N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 12 agosto 1994
N. 28 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 12 agosto 1994 (della regione Toscana) Agricoltura e foreste - Regolamento recante disciplina del procedimento di riconoscimento di denominazione di origine di vini - Previsione: a) della presentazione della domanda di riconoscimento direttamente al Comitato nazionale per il riconoscimento delle denominazioni di origine, anziche' alle regioni; b) dell'abolizione di ogni forma di parere regionale preventivo al decreto finale di riconoscimento di denominazione, con elevazione, all'interno della sezione interprofessionale del Comitato, del numero dei rappresentanti regionali da tre o sei e della partecipazione con diritto di voto della regione interessata al Comitato solo qualora questo tratti questioni attinenti ad una denominazione di origine ovvero ad un'indicazione geografica tipica - Violazione della sfera di competenza regionale in materia di agricoltura e del principio di leale cooperazione. (D.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, artt. 2, quinto comma, 4 e 5). (Cost., artt. 117 e 118).(GU n.41 del 5-10-1994 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente della giunta regionale, autorizzato con deliberazione n. 6992 del 18 luglio 1994, rappresentato e difeso per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Vito Vacchi e dall'avv. Fabio Lorenzoni, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Alessandria n. 130, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per conflitto di attribuzioni in relazione agli artt. 2, quinto comma, 4 e 5 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 132 dell'8 giugno 1994, avente ad oggetto: "Regolamento recante disciplina del procedimento di denominazione d'origine dei vini". Il procedimento per il riconoscimento delle denominazioni di origine "controllate" e "controllate e garantite" dei vini ha trovato una sua prima compiuta disciplina legislativa nel d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930 (poi modificato con legge n. 302/1966), il cui art. 6 ha disposto che la domanda per il suddetto riconoscimento va presentata dagli interessati all'ispettorato compartimentale dell'agricoltura competente per territorio che la istruisce e la trasmette al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, munita del parere del comitato regionale dell'agricoltura. A seguito del trasferimento delle funzioni dallo Stato alle regioni in materia di agricoltura e foreste, disposto con il d.P.R. n. 11 del 15 gennaio 1972, le regioni sono subentrate nelle pregresse competenze statali relative alla fase istruttoria di ricevimento delle domande e di espressione del parere, preliminare all'atto fi- nale - rimasto nella competenza dello Stato - di riconoscimento della denominazione di origine controllata e garantita del vino. Per la disciplina di tali acquisite attribuzioni, la regione Toscana ha emanato la l.r. 26 aprile 1973, n. 28, con cui ha disposto: "I pareri in merito alle domande di riconoscimento delle denominazioni di origine controllata e controllata e garantita dei mosti e dei vini di cui all'art. 6 del d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, precedentemente attribuite al comitato regionale dell'agricoltura, istituito con l'art. 5 del d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, integrato ai sensi dell'art. 3 della legge 2 giugno 1961, n. 454, sono, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge, di competenza di una commissione regionale cosi' composta: a) dal componente la giunta regionale incaricato per le questioni attinenti l'agricoltura o da un suo "delegato" che la presiede; b) da due esperti designati dal consiglio regionale con voto limitato; c) da un funzionario dell'ufficio regionale competente in materia; d) da due docenti, uno di coltivazioni arboree ed uno di industrie agrarie, scelti in due terne di docenti designati dalle facolta' di agraria delle Universita' di Firenze e di Pisa; e) da quattro produttori vitivinicoli designati dalle organizzazioni professionali di categorie maggiormente rappresentative nella regione; f) da un rappresentante dell'Associazione enotecnici italiana; g) da un rappresentante dell'ordine dei dottori agronomi; h) da