N. 26 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 6 agosto 1994
N. 26 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 6 agosto 1994 (della regione Veneto) Agricoltura e foreste - Regolamento recante disciplina del procedimento di riconoscimento di denominazione di origine di vini - Previsione: a) della presentazione della domanda di riconoscimento direttamente al Comitato nazionale per il riconoscimento delle denominazioni di origine, anziche' alle regioni; b) dell'abolizione di ogni forma di parere regionale preventivo al decreto finale di riconoscimento di denominazione, dell'elevazione, all'interno della sezione interprofessionale del Comitato, del numero dei rappresentanti regionali da tre o sei e della partecipazione con diritto di voto della regione interessata al Comitato solo qualora questo tratti questioni attinenti ad una denominazione di origine ovvero ad un'indicazione geografica tipica - Violazione della sfera di competenza regionale in materia di agricoltura e del principio di leale cooperazione. (D.P.R. 20 aprile 1994, n. 348). (Cost., artt. 117 e 118).(GU n.41 del 5-10-1994 )
Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla regione Veneto in persona del presidente della giunta regionale autorizzato con deliberazione della giunta del 27 luglio 1994, n. 3450, rappresentato e difeso dagli avvocati Romano Morra, Giorgio Berti e Guido Viola, quest'ultimo anche quale domiciliatario in Roma, via N. Piccolomini, 34, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per l'annullamento del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 132 dell'8 giugno 1994, avente ad oggetto: regolamento recante disciplina del procedimento di riconoscimento di denominazione d'origine dei vini; in particolare degli artt. 2, quarto comma, 4 e 5. F A T T O La controversia e' sorta in materia di denominazione di origine dei vini. La disciplina relativa risale al d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, mod. dalla legge 11 maggio 1966, n. 302. Nell'ambito di questa normativa, in seguito all'entrata in scena delle regioni e ai trasferimenti a queste delle funzioni in materia di agricoltura, era venuta a stabilizzarsi, almeno nelle regioni piu' interessate al settore, una normativa (in alcuni casi tradotta in legge regionale) alla cui stregua le regioni si occupavano della raccolta delle domande e dell'istruzione delle stesse, mentre allo Stato competeva la classificazione finale dei vini in rapporto alla loro origine. La legge 10 febbraio 1992, n. 164, si era inserita in questo solco disciplinando la materia sia sul piano sostanziale che sotto il profilo dei procedimenti che degli atti. La legge ora detta, per il tempo in cui fu emanata, dovette necessariamente imputare l'esercizio delle funzioni statali al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, ancora operante in quel tempo: tuttavia in molteplici passaggi della disciplina, corrispondenti a procedimenti specifici per la classificazione e il controllo delle denominazioni, il Ministero dell'agricoltura doveva coordinarsi con le regioni interessate (ad esempio artt. 5, 7, 8, 9, 10, 14, 16, quarto e quinto comma, 19, 20). A tenore di queste disposizioni, puo' dirsi che nessuno dei piu' qualificati provvedimenti in materia puo' essere adottato in sede centrale l'intervento della regione interessata, il cui parere o la cui valutazione si presenta in termini tali da implicare una funzione complessiva della regione in coordinazione con il Ministero (o l'organo che lo costituisce). Ben si spiega allora che la regione avesse conservato il ruolo di destinataria degli atti di iniziativa e dell'istruttoria delle procedure di volta in volta promosse. Si era insomma determinato un equilibrio tra Stato e le singole regioni interessate, tale da conferire spessore e rigore a questo rapporto. Come si spiega anche la struttura e la funzione del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine dei vini al quale, composto anche, nella sezione interprofessionale, da rappresentanti regionali, e' imputata la collaborazione con i competenti organi regionali oltreche' statali. L'art. 12 della legge prevede inoltre l'emanazione di un regolamento ministeriale, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome, per disciplinare il contenuto