N. 516 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 1994
N. 516 Ordinanza emessa il 15 luglio 1994 dal giudice per le indagini preliminari c/o la pretura di Torino nel procedimento penale a carico di Pascucci Paolo ed altro Processo penale - Custodia cautelare in carcere - Applicazione solo nei casi previsti dall'art. 275, comma terzo - Preclusione in caso del reato di ricettazione - Conseguente disposizione degli arresti domiciliari - Impossibilita' in caso di indagato privo di stabile dimora - Lesione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento tra indagati a seconda delle situazioni personali e familiari di ciascuno. (C.P.P. 1988, art. 275, commi 3-bis e 3-ter, aggiunto dal d.l. 14 luglio 1994, n. 440). (Cost., art. 3).(GU n.38 del 14-9-1994 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato nei confronti di Pascucci Paolo, nato il 21 maggio 1968 a Torino, residente ed elettivamente domiciliato a norma dell'art. 161 del c.p.p. in Torino, strada del Drosso 158/C e Pascucci Gerardo, nato il 7 giugno 1959 a Frigento, residente ed elettivamente domiciliato a norma dell'art. 161 del c.p.p. in Torino, strada del Drosso 158/C, in ordine al reato p. e p. dagli artt. 110 e 648 del c.p., perche', in concorso tra loro, per procurarsi un profitto, acquistavano o comunque ricevevano l'autovettura Fiat Uno targata TO 48169F, provento del delitto di furto commesso in danno di Borghino Stefania, come da denuncia da quest'ultima presentata presso i carabinieri di Torino. In Torino, in data anteriore e prossima al 12 luglio 1994. Con la recidiva a norma dell'art. 99 del c.p. per entrambi. O S S E R V A Nel corso di un normale controllo, i verbalizzanti notavano l'autovettura indicata in rubrica con a bordo due persone, ferma in doppia fila nei pressi di un bar. Tale posizione dell'auto attirava l'attenzione dei predetti che decidevano di effettuare una verifica. Il guidatore dell'auto, successivamente identificato per Pascucci Paolo, che si trovava in compagnia di suo fratello Gerardo, accortosi dell'intenzione dei militi, avviava il motore e ripartiva a velocita' sostenuta. I verbalizzanti si ponevano all'inseguimento, allertando anche la centrale operativa, fino a quando riuscivano a bloccare l'autovettura e a identificare gli occupanti di essa. I successivi accertamenti consentivano di stabilire trattarsi di auto rubata a Borghino Stefania, come da denuncia da quest'ultima presentata presso la stazione carabinieri Torino - San Salvario in data 12 giugno 1994. La vettura aveva la plancia sottosterzo completamente asportata e presentava il nottolino di accensione divelto dalla propria sede, mentre nel quadro si trovava inserita una chiave non propria di quella autovettura, bensi' di una Honda, attaccata ad un portachiavi con altre cinque chiavi. All'interno dle veicolo, i verbalizzanti rinvenivano e sequestravano arnesi da scasso e altro materiale, tra cui un videoregistratore Hitachi, due calcolatrici tascabili nuove e tre torce elettriche. In relazione a tali fatti, i militi sottoponevano gli indagati a fermo di p.g. per il reato di ricettazione come sopra riportato, mentre contravvenivano il solo Pascucci Paolo in ordine alla violazione all'art. 116, tredicesimo comma, nuovo codice della strada. Il pubblico ministero, in data 14 luglio 1994, chiedeva a questo giudice la convalida del fermo e, contestualmente, l'applicazione agli indagati della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere. All'odierna udienza, Pascucci Gerardo negava di aver commesso il delitto di ricettazione e affermava di essersi trovato in macchina solo in conseguenza di un litigio avuto con i genitori, pur sapendo che l'auto era stata rubata da suo fratello. Pascucci Paolo, invero, ammetteva di aver commesso il furto dell'auto e specificava, su domande, modalita', tempi e circostanze di tale furto. Per quanto riguarda le altre cose rinvenute nell'auto, egli dichiarava che esse gli appartenevano e che le aveva caricate in macchina solo per portarle via di casa, ove anch'egli aveva litigato con i propri genitori. Le dichiarazioni rese da quest'ultimo indagato non appaiono attendibili e credibili per una serie di ragioni. Pur senza considerare, infatti, che esse possono essere state fatte per convenienza, giacche' consentono di escludere da ogni responsabilita' Pascucci Gerardo, in modo che il reato possa essere addebitato ad una sola persona e perche' attraverso l'eventuale giudizio di bilanciamento il furto di cui il Pascucci si accusa