della Costituzione. Tali considerazioni, tuttavia, sicuramente riferibili al regime ordinario dei beni tutelati, non si attagliano pienamente a misure di caratere dichiaratamente eccezionale. In sostanza, il divieto assoluto di immodificabilita', nella logica della legge, non corrisponde tanto ad una esigenza di tutela del bene in se', perche' tale funzione era e continua ad essere assolta dagli accertamenti e dalle valutazioni demandate all'amministrazione, allorche' quest'ultima e' chiamata a verificare la compatibilita' di possibili modifiche dello stato dei luoghi vincolati. Sia la disciplina della legge n. 1497/1939, ma anche quella della legge n. 431/1985, prevedono tuttora la possibilita' per il proprietario di disporre del bene, purche' gli interventi siano debitamente autorizzati. Il vincolo prodotto dalla certazione e declaratoria del pregio ambientale era e resta di tipo relativo in quanto l'inedificabilita' e' pur sempre la conseguenza dell'eventuale diniego dell'autorizzazione, statuito in via amministrativa sulla base di uno specifico accertamento istruttorio delle qualita' estetiche e ambientali e di una apposita valutazione tecnico-discrezionale. Per conto, il divieto di immodificabilita' in esame ha piuttosto una funzione strumentale di garanzia, strettamente finalizzata alla definizione di un nuovo sistema di governo globale e pianificato del territorio. L'effetto prodotto dai decreti di cui agli artt. 1- ter e 1-quinquies della "legge Galasso" non puo' essere considerato come una limitazione intrinseca alla natura dei beni, perche' esula dal regime sostanziale di regolamentazione degli stessi, ed al contrario configura una misura di tipo cautelare, come tale necessariamente e tipicamente temporanea. Del resto l'assolutezza della misura interdittiva non deriva da un concreto e specifico apprezzamento dell'autorita' amministrativa, come per il vincolo relativo, ma as- sume caratteri di generalita' e di astrattezza, su vaste zone territoriali, coincidenti in qualche caso con l'ambito di intere circoscrizioni comunali, in funzione di una specificazione della concreta portata del vincolo, sostanzialmente rinviata sine die al contenuto della futura pianificazione. Tutto cio' porterebbe ad escludere che la salvaguardia ex lege possa essere assimilata, quanto alla possibilita' di comprimere a tempo indeterminato e senza ristoro i diritti dominicali incisi dalla sua portata precettiva, ai vincoli di edificazione che costituiscono il regime di appartenenza tipico delle bellezze naturali. Va inoltre considerato un ulteriore aspetto. Il vincolo assoluto di immodificabilita' corrisponde all'esigenza, fondamentale e vivamente avvertita nel tessuto sociale, di garantire, nella maniera piu' rigorosa, che il territorio non subisca alcun tipo di modificazione durante il periodo necessario alla elaborazione di un unovo disegno programmatico riguardante la protezione e la valorizzazione dell'ambiente. Non vi e' dubbio che la drastica misura di salvaguardia - nell'ottica del legislatore, rispondente peraltro alla logica del comune buon senso - persegue concretamente un beneficio in una materia concernente valori di primaria rilevanza costituzionale. E' pero' del pari riscontrabile che tale beneficio, come spesso accade, non e' privo di corrispondenti costi, sotto molteplici e non trascurabili aspetti, alcuni dei quali ugualmente di rilevanza costituzionale. La immodificabilita' del territorio implica la paralisi generalizzata, nelle aree in questione, di ogni iniziativa costruttiva e cioe' l'inibizione, in primo luogo, dell'edilizia privata, che non sempre e necessariamente assume patologici caratteri speculativi, ma rappresenta anche un comparto imprenditoriale di importanza non marginale, in alcune zone, per investimenti e livelli occupazionali (art. 41 della Costituzione). Non solo: il blocco non puo' che riferirsi anche sull'edilizia residenziale pubblica e sulle possibilita' di accesso dei cittadini alla proprieta' dell'abitazione (art. 47 della Costituzione). Ne' vi sarebbe motivo di ritenere esclusi dal divieto imposto ex lege, in mancanza di specifiche contrarie disposizioni, gli interventi in materia di opere pubbliche; il che implica, evidentemente, riflessi su ampi e rilevanti settori dell'operativita' amministrativa e delle attivita' economiche. Orbene se il periodo di salvaguardia ha una sua delimitazione temporale nella legge, i costi sociali ed economici contrapposti ai benefici per il patrimonio ambientale sono riconducibili ad una precisa e trasparente scelta politica imputabile alla discrezionalita' del legislatore. Per contro, l'indeterminatezza, coniugata con l'assolutezza del divieto risulta in contrasto con il principio di buon andamento dell'amministrazione, dettato nell'art. 97 della Costituzione, nella misura in cui le autorita' amministrative preposte alla tutela ambientale restano di fatto totalmente arbitre di determinare l'indefinita compressione di ogni altro interesse economico e sociale; e questo non gia' in base ad una responsabile e ponderata composizione di tuti gli interessi, di varia natura, interferenti nel piano, ma a causa della mera inerzia. In tal modo, la misura di salvaguardia non puo' essere considerata come strumentale alla pianificazione, ma diviene sostanzialmente la ingessatura, non priva di oneri per i singoli e la collettivita', delle inefficienze della pubblica amministrazione. In considerazione non si palesa manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431, nella parte in cui non prevede che il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni opera edilizia comportante alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto degli edifici sia efficace non oltre il termine di cinque anni, previsto in via generale, per l'applicazione dei vincoli di inedificabilita', dell'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986 sancito per l'approvazione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1- bis dello stesso d.l. La prospettata questione e' altresi' rilevante ai fini della definitiva decisione del ricorso, in quanto l'illegittimita' costituzionale della citata disposizione legislativa determinerebbe la fondatezza delle doglianze dedotte dal ricorrente, in ordine alla falsa applicazione del vincolo assoluto di immodificabilita' dei luoghi. 3. - Tutto cio' considerato, va disposta la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione sulle questioni pregiudiziali di legittimita' costituzionale, siccome rilevanti e non manifestamente infondate, mandando la segreteria per gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevanti per la definizione del giudizio e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 42, secondo e terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dell'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431, nella parte in cui non prevede che il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni opera edilizia comportante alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici e' efficacie non oltre il termine di cinque anni, previsto per l'applicazione del divieto di inedificabilita' dall'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986 sancito per l'approvazione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1- bis dello stesso d.l. n. 312/1985; Manda la segreteria del t.a.r. per notificare la presente ordinanza a tutte le parti in causa ed la Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati; Dispone la immediata trasmissione degli atti, a cura della medesima segreteria, alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Cosi' deciso in Napoli, addi' 1 e 22 dicembre 1993, in camera di consiglio. Il presidente: BRIGNOLA Il consigliere: D'ALESSANDRO Il primo referendario: DONADONO 94C0846