delle domande e le procedure per il riconoscimento delle denominazioni, l'approvazione o la modifica dei relativi disciplinari di produzione, nonche' le modalita' e i termini di presentazione. Questo regolamento non fu emanato. Tuttavia esisteva un testo di regolamento predisposto dal Ministero delle risorse agricole, forestali e alimentari, nel quale erano state raccolte le indicazioni formulate dai rappresentanti regionali. Tale testo di regolamento era orientato alla conservazione delle procedure gia' in atto da oltre un ventennio e nelle quali l'apporto delle regioni appariva decisivo ai fini di ogni determinazione imputata all'autorita' centrale. Cio' era del resto coerente con una continuita' di relazioni e di disciplina che appariva postulata dalla stessa legge n. 164/1992: le disposizioni transitorie del capo XI di tale legge stabiliscono infatti che fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nei regolamenti in essa previsti si applicano in quanto non incompatibili le disposizioni di cui al d.P.R. n. 930/1963 e alla legge n. 506/1967. Invero, vigenti tali disposizioni, le procedure relative al riconoscimento dell'origine dei vini si svolgevano, in conformita' alle disposizioni stesse, secondo un iter che aveva inizio con la presentazione delle domande di riconoscimento agli uffici regionali dell'agricoltura, i quali, in virtu' dei trasferimenti e delle funzioni dallo Stato alla regione, avevano ereditato le competenze dell'ispettorato compartimentale dell'agricoltura al quale in precedenza le domande stesse dovevano essere presentate e che provvedeva alla relativa istruttoria. In tal modo la funzione regionale del settore si era per cosi' dire inserita nel complesso dei compiti e delle attivita' regionali nella materia dell'agricoltura, come definita dall'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. In altri termini l'intervento regionale, anche se attinente alla fase di iniziativa e di istruzione, era parte integrante della politica regionale e della relativa programmazione in materia di produzione agricola. Avviene cosi' che gli interessati presentano la domanda agli uffici della regione territorialmente competente, i quali provvedono a istruirla, sottoponendola inoltre all'esame di un apposito comitato regionale interprofessionale per un parere di merito. Sulla scorta del parere di detto comitato, le regioni valutano la richiesta e la trasmettono al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali con la relativa documentazione. Il Ministero provvede poi definitivamente in base alla decisione del Comitato nazionale di cui all'art. 17 della legge n. 164/1992. Si era dunque istituita su queste basi una cooperazione perfetta e particolarmente equilibrata tra regione e Stato. Questa cooperazione, variamente e diffusamente riconosciuta dalla legge n. 164/1992, ha la sue sede di esplicazione nei vari procedimenti previsti per il riconoscimento, o la modifica o la revoca della denominazione di origine. Non potrebbe del resto parlarsi di cooperazione in modo coerente e con intuito di effettivita', se questa non si verificasse nelle procedure. Ebbene il d.P.R. n. 348/1994, qui impugnato, emanato sulla scorta dell'art. 2, settimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e cioe' come regolamento delegato, ha sconvolto la situazione normativa e di fatto che si e' ora descritta, togliendo alla regione quella porzione di procedura che le era stata costantemente riconosciuta sia in sede legislativa che nella prassi attuativa. E per vero l'art. 2, primo comma, di tale d.P.R. (n. 348/1994) predispone un accentramento ed una supremazia dello Stato in confronto alle regioni in sede di presentazione delle domande di riconoscimento: queste sono presentate al comitato nazionale di cui all'art. 17 della legge n. 164/1992 e le regioni sono parificate a questo riguardo ai consorzi volontari di tutela, ai consigli interprofessionali esistenti presso le camere di commercio e alle organizzazioni di categoria, cioe' a coloro che domandano allo Stato il riconoscimento della denominazione di origine. Il procedimento previsto nell'art. 4 e' congegnato in modo da escludere ogni intervento della regione. L'art. 5 sembra concedere qualche chance nel momento in cui esso aumenta da tre a sei il numero