un tecnico operante nella regione del servizio controlli e certificazione materiali di moltiplicazione vegetativa della vite designato dal Ministero agricoltura e foreste di cui al d.P.R. 24 dicembre 1964, n. 1164; i) da un funzionario del servizio repressioni frodi, operante nella regione, designato dal Ministero agricoltura e foreste; l) da due amministratori di cantine sociali proposti dalle organizzazioni regionali delle cantine sociali aderenti alle centrali cooperative maggiormente rappresentative. La commissione sara' integrata, di volta in volta, con la partecipazione di un altro funzionario della regione designato dal presidente della commissione, di un rappresentante dell'amministrazione provinciale, di un rappresentante della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente interessate alle domande di riconoscimento. Nel caso la domanda interessi piu' provincie, i rappresentanti di cui sopra saranno pari al numero delle provincie interessate". Quindi la regione ha esercitato sin dal 1973 le funzioni istruttorie in materia. Ne' cio' e' mutato a seguito dell'emanazione della legge statale 10 febbraio 1992, n. 164 "Nuova disciplina delle denominazioni d'origine". Tale normativa dispone che il riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini viene effettuato con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste e cio' "previo conforme parere del comitato nazionale di cui all'art. 17, sentite le regioni interessate (art. 8, terzo comma)". Detto comitato nazionale e' un organo del Ministero dell'agricoltura e foreste, con competenze consultive, propositive ed esecutive; di esso fanno parte, tra gli altri, tre membri, in rappresentanza delle regioni e province autonome, scelti fra sei designati dalla conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni. Quindi oltre al parere di tale organismo ministeriale consultivo, come gia' detto, l'art. 8 della legge richiamata richiede che prima dell'emanazione del decreto di riconoscimento siano comunque autonomamente sentite le regioni interessate. L'art. 12 della citata legge 10 febbraio 1992, n. 164, ha poi disposto che "il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, stabilisce, con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, terzo comma, della stessa legge n. 400/1988, il contenuto delle domande e le procedure per il riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche e di approvazione o modifica dei relativi disciplinari di produzione, nonche' le modalita' ed i termini di presentazione". Sino all'emanazione e all'entrata in vigore del suddetto regolamento hanno continuato ad applicarsi le pregresse disposizioni di cui al d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930 (in virtu' della disposizione transitoria contenuta nell'art. 32 della legge n. 164/1992) e quindi la regione ha continuato a ricevere le domande degli interessati, a pubblicare le stesse sul bollettino ufficiale regionale, ad esprimere il parere tecnico mediante l'apposita commissione regionale di cui alla legge regionale n. 28/1973, inviando poi tutto al Ministero per quanto di competenza. Per dare attuazione al richiamato art. 12, e' stato predisposto un primo schema di regolamento (doc. n. 1) dal Ministero delle risorse agricole, il quale, schematicamente, prevedeva il ricevimento della domanda da parte delle regioni e riconfermava la necessita' del parere tecnico della regione competente (artt. 1 e 3); tale bozza di regolamento e' stata sottoposta al vaglio delle regioni che hanno espresso parere favorevole sulla stessa, sia a livello tecnico che di conferenza di presidenti, proponendo solo alcuni emendamenti (doc. n. 2). E' stata poi presentata una seconda ipotesi di regolamento (profondamente diversa dalla precedente), predisposta dal dipartimento della funzione pubblica nell'ambito delle misure di semplificazione delle procedure amministrative di cui all'art. 2, settimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; tale nuova formulazione sopprime del tutto ogni autonoma competenza regionale nella fase istruttoria preliminare all'atto di riconoscimento di denominazione d'origine dei vini. Tale seconda bozza di regolamento e' stata sottoposta all'esame della conferenza Stato-regioni del 14 aprile 1994 (o.d.g. relativo: doc. n. 4; come risulta dal verbale della seduta (doc. n. 5), il presidente della regione Toscana, dott. Vannino Chiti, nel corso della conferenza ha chiesto espressamente su quale testo fosse richiesto il parere della conferenza stessa, specificando che il parere sarebbe stato positivo solo sul testo gia' esaminato sia a livello tecnico regionale sia nella conferenza dei presidenti, con gli emendamenti proposti dalle regioni. Nel verbale della seduta si legge che a tale richiesta di chiarimento e' stato risposto che il regolamento sottoposto al parere della conferenza era quello visto, esaminato ed approvato dal comitato tecnico e pertanto "con questa premessa" e' stato acquisito il parere. In realta' il testo sottoposto alla conferenza Stato-regioni non era quello gia' esaminato dalle regioni, ma il diverso testo predisposto successivamente dal dipartimento della funzione pubblica. Tanto premesso, il regolamento adottato con il d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, e' lesivo delle competenze regionali costituzionalmente garantite, per le ragioni di seguito esposte. 1) Come sopra rilevato, l'art. 12 della legge n. 164/1992 ha disposto che il regolamento per determinare le modalita' e le proce- dure di riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini dovesse essere adottato "sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400". Vero e' che il successivo art. 2, settimo comma, della legge n. 537/1993 non richiede l'acquisizione del parere della conferenza Stato-regioni sul regolamento; nel caso in oggetto, pero', si e' voluto comunque acquisire detto parere, considerato che - come specificato in premessa e come risulta dal verbale depositato - il regolamento e' stato portato all'esame della conferenza. Fatta tale scelta, doveva quindi darsi atto, nelle premesse del decreto, dell'esito dell'esame della conferenza Stato-regioni. Cio' invece non e' avvenuto. Infatti, dal verbale della conferenza sopra riportata, emerge che il parere favorevole non e' mai stato espresso sul testo che poi e' stato pubblicato, poiche' la conferenza Stato-regioni aveva chiaramente specificato di esprimere una valutazione favorevole solo sul testo esaminato dalle regioni ed emendato dalle stesse, e quindi sul primo testo predisposto dal Ministero delle risorse agricole e non gia' su quello successivo. Tenendo conto di tale situazione, il d.P.R. approvato avrebbe dovuto dare atto della mancanza del parere favorevole della conferenza, specificare sia le ragioni del dissenso tra Governo e regioni, sia i motivi che inducevano il Governo a disattendere i rilievi e le indicazioni delle regioni medesime. Infatti anche quando la legge consente al Governo, in caso di mancata acquisizione del parere favorevole, di provvedere unilateralmente, l'atto governativo e' vincolato evidentemente ad un rigoroso obbligo di motivazione in ordine alle ragioni del provvedere in difformita' dalle indicazioni della conferenza. L'obbligo di perseguire il parere risulterebbe totalmente vanificato se il Governo potesse, senza motivazione alcuna, semplicemente restare sulle proprie posizioni ed ottenere il provvedimento in difformita' dalle indicazioni della conferenza. L'obbligo dell'acquisizione del parere, se pure non giunge a impedire un provvedimento unilaterale in caso di mancato parere favorevole, richiede almeno che si attui una fase di dialogo fra le due parti, in cui l'organo che ha alla fine il potere di provvedere (nella specie il Governo) deve farsi carico espressamente della posizione dell'altra parte e specificare i motivi per i quali non intende attenervisi. Sotto questo profilo preliminare il decreto in questione viola evidentemente l'autonomia regionale. 2) Il decreto impugnato, nelle sue premesse, da' atto dei pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato. Entrambi tali pareri (doc. nn. 6 e 7) esprimono parere favorevole sul regolamento a condizione che nella stesura definitiva si recepiscano in modo puntuale i principi normativi contenuti nello schema di regolamento elaborato dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali ai sensi dell'art. 12, primo comma, della legge n. 164/1992, vale a dire nella prima bozza di regolamento adottata che riconosceva un rilevante ruolo istruttorio alle amministrazioni regionali. E' evidente che i citati pareri delle commissioni parlamentari sono stati del tutto disattesi, posto che nulla del primo regolamento e' stato recepito nell'atto poi pubblicato. Anche per tale profilo il decreto viola dunque le competenze regionali. 