N. 490 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 1994

                                N. 490
 Ordinanza emessa il 9 giugno 1994 dal commissario  regionale  per  il
 riordinamento  degli usi civici in Abruzzo nel procedimento demaniale
 vertente tra il comune di Popoli e Cafarelli Leandro Maurizio
 Usi civici - Commissario degli usi civici - Organo giurisdizionale  -
 Potere  di  promuovere  ex  officio  controversie  per  le  quali sia
 competente a giudicare - Esclusione  da  parte  della  giurisprudenza
 della  Corte  di  cassazione - Incidenza sul principio di uguaglianza
 nonche' sui principi della  tutela  del  paesaggio,  del  diritto  di
 difesa   in   giudizio   e   dell'autonomia   ed  indipendenza  della
 magistratura - Riferimento alle sentenze della  Corte  costituzionale
 nn.  395/1992  e  133/1993  di inammissibilita' di questioni analoghe
 ritenute superabili dal giudice rimettente.
 (Legge 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29; d.P.R. 24  luglio  1977,  n.
 616,  art.  66;  legge 16 giugno 1927, n. 1766, artt. 9 e 10; r.d. 26
 febbraio 1928, n. 332, artt. 30 e 31).
 (Cost., artt. 3, 9, 24, 97, 104 e 108).
(GU n.37 del 7-9-1994 )
    IL COMMISSARIO REGIONALE PER IL RIORDINAMENTO DEGLI USI CIVICI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa   demaniale
 iscritta  al  n. 31 del ruolo generale contenzioso del 1993, vertente
 tra il comune di Popoli in persona del sindaco in carica non comparso
 e Cafarelli Leandro Maurizio residente in Popoli, corso Gramsci, vico
 12, n. 2, elettivamente domiciliato in L'Aquila, corso  Federico  II,
 n.  36,  presso  e  nello  studio del dott. proc. Fabrizio Fiore, dal
 quale e' rappresentato e difeso  come  da  mandato  a  margine  della
 comparsa di costituzione.
    Oggetto:  accertamento  natura  di fondi rustici pretesi demaniali
 civici.
    Conclusioni del dott. proc. Fiore: si chiede  che  il  commissario
 per  gli  usi  civili  voglia dichiarare in via principale il prorpio
 difetto di giurisdizione; in  subordine,  previo  riconoscimento  dei
 miglioramenti   apportati   sui   fondi,   dichiarare  l'infondatezza
 dell'istanza commissariale.
                       Svolgimento del processo
    Con istanza pervenuta il 31 marzo 1993, assunta al protocollo  con
 il  n.  626/g  105/93,  Leandro Maurizio Cafarelli rimetteva a questo
 commissariato il mod. 5 dem n. 12487839 B (in effetti 12487840 C) con
 allegate le fotocopie di atti di trasferimento a suo nome di  terreni
 ubicati  in  agro  di  Popoli  "nell'eventualita'  che  sugli  stessi
 dovessero sussistere gravami  al  titolo  di  cui  all'obbligo  della
 denuncia di utilizzo di beni di proprieta' dello Stato, delle aziende
 autonome statali, delle regioni, delle provincie e dei comuni".
    Questo commissario interpretava la suddetta istanza come richiesta
 di  accertamento  se sui fondi rustici acquistati dal Cafarelli con i
 rogiti per notari Felicetti e Gioffre' in data,  rispettivamente,  16
 settembre  1973  rep.  n.  594  e  22  ottobre  1986  rep.  n.  21883
 sussistessero, o meno, gravami di diritti di usi  civici  e,  quindi,
 l'obbligo  della  denuncia  del  loro  utilizzo  e  del pagamento del
 tributo per cui, essendo emerso dagli atti demaniali custoditi  nella
 conservatoria  dell'ufficio,  che  tali  beni  classificati di natura
 demaniale civica risultavano abusivamente  occupati  da  Domenico  Di
 Battista  e da Galli Zugaro Vincenzo e reintegrati, con ordinanze del
 commissario agli usi  civici  del  tempo,  al  comune  di  Popoli,  e
 denotando  il comportamento del Cafarelli una contestazione implicita
 della rilevata  qualitas  soli  onde  doveva  essere  considerato  un
 abusivo  occupatore  degli stessi predii, lo conveniva innanzi a se',
 insieme  al  comune  piu'  volte  nominato,  ad  oggetto  di   sentir
 dichiarare  la  natura  demaniale  da  uso  civico  dei  fondi  tutti
 descritti nei rogiti; per l'effetto  sentir  dichiarare  la  nullita'
 assoluta ed insanabile degli atti di disposizione, ivi compresi i due
 contratti  notarili,  suaccennati,  ed  ordinarne  la  reintegra allo
 stesso ente territoriale  con  la  condanna  del  Cafarelli  al  loro
 immediato rilascio nella disponibilita' di controparte.
