N. 483 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1994

                                N. 483
 Ordinanza   emessa  il  15  marzo  1994  dal  tribunale  militare  di
 sorveglianza  nel  procedimento  di  sorveglianza  nei  confronti  di
 Massari Marco
 Ordinamento  penitenziario  -  Condannato per il reato di rifiuto del
 servizio militare di leva per motivi di coscienza - Pene  alternative
 -  Possibilita' di affidamento in prova ad ente pubblico non militare
 e,  per  giurisprudenza  della  Corte  di   cassazione,   preclusione
 all'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  -  Violazione  dei
 principi di eguaglianza e della finalita' di rieducazione della  pena
 - Richiamo alla sentenza n. 358/1993.
 (Legge 29 aprile 1983, n. 167, artt. 1, primo comma, u.p., e 3, terzo
 comma).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.37 del 7-9-1994 )
                 IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato,  all'udienza  del  15  marzo  1994,  la  seguente
 ordinanza in tema di affidamento  in  prova  ad  un  ufficio  o  ente
 pubblico  non  militare  ancor prima dell'inizio della detenzione, ai
 sensi della legge 29 aprile 1983, n. 167, e successive modifiche, nei
 confronti del condannato militare Massari Marco, nato a Genova il  12
 febbraio  1973  e  residente a Valenza in via Sassi n. 24, condannato
 alla pena di mesi tre di reclusione militare inflittagli con sentenza
 in  data  19  ottobre 1993 del g.i.p. presso il tribunale militare di
 Torino per il reato di rifiuto del servizio militare di leva (art. 8,
 secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772).
    1. - In ordine  alla  domanda  indicata  in  epigrafe  osserva  il
 tribunale  che  ne sussistono i presupposti di ammissibilita', che il
 giudizio prognostico  sulla  riuscita  dell'affidamento  puo'  essere
 formulato  con riferimento al comportamento serbato dal condannato in
 liberta' successivamente alla data del reato e che  dalle  risultanze
 in  atti  (informazioni  dei  carabinieri  e relazione del competente
 Centro di servizio sociale per adulti) tale comportamento appare  con
 connotazioni   atte   a   far   presumere  che  per  la  rieducazione
 dell'interessato e per prevenire che egli compia  altri  reati  siano
 sufficienti talune prescrizioni limitative della liberta'.
    Quanto  alla tipologia dell'affidamento applicabile e quindi delle
 prescrizioni da  impartire,  le  parti,  all'odierna  udienza,  hanno
 formulato  divergenti conclusioni, prospettando questioni sulle quali
 occorre soffermarsi.
    2. - Con la  sentenza  n.  358/1993  la  Corte  costituzionale  ha
 stabilito  che  la  sostituzione,  per egual durata, dalla reclusione
 militare alla reclusione, prevista nell'art. 27 del c.p.m.p. nei casi
 in  cui  alla  condanna  per  il  reato  militare  non  consegua   la
 degradazione, non deve operare rispetto alle condanne per il reato di
 rifiuto del servizio militare di leva per motivi di coscienza, di cui
 all'art. 8, secondo comma, della legge n. 772/1972; e in tal senso ha
 dichiarato  la  parziale  illegittimita'  costituzionale dello stesso
 art. 27.
    Ha infatti rilevato la Corte che "la legge non puo', senza  cadere
 in  palese  contraddizione,  basare  sull'adduzione  di  giustificati
 motivi di coscienza  un  trattamento  punitivo  per  il  rifiuto  del
 servizio  militare  all'esito  del  quale  si  prevede  l'esonero dal
 servizio militare stesso e, nello stesso tempo, far  consistere  quel
 trattamento  in  modalita'  volte  prevalentemente  nel  recupero del
 soggetto al servizio militare".
    Nella stessa sentenza non  si  rinvengono,  pero',  considerazioni
 attinenti  alle  conseguenze sul piano del regime penitenziario della
 disposta  deroga  al  principio  generale  contenuto  nell'art.   27;
 segnatamente,  nulla  si ricava in ordine al problema della ulteriore
 applicabilita' ai condannati per  il  reato  de  quo  dello  speciale
 affidamento in prova previsto nella legge 29 aprile 1983, giacche' la
 Corte  si  e'  sul  punto  limitata  a  dichiarare inammissibile, per
 estraneita' al  tema  della  decisione,  la  sollevata  questione  di
 costituzionalita'  anche  dell'art.  3,  terzo comma, della legge ora
 citata.
