N. 475 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 1993- 11 luglio 1994
N. 475 Ordinanza emessa il 2 dicembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale l'11 luglio 1994) dalla commissione tributaria di primo grado di Roma sul ricorso proposto da Antonini Agostino contro l'intendenza di finanza di Roma Tributi in genere - Nuove tariffe d'estimo delle unita' immobiliari - Determinazione delle tariffe d'estimo in base alla rendita catastale stabilita in via provvisoria e da adeguarsi, a partire dal 1 gennaio 1995, con efficacia retroattiva rispetto ai versamenti di imposta gia' effettuati - Violazione, a causa del carattere provvisorio dell'imposizione, del principio della capacita' contributiva e conseguente discriminazione delle posizioni dei contribuenti a seconda che il tributo risulti assolto su una rendita successivamente confermata ovvero su una rendita successivamente ridotta (nel qual caso per la parte di tributo non dovuta al contribuente, spetta bensi' il diritto al rimborso, ma senza corresponsione di interessi) - Determinazione del tributo senza contraddittorio, in contrasto con il principio essenziale del diritto di difesa. (D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, primo comma, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75). (Cost., artt. 3, 24 e 53).(GU n.36 del 31-8-1994 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella udienza del 21 ottobre 1993 sul ricorso di Antonini Agostino contro l'intendenza di finanza. Oggetto: silenzio-rifiuto su istanza rimborso ISI. F A T T O A seguito del silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda prodotta all'intendenza di finanza di Roma per il rimborso dell'importo di L. 1.839.000, corrisposto a titolo di imposta straordinaria immobiliare, ex art. 7 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, il sig. Antonini Agostino ha proposto ricorso, ai sensi dell'art. 16, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, chiedendo, in via principale, la dichiarazione di non manifesta infondatezza circa l'incostituzionalita' del suddetto articolo per contrasto con gli artt. 2, 24, 53, 101, 102 e 104 della Costituzione ovvero, in alternativa, l'annullamento, previa disapplicazione, della maggiore rendita derivante dal calcolo con le tariffe di estimo ed il conseguente riconoscimento del diritto al rimborso della somma indebitamente assolta. Ha, poi, chiesto, in via subordinata, e comunque in conseguenza delle modifiche apportate dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, in sede di conversione del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, l'annullamento, pre- via disapplicazione, della maggiore rendita derivante dal calcolo con le tariffe di estimo ed il conseguente riconoscimento del diritto al rimborso della somma di L. 472.000 derivante dalla differenza di quanto pagato per ISI in base al calcolo delle tariffe d'estimo con le rendite catastali. Ha, infine, richiesto, sulle somme comunque pretese in rimborso, il riconoscimento degli interessi del 9% (legge 11 marzo 1988, n. 67), nonche' degli ulteriori interessi anatocistici del 10%, con decorrenza dalla presente domanda. Le richieste, come sopra articolate, vengono, nel ricorso, ampiamente motivate. Il ricorrente, infatti, dopo un rapido excursus su tutti i provvedimenti che hanno preceduto l'emanazione del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75, e facendo anche ampio richiamo della giurisprudenza formatasi in quel periodo, si e' soffermato sul contenuto della suddetta legge, denunciandone vari aspetti di incostituzionalita' in quanto: 1) attribuendo valore e forza di legge ad un atto amministrativo (nella specie, decreto ministeriale), essa non svolge una semplice funzione interpretativa, ma una funzione radicalmente innovatrice: per tale funzione non ricorrono certamente i requisiti della necessita' e dell'urgenza previsti dall'art. 77 della Costituzione per l'emanazione dei decreti-legge; 2) elevando al rango di legge formale un provvedimento amministrativo gia' annullato in sede giurisdizionale, incide negativamente sull'attivita' svolta in tale sede e provoca violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione; 3) imponendo l'adozione del particolare sistema valutativo, provoca una tassazione addirittura superiore al reddito ricavabile dal bene, in spregio al principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione; 4) determinando un valore senza la fondamentale garanzia del contraddittorio, intacca il principio della difesa, previsto e garantito dall'art. 24 della Costituzione; 5) intervenendo in un sistema catastale non sempre aggiornato, crea, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, una disparita' di trattamento tra il contribuente costretto all'imposizione in base ai nuovi estimi catastali ed il contribuente che, in mancanza di accatastamento del proprio immobile, e' libero di dichiarare cio' che vuole. Il ricorrente si dilunga, poi, nell'esposizione dei concetti di imposta e di capacita' contributiva ed, infine, motiva la richiesta degli interessi