dei componenti designati dalla conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni della sezione interprofessionale del comitato nazionale di tutela di cui all'art. 17 della legge n. 146/1992; ed inoltre quando prevede la partecipazione con diritto di voto del rappresentante della regione interessata alle riunioni del comitato in cui si trattino questioni attinenti ad una denominazione di origine: pero' cio' conferma che, nel modificare radicalmente le pro- cedure accentrandole presso il Ministero, il d.P.R. declassa fin quasi ad annullarla la funzione regionale, che viene ridotta all'espressione di un voto in un comitato nel quale la presenza regionale e' assolutamente minoritaria e pressoche' insignificante. Poiche' il decreto, secondo l'intento semplificativo del procedimento, ha tolto l'essenziale passaggio di ogni domanda per la regione, anche la serie di competenze che la legge n. 164/1992 riserva alle regioni e' completamente svitalizzata, e non hanno piu' senso i pareri e le intese con le regioni nei vari momenti della disciplina in cui si articola la legge, quando la regione stessa e' estromessa dalle procedure essenziali e caratterizzanti. Anche se il decreto non annulla o non abroga le disposizioni in cui si prevede l'intervento regionale, oltre appunto alle procedure di riconoscimento per le quali l'abrogazione e' invece esplicitamente prevista, bisogna ugualmente riconoscere che la funzione regionale e' complessivamente vanificata e che si sono tolti i presupposti di quella cooperazione tra la regione e lo Stato che aveva caratterizzato la disciplina e la prassi precedente. D I R I T T O Violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11; agli artt. 66 e segg. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; agli artt. 12 e 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400; alla legge 10 febbraio 1992, n. 164; al d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, mod. dalla legge 11 maggio 1966, n. 302 (artt. 4 e 6); e alla legge 24 dicembre 1993, n. 537 (art. 2, settimo, ottavo e nono comma). Si contesta anzitutto la legittimita' dell'utilizzo del regolamento delegato in funzione di abrogazione di disposizioni leg- islative, ex art. 17, secondo comma, della legge n. 400/1988 in una materia contrassegnata dal principio di legalita' e dalla riserva di legge essendovi coinvolti i rapporti costituzionali tra Stato e regioni. A parte cio' il decreto impugnato e' una fonte davvero anomala e confrontabile solo con difficolta' con la normazione precedente: fa parte di quella proliferazione normativa nella quale, spesso maldestramente, si sono cimentati i piu' recenti governi. Ma il decreto impugnato e' particolarmente trasgressivo, ovviamente nei limiti delle sue disposizioni, proprio perche', manifestando la pretesa di semplificare i procedimenti, sacrifica a questa semplificazione il rispetto dovuto alle competenze regionali e non si da' neppure cura di coordinarsi in modo appena accettabile con la trama legislativa nella quale si intromette. In ogni caso, anche ammesso che il regolamento delegato abbia efficacia abrogatoria di norme anche di legge regolatrici dei procedimenti di cui si tratta, nel caso di specie il regolamento delegato contravviene ad una disposizione di tutela del rapporto Stato-regioni che si trova nell'art. 12 della legge n. 400/1988: la Conferenza per i rapporti Stato-regioni doveva essere consultata in ordine al contenuto del regolamento, essendo chiaro che il regolamento stesso concerne l'attivita' normativa che interessa direttamente le regioni. Inoltre, le disposizioni impugnate non si coordinano in alcun modo con quelle della legge 10 febbraio 1992, n. 164, che si sono citate nelle premesse: l'art. 12, in particolare, di questa legge, che il decreto impugnato non ha dichiarato di abrogare e che comunque non abrogherebbe se non in parte, stabilisce che il regolamento relativo alle modalita' e procedure per il riconoscimento dell'origine e della denominazione dei vini, comprese le modalita' dell'iniziativa, deve essere preceduta dalla consultazione della conferenza permanente per i rapporti tra Stato-regioni. Il regolamento impugnato, anche se emanato ai sensi del secondo comma e non del terzo dell'art. 17 della legge n. 400/1988, non e' stato invece