    Secondo tale disposizione,  invero,  "i  condannati  per  i  reati
 militari  originati da obiezione di coscienza possono essere affidati
 esclusivamente  ad  un  ufficio  o  ente   pubblico   non   militare,
 determinato  dal  Ministero  della  difesa,  per prestarvi servizio".
 Stante il tenore tassativo della norma, e il suo  indubbio  connotato
 di  specialita',  si  potrebbe  pensare  che essa valga a prescindere
 dalla natura della pena inflitta ai  condannati  di  cui  trattasi  e
 quindi  si ponga ora come deroga a quanto stabilito, per l'esecuzione
 della  pena  detentiva  tout  court,   dell'art.   47   della   legge
 penitenziaria  (n.  354/1975  e  successive  modificazioni): in luogo
 dell'affidamento  in  prova al servizio sociale, per gli obiettori di
 coscienza c.d. totali,  sarebbe  previsto  un  affidamento  in  prova
 "esclusivamente"  presso un ente pubblico non militare, allo scopo di
 adempiere a una prestazione di servizio riconducibile ai  compiti  di
 quell'ente.  Evidente  il  diverso  contenuto  e la diversa incidenza
 pratica della "prova" nei due casi.
    Parve,  tuttavia,  a  questo  Tribunale,  dopo  un   significativo
 contrasto  di  decisioni,  che  maggiormente  in linea con lo spirito
 della sentenza n.  358/1993  della  Corte  costituzionale  fosse  una
 interpretazione   della  norma  dell'art.  3,  terzo  comma,  citata,
 inserita all'interno della legge che la contiene, la quale disciplina
 l'affidamento in prova speciale nei casi di condanna alla  reclusione
 militare.  Posto che tale ultima circostanza emerge con chiarezza per
 via dei continui riferimenti allo  "stabilimento  militare  di  pena"
 operati  dalla  legge  (cfr. artt. 1, primo comma; 2, primo comma; 7,
 primo e terzo comma; 8) sembro' al tribunale di dover  affermare  che
 l'operativita'  del  disposto dell'art. 3, terzo comma, nei confronti
 dei condannati per il reato di cui al citato art. 8, dipendesse dalla
 premessa che anche a costoro veniva inflitta la reclusione  militare,
 per  effetto dell'art. 27 del c.p.m.p.; ne doveva conseguire che, una
 volta venuta meno, per  la  dichiarata  parziale  incostituzionalita'
 della  norma,  tale  premessa,  lo  stesso  art.  3, terzo comma, non
 avrebbe  piu'  potuto  avere  applicazione  nei  confronti  dei  c.d.
 obiettori  totali  e quindi che per costoro riprendesse vigore il re-
 gime di affidamento in prova ordinario,  di  cui  all'art.  47  della
 legge penitenziaria.
    Invero,  parve che la previsione in discorso si giustificasse come
 correttivo specifico della regola fondamentale statuita con la  legge
 n.  167/1983,  secondo la quale si introduceva l'affidamento in prova
 come misura alternativa alla reclusione militare e  la  si  correlava
 allo  svolgimento  del  servizio  militare, in linea con il contenuto
 precipuo che la  reclusione  militare  possiede  rispetto  alla  pena
 detentiva  comune  e  che la stessa Corte costituzionale ha ravvisato
 consistere  nel  "prevalente  recupero  del  condanato  al   servizio
 militare"  (cfr.  sentenza  n.  414/1991).  Parve,  cioe',  a  questo
 tribunale che il "servizio civile" in fase di  affidamento  in  prova
 per i condannati obiettori fosse uno strumento istituito per dar modo
 anche a costoro di scontare la pena al di fuori del carcere militare,
 senza  dover  necessariamente  recedere  dalla posizione che li aveva
 portati a commettere il reato. Del resto  tale  preoccupazione  aveva
 ragione  di  nascere  solo  in  quanto  anche per il reato di rifiuto
 operava la conversione della reclusione in  reclusione  militare,  ex
 art. 27, giacche', diversamente, i condannati obiettori non avrebbero
 avuto  davanti  a  loro  stessi  l'alternativa secca carcere-servizio
 militare.