    All'udienza  prefissata  si  costituiva  soltanto  il Cafarelli il
 quale, nel contestare la prospettata natura demaniale civica dei beni
 da lui acquistati con  i  richiamati  strumenti  notarili,  insisteva
 perche'  fosse  disposto  un  accurato accertamento peritale anche ai
 fini   dell'accertamento   dei   notevoli   miglioramenti   da    lui
 asseritamente  apportati  ai  medesimi,  dei  quali  si  riservava di
 chiedere la legittimazione.
    Questo  commissario,  ritenutane  la  necessita',  disponeva   una
 consulenza  tecnica,  assegnando al c.t.u. nominato nella persona del
 dott.  Fabio  Andreassi  l'incarico  di  riferire  se  i  terreni  in
 questione  potessero  essere considerati di natura demaniale civica o
 allodiale, se essi fossero coltivati e migliorati ai sensi  dell'art.
 9  della  legge  n. 1766/1927 e se interrompessero la continuita' dei
 demani; tutto cio' previo accesso e descrizione dei luoghi  ed  esame
 dei documenti tutti esistenti nei pubblici uffici.
    Depositata la relazione peritale dalla quale si evinceva che tutti
 i  fondi  in discorso potevano essere considerati di natura demaniale
 civica,  per  essere  stati  riconosciuti  tali  sia  dall'istruttore
 demaniale  avv.  Speranza  Relleva  che  ebbe a redigere la relazione
 storico giuridica dei beni comuni di Popoli,  che  dal  perito  dott.
 ing.  Gaetano  Lorito  che  ebbe a redigere il progetto di verifica e
 sistemazione dei demani della stessa citta' in data  5  maggio  1937,
 approvato  e pubblicato nelle forme di legge ed aggiornato dal perito
 geom. Umberto Cantelmi con il suo progetto in data  7  gennaio  1964,
 anche  esso  regolarmente  approvato  e pubblicato, la causa e' stata
 riservata per  la  sentenza  sulle  conclusioni  del  solo  Cafarelli
 trascritte in epigrafe.
                        Motivi della decisione
    Il  procuratore  del  convenuto  Cafarelli  ha  chiesto  in  linea
 preliminare che sia dichiarato il difetto di giurisdizione di  questo
 commissario  a  decidere  l'insorta  controversia,  per  essere stata
 quest'ultima  iniziata  d'ufficio  sulla   base   di   poteri   ormai
 inesistenti,  in  conformita'  a quanto hanno deciso le sezioni unite
 della cassazione che con pluralita' di decisioni (cfr. tra  le  tante
 cass.  23  gennaio  1994,  n.  2858)  hanno  sancito  coma "a seguito
 dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977, il commissario non  e'
 piu'   legittimato   a   intraprendere   d'ufficio   le  controversie
 giudiziarie, avendo perduto il relativo  potere  che  era  di  natura
 esclusivamente  incidentale,  poiche'  gli  derivava  dalle  funzioni
 amministrative da detto d.P.R. (art. 66) trasferite alle regioni alle
 quali e' demandata, quindi, la tutela dei diritti di  usi  civici;  a
 tal  fine  le  regioni  esercitano  i  poteri  amministrativi ad esse
 conferiti dalle  leggi  e  promuovono  le  azioni  nelle  varie  sedi
 giurisdizionali e, quindi, anche davanti al commissario nelle materie
 di sua giurisdizione".