preceduto dall'audizione di tale commissione. Ora, l'art. 2, settimo, ottavo e nono comma, della legge n. 537/1993, pur informato alla semplificazione delle procedure, nell'autorizzare il regolamento delegato, non poteva certo, ne' evidentemente intendeva eliminare dalla fase preparatoria del regolamento il passaggio essenziale dell'audizione della conferenza permanente in una materia che coinvolge necessariamente le regioni e che implica una disciplina in ogni caso coordinata tra Stato e regioni. La semplificazione non puo' quindi essere cosi' cieca da confondere le regioni con altri interlocutori dei quali puo' farsi tacere la voce. Ne' la semplificazione e' fine a se stessa, essendo invece strumento per razionalizzare cio' che razionale non e'. Il Governo invece, eliminando l'audizione delle regioni, ha raggiunto l'effetto opposto ed ha introdotto irrazionalita' e cattivo andamento in una situazione normativa gia' collaudata da molto tempo e informata ad un giusto equilibrio delle competenze e degli interventi. Di conseguenza, la falsa applicazione dell'art. 2, settimo, ottavo e nono comma, della legge n. 537/1993 ha prodotto quella frattura tra Stato e regioni che prima non c'era e che si risolve in un rifiuto di cooperazione, coordinamento, etc. E' evidente che l'aver evitato la consultazione della conferenza voleva essere la premessa per manovrare liberamente in materia, togliendo spazi procedurali alle alle regioni e accentrare, con la frettolosita' di chi sia di commettere un abuso, ogni facolta' o potere. Va ricordato che nella fase preparatoria del regolamento che stava per essere emanato ai sensi dell'art. 12 della legge n. 164/1992, la consultazione della conferenza da parte ministeriale aveva condotto alla formazione concordata di una disciplina che stava per essere emanata. Anche questo dimostra che la cattiva amministrazione delle leggi e' solo veicolo di disorganizzazione e di reale inconcludenza. Quale e' il beneficio che il Governo ha creduto di ritrarre dal suo nuovo regolamento, se non quello di operare maldestramente nel rapporto Stato-regioni per inseguire un nuovo accentramento, non preoccupandosi certo della ragionevolezza o della razionalita' delle proprie disposizioni? Insomma, il decreto e' fonte quantomeno di confusione, visto che la modificazione dello schema legale previsto nell'art. 12 della legge n. 164/1992 vorrebbe contemplare, a tenore dell'elenco n. 4 annesso alla legge n. 537/1993, i soli procedimenti di riconoscimento di denominazione di origine, senza neppur preoccuparsi della modifica o della revoca delle denominazioni e dei disciplinari di produzione, per i quali l'art. 12 ora detto dettava gia' disposizioni specifiche, ancorate peraltro ad un regolamento ministeriale esecutivo, presupponente la consultazione delle regioni. Ci si trova pertanto di fronte ad una nuova disciplina che, nella sua limitatezza, e' irrazionale proprio perche' del tutto scoordinata rispetto alla legge n. 164/1992: in realta', il nuovo decreto si e' limitato ad abrogare gli artt. 4 e 6 del d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, mod. dalla legge n. 302/1966, ma non ha intaccato, altro che sovrapponendo una sua parziale normativa, l'intero corpo della legge n. 164/1992, la quale, come detto, fa ripetutamente spazio alla consultazione delle regioni sia come conferenza permanente, sia come singole regioni interessate. Vi e', ad esempio, un palese contrasto con gli artt. 8, terzo comma, 10, quarto comma, i quali prevedono espressamente il coinvolgimento delle regioni nell'iter di accertamenti tecnici e di istruttoria, relativo al riconoscimento e alla modifica dei disciplinari di produzione dei vini. Esiste poi una palese incongruenza tra l'art. 4 del d.P.R. impugnato, il quale attribuisce al dirigente responsabile del procedimento la competenza a emanare il decreto di riconoscimento su deliberazione del comitato nazionale di tutela e quanto previsto invece nell'art. 8, terzo comma, della legge n. 164/1992, che conferisce al Ministro, su parere del comitato e dopo consultazione della singola regione interessata, tale competenza. Invero, l'art. 8 della legge non e' stato espressamente abrogato e il regolamento del Governo non puo' produrre abrogazioni tacite, implicite etc., ne' puo' comunque