N. 499 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 1994
N. 499 Ordinanza emessa il 30 aprile 1994 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di D'Avossa Gianalfonso Reati militari - Criterio di riconoscimento della militarita' - Possibilita' di considerare "reato militare" ogni violazione della legge penale militare - Esclusivo riferimento al dato formale ai fini della qualificazione di un fatto come "reato militare" - Conseguente violazione del principio di uguaglianza in quanto reati ontologicamente identici (nella specie: peculato d'uso comune e peculato d'uso militare) sono assoggettati a regime giuridico diverso e dovoluti alla cognizione di giudici diversi. (C.P.M.P., art. 37). (Cost., art. 3).(GU n.38 del 14-9-1994 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro D'Avossa Gianalfonso, nato il 17 marzo 1940 a Torino, atto di nascita n. 1260 P.1 S.01, e residente a Roma in via Monte Savello n. 30; generale di brigata E.I. effettivo presso ispettorato dell'arma di artiglieria e della difesa N.B.C. in Roma, gia' comandante della 132a brigata corazzata "Ariete" in Pordenone; coniugato, incensurato, libero, imputato di peculato militare continuato (artt. 81, secondo comma, del c.p., 215 del c.p.m.p., 314, secondo comma, del c.p.) perche' in qualita' di comandante della brigata "Ariete" di Pordenone dal 2 settembre 1990 si appropriava in piu' occasioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, delle due autovetture in dotazione al suo comando (Alfa 33 targata EI-102 CB, Alfa 33 targata EI041 CQ) e le utilizzava per scopi privati per raggiugere localita' fuori dalla propria giurisdizione e sempre senza la prescritta autorizzazione del comandante del quinto corpo d'armata di Vittorio Veneto (ved. circolare USG-G-007 del Ministero della difesa). FATTO E DIRITTO Il gen. b. D'Avossa e', tra l'altro, imputato del reato di peculato d'uso, corrispondente alla previsione dell'art. 314, secondo comma, del c.p. In relazione a quest'imputazione si richiede un approfondimento del problema di giurisdizione. Com'e' noto, dispone l'art. 263 del c.p.m.p. che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari, ed e' pertanto necessario determinare se presenti carattere di militarita' il reato p. e p. dall'art. 314, secondo comma, del c.p. attribuito al gen. D'Avossa. Stabilisce, al riguardo, l'art. 37, primo comma, del c.p.m.p., che "qualunque violazione della legge penale militare e' reato militare". La disposizione, apparentemente inutile (non essendosi a tutt'oggi avuto un interprete cosi' fantasioso da negare il carattere di militarita' alla violazione di detta legge) e cosi' strutturata da lasciare un senso di incompletezza e l'aspettativa di un'ulteriore disposizione comportante che anche violazioni di altre leggi possano essere reato militare, nella realta' e' stata, invece, intesa quale autentica ed esaustiva definizione del reato militare. In altri termini, previa infrazione delle regole della sillogistica, essa e' stata convertita nella proposizione "qualunque reato militare e' violazione della legge penale militare". E si tratta di interpretazione cosi' quasi unanimamente pacifica da non aver a tutt'oggi reso necessarie significative pronunce della giurisprudenza regolatrice. Alla stregua dell'art. 37, primo comma, interpretato nel senso suindicato, e' evidente la conclusione che nella specie ne derivano sul problema di giurisdizione: la violazione dell'art. 314, secondo comma, del c.p., in quanto legge penale comune, non puo' essere reato militare, quando posta in essere dal militare "incaricato di funzioni amministrative o di comando" a danno dell'amministrazione militare. Per la disposizione medesima e' invece, senz'altro militare il peculato delineato nell'art. 215 del c.p.m.p., commesso per l'appunto dal funzionario militare a danno dell'amministrazione militare. Cosi' sono militari anche i peculati degli artt. 217 e 218 del c.p.m.p. Ma questo tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 37, primo comma, come sopra inteso, quale definizione del reato militare. Ne appare vulnerato il principio costituzionale dell'art. 3, in quanto reati ontologicamente identici, quali da un lato quello previsto dall'art. 314, secondo comma, del c.p. e attribuito al D'Avossa e dall'altro quello previsto dall'art. 215 del c.p.m.p., il primo considerato comune ed il secondo militare, sono tuttavia assoggettati a