N. 517 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 1994

                                N. 517
 Ordinanza  emessa  il  15  luglio  1994  dal  giudice per le indagini
 preliminari c/o la pretura di Torino nel procedimento penale a carico
 di De Lisi Nunzio
 Processo penale - Custodia cautelare in carcere - Applicazione solo
    nei casi previsti dall'art. 275, terzo comma - Preclusione in caso
    del reato di ricettazione - Conseguente disposizione degli arresti
    domiciliari - Impossibilita' in caso di indagato privo di  stabile
    dimora  -  Lesione del principio di ragionevolezza - Disparita' di
    trattamento tra indagati a seconda delle  situazioni  personali  e
    familiari di ciascuno.
 (C.P.P. 1988, art. 275, commi 3-bis e 3-ter, aggiunto dal d.l. 14
    luglio 1994, n. 440).
 (Cost., art. 3).
(GU n.38 del 14-9-1994 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato nei confronti
 di  De  Lisi  Nunzio,  nato il 25 ottobre 1974 a Torino, residente ed
 elettivamente  domiciliato  a  norma  dell'art.  161  del  c.p.p.  in
 Buttigliera Alta, via della Stazione n. 3, in ordine al reato p. e p.
 dagli  artt.  81  cpv.,  e  648  del c.p., perche', in esecuzione del
 medesimo disegno criminoso, per procurarsi un profitto, acquistava  o
 comunque riceveva i seguenti beni provento di furto commesso in danno
 di  Appendino  Giacomo, Orlando Mauro e Chiodelli Gian Mario, come da
 denunce  da  questi  ultimi  rispettivamente  presentate  presso   la
 stazione dei carabinieri di Grugliasco:
      un televisore Schaub Lorenz S.L. 29.29 Teletext;
      un'autoradio marca Sony XR7070 CD Changer Control;
      22  C.D.  (autori  vari)  compreso di porta C.D. (antifurto) con
 chiave inserita;
      un amplificatore marca Yamaha modello AX450;
      un sintonizzatore marca Technics modello ST-Z450;
      un piatto giradischi marca Technics modello S.L. 1210/MK2;
      un'antenna parabolica per televisore  marca  Cobra,  modello  LB
 330;
      un riproduttore cassette marca Technics, modello Dek 612;
      un mixer marca Pover, modello P.M.P. 606;
      un mixer marca Roclab modello MX 8.200;
      una piastra per cassette marca Tascam modello 112;
      una piastra CD marca Sony modello C.D.P. 297;
      una  Fiat  Uno  targata  NO  730909,  intestata a Chiodelli Gian
 Mario;
      una chiave marca Bologna riportante il seguente numero 2232;
      una patente intestata ad Appendino Giacomo, nato a Carmagnola  e
 residente  in  Piossasco, via Torino 64, n. TO3207178B, rilasciata in
 data 21 febbraio 1990 dalla prefettura di Torino.
    Accertato in Torino il 13 luglio 1994.
    Con la recidiva a norma dell'art. 99 del c.p.
                             O S S E R V A
    Nel corso di una normale operazione originata da alcune denunce di
 furto di materiali utilizzabili per la diffusione sonora di dischi, i
 verbalizzanti sorprendevano il De Lisi mentre si trovava in  possesso
 dell'autovettura   indicata  nel  capo  d'imputazione,  provento  del
 delitto di furto in danno  del  proprietario  ed  in  possesso  della
 patente  di  guida  intestata  ad  Appendino  Giacomo,  di  cui  pure
 quest'ultimo aveva denunciato il furto. I militi, inoltre, sulla base
 delle dichiarazioni ricevute da Buonaccordo Agostino, cui erano stati
 sottratti  i  materiali di diffusione sonora, da Cristilli Marco, che
 tali strumenti ed apparecchiature utilizzava nel  proprio  esercizio,
 nonche'  da Ballari Massimo, che aveva rifornito il Cristilli di tali
 apparecchiature, risalivano al De Lisi anche per quanto riguardava la
 ricettazione di tali oggetti che l'indagato aveva  venduto,  appunto,
 al Ballari.
    I verbalizzanti, effettuati i necessari accertamenti, acquisite le
 denunce  di  furto  ed effettuate le perquisizioni presso i luoghi di
 dimora del De Lisi, sottoponevano l'indagato a fermo di p.g.  per  il
 delitto di ricettazione sopraindicato.