incidere in oggetti non espressamente trattati. Ma tante altre incongruenze e contraddizioni si mettono in evidenza non appena si scorrono gli articoli della legge n. 164/1992, che attengono a procedure concernenti particolari della disciplina complessiva (art. 5, ultimo comma; art. 7, secondo e nono comma; art. 8, terzo comma; art. 9, secondo comma; art. 10, quarto comma; art. 16, quarto e quinto comma; art. 19, primo comma; art. 20, terzo comma), e che implicano necessariamente una precisa coordinazione con le procedure di riconoscimento. Orbene, in tali non intaccate disposizioni si prevede, a parte la competenza ministeriale per l'atto finale e formalmente conclusivo, la consultazione di volta in volta della regione interessata. E quando si prevedono invece compiti specifici delle regioni, come nell'ultimo comma dell'art. 14 e nel quinto comma dell'art. 16, si postula evidentemente una partecipazione attiva delle regioni per quanto attiene alla valutazione delle domande di riconoscimento e agli accertamenti relativi. Non si puo' insomma dividere la procedura di riconoscimento dalla restante disciplina e offendere gli ovii interessi regionali in una materia strettamente ancorata alla disciplina dell'agricoltura che e' di competenza regionale. Accentrando la procedura di riconoscimento, e soltanto essa, si getta scompiglio all'intero settore e si pone un cuneo, del tutto arbitrario, nella continuita' delle competenze regionali. Ed invero il nuovo regolamento espropria di fatto le regioni di uno degli aspetti fondamentali della programmazione del settore vitivinicolo, quello cioe' della scelta strategica in materia di designazione dei vini, disattendendo il senso dell'eliminazinoe dell' ex Ministero dell'agricoltura e delle foreste voluta dai cittadini italiani con il referendum del 18 aprile 1993, proprio allo scopo di attribuire maggiori poteri alle regioni in materia di agricoltura. Il decreto impugnato condiziona invero ogni ulteriore scelta strategica nella definizione da parte della regione dei possibili interventi per il settore dei vini e della viticoltura. Occorre rilevare infine che l'aumento dei componenti designati dalla conferenza Stato-regioni da tre a sei e la partecipazione, con diritto di voto, di un rappresentante della regione interessata ai lavori del comitato, non compensa in alcun modo l'attivita' di valutazione ed orientamento che attualmente si svolge presso la regione e nell'ambito del comitato interprofessionale regionale, in cui sono rappresentate, le molteplici organizzazioni economiche e sindacali territorialmente rappresentative del settore. Il regolamento appare dunque, oltreche' illogico e irragionevole, espropriativo di una diffusa e sempre rispettata partecipazione regionale ai procedimenti di riconoscimento di vini e svolge anche effetti distruttivi o comunque limitativi delle attivita' regionali nel settore della viticoltura e della razionale programmazione dell'agricoltura. Di conseguenza e allo stesso tempo, il regolamento contenuto nel decreto impugnato viola apertamente e, si direbbe, di proposito il principio di leale cooperazione tra Stato e regioni: questo principio e' comunque violato, anche quando la cooperazione che si vuole eliminare avviene nella fase preparatoria e di iniziativa degli atti, ovvero quando cade, come fattore altamente significante, nella congiunzione tra l'attivita' di istruzione o di preparazione e la fase decisoria vera e propria. Anzi, la violazione e' tanto piu' grave e mortificatoria dell'autonomia quando si risolve nel togliere alla competenza regionale i mezzi per controllare lo svolgimento di attivita' di imputazione statale i cui effetti ricadono poi nell'area delle competenze regionali vere e proprie.
Per tutte queste ragioni, si chiede che l'ecc.ma Corte dichiari l'appartenenza alla regione dell'attivita' di raccolta delle domande, di istruzione e di valutazione ad essa appartenenti in materia in virtu' della legge 10 febbraio 1992, n. 164, e degli artt. 4 e 6 del d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930 (mod. dalla legge 11 maggio 1966, n. 302), e di conseguenza annulli l'impugnato d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348. Roma, addi' 2 agosto 1994 Avvocati Romano MORRA - Giorgio BERTI - Guido VIOLA 94C1006