3) Come accennato in premessa, l'art. 8, terzo comma, della legge n. 164/1992, ha stabilito che il riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini e' effettuato con il decreto del Ministero competente, previo conforme parere del comitato nazionale e sentite le regioni interessate. Del comitato nazionale fanno parte anche tre membri in rappresentanza delle regioni e delle provincie autonome; inoltre e' previsto che "qualora il comitato tratti questioni attinenti ad una denominazione di origine ovvero ed una indicazione geografica tipica, partecipa alla riunione, senza diritto di voto, un rappresentante della regione interessata" (sesto comma del medesimo art. 17). E' evidente quindi che il legislatore, a salvaguardia delle competenze regionali in materia, non ha ritenuto sufficiente la partecipazione regionale in seno all'organismo consultivo ministeriale, ma ha previsto un maggiore coinvolgimento, richiedendo uno specifico parere della regione, in conformita', del resto, alla previgente legislazione statale. Cio' si comprende agevolmente, posto che le valutazioni da effettuare per il riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini interferiscono con le competenze che le regioni hanno in materia di agricoltura. Cio' e' dimostrato dagli elementi che, in base all'art. 10 della legge n. 164/1992, devono essere valutati per approvare il disciplinare di produzione e, con esso, il riconoscimento delle denominazioni di origine: precisamente si richiede di esaminare la delimitazione della zona di produzione delle uve, la resa massima di uva e di vino ad ettaro, le condizioni di produzione e in particolare le caratteristiche naturali dell'ambiente quali il clima, il terreno, la giacitura, l'altitudine, l'esposizione. Si tratta con tutta evidenza di valutazioni attinenti a settori di competenza regionale e per questo il legislatore del 1992 ha riconfermato la necessita' dell'istruttoria regionale in materia. Il decreto n. 348/1994 ha invece del tutto disatteso la disposizione della legge n. 164/1992 prevedendo: la presentazione delle domande di riconoscimento direttamente al comitato nazionale anziche' alle regioni (art. 2, quinto comma); l'abolizione di ogni forma di parere regionale preventiva al decreto finale di riconoscimento di denominazione dei vini, elevando solo, all'interno della sezione interprofessionale del comitato, il numero di rappresentanti regionali da tre a sei e prevedendo la partecipazione della regione interessata con diritto di voto al comitato solo qualora questo tratti questioni attinenti ad una denominazione d'origine ovvero ad una indicazione geografica tipica (artt. 4 e 5). Ma tali misure non sono sufficienti ad assicurare il rispetto delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di agricoltura. E' infatti insegnamento ormai costante della giurisprudenza costituzionale che i poteri statali interferenti con attribuzioni regionali devono essere esercitati nel rispetto del principio di leale cooperazione e di collaborazione (tra le tante, sentenze nn. 344/1987, 302, 1028 e 1031 del 1988). Il contenuto delle forme di leale cooperazione e' il piu' vario e si diversifica a seconda delle diverse fattispecie: cosi' in certi casi si richiede una vera propria intesa tra Stato e regione, e quindi una forma di coodeterminazione paritaria del contenuto di un atto, necessaria perche' altrimenti i poteri statali comprimerebbero eccessivamente le competenze regionali (sentenze nn. 232 e 383 del 1991; 36, 38 e 366 del 1992); in altri casi si prevede che debba esservi un'intesa dello Stato con la regione, ma non preclusiva in caso negativo (sentenze nn. 21 e 482 del 1991). Al di sotto dell'istituto dell'intesa (piu' o meno "forte"), vi e' poi tutto il vasto campo dei pareri necessari che sono stati spesso imposti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di assicurare il coordinamento Stato-regioni (sentenze nn. 37 e 464 del 1991); e' comunque certo che lo strumento del parere rappresenta "la piu' tenue misura di coordinamento paritario, diretto a prospettare interessi di soggetti od organi diversi da quello che ha la titolarita' dell'atto" (Corte costituzionale n. 517/1987). Se pure e' certo che rientra nella discrezionalita' del legislatore nazionale stabilire le particolari forme di cooperazione tra Stato e regioni, e' pur vero che devono in ogni caso essere rispettati i criteri di ragionevolezza; a tale proposito la previsione di un parere regionale nell'ambito dell'esercizio di poteri statali e' stata ritenuta, sotto il profilo della ragionevolezza, non sproporzionata sempreche' "com'e' nella logica della previsione di qualsiasi forma di collaborazione consultiva, questa possa svolgersi con l'assistenza di una duplice garanzia: a) che la regione possa emettere il proprio parere sulla base della conoscenza di tutti gli elementi che hanno indotto lo Stato ad esercitare il potere in questione nel particolare modo sottoposto all'avviso regionale; b) che la decisione ministeriale eventualmente divergente dal parere regionale sia sorretta da un'adeguata motivazione" (Corte costituzionale n. 1031/1988). Alla luce della schematicamente richiamata giurisprudenza costituzionale, e' possibile affermare che - pur a fronte di procedimenti di competenza statale - e' ammesso un giudizio sulle scelte del legislatore; il canone di valutazione e' quello del massimo rispetto delle competenze regionali compatibilmente con l'attribuzione allo Stato di uno specifico potere decisionale, ed infatti la Corte costituzionale ha indicato, come misura per l'esercizio del potere statale, la "reale soddisfazione di quell'interesse inerente le materie di competenza regionale coinvolte, che ha indotto a prevedere la partecipazione delle regioni al procedimento statale" (sentenza cit. n. 1031/1988). Il legislatore, con la legge n. 164/1992, ha rispettato i suddetti criteri di ragionevolezza nel prevedere, quale forma di cooperazione fra lo Stato e le regioni, il parere di queste ultime nel procedimento di riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini, assicurando in tal modo la necessaria "reale soddisfazione dell'interesse inerente alle materie di competenza regionale coinvolte nel procedimento statale". Invece il d.P.R. n. 348/1994 ha sostituito al raccordo procedimentale consistente nel previo parere regionale, un raccordo organizzativo in base al quale la presenza delle regioni avviene mediante rappresentanze di tipo collettivo all'interno del comitato nazionale. Tale raccordo organizzativo e' inadeguato ad assicurare un'effettiva leale cooperazione tra lo Stato e le regioni e non rispetta i criteri di ragionevolezza enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto l'esigenza della partecipazione regionale e' soddisfatta in modo puramente simbolico per i seguenti motivi: la presenza regionale nel comitato e' affidata a rappresentanze collettive (sei membri per tutte le regioni e le province autonome) che sono evidentemente inadeguate a dar voce alle singole regioni (per casi analoghi tale rilievo e' evidenziato dalla dottrina cfr. Sorace "Rapporti tra Governo e regioni" in "Le regioni tra potere centrale e potere locale", Firenze 1982, I, 47 e segg.); il raccordo organizzativo in oggetto e' improntato ad una logica di tipo maggioritario; considerando che in base al d.P.R. n. 348/1994 i rappresentanti regionali sono sei, e' evidente che le regioni sono in posizione nettamente minoritaria rispetto al plenum della sezione interprofessionale del comitato che e' di trentanove membri, con conseguente impossibilita' di assicurare che il comitato rappresenti una sede di reale e concreta collaborazione tra Stato e regioni; all'interno del comitato le regioni - anche nella eccezionale ipotesi in cui hanno diritto di voto - non partecipano nella loro specifica individualita' istituzionale, ma in modo del tutto privo di collegamento con l'organizzazione costituzionale regionale. Tale aspetto e' reso ancora piu' evidente dall'intero sistema delineato dal decreto in oggetto, in base al quale la sezione del comitato deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda; e' conseguentemente impossibile assicurare che vi sia una previa comunicazione degli ordini del giorno del comitato agli organi regionali