anatocistici, richiamando a conforto numerose decisioni di commissioni tributarie ed alcune sentenze della Corte di cassazione. Con successiva memoria, il ricorrente ha provveduto al deposito di alcune ordinanze di rimessione di atti alla Corte costituzionale da parte di commissioni tributarie che hanno riconosciuto non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sia dell'art. 2 del d.l. 24 novembre 1992, n. 455, sia dell'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1992, n. 75. Nulla ha controdedotto l'intendenza di Roma. All'udienza del 21 ottobre 1993, il prof. Claudio Fagioli, per il ricorrente, si e' integralmente riportato a quanto gia' dedotto per iscritto. Nessuno e' comparso per l'intendenza di finanza di Roma. D I R I T T O Ragioni di priorita' logica impongono l'inversione dell'ordine dei motivi, cosi' come dedotti nel ricorso, nel senso che va preliminarmente esaminato quello che si sostanzia nella richiesta di disapplicazione delle tariffe d'estimo di cui ai dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991. Infatti, se gia' sotto questo profilo potesse accogliersi la domanda del ricorrente con conseguente riconoscimento del diritto al rimborso, totale o parziale, di quanto corrisposto, in base alle suddette tariffe, a titolo di imposta straordinaria immobiliare, la doglianza espressa in ordine alla dedotta incostituzionalita' dell'art. 7 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, perderebbe ogni rilevanza nella risoluzione della presente controversia. Il motivo, pero', non e' accoglibile nella considerazione che le tariffe d'estimo, originariamente previste dai citati decreti ministeriali, hanno successivamente acquisito una differente e piu' autorevole valenza, attraverso l'espresso richiamo operato dalla intervenuta legge 24 marzo 1993, n. 75 (di conversione del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16), che ha, pertanto, conferito al contenuto dei preesistenti provvedimenti amministrativi il valore di vera e propria norma avente rango legislativo. In sostanza, il riferimento alle rendite catastali, di cui al terzo comma, dell'art. 7 della legge istitutiva, deve intendersi oggi operante non piu' direttamente nei confronti della regolamentazione contenuta nei dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, bensi' nei confronti dei criteri valutativi individuati nell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, che ha conferito dignita' di norma di legge a quei provvedimenti. Cosicche', nel presente giudizio, alla eventuale illegittimita' di tali criteri non puo' piu' ovviarsi attraverso una possibile disapplicazione dei dd.mm. che originariamente hanno fissato il valore dei nuovi estimi catastali, ma soltanto attraverso la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, una volta riconosciuta la possibile violazione, da parte della norma che tali criteri estimativi ha recepito, di principi costituzionalmente consacrati. Disattesa, pertanto, la richiesta di disapplicazione della tariffazione regolata dai dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, deve, allora, procedersi al vaglio dei vari motivi di incostituzionalita' sollevati nel ricorso in ordine all'attuale sistema di determinazione delle rendite catastali utilizzabili per l'applicazione dell'imposta straordinaria immobiliare, in virtu' di quanto disposto dal terzo comma dell'art. 7 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Al riguardo, valgono le seguenti considerazioni: 1) insussistenza dello stato di necessita' e di urgenza per l'emanazione del decreto-legge e conseguente violazione dell'art. 77 della Costituzione: la questione e' manifestamente infondata in quanto e' di esclusiva competenza del Parlamento il giudizio sulla opportunita' dei decreti; spetta, infatti, a tale organo stabilire se sussista l'ipotesi di assoluta urgenza e se le norme adottate siano le piu' opportune a fronteggiare la situazione considerata dal provvedimento. Tra l'altro, va anche tenuto presente che la norma di cui all'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, riproduce sostanzialmente il testo gia' introdotto nei precedenti decreti-legge non convertiti, motivo per cui, con la loro reiterazione senza soluzione di continuita', si e' determinato un ampio arco di tempo che ha consentito al Parlamento una meditazione piu' attenta sulle cause giustificatrici dell'adottato provvedimento legislativo; 2) violazione del principio della separazione dei poteri, con conseguente violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione: la questione e' manifestamente infondata in quanto l'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, non ha provocato l'affermato superamento di un giudicato di annullamento delle tariffe d'estimo determinate in esecuzione dei dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, essendo entrato in vigore quando ancora il giudice sulla legittimita' di tali estimi era sub iudice, in presenza di ricorso pendente in sede di merito presso il Consiglio di Stato. Tra l'altro, va considerato che, come leggesi nella