N. 488 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 1994
N. 488 Ordinanza emessa il 4 maggio 1994 dal tribunale di Monza sull'istanza proposta dalla S.p.a. Mariovilla nei confronti di S.d.f. G.A.M. Luce Fallimento - Imprese commerciali gestite in societa' - Soggezione in ogni caso alla procedura fallimentare - Impossibilita' di considerare "piccolo imprenditore" la piccola impresa commerciale gestita in societa' - Conseguente obbligatorieta' della dichiarazione di fallimento esclusa solo per le imprese individuali e per le imprese artigiane gestite in societa' - Disparita' di trattamento tra le piccole societa' commerciali e le societa' artigianali a parita' di dimensioni, attivita' e organizzazione di mezzi - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 54/1991 di inammissibilita' di analoga questione e alle successive ordinanze (nn. 368 e 395 del 1991, 11 e 374 del 1993 e 266/1994) di manifesta inammissibilita', ritenute superabili dal giudice rimettente. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, secondo comma). (Cost., art. 3).(GU n.37 del 7-9-1994 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza per provvedere in ordine all'istanza di fallimento n. 926/93, presentata da: Mariovilla S.p.a., elettivamente domiciliata in Monza, via Vittorio Emanuele, 2, presso lo studio dell'avv. Fausto Martinetti, che la rappresenta e difende, unitamente all'avv. Amedeo Motta del foro di Milano, per delega a margine del ricorso per dichiarazione di fallimento; nei confronti di: G.A.M. Luce S.d.f., con sede in Cusano Milanino, via Seveso, 21, in persona dei soci amministratori Sandri Andrea e La Rosa Antonino. Visti gli atti, udito il giudice relatore in camera di consiglio, O S S E R V A Dalla istruttoria espletata, e segnatamente dall'esito negativo del pignoramento tentato dal creditore ricorrente presso la sede della societa', nonche' successivamente presso l'abitazione del socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali Massimo Gnocchi, dalla chiusura della sede sociale accertata dall'ufficio giudiziario nel corso della procedura di esproprio ed in sede di notifica del ricorso e pedissequo decreto di convocazione avanti il tribunale, e' emerso lo stato di insolvenza dell'impresa. Ugualmente e' emerso che la resistente deve qualificarsi come piccola impresa, ancorche' esercitata sotto la forma della societa' commerciale, come risulta dal tipo di attivita' svolta, produzione e vendita di lampade in genere, l'entita', particolarmente esigua, del credito vantato, pari a L. 779.200 in linea capitale, il numero dei dipendenti, allo stato degli atti, nessuno, l'esito della procedura espropriativa che ha evidenziato, presso la sede dell'impresa, l'inesistenza di beni strumentali o di produzione utilmente assoggettabili al pignoramento, facendo presumere un giro di affari estremamente modesto. Conformemente al prevalente orientamento giurisprudenziale, che per le imprese organizzate in forma di societa' fa decorrere il momento della cessazione, rilevante ai sensi dell'art. 10 della l.f., dalla effettiva definizione di tutti i rapporti patrimoniali attivi e passivi, deve ritenersi la societa' resistente tuttora assoggettabile alla procedura fallimentare, nonostante l'accertamento compiuto dall'ufficio giudiziario in sede di pignoramento in ordine a notizie riguardanti una possibile cessazione di fatto dell'attivita', peraltro non formalmente comunicata al registro delle imprese presso la camera di commercio competente. Deve infine, accertata la mancata iscrizione della societa' resistente all'Albo delle imprese artigiane e quindi la esclusione della relativa qualita' per mancanza della condizione necessaria della formale iscrizione al suddetto Albo, escludersi la non assoggettabilita' al fallimento per essere la resistente impresa artigiana. Ritiene il collegio di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare approvata con regio decreto legislativo 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che "in nessun caso sono consider- ate piccoli imprenditori le societa' commerciali", per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per il seguente motivo: il significato letterale della disposizione di cui all'art. 1 della legge fallimentare sottoposto al vaglio costituzionale con la presente ordinanza e' nel senso che il concetto di piccolo imprenditore sia destinato ad operare solo nel campo delle imprese individuali e che una piccola impresa che eserciti la propria attivita' sotto forma di societa' commerciale non sia prevista nel nostro ordinamento, con la conseguenza che, indipendentemente dagli effettivi limiti dimensionali della attivita' esercitata, ogni impresa organizzata in forma societaria debba considerarsi assoggettabile al fallimento, in quanto aprioristicamente e apoditticamente esclusa dalla condizione e qualita' di piccolo imprenditore. Tale conclusione crea una disparita' di trattamento tra le societa' di persone, esercenti attivita' commerciale, non aventi la qualifica di