    Il  pubblico  ministero, in data 14 luglio 1994, chiedeva a questo
 giudice la convalida del  fermo  e,  contestualmente,  l'applicazione
 all'indagato  della  misura  coercitiva  della  custodia cautelare in
 carcere.
    Nel corso dell'odierno interrogatorio, il  De  Lisi  ammetteva  di
 aver  ricettato  gli impianti di diffusione sonora da tal Giuseppe di
 Susa, mentre negava ogni responsabilita' in ordine all'autovettura ed
 al materiale in essa contenuto, di cui negava  persino  di  avere  il
 possesso.  Per  quanto  riguarda  la  patente  di  guida,  l'indagato
 sosteneva di  averla  rinvenuta  per  caso  e  di  averla  presa  per
 consegnarla successivamente ai carabinieri.
    Le    dichiarazioni   rese   dall'indagato   appaiono   prive   di
 attendibilita', sia sotto l'aspetto della  logica  credibilita',  sia
 sul piano oggettivo degli elementi acquisiti dai verbalizzanti.
    Il  medesimo De Lisi, infatti, e' stato visto sia dal Ballari, sia
 dai carabinieri mentre era nel pieno possesso dell'autovettura di cui
 si tratta e degli oggetti in essa contenuti. Del tutto inattendibili,
 poi, appaiono le affermazioni fatte in ordine  al  preteso  venditore
 dei  materiali elettronici e all'intenzione di consegna della patente
 ai carabinieri.
    Questo giudice, sulla base degli  esposti  elementi,  si  trova  a
 dover  decidere  le  due richieste in atti del pubblico ministero, la
 prima relativa alla convalida  del  fermo  e  la  seconda  in  ordine
 all'applicazione  della misura coercitiva della custodia cautelare in
 carcere.
    Senonche', proprio in data odierna e' entrato in vigore  il  d.l.
 14   luglio  1994,  n.  440,  che  comporta  una  serie  di  problemi
 interpretativi e qualche questione di legittimita' costituzionale.
    Con l'art. 2 di tale decreto sono state apportate alcune modifiche
 all'art. 275 del c.p.p. Con esso, poi, sono stati introdotti al detto
 articolo anche i commi 3- bis e 3-ter.
    Nel comma 3-bis, si stabilisce il divieto  di  applicazione  della
 misura  cautelare  in  carcere per delitti diversi da quelli indicati
 nel terzo comma e nell'art. 380 e  nel  comma  3-  ter  si  prevedono
 alcune  eccezioni  a  tale  divieto,  attraverso il richiamo numerico
 degli articoli del codice penale che prevedono figure delittuose  per
 cui continua ad essere consentita la misura cautelare in carcere.
    La  formulazione  di  tale  ultimo comma fa sorgere qualche dubbio
 interpretativo. L'inciso "fermo quanto previsto  dall'art.  280",  ad
 esempio, consente due tipi di interpretazione.
    L'art. 280 del c.p.p., invero, stabilisce i limiti di pena oltre i
 quali  e'  consentita  l'applicazione  di misura cautelare. Con esso,
 inoltre, si fanno anche  salvi  i  casi  di  applicazione  di  misura
 cautelare  a  seguito  di udienza di convalida prevista dall'art. 391
 del  c.p.p.  L'esigenza di tale ultima clausola di salvezza era stata
 prevista dal legislatore in relazione ai casi disciplinati dal quinto
 comma dell'art. 391, con cui si ammetteva  l'applicazione  di  misure
 cautelari  anche  in  conseguenza di arresto facoltativo in flagranza
 per reati previsti dall'art. 381 del c.p.p., al di fuori  dei  limiti
 di  applicabilita' delle misure coercitive previsti dall'art. 280 del
 c.p.p.
    Il fatto che il legislatore abbia utilizzato l'inciso  di  cui  si
 tratta puo', pertanto, essere interpretato in due modi.