competenti, affinche' questi possano impartire direttive specifiche ai propri rappresentanti. In sintesi tutta la fase istruttoria del procedimento in esame e' svolta dalla suddetta sezione del comitato in cui le regioni partecipano in posizione minoritaria e marginale, senza garanzia di poter preventivamente conoscere gli elementi rilevanti per la valutazione delle singole questioni, posto che le domande di riconoscimento non vengono piu' presentate dagli interessati alle regioni - come avveniva in base alla precedente legislazione - ma direttamente al comitato nazionale. Tutto cio' relega in una posizione secondaria le competenze regionali in materia di agricoltura, violando cosi' il principio costituzionale di concorrenza e di cooperazione delle competenze statali e regionali e contrastando palesemente con i criteri di ragionevolezza sopra richiamati. Ad ulteriore conferma di quanto affermato - e quindi della interferenza negativa dell'atto in questione sulle competenze regionali - deve rilevarsi che la specifica commissione regionale di cui alla l.r. n. 28/1973, richiamata in premessa, istituita per l'espletamento delle competenze istruttorie nel procedimento in questione, verrebbe di fatto privata dei suoi compiti dalla nuova normativa introdotta con il d.P.R. n. 348/1994. Ne' alle argomentazioni esposte puo' opporsi che l'esigenza di semplificare il procedimento amministrativo rende legittimo il decreto in oggetto. In primo luogo infatti l'esigenza di accelerare l'azione amministrativa non puo' ledere le competenze regionali; in secondo luogo poi tale esigenza puo' essere ben conciliata con il rispetto delle funzioni delle regioni, come dimostra la prima bozza di regolamento predisposta dal Ministero delle risorse agricole. Per i motivi esposti il decreto impugnato viola il principio costituzionale di leale cooperazione tra Stato e regione non rispettando i criteri di ragionevolezza necessari e quindi lede le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione. 4) Il decreto n. 348/1994 si pone in attuazione del gia' richiamato art. 2, settimo comma, della legge n. 537/1993 che prevede regolamenti delegati per la semplificazione di procedimenti amministrativi. Si e' gia' evidenziato al precedente punto come tale decreto interferisca negativamente sull'esercizio delle funzioni regionali. In merito deve ulteriormente essere rilevato che gli atti regolamentari, ivi compresi quelli caratterizzati dalla speciale efficacia propria dei regolamenti delegati, "non risultano legittimati a disciplinare, per la naturale distribuzione delle competenze normative tra lo Stato e le regioni desumibile dall'art. 117 della Costituzione, le materie di spettanza regionale e conseguentemente neppure i procedimenti amministrativi attinenti a tali materie" (Corte costituzionale n. 465/1991 e, nello stesso senso, sentenze nn. 204 e 391 del 1991 e 97/1992). La violazione delle regole costituzionali relative all'ordine delle fonti normative, per cui un atto regolamentare non puo' porre norme volte a limitare la sfera delle competenze delle regioni, risulta evidente nell'atto in oggetto che ha sottratto alle regioni ogni autonoma competenza istruttoria, con ulteriore violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spetta allo Stato definire il procedimento per il riconoscimento della denominazione d'origine dei vini in violazione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione e per l'effetto annulli l'art. 2, quinto comma, e gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 132 dell'8 giugno 1994. Si producono: 1) schema del regolamento predisposto dal Ministero delle risorse agricole e sottoposto all'esame delle regioni; 2) emendamenti presentati dalle regioni al regolamento di cui sopra; 3) regolamento predisposto dal dipartimento della funzione pubblica; 4) ordine del giorno della seduta del 14 aprile 1994 della conferenza Stato-regioni; 5) verbale della seduta del 14 aprile 1994 della conferenza Stato-regioni; 6) parere della commissione agricoltura della Camera; 7) parere della commissione agricoltura del Senato; 8) delibera della giunta regionale di autorizzazione di stare in giudizio n. 6992 del 18 luglio 1994. Firenze-Roma, addi' 2 agosto 1994 Avv. Vito VACCHI - Avv. Fabio LORENZONI 94C1017