regimi giuridici diversi (per elemento soggettivo ex art. 39 del c.p.m.p., aggravanti, attenuanti, scriminanti, pene principali ed accessorie, sanzioni sostitutive, esecuzioni della pena, effetti penali della condanna, ecc.). Si considerino, al riguardo, soprattutto la parte generale del vigente c.p.m.p. e le leggi sullo stato giuridico delle varie categorie di militari. Naturalmente, l'irrazionalita' non e' solo in questo caso, perche' anzi essa e' elevata a sistema. Nell'esemplificazione occorre, tuttavia, attenersi a criteri di stringatezza. Si consideri che, sulla base della comunemente accettata interpretazione dell'art. 37, primo comma, con le gia' evidenziate diverse conseguenze in ordine al complessivo regime giuridico, e' reato militare: l'abuso dell'ufficio di comando quando dia luogo a peculato o malversazione (artt. 212 e 216 del c.p.m.p.), ma non il generico abuso del medesimo ufficio; l'omicidio a danno del superiore o dell'inferiore (artt. 186 e 195 del c.p.m.p.) nelle situazioni indicate nell'art. 199 del c.p.m.p., ma non quando commesso nell'ambiente militare in qualsiasi altra circostanza; le lesioni volontarie (artt. 223 e 224 del c.p.m.p.) a danno di qualsiasi militare (parigrado, e inferiore e superiore al di fuori delle circostanze indicate nell'art. 199), ma mai l'omicidio preterintenzionale e volontario; persino (T.S.M., 14 novembre 1969, c. Malavasi) l'eccesso colposo in una causa di giustificazione (art. 45 del c.p.m.p.), ma non il corrispondente reato colposo; il furto a danno di militare in luogo militare (art. 230 del c.p.m.p.), ma non la rapina avente identiche caratteristiche; la minaccia a danno di militare (art. 229 del c.p.m.p.), ma non la violenza privata o l'estorsione, pur trattandosi di norme delittuose in cui a volte si realizza il c.d. nonnismo; ecc. Il criterio, di diritto vivente, per il riconoscimento della militarita' del reato porta davvero all'applicazione di regimi giuridici diversi a reati ontologicamente identici. Ma dall'art. 37, primo comma, deriva anche un'ulteriore violazione del principio dell'art. 3 della Costituzione, in quanto reati aventi la medesima oggettivita' giuridica sono, assoggettati a due diverse giurisdizioni. Quest'ultimo aspetto, in verita', non e' cosi' drammatico come il primo, dal momento che le regole processuali applicate dinanzi ai tribunali militari sono ormai quelle stesse, in ogni aspetto, che regolano il processo penale comune. Inoltre, le garanzie di indipendenza dei magistrati militari sono quelle stesse riconosciute alla magistratura ordinaria (leggi 7 maggio 1981, n. 180, e 30 dicembre 1988, n. 561). Rimane tuttavia un dato, posto bene in rilievo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49/1989, caratterizzante la giurisdizione militare, e sul quale questo tribunale fonda l'ulteriore profilo di apparente violazione dell'art. 3 della Costituzione. Si tratta della presenza nel collegio giudicante dell'ufficiale delle forze armate (art. 2, secondo comma, n. 3, della citata legge n. 180/1981) che, come argomenta la Corte, e' "chiamato a dare un qualificato contributo inerente alla peculiarita' della vita e dell'organizzazione militare; contributo consistente nell'aiutare il collegio a fondare le proprie valutazioni sulla piena conoscenza e la piena comprensione dei molteplici aspetti del concreto atteggiarsi di quel settore; delle condizioni che lo caratterizzano e dei problemi che vi si pongono. Aspetti tutti che non possono non riflettersi sulla ricostruzione e valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi dei fatti-reati sottoposti al giudizio del tribunale, anche alla luce di quei valori tipici dell'ordinamento militare che gia' la Corte ha ritenuto tali da concorrere a giustificare l'esistenza della speciale giurisdizione (sentenza n. 192/1976)". Ora, se si e' per cio' in presenza di una giurisdizione speciale e specializzata, ne risulta dall'art. 37, primo comma, del c.p.m.p. vulnerato il principio dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, tra reati oggettivamente identici, solamente quelli compresi in quella "definizione" sono devoluti alla cognizione del giudice militare.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37 del c.p.m.p. in relazione all'art. 3 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che l'ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 30 aprile 1994 Il presidente estensore: ROSIN 94C0958