risulterebbe in concreto certamente meno afflittivo in relazione alla pena che potrebbe, invece, essere irrogata in caso di condanna per ricettazione, sul piano oggettivo, le dichiarazioni dell'indagato non trovano alcuna conferma negli elementi acquisiti agli atti. Egli ha sostenuto di aver rubato l'auto da una quindicina di giorni, mentre la stessa risulta denunciata rubata oltre un mese prima; il predetto ha affermato di aver provveduto all'avviamento del motore semplicemente staccando e collegando i fili di accensione, mentre sull'auto e' stata riscontrata la completa asportazione del nottolino di accensione e l'inserimento in essa di una chiave "falsa". L'indagato, inoltre, risulta certamente menzognero quando fa riferimento alle altre cose trovate in suo possesso all'interno dell'autovettura. L'ipotesi allo stato piu' probabile, in attesa di eventuali suc- cessive indagini del pubblico ministero, appare, insomma, quella contestata di ricettazione a carico di entrambi gli indagati e non quella di furto di cui si e' accusato il solo Pascucci Paolo. Questo giudice, sulla base degli esposti elementi, si trova a dover decidere le due richieste in atti del pubblico ministero, la prima relativa alla convalida del fermo e la seconda in ordine all'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere. Senonche', proprio in data odierna e' entrato in vigore il decreto-legge 14 luglio 1994, n. 440, che comporta una serie di problemi interpretativi e qualche questione di legittimita' costituzionale. Con l'art. 2 di tale decreto sono state apportate alcune modifiche all'art. 275 del c.p.p. Con esso, poi, sono stati introdotti al detto articolo anche i commi 3- bis e 3-ter. Nel comma 3-bis, si stabilisce il divieto di applicazione della misura cautelare in carcere per delitti diversi da quelli indicati nel terzo comma e nell'art. 380 e nel coma 3- ter si prevedono alcune eccezioni a tale divieto, attraverso il richiamo numerico degli articoli del codice penale che prevedono figure delittuose per cui continua ad essere consentita la misura cautelare in carcere. La formulazione di tale ultimo comma fa sorgere qualche dubbio interpretativo. L'inciso "fermo quanto previsto dall'art. 280", ad esempio, consente due tpi di interpretazione. L'art. 280 del c.p.p., invero, stabilisce i limiti di pena oltre i quali e' consentita l'applicazione di misura cautelare. Con esso, inoltre, si fanno anche salvi i casi di applicazione di misura cautelare a seguito di udienza di convalida prevista dall'art. 391 del c.p.p. L'esigenza di tale ultima clausola di salvezza era stata prevista dal legislatore in relazione ai casi disciplinati dal quinto comma dell'art. 391, con cui si ammetteva l'applicazione di misure cautelari anche in conseguenza di arresto facoltativo in flagranza per reati previsti dall'art. 381 del c.p.p., al di fuori dei limiti di applicabilita' delle misure coercitive previsti dall'art. 280 del c.p.p. Il fatto che il legislatore abbia utilizzato l'inciso di cui si tratta puo', pertanto, essere interpretato in due modi. La prima interpretazione consente di ipotizzare che il legislatore abbia inteso mantenere in vigore, anche con riferimento all'applicazione di misure coercitive, la medesima disciplina esistente prima dell'introduzione del decreto-legge in parola nei casi di arresto o fermo. Tale inciso, percio', starebbe a significare che le misure adottate in sede di udienza di convalida, sia in conseguenza di un arresto, sia in conseguenza di un fermo, sarebbero svincolate dall'intera nuova disciplina introdotta dal decreto-legge medesimo. Questa interpretazione appare, pero', poco convincente, attesa la collocazione sistematica dell'inciso medesimo e tenuto conto del fatto che il riferimento all'art. 391 del c.p.p. dell'art. 280 del c.p.p., come si e' detto, era stato dettato, in via eccezionale, soltanto per consentire l'applicazione di misure cautelari anche in caso di arresto facoltativo per reati puniti con pene al di fuori dei limiti imposti dall'art. 280. Se il legislatore avesse inteso introdurre un'eccezione piena alla disciplina di recente introduzione per tutti i casi conseguenti ad applicazione di misure cautelari disposte a seguito di arresti o fermi, avrebbe collocato l'inciso di cui si tratta nel comma 3-bis, esattamente come e' stato fatto per i delitti indicati nel terzo comma e per quelli indicati nell'art. 380. La seconda intepretazione che, per quanto gia' osservato, appare preferibile, e' quella secondo la quale ai delitti