N. 492 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 1993- 18 luglio 1994
N. 492 Ordinanza emessa l'11 novembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 18 luglio 1994) dal Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, sul ricorso proposto da Paleologo Vera ed altra contro la camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura di Roma. Impiego pubblico - Dipendenti enti locali (nella specie camera di commercio, industria e artigianato di Roma) - Previsione, con norma qualificata interpretativa, che l'indennita' integrativa speciale nonche' ogni altro emolumento quiescibile accessorio allo stipendio tabellare, ad eccezione della retribuzione individuale di anzianita', sono inclusi nei fondi di previdenza a capitalizzazione a decorrere dalla data della loro istituzione e fino alla data della loro soppressione e sostituzione, ovvero del loro assorbimento, e per gli importi effettivamente percepiti dagli interessati, con esclusione della rivalutazione - Disparita' di trattamento tra i dipendenti in favore dei quali la rivalutazione e' stata fatta in conformita' ai principi affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e coloro che, in forza della nuova disposizione, percepiscono la rivalutazione del solo stipendio tabellare - Incidenza sulla garanzia previdenziale - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 6/1988, 39 e 402 del 1993. (D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 12, quindicesimo comma, convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68). (Cost., artt. 3, 24, 38, 53, 101, 102 e 104).(GU n.37 del 7-9-1994 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 619 del 1992 proposto da Paleologo Vera e Della Rossa Francesca, rappresentate e difese dall'avv. Francesco d'Audino, con domicilio eletto in Roma, alla via Panisperna n. 104, contro la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura - C.C.I.A.A. di Roma, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Nigro, con domicilio eletto in Roma, al viale Regina Margherita n. 290, per l'annullamento della sentenza n. 677 del 9 maggio 1991 pronunciata tra le parti dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizione della C.C.I.A.A. di Roma; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il cons. Corrado Allegretta; Uditi all'udienza pubblica del 5 novembre 1993 l'avv. d'Audino per le appellanti e l'avv. Cosellato per delega dell'avv. Nigro per l'appellata; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Vera Paleologo e Francesca Della Rossa, ex dipendenti della camera di commercio di Roma, hanno adito il tribunale amministrativo regionale del Lazio per ottenere l'annullamento delle deliberazioni n. 278 e n. 280 del 6 luglio 1989 della giunta di detta camera nella parte in cui non hanno compreso nella base di calcolo del fondo di quiescenza loro spettante: a) l'indennita' incentivante, per il periodo in cui e' stata corrisposta; b) l'indennita' integrativa speciale e la gratifica annuale, per il periodo anteriore al 16 marzo 1970; c) lo stipendio "a regime" di cui al d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268; inoltre, nella parte in cui: d) non hanno calcolato sulle somme spettanti gli interessi e la rivalutazione monetaria. Con lo stesso ricorso e' stata avanzata, altresi', domanda di riconoscimento del diritto alla rivalutazione del fondo a norma dell'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72, con il computo degli emolumenti di cui alle precedenti lettere a) , b) , c) e d). Contro la sentenza n. 677 del 9 maggio 1991, con la quale il tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, le interessate hanno proposto appello, sostenendo che il tribunale ha omesso di pronunciarsi sulle domande di riconoscimento del diritto e di condanna dell'amministrazione al pagamento delle somme dovute. Esse, pertanto, chiedono che il Consiglio di Stato, a parziale riforma della sentenza impugnata, voglia accogliere integralmente il ricorso avanzato in primo grado ed in conseguenza voglia dichiarare il loro diritto alla rivalutazione del fondo di previdenza a norme dell'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72, all'atto della cessazione dal servizio, con il computo di tutte le competenze e gli assegni a quel momento spettanti fin dal momento