    La lettura sistematica qui sinteticamente riassunta non  e'  stata
 condivisa dalla Corte di cassazione, sezione I, che con piu' pronunce
 in  data  21  gennaio  1994  ha  imposto  al  tribunale  militare  di
 sorveglianza di ripristinare nei  casi  in  questione  l'operativita'
 dell'istituto   dell'affidamento   in  prova  ad  ente  pubblico  non
 militare.
    3. - Per effetto della ricostruzione operata dalla Corte  suprema,
 dunque,  il condannato alla pena della reclusione per il reato di cui
 al citato art.  8  non  puo'  godere  dell'affidamento  in  prova  al
 servizio  sociale,  ma  deve venir affidato esclusivamente ad un ente
 pubblico  per prestarvi servizio. Ne risulta un regime di affidamento
 ben piu' gravatorio rispetto a quello previsto  per  qualsiasi  altro
 condannato a pena detentiva diversa dalla reclusione militare, oppure
 anche  per il condannato alla reclusione militare che sia in congedo,
 cioe' non abbia "ancora obblighi di servizio militare" (art. 1, primo
 comma, della legge  n.  167/1983):  si  prevede  una  prestazione  di
 servizio  (non  militare) obbligatoria, da svolgere al di fuori della
 sfera sociale propria del condannato, con  possibile  pregiudizio  di
 posizione affettive, familiari, di studio o, addirittura, di lavoro.
    Una  norma  scritta  in  favore  dei  c.d. obiettori totali, si e'
 insomma trasformata, per il mutare del quadro di riferimento, in  una
 previsione capace di rendere deteriore il trattamento di costoro.
    Su  questa  sensibile  diversificazione  del  regime  ordinario di
 affidamento si inserisce un aspetto che sembra  renderla  ancor  piu'
 stridente con i criteri di ragionevolezza e che aveva convinto infine
 questo  tribunale ad adottare la soluzione ora cassata dal giudice di
 legittimita':  la  pretesa  deroga   riguarda   soltanto   l'istituto
 dell'affidamento  in  prova e non anche le altre misure alternative o
 gli altri strumenti rieducativi previsti per le  pene  detentive  di-
 verse dalla reclusione militare. Sicche', mentre prima della sentenza
 n.  358/1993 della Corte costituzionale il condannato per il reato di
 cui all'art. 8  aveva  a  disposizione  il  ridottissimo  campionario
 rieducativo  che  la  legislazione  vigente prevede per il condannato
 alla reclusione  militare,  non  potendo,  per  esempio,  accedere  a
 permessi  premio  (art.  30  legge  penitenziaria)  e  solo  in  casi
 marginali godere del beneficio della detenzione domiciliare (art. 47-
 ter legge penitenziaria, in relazione  alla  sentenza  n.    411/1991
 della   Corte   costituzionale),   attualmente,   poiche'  il  regime
 derogatorio di cui al piu' volte citato art. 3, terzo comma, riguarda
 esclusivamente l'affidamento  in  prova,  costui  -  condannato  alla
 reclusione  -  ha  la  possibilita'  di  scontare  la pena secondo le
 modalita' previste dalla legge  penitenziaria,  fatta  eccezione  per
 l'affidamento  in  prova.  Cosi',  per esempio, se opta per il regime
 intramurario, sconta la pena in una comune casa  circondariale  o  di
 reclusione,  sottoponendosi  al  trattamento rieducativo previsto per
 qualsiasi condannato; ovvero, avendone i requisiti, puo' godere della
 detenzione domiciliare che gli consente di non  recidere  i  rapporti
 con la propria sfera sociale e, in ipotesi, di conservare un rapporto
 di  lavoro. Mentre, solo se decide di chiedere l'affidamento in prova
 va incontro a un trattamento del tutto peculiare e deteriore.
    Sembra al tribunale che sia privo  di  ragionevolezza  un  sistema
 normativo  che  rinunci  a  chiedere  al  condannato in questione una
 particolare  rieducazione,  riconoscendo  cio'  non   imprescindibile
 corollario del tipo di reato commesso, cosi' come rinuncia a chiedere
 l'adempimento  della  prestazione  del  servizio  militare, una volta
 espiata la pena (art. 8,  terzo  comma,  della  legge  n.  772/1972),
 mentre  nella  previsione di un solo istituto penitenziario si faccia
 carico di differenziare la posizione  dell'obiettore  da  quella  del
 condannato  per  altri reati, imponendogli l'onere di una prestazione
 di servizio, ai fini dell'estinzione della pena.