richiamati espressamente nel comma 3- ter dell'art. 275 puo' essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere, indipendentemente dal divieto contenuto nel comma 3- bis e sempre che siano rispettati i limiti di applicabilita' dell'art. 280. Occorre, in altri termini, che per i delitti di cui si tratta sia prevista una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni di reclusione ovvero che per essi si proceda in sede di convalida di arresto in flagranza. Seguendo tale interpretazione, il richiamo fatto all'art. 280 del c.p.p., avrebbe una doppia funzione. Da una parte, si e' voluto mantenere inalterate le astratte condizioni di applicabilita' delle misure coercitive e, cioe', l'impossibilita' di emettere misure per reati, quali ad esempio quelli previsti dagli artt. 385 o 530 del c.p., pure richiamati espressamente dal comma 3-ter, per i quali non risulta stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni e l'impossibilita' di emettere misure pure se si tratta di persona dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza, se non nei limiti di quanto disposto dall'art. 280 del c.p.p. Dall'altra parte, si e' inteso ugualmente richiamare la regola contenuta nel quinto comma dell'art. 391 del c.p.p., che nel caso specifico dovrebbe poter riguardare soltanto i delitti di evasione e corruzione di minorenni, consentendo di applicare anche la misura della custodia cautelare in carcere a seguito di convalida di arresto in flagranza per tali delitti. Se si seguisse la prima di tali interpretazioni, si perverebbe all'illogica conclusione di assegnare alla polizia giudiziaria, in caso di esercizio del potere di arresto o di fermo ed al pubblico ministero, solo nei casi di fermo, la facolta' di rendere applicabile anche la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere a fatti analoghi per i quali non sarebbe consentita tale applicazione se tale potere di arresto o fermo non fosse stato esercitato. E' vero che anche il quinto comma dell'art. 391 del c.p.p. di cui si e' detto consente un'analoga disciplina, ma esso si riferisce a pochi, individuati e meno estesi casi di solo arresto in flagranza, motivati evidentemente dall'intento di consentire un proficuo e piu' efficace sviluppo all'attivita' di polizia, mentre la portata dell'eccezionale disciplina prevista dall'art. 3- ter di recente introduzione assumerebbe aspetti e dimensioni di enorme ampiezza, tali da far fondatamente dubitare della relativa legittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione. Riguardando un notevole numero di reati, sia con riferimento ai provvedimenti di arresto, sia con riferimento a quelli di fermo, si finirebbe con l'assegnare alla polizia giudiziaria, in primo luogo, ed al pubblico ministero, in seconda battuta, delle facolta' discrezionali poco compatibili con i criteri di ragionevolezza e di uguaglianza piu' volte chiariti dalla Corte costituzionale. Se si accetta la seconda interpretazione, quella cioe' piu' rispondente alla collocazione sistematica della clusola di salvezza di cui si tratta e piu' conforme alla complessiva disciplina dell'art. 280 del c.p.p., i dubbi di legittimita' costituzionale della disposizione in parola aumentano ed assumono aspetti di concreta rilevanza. L'art. 648 del c.p., infatti, non risulta compreso nell'elenco dei delitti per i quali, in deroga al divieto previsto dal comma 3-bis, possa essere ugualmente applicata la misura della custodia in carcere. Alla luce del principio di ragionevolezza in presenza di situazioni analoghe, non si comprende, allora, come il legislatore possa aver escluso l'applicabilita' della misura cautelare in carcere in tutti i casi di ricettazione, quando invece essa risulta consentita per i delitti di furto pluriaggravato ovvero anche per i delitti di furto monoaggravato, quando in particolare ricorrano le aggravanti previste dall'art. 625, primo comma, n. 1, 2 prima ipotesi e 4 seconda ipotesi del codice penale. Non si comprende, in altri termini, la sostanziale diversita' di disciplina nel caso in cui si tratti, ad esempio, di furto di autovettura aggravato dalla violenza sulle cose ovvero di ricettazione della stessa, sempre che, evidentemente, ricorrano i presupposti di applicabilia' della custodia cautelare in carcere. Nel caso di specie, l'illogicita' e l'irragionevolezza sistematica che derivano dall'applicazione della nuova disposizione, nell'interpretazione che di essa si ritiene di dover dare, appaiono ancor piu' evidenti. Pascucci Paolo, come si