della costituzione del rapporto; condannando in conseguenza la camera di commercio di Roma al pagamento delle somme dovute, con interessi e rivalutazione dal momento in cui avrebbero dovuto essere corrisposte, oltre che delle spese ed onorari del doppio grado di giudizio. Si e' costituita in giudizio l'amministrazione intimata, che ha controdedotto puntualmente, chiedendo che l'appello sia respinto perche' inammissibile ed infondato. Quanto alla rivalutazione del fondo in questione, infatti, le ricorrenti avrebbero chiesto soltanto che si fosse preso a riferimento lo stipendio "a regime" stabilito dal d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, facendo acquiescenza, poi, alla pronuncia del tribunale; cosicche' la domanda di computo dell'indennita' integrativa speciale e della gratificazione annuale nella rivalutazione del fondo sarebbe, in appello, del tutto nuova e quindi inammissibile. Nel merito, si deve aver riguardo, in sede di rivalutazione del fondo, al solo stipendio tabellare, anche secondo l'interpretazione autentica dell'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72, data con la legge 19 marzo 1993, n. 68. All'udienza del 5 novembre 1993, sentiti i difensori delle parti, la causa e' stata trattenuta in decisione. D I R I T T O Con l'atto introduttivo del giudizio, le ricorrenti hanno avanzato domanda di riconoscimento del loro diritto alla rivalutazione del fondo in questione a norma dell'art. 1 della legge n. 72/1951, all'atto della cessazione dal servizio, con il computo di tutte le competenze e gli assegni a quel momento spettanti fin dal momento della costituzione del rapporto. Tale domanda sarebbe fondata, alla stregua dell'interpretazione della citata disposizione secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (adunanza plenaria 30 marzo 1982, n. 5; sezione sesta, 2 maggio 1983, n. 293; id., 3 dicembre 1983, n. 874; id., 29 luglio 1991, n. 486), per la quale nel novero degli emolumenti rivalutabili a norma dell'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 2, devono ritenersi inclusi tutti quelli pensionabili per le disposizioni sulla cassa di previdenza per i dipendenti degli enti locali. Tra i suddetti emolumenti, la menzionata decisione dell'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali comprende la gratificazione annuale di cui si tratta, prevista dall'art. 40 del regolamento di previdenza del 16 marzo 1970 del personale delle camere di commercio, e l'indennita' integrativa speciale nella misura prevista dal d.l. 30 giugno 1972, n. 267 (art. 19), convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1972, n. 485. Osta, tuttavia, all'accoglimento della stessa la sopravvenienza del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, che all'art. 12, comma quindicesimo, cosi' testualmente dispone: "L'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72, si interpreta nel senso che l'indennita' integrativa speciale, nonche' ogni altro emolumento quiescibile accessorio allo stipendio tabellare, ad eccezione della retribuzione individuale di anzianita', sono inclusi nei fondi di previdenza a capitalizzazione a decorrere dalla data della loro istituzione e fino alla data della loro soppressione e sostituzione, ovvero del loro assorbimento e per gli importi effettivamente percepiti dagli interessati con esclusione della rivalutazione di cui all'articolo stesso". La base di calcolo dei fondi di previdenza a capitalizzazione presi in considerazione dalla legge n. 72/1951 viene, dunque, ridotta al solo stipendio tabellare ed alla retribuzione individuale di anzianita'; mentre dell'indennita' integrativa speciale e di tutti gli altri emolumenti quiescibili accessori allo stipendio tabellare si ammette il computo soltanto nei limiti di tempo e di quantita' indicati. Ne' puo' accedersi alla tesi delle appellanti, secondo la quale il carattere innovativo della norma ne comporterebbe l'inapplicabilita' al caso di specie per il principio di irregolarita' della legge. La fattispecie, invero, concerne un fatto, la rivalutazione del fondo di cui si tratta, che proprio perche' oggetto del presente giudizio, non puo' ritenersi esaurito sotto la vigenza della precedente normativa. Assume, pertanto, rilevanza ai fini della decisione della controversia in un senso o nell'altro