    Non  v'e'  dubbio  che  la  questione  sollevata dal Cafarelli sia
 rilevante, perche' se dovesse ritenersi corretta dal punto  di  vista
 costituzionale  siffatta  interpretazione  abrogativa  dell'art.  29,
 secondo comma, della legge 16 giugno 1927,  n.  1766,  e  se  dovesse
 ritenersi  che  nella  specie il commissario ha iniziato d'ufficio il
 presente  giudizio,  non  potendo  considerarsi   ricorso   l'istanza
 avanzata  dall'interessato e richiamata nelle premesse, il giudicante
 dovrebbe accogliere la suddetta richiesta,  con  la  conseguenza  che
 nella  prevedibile  mancanza di ogni richiesta da parte della regione
 Abruzzo o del comune  -  il  cui  comportamento  e'  sintomatico  non
 essendosi  costituito  -  o  dell'interessato,  non  si potrebbe piu'
 accertare  la  natura  dei  beni  in  disputa  che   continuerebbero,
 pertanto, ad essere occupati dal Cafarelli.
    Il  giudicante  con l'ordinanza del 20 aprile 1994, n. 25 di cron.
 ha gia' sollevato la questione di illegittimita' dell'art.  29  della
 legge  n. 1766/1927 se interpretato come hanno fatto le sezioni della
 Corte di cassazione con le sentenze in data 28 gennaio 1994, nn. 858,
 859, 860, 861 e 862 ma la reitera con la presente, giacche'  il  caso
 ora  in  esame e' diverso, dal punto di vista procedurale, poiche' in
 questo esiste soltanto come si e' detto, l'istanza  dell'interessato,
 interpretata   come  ricorso,  mentre  nell'altro  procedimento  gia'
 all'esame della Corte costituzionale esiste un vero e proprio ricorso
 da  parte,  pero',  non  della  regione,  ma  di  alcuni  consiglieri
 circoscrizionali.
    Inoltre  nella  causa  in esame e' rilevante anche la questione di
 costituzionalita' degli artt. 9 e 10 della legge n. 1766/1927,  30  e
 31 del regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 febbraio 1928,
 n.  332,  e  66 del d.P.R. n. 616/1977 riguardanti il beneficio della
 legittimazione delle terre demaniali civiche  abusivamente  occupate,
 se  interpretati come ha fatto la Corte di cassazione a sezioni unite
 con la sentenza 10 dicembre 1993, n. 12158, con la quale  ha  sancito
 l'estraneita'  dopo  l'entrata  in  vigore  del d.P.R. n. 616/1977 al
 procedimento di legittimazione, del commissario, avendo egli  perduto
 ogni funzione amministrativa in precedenza attribuitagli.
    La  questione  e'  rilevante  perche' se Cafarelli Leandro dovesse
 inoltrare - come si e' riservato di fare - istanza di  legittimazione
 dei  terreni  da  lui  attualmente  occupati,  dovrebbe il giudicante
 dichiarare  il  proprio  difetto  di  giurisdizione   e   trasmettere
 l'istanza  stessa  alla  regione Abruzzo, competente a decidere sulla
 medesima secondo le sezioni unite.
    Nella  motivazione  della  sentenza  su   citata   si   legge,   a
 giustificazione  del dichiarato assoluto difetto di giurisdizione del
 commissario, quanto segue: "il settimo comma  della  norma  in  esame
 (l'art.  66  del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) ha altresi' stabilito
 che l'approvazione delle legittimazioni di cui all'art. 9 della legge
 n.  1766/1927  e'  effettuata  con  decreto  del   Presidente   della
 Repubblica   d'intesa   con   la  regione  interessata.  Pertanto  al
 procedimento di legittimazione resta estraneo il commissario il quale
 perde ogni funzione  amministrativa  in  precedenza  attribuitagli  e
 mantiene  solo  il potere giurisdizionale in ordine alle controversie
 riguardanti l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti di  cui
 all'art. 1 della legge n. 1766/1927 (art. 29 stessa legge)". Ora tale
 interpretazione    dell'art.    66    anzidetto    e'   sospetta   di
 incostituzionalita'   per   contrasto   con   il   principio    della
 ragionevolezza previsto dall'art. 3 della Costituzione.
    Ed  infatti  il sistema normativo vigente in materia di usi civici
 deve essere ricostruito alla stregua del suddetto d.P.R. il cui  art.
 66  (quinto,  sesto e settimo comma) ha trasferito alle regioni tutte
 le funzioni amministrative gia' esercitate dagli organi dello  Stato,
 con  la  sola eccezione dell'approvazione delle legittimazioni che e'
 rimasto di spettanza dell'amministrazione statale in quanto  disposta
 con d.P.R. a seguito di intesa con la regione interessata.