    La prima interpretazione consente di ipotizzare che il legislatore
 abbia   inteso   mantenere   in   vigore,   anche   con   riferimento
 all'applicazione  di  misure  coercitive,  la   medesima   disciplina
 esistente  prima  dell'introduzione  del  decreto legge in parola nei
 casi di arresto o fermo. Tale inciso, percio', starebbe a significare
 che le misure adottate in  sede  di  udienza  di  convalida,  sia  in
 conseguenza  di un arresto, sia in conseguenza di un fermo, sarebbero
 svincolate dall'intera nuova disciplina introdotta dal  decreto-legge
 medesimo.
    Questa  interpretazione appare, pero', poco convincente, attesa la
 collocazione sistematica dell'inciso  medesimo  e  tenuto  conto  del
 fatto  che  il  riferimento all'art. 391 del c.p.p. dell'art. 280 del
 c.p.p., come si e' detto, era  stato  dettato,  in  via  eccezionale,
 soltanto  per  consentire l'applicazione di misure cautelari anche in
 caso di arresto facoltativo per reati puniti con pene al di fuori dei
 limiti imposti dall'art. 280.
    Se il legislatore avesse inteso introdurre un'eccezione piena alla
 disciplina di recente introduzione per tutti i  casi  conseguenti  ad
 applicazione  di  misure  cautelari  disposte  a seguito di arresti o
 fermi, avrebbe collocato l'inciso di cui si tratta nel  comma  3-bis,
 esattamente  come  e'  stato  fatto  per i delitti indicati nel terzo
 comma e per quelli indicati nell'art. 380.
    La seconda interpretazione che, per quanto gia' osservato,  appare
 preferibile,  e'  quella  secondo  la  quale  ai  delitti  richiamati
 espressamente nel comma 3- ter dell'art. 275 puo' essere applicata la
 misura cautelare della custodia  in  carcere,  indipendentemente  dal
 divieto  contenuto  nel  comma 3- bis e sempre che siano rispettati i
 limiti di applicabilita' dell'art. 280. Occorre,  in  altri  termini,
 che  per  i  delitti di cui si tratta sia prevista una pena detentiva
 superiore nel massimo a tre anni di reclusione ovvero che per essi si
 proceda in sede di convalida di arresto in flagranza.
    Seguendo tale interpretazione, il richiamo fatto all'art. 280  del
 c.p.p., avrebbe una doppia funzione.
    Da  una  parte,  si  e'  voluto  mantenere  inalterate le astratte
 condizioni  di  applicabilita'  delle  misure  coercitive  e,  cioe',
 l'impossibilita'  di  emettere  misure  per  reati,  quali ad esempio
 quelli previsti dagli artt. 385  o  530  del  c.p.,  pure  richiamati
 espressamente  dal  comma 3-ter, per i quali non risulta stabilita la
 pena  della  reclusione  superiore  nel  massimo   a   tre   anni   e
 l'impossibilita'di  emettere  misure  pure  se  si  tratta di persona
 dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza, se non
 nei limiti di quanto disposto dall'art. 280 del c.p.p.
    Dall'altra  parte,  si  e'  inteso ugualmente richiamare la regola
 contenuta nel quinto comma dell'art. 391 del  c.p.p.,  che  nel  caso
 specifico  dovrebbe poter riguardare soltanto i delitti di evasione e
 corruzione di minorenni, consentendo di  applicare  anche  la  misura
 della custodia cautelare in carcere a seguito di convalida di arresto
 in flagranza per tali delitti.
    Se  si  seguisse  la prima di tali interpretazioni, si perverrebbe
 all'illogica conclusione di assegnare alla  polizia  giudiziaria,  in
 caso  di  esercizio  del  potere di arresto o di fermo ed al pubblico
 ministero, solo nei casi di fermo, la facolta' di rendere applicabile
 anche la misura coercitiva della  custodia  cautelare  in  carcere  a
 fatti  analoghi  per i quali non sarebbe consentita tale applicazione
 se tale potere di arresto o fermo non fosse stato esercitato.
    E' vero che anche il quinto comma dell'art. 391 del c.p.p. di  cui
 si  e'  detto  consente un'analoga disciplina, ma esso si riferisce a
 pochi, individuati e meno estesi casi di solo arresto  in  flagranza,
 motivati  evidentemente dall'intento di consentire un proficuo e piu'
 efficace  sviluppo  all'attivita'  di  polizia,  mentre  la   portata
 dell'eccezionale  disciplina  prevista  dall'art.  3-  ter di recente
 introduzione assumerebbe aspetti e  dimensioni  di  enorme  ampiezza,
 tali   da  far  fondatamente  dubitare  della  relativa  legittimita'
 costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione.