la questione di legittimita' costituzionale della citata disposizione per contrasto con gli artt. 24, 101, 102, 104, 3 e 38 della Costituzione, sollevata dalle appellanti. Esse pongono in evidenza che l'intento del legislatore, come si legge nella relazione al disegno di legge di conversione, sia stato quello "di riconsiderare la portata degli effetti che una sentenza del Consiglio di Stato si accinge a produrre sui bilanci delle Camere di commercio, in termini di ridefinizione degli oneri derivanti dalla gestione di residue forme previdenziali alternative alla iscrizione alla CPDEL (Cassa pensioni dipendenti enti locali)" e, dunque, quello di invadere la sfera riservata al potere giudiziario annuallandone la facolta' di interpretazione, con la conseguente compressione della tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche ancora non defi- nite. La norma violerebbe, altresi', gli artt. 3 e 38 della Costituzione, in quanto, per un verso, determinerebbe disparita' di trattamento tra i dipendenti in favore dei quali la rivalutazione prevista dall'art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72, e' stata fatta in conformita' ai principi affermati dalla gurisprudenza del Consiglio di Stato e coloro che, invece, in forza della nuova disposizione, si vedrebbero rivalutare il solo stipendio tabellare; e, dall'altro, incidendo su situazioni giuridiche e patrimoniali sancite dalla precedente legislazione, sarebbe lesiva della certezza dei rapporti giuridici. Principi costituzionali, questi, la cui violazione non troverebbe sufficiente motivo di giustificazione nelle rappresentate ragioni di contenimento della spesa pubblica. La questione di costituzionalita' cosi' sollevata non appare manifestamente infondata. Non v'e' dubbio, infatti, che la norma introdotta dall'art. 12, quindicesimo comma, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, anche a prescindere dalle ragioni contingenti che l'hanno determinata, come rappresentate nella relazione al disegno di legge di conversione, modifica, con effetto retroattivo ed in senso peggiorativo per gli interessati, il disposto dell'art. 1 della legge n. 72/1951, incidendo sulla definizione delle controversie in corso mediante la sovrapposizione d'imperio, a quella risultante da un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, di una interpretazione opposta della norma. Non si ignora, peraltro, il principio affermato dalla Corte costituzionale, secondo il quale un tal genere di norma non interferisce con la potesta' giurisdizionale, che si concreta pur sempre nel decidere le controversie sulla base dei parametri normativi stabiliti dal legislatore. Cosicche', se ne e' dedotto, il legislatore ben puo' porre rimedio ad un'opzione interpretativa della giurisprudenza introducendo una nuova norma, con effetto retroattivo o di natura interpretativa (sentenze 19 gennaio 1988, n. 6; 18 novembre 1993, n. 402). La legittimita' costituzionale di una norma del genere e' stata, tuttavia, subordinata alla sussistenza di esigenze ragionevoli. La stessa Corte esclude peraltro dal novero di tali esigenze quella della contrazione della spesa pubblica (sentenza 10 febbraio 1993, n. 39), e quindi la questione di incostituzionalita' della disposizione legislativa in questione sotto i profili indicati dalle appellanti si manifesta non manifestamente infondata. C'e' da considerare altresi' che la contrazione delle spesa pubblica in funzione del riequilibrio finanziario dei bilanci degli enti pubblici non puo' porsi a carico di determinati soggetti solamente, piuttosto che sulla generalita' dei soggetti interessati alla questione, senza violare il disposto dell'art. 53 della Costituzione, che grava tutti, in ragione della parita' contributiva, del concorso alle spese pubbliche.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quindicesimo comma, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge 1 marzo 1993, n. 68, per contrasto con gli artt. 3, 24, 38, 53, 101, 102 e 104 della Costituzione; Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' ordinato in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, nella camera di consiglio dell'11 novembre 1993. Il presidente: IMPERATRICE I consiglieri: BARBERIO CORSETTI - ADAMO - LUCE Il consigliere, rel. est.: ALLEGRETTA 94C0888