relazione che ha accompagnato il disegno di legge per la conversione del precedente d.l. 26 maggio 1992, n. 298, l'intervento del legislatore e' stato richiesto per eliminare ogni incertezza interpretativa in ordine alla portata dell'art. 4, quarto comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, cosicche' tale intervento, successivamente attuato, risulta finalizzato non gia' al recupero legislativo dei provvedimenti amministrativi gia' annullati dal t.a.r. del Lazio, ma alla interpretazione autentica del contenuto normativo di cui al suddetto articolo, essendosi testualmente affermato che "l'art. 4, quarto comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, deve intendersi nel senso che i criteri per la revisione delle tariffe di estimo delle unita' immobiliari urbane stabiliti dal decreto del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 1990, hanno forza e valore di legge". In sostanza, tale disposizione, comunque fatta salva dal disposto di cui all'art. 1 della legge 24 marzo 1993, n. 75, nonostante la mancata conversione del decreto-legge che la conteneva, ha sancito che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del t.a.r. del Lazio, il dettato dell'art. 4, quarto comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, sebbene letteralmente rivolto a stabilire la decorrenza del termine di vigenza delle nuove tariffe e delle nuove rendite catastali, era da intendersi comprensivo dell'implicito riconoscimento di dignita' di legge alle disposizioni che tali tariffe e tali rendite avevano previsto. Respinti, dunque, questi due motivi di incostituzionalita', ritiene, invece, l'adita commissione che sussista il contrasto della disciplina normativa del tributo in esame con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, anche se ne ravvisa la violazione sotto profili differenti rispetto a quelli dedotti nel ricorso. Premesso, infatti, che l'art. 7 della legge 8 agosto 1992, n. 359, ai fini determinativi del valore su cui si rende applicabile lo straordinario tributo, fa espresso richiamo delle rendite catastali determinate a seguito della revisione generale disposta con il d.m. 20 gennaio 1990, va, allora, verificato se l'attuale determinazione di tali rendite, cosi' come prevista dall'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1933, n. 75, risulta rispettosa di principi costituzionalmente consacrati. Orbene, esaminando il contenuto del suddetto art. 2, puo', innanzitutto, ravvisarsi la violazione dell'art. 53 della Costituzione per l'intrinseca irrazionalita' della determinazione delle rendite, sul cui valore viene ad incidere il tributo, in base a criteri di cui la stessa norma prevede l'abbandono nei periodi successivi al 1 gennaio 1995. Ma c'e' di piu': lo stesso art. 2 riconosce espressamente la provvisorieta' delle attuali rendite prevedendo la possibilita' di un loro successivo adeguamento ad altre diversamente determinate e con efficacia retroattiva rispetto a versamenti di imposta gia' effettuati. Cio' significa che le attuali rendite costituiscono una base fittizia per l'imposizione e determinano, quindi, l'assenza di una fonte sicura di rilevamento della capacita' contributiva. Il contenuto normativo dell'art. 2 confligge, dunque, con il principio consacrato nell'art. 53 della Costituzione in quanto condizionando un pagamento provvisorio di un tributo, sia pure con possibilita' di successivo recupero, sottopone medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva correlata ad una qualificata capacita' economica, proponendo, tra l'altro, surrettiziamente una illegittima forma di solve et repete, con tutti i conseguenziali effetti gia' negativamente considerati dalla Corte costituzionale. Si consideri, tra l'altro, che, nell'ipotesi in cui le attuali rendite risultino, poi, determinate per eccesso, l'eventuale mancato assolvimento del tributo, sulla base di esse, provoca, comunque, l'applicazione di pesanti penalita', sebbene la legge retroattivamente riconduca il comportamento nell'alveo delle legalita', riconoscendo la non debenza della maggiore imposta. Peraltro, ricorre anche l'ipotesi di eccesso di potere legislativo nel senso che la legge e' contraddittoria nell'imporre un pagamento condizionato e cio' in quanto riconosce essa stessa la possibile erroneita' della base imponibile. Ma altri motivi di incostituzionalita' affiorano dalla normativa in esame: il fatto che la legge imponga un pagamento provvisorio provoca discriminazione tra il contribuente che avra' gli estimi confermati e contribuente che avra' gli estimi ridotti e, quindi, realizzera' un credito nei confronti dell'erario. Quest'ultimo, infatti: 1) sara' costretto ad assolvere un tributo in parte non dovuto (violazione degli artt. 3 e 53); 2) realizzera' un credito e ripetera' la somma indebitamente versata, senza che la legge gli riconosca i legittimi interessi (violazione degli artt. 3 e 53); 3) sara' leso nel suo legittimo diritto di tutela del suo credito, soprattutto nell'ipotesi in cui non dovra' piu' fare la dichiarazione dei redditi o presentera' una dichiarazione