    Riguardando un notevole numero di reati, sia  con  riferimento  ai
 provvedimenti  di  arresto, sia con riferimento a quelli di fermo, si
 finirebbe con l'assegnare alla polizia giudiziaria, in  primo  luogo,
 ed   al  pubblico  ministero,  in  seconda  battuta,  delle  facolta'
 discrezionali poco compatibili con i criteri di ragionevolezza  e  di
 uguaglianza piu' volte chiariti dalla Corte costituzionale.
    Se  si  accetta  la  seconda  interpretazione,  quella  cioe' piu'
 rispondente alla collocazione sistematica della clausola di  salvezza
 di  cui  si  tratta  e  piu'  conforme  alla  complessiva  disciplina
 dell'art. 280 del c.p.p.,  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
 della  disposizione  in  parola  aumentano  ed  assumono  aspetti  di
 concreta rilevanza.
    L'art. 648 del c.p., infatti, non risulta compreso nell'elenco dei
 delitti per i quali, in deroga al divieto previsto dal  comma  3-bis,
 possa  essere  ugualmente  applicata  la  misura  della  custodia  in
 carcere.
    Alla  luce  del  principio  di  ragionevolezza  in   presenza   di
 situazioni  analoghe,  non  si comprende, allora, come il legislatore
 possa aver escluso l'applicabilita' della misura cautelare in carcere
 in  tutti  i  casi  di  ricettazione,  quando  invece  essa   risulta
 consentita  per  i delitti di furto pluriaggravato ovvero anche per i
 delitti di furto monoaggravato, quando in  particolare  ricorrano  le
 aggravanti previste dall'art. 625, primo comma, n. 1, 2 prima ipotesi
 e 4 seconda ipotesi del codice penale.
    Non  si  comprende, in altri termini, la sostanziale diversita' di
 disciplina nel caso in  cui  si  tratti,  ad  esempio,  di  furto  di
 autovettura   aggravato   dalla   violenza   sulle   cose  ovvero  di
 ricettazione della stessa, sempre  che,  evidentemente,  ricorrano  i
 presupposti di applicabilita' della custodia cautelare in carcere.
    Nel caso di specie, l'illogicita' e l'irragionevolezza sistematica
 che    derivano    dall'applicazione    della   nuova   disposizione,
 nell'interpretazione che di essa si ritiene di dover  dare,  appaiono
 evidenti e rilevanti.
    De  Lisi  Nunzio,  come  si  e'  osservato, nel corso dell'odierno
 interrogatorio,  ha   fatto   dichiarazioni   complessivamente   poco
 attendibili  ed  esse  potrebbero  persino  essere giustificate dalla
 necessita'  di  evitare  di  dover  confessare   di   aver   commesso
 personalmente i furti delle cose di cui si tratta.
    In  tutti  i  casi  in esame, invero, si e' trattato di furti o di
 autovetture, aggravati dalla violenza sulle cose o di furti  commessi
 introducendosi con violenza sulle cose in esercizi pubblici, come per
 le  discoteche "Chalet del Lago" e "Dany". Le modalita' dei furti, in
 altri termini,  appaiono  molto  simili  e  portano  a  ritenere  che
 l'autore  di  essi  possa  essere  lo stesso, anche in considerazione
 delle giustificazioni date dall'indagato circa l'individuazione della
 persona che gli avrebbe ceduto tali oggetti.
    Qualora si ritenga sussistente l'ipotesi del furto a carico del De
 Lisi, a norma della lett. e) dell'art. 380 del c.p.p. e del  disposto
 del  comma 3- bis dell'art. 275 del c.p.p., potrebbe, infatti, essere
 applicata la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
    Qualora, al contrario, si dovesse ritenere ipotizzabile nei  fatti
 il   solo   delitto   di  ricettazione,  cosi'  come  originariamente
 qualificato dai carabinieri e dal pubblico ministero, per  l'espressa
 preclusione  del  comma  3- ter dell'art. 275 del c.p.p., non sarebbe
 consentita l'applicazione della medesima misura cautelare.