    Simile sistema normativo,  che  la  Corte  di  cassazione  ritiene
 tuttora   applicabile,   sembra   contemporaneamente   realizzare  la
 violazione del principio di eguaglianza  sancito  dell'art.  3  della
 Costituzione  e  integrare una ingiustificata deroga al principio del
 tendenziale orientamento rieducativo della pena di cui all'art. 27.
    Sotto  il  primo profilo, dopo la piu' volte ricordata sentenza n.
 358/1993,  la  posizione  dell'obiettore  condannato  non   va   piu'
 riguardata  in  relazione  a  quella  del militare avente obblighi di
 servizio, ma confrontata con quella del condannato alla reclusione, o
 anche del militare condannato alla reclusione militare, ma  privo  di
 obblighi  di  servizio;  ne  risulta  una  disciplina discriminatoria
 dell'affidamento  in  prova  non  fondata   su   alcuna   ragionevole
 differente  situazione di fondo, giacche' la prognosi di recupero del
 reo  deve  svolgersi  in  tali  casi  tenendo   conto   delle   "sole
 prescrizioni"  da impartire al condannato (cosi' art. 2, primo comma,
 della legge n. 167/1983, in relazione con l'art. 47,  secondo  comma,
 della   legge  n.  354/1975)  e  non  anche  di  elementi  aggiuntivi
 necessitati da specifiche esigenze rieducative (del  tipo  di  quello
 indicato  nell'art.  2,  primo  comma,  della  legge n. 167/1983, per
 coloro che hanno obblighi di servizio).
    Sotto  il  secondo  profilo,  infatti,  prevedere  come  contenuto
 dell'affidamento  la  prestazione  di un servizio "civile", una volta
 escluse  le  direzionalita'  rieducative  specifiche   che   venivano
 segnalate  dalla scelta di una sanzione penale peculiare, come quella
 della reclusione militare, significa caricare la  misura  alternativa
 di  un onere affatto sganciato dalle ambizioni rieducative della pena
 e riconducibile esclusivamente ad  una  logica  afflittivo-catartica;
 vieppiu',  si ribadisce, se si considera che tale aggiunzione risulta
 inspiegabilmente   prevista   solo   per   la   misura    alternativa
 dell'affidamento in prova.
    Il  tribunale  ha  presente  che  il contenuto della pena non puo'
 interamente spiegarsi alla luce del  teleologismo  rieducativo;  cio'
 pero'   non   significa  che  il  legislatore  possa  arbitrariamente
 innestare sulle modalita' esecutive della pena connotati asistematici
 e discriminatori che a quel principio  costituzionale  non  siano  in
 alcun modo riconducibili.
    4.  -  Le  considerazioni sopra svolte inducono il collegio, sulla
 domanda di  affidamento  in  prova  in  epigrafe,  a  dubitare  della
 conformita' alla Costituzione dello speciale affidamento in prova per
 gli  obiettori  di  coscienza  condannati  per  il  reato di rifiuto,
 delineato  nell'art.  3,  terzo  comma,  della  legge  n.   167/1983,
 richiamato  dall'art.  1,  primo  comma,  ultima  parte, della stessa
 legge. La questione di  costituzionalita',  cosi'  come  prospettata,
 oltre  a  essere non manifestamente infondata, e' anche rilevante nel
 caso  di  specie,  dovendosi  stabilire  se   la   richiesta   misura
 alternativa  debba  svolgersi come prescritto nell'indicato art. 3 o,
 invece, alla stregua della disciplina  ordinaria  prevista  dall'art.
 47, della legge n. 354/1975.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    In accoglimento dell'eccezione formulata dalla difesa;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1, primo comma, ultima parte,
 e 3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167,  per  contrasto
 con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
    Dispone  inoltre  che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
 ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 15 marzo 1994
                        Il presidente: FABRETTI
   Il magistrato estensore: BRUNELLI
                              Il collaboratore di cancelleria: LAVEZZO
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