    Ne consegue che quest'ultima deve prestare solo "l'intesa" perche'
 il Capo dello Stato possa approvare la legittimazione, non approvarla
 essa stessa, poiche' in tal caso il legislatore avrebbe espressamente
 stabilito  che  "l'approvazione  delle  legittimazioni  e' effettuata
 dalla regione interessata" il che', invece, non ha fatto, per cui  la
 competenza   relativa   alle  legittimazioni  non  e'  stata  affatto
 trasferita alle regioni ai  sensi  del  sesto  comma  della  suddetta
 norma,  come  pretendono  le  sezioni unite, ma e' rimasta attribuita
 alla competenza statale, ivi compreso il potere  del  commissario  di
 adottare l'ordinanza di legittimazione.
    In  tali  sensi  si  e' pronunciato il Consiglio di Stato, sezione
 sesta, con la sentenza 21 febbraio 1983, n.  100,  e  con  il  parere
 della  sezione  seconda  16  dicembre  1987, n. 2525, con il quale ha
 ribadito chiaramente che anche dopo  il  suddetto  d.P.R.  permangono
 funzioni  amministrative  statali relativamente alle legittimazioni e
 per tali funzioni continua ad  essere  operante  la  norma  contenuta
 nell'art.   10   della   legge  n.  1766/1927  la  quale  nell'ambito
 dell'apparato statale individua nel commissario l'organo competente a
 concedere la legittimazione, salvo l'atto finale del Presidente della
 Repubblica d'intesa con la regione interessata.
    L'interpretazione  delle  sezioni  unite  viola anche il principio
 sancito dall'art. 97 della Costituzione secondo cui  nell'ordinamento
 degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni
 e  le  responsabilita'  proprie  dei  funzionari, giacche' sottrae al
 commissario ed al Capo dello Stato  una  competenza  riconosciuta  ad
 essi da un preciso disposto di legge e di regolamento per attribuirla
 ad enti estranei alla pubblica amministrazione che ne sono privi.
    Passando  quindi,  ad  esaminare la questione del potere ufficioso
 del commissario nel promovimento delle azioni demaniali si rileva che
 il fulcro delle argomentazioni contenute nella sentenza  n.  858/1994
 con  le  quali  le  sez.  un.  lo ritengono estinto dopo l'entrata in
 vigore del d.P.R. n. 616/1977 e' basato sul seguente rilievo: poiche'
 secondo la giurisprudenza anteriore  al  suddetto  d.P.R.  il  potere
 ufficioso   di   promovimento  dell'azione  demaniale  da  parte  del
 commissario era incidentale, eventuale ed accessorio giacche' solo in
 occasione dello svolgimento delle sue funzioni  amministrative  e  da
 esse  era  direttamente  derivato,  il trasferimento di queste ultime
 alle regioni avrebbe  determinato,  parallelamente,  la  perdita  del
 citato   potere  ufficioso,  privato  dell'unico  fondamento  che  lo
 giustificava (cfr. anche sent. sez. unite 28 gennaio  1994,  n.  859,
 860, 861 e 862).
    Sostanzialmente  le  sez.  unite hanno tacitamente abrogato l'art.
 29, primo comma, della legge n. 1766/1927 anche se hanno  parlato  di
 "espunzione",  dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato per ben
 tre volte manifestamente inammissibile ed inammissibile la  questione
 di costituzionalita' della stessa norma.
    Ora  la  interpretazione  di cui alla sentenza 28 gennaio 1994, n.
 850, e' sospetta di incostituzionalita' anzitutto  perche'  viola  il
 principio della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Premesso,  invero,  che  essa  si  pone  in netto contrasto con la
 sentenza 1$ aprile 1993, n. 133, della Corte costituzionale la  quale
 ha  chiaramente  sancito  che esulano elementi di incostituzionalita'
 dal potere di impulso ufficioso concesso al commissario, derivando lo
 stesso da una scelta discrezionale compiuta dal legislatore e che per
 raggiungere a tutti i costi lo scopo di vanificare gli effetti  della
 norma  medesima,  le sezioni unite l'hanno "espunta" dall'ordinamento
 giuridico, il che equivale ad abrogarla tacitamente,  si  rileva  che
 l'abrogazione  tacita  di  una  disposizione  legislativa  intanto e'
 possibile in quanto il relativo procedimento conduca ad un  risultato
 univoco,  il  che  non  puo' dirsi essere avvenuto nella fattispecie.