    Il fatto commesso dal De Lisi, del resto,  appare  di  sostanziale
 analoga  gravita'  e,  anzi,  persino  piu'  grave  nell'ottica della
 sussistenza del delitto di ricettazione, se non altro perche'  frutto
 di  un  dolo  di maggiore intensita' e di amicizie e collegamenti con
 persone e ambienti presso i quali vengono tenute condotte criminose.
    Anche  sotto  l'aspetto  soggettivo,  il  giudizio   non   cambia.
 L'indagato  ha  riportato  altre condanne, risulta avere a suo carico
 pendenti numerosissimi altri procedimenti penali,  risulta  di  fatto
 privo di una stabile dimora come dal medesimo dichiarato.
    Tali  elementi  inducono  a ritenere che la eventuale misura degli
 arresti domiciliari risulterebbe del tutto inadeguata a salvaguardare
 le esigenze cautelari previste  dalla  lett.  c)  dell'art.  274  del
 c.p.p.,   sia  sotto  il  profilo  dell'impossibilita'  materiale  di
 costanti e continui controlli, sia nell'ottica  della  previsione  di
 ottemperanza da parte dell'indagato.
    La  misura  degli arresti domiciliari, in ogni caso, sarebbe anche
 materialmente inapplicabile per mancanza di un'abitazione  o  di  una
 dimora   dell'indagato  che,  tra  l'altro,  ha  anche  espressamente
 dichiarato di non avere alcuna intenzione di riprendere la convivenza
 con  i  propri  genitori,  ragione  per   la   quale   egli   si   e'
 volontariamente allontanato da casa.
    In un caso come quello in esame, insomma, la misura della custodia
 cautelare  in  carcere  appare l'unica applicabile, giacche' tutte le
 altre risultano soggettivamente  ed  oggettivamente  inadeguate  alla
 salvaguardia  delle  esigenze  cautelari,  per cui, in mancanza della
 possibilita' di applicazione della custodia  in  carcere,  l'indagato
 deve essere lasciato libero.
    In  secondo luogo, quand'anche si ritenesse di poter astrattamente
 applicare la misura degli arresti domiciliari, ugualmente  l'indagato
 andrebbe  liberato  per  mancanza di idoneo domicilio presso il quale
 disporre  gli  arresti,  cosi',  tra  l'altro,  consentendosi   altra
 disparita'  tra  indagato  e  indagato,  a  seconda  delle situazioni
 personali e familiari  di  ciascuno  e  a  seconda  che  i  familiari
 consentano  o  meno  di  ospitare  l'indagato sottoposto a detenzione
 domiciliare e colpito, magari,  da  una  serie  di  altri  divieti  e
 limitazioni.
    Nella  descritta  situazione  l'applicazione  dell'art. 275, nella
 nuova formulazione introdotta dal  d.l.  14  luglio  1994,  n.  440,
 appare  contrastare  con  i  principi di ragionevolezza e uguaglianza
 previsti dall'art. 3 della Costituzione, dal momento  che  situazioni
 analoghe  sono  esposte  a trattamenti sostanzialmente e notevolmente
 diversi.
    Per le esposte ragioni, si ritiene di  dover  proporre  al  vaglio
 della    Corte    costituzionale   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale che sembra potersi ravvisare  nell'attuale  situazione
 processuale.
    Non  pare  manifestamente infondato ritenere, infatti, che i commi
 3- bis e 3- ter dell'art. 275 del c.p.p., come introdotti dall'art. 2
 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, siano  illegittimi  per  violazione
 del  principio  contenuto nell'art. 3 della Costituzione, per cui gli
 atti  devono  essere  trasmessi  alla  Corte  costituzionale  per  il
 giudizio di legittimita'.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale,   affinche'   la   Corte   valuti   la   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  275,  commi 3- bis e 3- ter, del codice di
 procedura penale, introdotti dal d.l. 14 luglio  1994,  n.  440,  in
 relazione  all'art.  3  della  Costituzione e sospende il giudizio in
 corso;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri e sia comunicata dal Cancelliere anche ai  Presidenti  delle
 due Camere del Parlamento.
      Torino, addi' 15 luglio 1994
                         Il giudice: CASALBORE
                             Il collaboratore di cancelleria: OLIVETTI
 94C0976