negativa (violazione degli artt. 3 e 24). In ordine al primo punto, e' chiara la violazione, oltre a quella, gia' rilevata, del principio di capacita' contributiva, del principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione. Tale principio si sostanzia, secondo l'ormai costante orientamento dottrinale e giurisprudenziale, nella necessita' di collegare conseguenze eguali a fattispecie analoghe e diverse a fattispecie di- verse, avendo riguardo, nello stabilire l'analogia e la diversita', al fine perseguito, vale a dire alla ratio della norma. Orbene, non potendosi revocare in dubbio che la ratio legis del provvedimento istitutivo del tributo de quo, preordinato alla istituzione di un'imposta applicata su una base imponibile costituita dalla rendita catastale di un bene, non determina alcuna distinzione, sotto il profilo soggettivo, nella compagine sociale cui il dettato normativo si rivolge, alza all'evidenza come le concrete possibilita' applicative della legge siano tali da creare una diversa disciplina impositiva, discriminando, proprio per la provvisorieta' della determinazione del tributo esigibile, le posizioni dei contribuenti, a seconda che il tributo risulti assolto su una rendita successivamente riconfermata ovvero risulti corrisposto su una rendita successivamente ridotta. In sostanza, nell'ambito della stessa categoria di contribuenti viene a prodursi, senza alcun fondamento di ragionevolezza, una netta distinzione tra coloro i quali, assolvendo esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, rendono definitiva la loro posizione contributiva e coloro che, assolvendo anch'essi esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, sono costretti ad esercitare ulteriori azioni a tutela del credito derivante da una successiva definizione del rapporto. E la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto modo di affermare (sentenze nn. 85/1965 e 121/1967) che si pongono fuori dal principio di ragionevolezza e, percio', violano il principio costituzionale di eguaglianza i provvedimenti legislativi che condizionano la definizione di un rapporto (nell'ipotesi ivi considerata, l'applicazione del c.d. condono tributario) ad un atto della amministrazione finanziaria; ed e' proprio cio' che si verifica nel caso in esame, dipendendo la differente definizione del rapporto esclusivamente dall'attivita' svolta dall'amministrazione finanziaria nella formazione delle attuali tariffe. Ancora piu' palese e', poi, la discriminazione evidenziata nel secondo punto, considerando la formazione, in capo al contribuente che abbia assolto il tributo su una rendita successivamente ridotta, di un credito di imposta per il quale la legge prevede la possibilita' di recupero, in tempi anche lunghi e sotto forma di compensazione, ma con riferimento al solo capitale. Il mancato riconoscimento degli interessi accresce, pertanto, l'incidenza dell'imposizione sulla sfera patrimoniale del soggetto e, nel provocare ulteriore discriminazione nei confronti dei contribuenti che tale onere finanziario non sopportano, si pone anche in ulteriore contrasto con il principio affermato dall'art. 53. Infine, in ordine al terzo punto, non va trascurata la circostanza che l'ipotesi di compensazione prevista dalla legge potrebbe anche non realizzarsi nel caso in cui il contribuente creditore non fosse piu' tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero dovesse presentare una dichiarazione negativa; nella circostanza, se la disposizione che prevede la particolare forma di rimborso dovesse intendersi esaustiva e, cioe', configurarsi come esclusiva possibilita' di recupero, il contribuente verrebbe addirittura leso nel suo legittimo diritto di tutela del suo credito; ma, anche a voler ammettere la possibilita', non prevista dalla particolare disposizione, di accesso alla ordinaria procedura di rimborso, egualmente si prospetterebbe, sempre in concorrenza con la violazione del principio di eguaglianza, l'aperta violazione del principio di difesa, sancita dall'art. 24 della Costituzione, considerando che tale procedura, stante la connessa aleatorieta' del recupero determinata dai brevi termini prescrizionali e dalle complesse formalita' di rito, renderebbe, comunque, incerto e difficoltoso l'esercizio del diritto costituzionalmente tutelato. Le pregresse considerazioni rendono evidente la rilevanza, ai fini decisionali, delle questioni prospettate, in quanto, ove venisse dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma che fissa i criteri applicativi del tributo, dovrebbe, in conseguenza, accogliersi la presente domanda di rimborso.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, dell'art. 2, primo comma, del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, con la legge 24 marzo 1993, n. 75, nei sensi di cui alla parte motiva; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento; Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia notificata, a cura della segreteria, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Roma il 2 dicembre 1993. Il presidente: AMATUCCI 94C0867