artigiani, quale la societa' resistente, e le corrispondenti societa' artigiane, che, per giurisprudenza di merito e di legittimita' ormai costante, culminata con la sentenza di codesta Corte, nella quale veniva espressamente dichiarato che "deve ritenersi abrogato l'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui esclude che le societa' artigiane possano essere considerate piccoli imprenditori, per incompatiblita' tra le nuove disposizioni e le precedenti" (sentenza n. 368 del 23 luglio 1991, punto 3.1 della sentenza), sono da ritenersi non assoggettabili al fallimento, ove non espandano oltre certi limiti le dimensioni dell'impresa. Tale disparita' di trattamento e' tanto piu' irrazionale, ove si consideri che, secondo la legge quadro sull'artigianato, legge 8 agosto 1985, n. 443, sono considerate societa' artigianali "le societa', anche cooperative, escluse le societa' a responsabilita' limitata e per azioni ed in accomandita semplice e per azioni, a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale" e che detta qualifica esonera le medesime dalla assoggettabilita' a fallimento in quanto rientranti nella categoria dei piccoli imprenditori di cui all'art. 2083 del c.c., che comprende, oltre ai coltivatori diretti ed ai piccoli commercianti, appunto gli artigiani, e, per effetto della richiamata legge quadro sull'artigianato, nell'interpretazione giurisprudenziale attualmente prevalente ed avvallata da codesta Corte con la sentenza su richiamata, anche le societa' artigiane, categorie tutte, ex art. 2083 del c.c., definite piccoli imprenditori e, per effetto dell'art. 1, primo comma, legge fallimentare, non assoggettabili a fallimento. Ancora piu' irrazionale deve considerarsi detta disparita' di trattamento, ove si consideri che la qualifica di societa' artigiana ha come presupposto indefettibile la iscrizione all'Albo imprese artigiane istituito presso la camera di commercio, sulla scorta della opinione giurisprudenziale maggioritaria, che considera detta iscrizione avere, ex art. 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443, carattere costitutivo ed essere condizione necessaria, ancorche' non sufficiente, per il riconoscimento della qualita' artigianale, in quanto l'unico discrimine tra una societa' artigianale, iscritta formalmente all'apposito Albo e come tale non assoggettabile al fallimento, ed una societa' non iscritta, come tale non qualificabile artigiana ed assoggettabile al fallimento, entrambi aventi le medesime caratteristiche dimensionali, la medesima o analoga attivita' svolta, la medesima organizzazione di mezzi impiegati, tali da risultare prive di intento speculativo, con un guadagno che non assuma i connotati del profitto per la modestia dei mezzi e del capitale investito ed ove la maggioranza dei soci partecipi personalmente al lavoro, avente quest'ultimo funzione prevalente sul capitale investito, sarebbe non gia' da individuarsi nella natura e nel carattere sostanzialmente differente di una societa' rispetto all'altra, ma nel mero dato formale della avvenuta o meno iscrizione all'Albo imprese artigiane. Questo collegio e' a conoscenza che questioni di legittimita' costituzionale, sollevate da altri giudici in riferimento all'art. 1 della legge fallimentare per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto profili simili o analoghi al presente, sono gia' stati dichiarati inammissibili da codesta illustrissima Corte, in particolare con la sentenza n. 54 del 6 febbraio 1991, poi richiamata nelle ordinanze di inammissibilita' n. 11/1993 del 19 gennaio 1993, n. 374/1993 del 7 ottobre 1993, n. 395/1993 del 31 ottobre 1993, ma tuttavia si ritiene opportuno ugualmente sollevare nuovamente la questione di costituzionalita', in quanto le motivazioni addotte da codesta Corte nella sentenza n. 54 del 6 febbraio 1991, per giustificare il diverso trattamento della societa' artigiana rispetto agli omologhi tipi di societa' di persone esercenti attivita' commerciale, relative alla natura ed al carattere della societa' artigianale, la quale godrebbe di uno status particolare e sarebbe soggetta ad una disciplina peculiare, non appaiono convincenti in ordine allo specifico profilo della differenziazione tra i due tipi di societa' compiuta solamente dal punto di vista formale della iscrizione o meno all'apposito Albo previsto per legge. Infine non e' dubbia la rilevanza della prospettata questione nel caso di specie, poiche' dalla sua soluzione dipende la dichiarazione di fallimento o il rigetto dell'istanza.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio; Ordina a cura della cancelleria la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il controllo della legittimita' dell'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare approvata con regio decreto legislativo 16 marzo 1942, n. 267, per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti in causa e per la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Monza, addi' 4 maggio 1994 Il presidente: DI ORESTE Il giudice relatore: RODA 94C0884