 L'abrogazione tacita  o  implicita  si  ha  quando  la  volonta'  del
 legislatore  di  togliere  efficacia alla legge precedente risulti da
 uno dei due modi seguenti:
      a)  dall'incompatibilita'  delle  nuove  disposizioni   con   le
 precedenti;
      b)  dal  fatto  che la nuova legge regola interamente la materia
 gia' regolata dalla legge anteriore (art. 15 disposizioni sulla legge
 generale).
    Orbene e' chiaro che nessuno dei due casi suindicati ricorre nella
 specie, giacche' l'art. 66, quarto, quinto e sesto comma, del  d.P.R.
 n.   616/1977   si  e'  solo  limitato  a  precisare  quali  funzioni
 amministrative, in materia di usi civici, sono state trasferite  alle
 regioni,  in attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22
 luglio 1975, n. 382, e non ha affatto abrogato  il  potere  d'impulso
 ufficioso   del   commissario,   per   cui   non  si  ravvisa  alcuna
 incompatibilita' di tale norma con  quelle  precedenti  di  cui  alla
 legge  16  giugno  1927,  n.  1766,  ed al regolamento di esecuzione,
 approvato con  r.d.  26  febbraio  1928,  n.  332;  ne'  la  suddetta
 disposizione  regola  l'intera  materia  degli usi civici di cui alla
 citata legge ed al citato regolamento di  esecuzione,  ma  si  limita
 solo  a sancire l'anzidetto trasferimento di funzioni amministrative.
 Viola inoltre, il principio della ragionevolezza anche l'affermazione
 della Corte di cassazione che la giurisdizione  del  commissario  sia
 solo quella "incidentale" rispetto alle operazioni di liquidazione e,
 comunque, a quelle lato sensu amministrative.
    In   realta'   le  tre  espressioni,  promiscuamente  usate  dalla
 giurisprudenza di "incidentalita'"  "strumentalita'"  e  "prevalenza"
 per   definire   i  rapporti  tra  le  due  funzioni  esercitate  dal
 commissario prima del 1977 e  successivamente,  quanto  al  beneficio
 della  legittimazione  di  cui  agli  artt.  9  e  10  della legge n.
 1766/1927 ed alla liquidazione dei compensi spettanti agli utenti dei
 diritti di usi civici sui terreni demaniali civici espropriati per la
 costruzione di opere di  pubblica  utilita',  prevista  dall'art.  12
 della  legge 1994, n. 97, non sono affatto preordinate a sottolineare
 una scala di valori qualitativi concretantesi in  una  subordinazione
 dell'attivita'  giurisdizionale  rispetto a quella amministrativa con
 la conseguenza che l'attrazione di quest'ultima (supposta  come  piu'
 importante)   nella   competenza   delle  regioni  avrebbe  alterato,
 comprimendoli, i poteri ufficiosi del commissario,  ma  sono  invece,
 dirette ad evidenziare le correlazioni tra le due sfere di competenze
 sul   piano   del  loro  rispettivo  contenuto:  da  un  lato  quelle
 amministrative prevalentemente inerenti alla liquidazione  degli  usi
 civici,  dall'altro  quelle  giurisprudenziali  volte  principalmente
 all'argomento   fondamentale,   dell'accertamento   demaniale   della
 qualitas soli.
    In  definitiva  il  principio  dell'incidentalita' esprime solo il
 punto  di  incontro  tra  le  due  funzioni:  quella   amministrativa
 regionale  cessa  ed  inizia  quella  giurisdizionale quando sorga la
 necessita' di accertare il diritto  degli  usi  civici.  Una  diversa
 correlazione e' smentita proprio dal rilievo, evidenziato da numerose
 sentenze  delle  stesse  sezioni  unite,  secondo  il  quale  non  e'
 necessario  che  sia  pendente  il  procedimento  amministrativo  per
 l'inizio  dell'azione giudiziaria (cfr. cass. 7 maggio 1974, n. 1261;
 20 luglio 1971, n. 2365)  con  la  conseguente  autonomia  delle  due
 azioni ritenuta in numerose sentenze (cfr. cass. sent. 9 luglio 1968,
 n. 2352; 10 ottobre 196, n. 2425; 23 ottobre 1961, n. 2346); comunque
 in  nessun  caso  il  potere  ufficioso  di  promovimento dell'azione
 demaniale riconosciuto al commissario dalla cassazione sia prima  che
 dopo  l'entrata  in  vigore  del  cennato d.P.R. n. 616/1977 e' stato
 posto   in   relazione   con   l'incidentalita'   della    competenza
 giurisdizionale  affermata  nelle  sentenze  su citate (cass. 2 marzo
 1967, n. 470; 29 aprile 1954, n. 1318; 4 dicembre 1991,  n.  3922;  4
 agosto 1989, n. 3586).