e' osservato, nel corso dell'odierno interrogatorio, ha confessato di aver commesso il furto dell'autovettura usando violenza sulla cosa e tale affermazione appare poco credibile, sulla base degli elementi acquisiti in atti. Qualora si ritenga veritiera e attendibile la confessione di furto fatta dall'indagato, a norma della lettera e) dell'art. 380 del c.p.p. e del disposto del comma 3- bis dell'art. 275 del c.p.p., potrebbe, infatti, essere applicata la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere. Qualora, al contrario, si dovesse ritenere inattendibile, come pare, la confessione del Pascucci, il reato ipotizzabile nei fatti sarebbe quello della ricettazione dell'autovettura, cosi' come originarimente qualificato dai carabinieri e dal pubblico ministero. In questo caso, pero', per l'espressa preclusione del comma 3- ter dell'art. 275 del c.p.p., non sarebbe consentita l'applicazione della medesima misura cautelare. Il fatto commesso dal Pascucci, tanto se si dia credito alla sua confessione, quanto se essa sia ritenuta inattendibile, appare di sostanziale analoga gravita' e, anzi, persino piu' grave nell'ottica della sussistenza del delitto di ricettazione, se non altro perche' frutto di un dolo di maggiore intensita' e di amicizie e collegamenti con persone e ambienti presso i quali vengono tenute condotte criminose. Anche sotto l'aspetto soggettivo, il giudizio non cambia. L'indagato ha riportato numerose condanne, pur senza essere stato dichiarato delinquente abituale o per tendenza, risulta avere a suo carico pendenti numerosissimi altri procedimenti penali, risulta di fatto privo di una stabile dimora come dal medesimo dichiarato. Tali elementi inducono a ritenere che la eventuale misura degli arresti domiciliari risulterebbe del tutto inadeguata a salvaguardare le esigenze cautelari previste dalla lett. c) dell'art. 274 del c.p.p., sia sotto il profilo dell'impossibilita' materiale di costanti e continui controlli, sia nell'ottica della previsione di ottemperanza da parte dell'indagato. La misura degli arresti domiciliari, in ogni caso, sarebbe anche materialmente inapplicabile per mancanza di un'abitazione o di una dimora dell'indagato che, tra l'altro, ha anche espressamente dichiarato di avere litigato con i propri familiari e di essersi volontariamente allontanato da casa. In un caso come quello in esame, insomma, la misura della custodia cautelare in carcere appare l'unica applicabile, giacche' tutte le altre risultano soggettivamene ed oggettivamente inadeguate alla salvaguardia delle esigenze cautelari, per cui, in mancanza della possibilita' di applicazione della custodia in carcere, l'indagato deve essere lasciato libero. In secondo luogo, quand'anche si ritenesse di poter astrattamente applicare la misura degli arresti domiciliari, ugualmente l'indagato andrebbe liberato per mancanza di idoneo domicilio presso il quale disporre gli arresti. In tal modo, tra l'altro, si introduce altra possibile disparita' di trattamento tra indagato e indagato, a seconda delle situazioni personali e familiari di ciascuno e a seconda che i familiari consentano o meno di ospitare l'indagato sottoposto a detenzione domiciliare e colpito, magari, da una serie di altri divieti e limitazioni. Nella descritta situazione l'applicazione dell'art. 275, nella nuova formulazione introdotta dal d.l. 14 luglio 1994, n. 440, appare contrastare con i principi di ragionevolezza e uguaglianza previsti dall'art. 3 della Costituzione, dal momento che situazioni analoghe sono esposte a trattamenti sostanzialmente e notevolmente diversi. Per le esposte ragioni, si ritiene di poter proporre al vaglio della Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale che sembra potersi ravvisare nell'attuale situazione processuale. Non pare manifestamente infondato ritiene, infatti, che i commi 3- bis e 3- ter dell'art. 275 del c.p.p., come introdotti dall'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, siano illegittimi per violazione del principio contenuto nell'art. 3 della Costituzione, per cui gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' la Corte valuti la legittimita' costituzionale dell'art. 275, commi 3- bis e 3- ter, del codice di procedura penale, introdotti dal decreto-legge 14 luglio 1994, 440, in relazione all'art. 3 della Costituzione e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti della due Camere del Parlamento. Torino, addi' 15 luglio 1994 Il giudice: CASALBORE Il collaboratore di cancelleria: OLIVETTI 94C0975