    Quanto sopra e' tanto esatto che di tutti i procedimenti esaminati
 dalle  sezioni  unite  nell'udienza  del 10 dicembre 1993 nessuno era
 stato instaurato in seguito ad  opposizione  agli  atti  di  verifica
 demaniale.
    Concludendo  e'  certo  che  l'art. 29 della legge n. 1766/1927 ha
 attribuito al commissario una duplicita' di funzione con contenuto  e
 natura  autonoma  e  diversificata, unitamente all'impulso ufficioso,
 del quale la Corte costituzionale ha affermato  la  costituzionalita'
 con la richiamata sentenza.
    Pertanto  ci  si  trova  di  fronte  ad  una  situazione veramente
 abnorme: da un lato la Corte costituzionale ha ritenuto  non  affetto
 da   incostituzionalita'   l'impulso   ufficioso   del   commissario;
 dall'altro  lato  la  cassazione,  delusa  da  tale   statuizione   e
 sostituendosi  al  legislatore ed al giudice delle leggi ha "espunto"
 il  suddetto  articolo  dall'ordinamento  giuridico  con   una   mera
 operazione  cerebrina  che  rinnega  la  sua  precedente  costante  e
 consolidata  giurisprudenza  e  viola  i  canoni  fondamentali  della
 materia  perche' ignora la giurisdizione esercitata in via principale
 dal commissario, come si e' avuto modo di  rilevare  con  la  propria
 precedente  ordinanza  del  20  aprile  1994,  n. 25, di cron. le cui
 argomentazioni debbono qui intendersi integralmente trascritte  anche
 per  quanto  concerne gli ulteriori profili di incostituzionalita' in
 relazione agli artt.  24,  99,  104,  109  e  9  della  Costituzione,
 osservandosi,  quanto  al  principio  del  conflitto  o  contrasto di
 interessi tra rappresentante  e  rappresentati,  che  esso  e'  tanto
 importante  che,  lungi  dall'essere  confinato  ai soli procedimenti
 amministrativi, come a  torto  assume  la  Corte  di  cassazione,  ha
 valenza  non  solo  anche nei procedimenti giudiziari, ma persino nel
 diritto costituzionale, essendo stato richiamato in  occasione  della
 formazione del nuovo governo nazionale e risolto con il sistema della
 garanzia  da  parte  del Capo dello Stato, garanzia che il giudicante
 invoca dalla Corte costituzionale.
    Tutte le osservazioni che precedono convincono della non manifesta
 infondatezza   delle   dedotte   questioni   di   incostituzionalita'
 dell'interpretazione  data  all'art.  29 anzidetto ed all'art. 66 del
 d.P.R. n. 616/1977 dalle sezioni unite civili  della  cassazione  per
 cui il presente giudizio va sospeso ai sensi dell'art. 25 della legge
 n. 87/1953 e gli atti rimessi all'esame della Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visto  l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come modificata
 dalla legge 18 marzo 1958, n. 265, dichiara d'ufficio rilevante e non
 manifestamente infondata, ai  fini  del  decidere,  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale come sopra prospettate in ordine all'art.
 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, come interpretato dalla Corte
 di cassazione con sentenza 28 gennaio 1994, n. 858, in relazione agli
 artt. 3, 9, 24, 104 e 108 della Costituzione nei termini precisati in
 motivazione  ed  agli  artt.  66 del d.P.R. n. 616/1977, 9 e 10 della
 legge n. 1766/1927, 30 e 31 del regolamento di  esecuzione  approvato
 con  r.d.  26  febbraio  1928, n. 332, in relazione agli artt. 3 e 97
 della Costituzione  come  interpretati  dalla  stessa  Corte  con  la
 sentenza 10 dicembre 1993, n. 12158;
    Sospende  ogni  pronuncia  sulla  presente  controversia;  dispone
 l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e che a
 cura della segreteria  la  presente  ordinanza  sia  notificata  alle
 parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso in L'Aquila il 9 giugno 1994.
                   Il commissario regionale: ALOYSIO

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