N. 540 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 aprile 1994
N. 540 Ordinanza emessa il 15 aprile 1994 dal tribunale di sorveglianza di Roma nel procedimento relativo alle istanze proposte da Manzoni Mario Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione dei benefici (nella specie: affidamento in prova) per gli appartenenti alla criminalita' organizzata o per condannati per gravi reati (art. 416-bis del c.p. o associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti) in assenza delle condizioni previste dall'art. 58-ter della legge n. 354/1975 (artt. 62, n. 6, 114 e 116, secondo comma, del cod. pen.) - Irragionevolezza - Lesione dei principi di irretroattivita' della legge penale e della finalita' rieducativa della pena - Richiamo alla sentenza n. 306/1993. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, modificato dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356). (Cost., artt. 3, 25 e 27).(GU n.39 del 21-9-1994 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 15 aprile 1994 nel corso del procedimento instaurato a norma degli articoli 666, 677, 678 del c.p.p., 47 e 58- ter legge n. 354/1975 (affidamento in prova e accertamento della condotta collaborativa nei confronti di Manzoni Mario nat a Melzo (MI) il 23 giugno 1955, residente in Ranica (BG), via G. Marconi n. 34. Istanza avanzata in relazione alla sentenza 26 marzo 1990 Corte d'appello di Roma, in parziale riforma sentenza 15 dicembre 1988 tribunale Civitavecchia, anni 4 di reclusione di cui anni 1 mesi 4 condonati ex d.P.R. n. 394/1990, presofferto anni 1 mesi 4 giorni 19. Residuo anni 1 mesi 3 giorni 11. Sospesa l'emissione dell'ordine di esecuzione dalla procura generale della Repubblica di Roma il 16 dicembre 1992. Riunito in camera di consiglio per deliberare in merito alle istanze di accertamento della condotta collaborativa ed affidamento in prova al servizio sociale avanzate da Manzoni Mario; Verificata la rituale instaurazione del contraddittorio; Ritenuta la propria competenza territoriale ex art. 47 terzo comma legge n. 354/1975; in esito all'udienza ritualmente svoltasi in data 15 aprile 1994 come da verbale in atti, a scioglimento della riserva formulata, ha pronunciato la seguente ordinanza di sospensione dei procedimenti e di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per gli aspetti e le argomentazioni che seguono: In data 29 febbraio 1992 Manzoni Mario avanzava istanza di affidamento in prova al centro servizio sociale con riferimento alla condanna di cui alla sentenza irrevocabile della Corte di appello di Roma, prima sezione penale, del 26 marzo 1990. In grado di appello, in accoglimento delle richieste concordate dalle parti, in parziale riforma della sentenza 15 dicembre 1988 tribunale di Civitavecchia, il Manzoni veniva condanato alla pena di anni 4 di reclusione per i reati di cui agli artt. 75 legge n. 685/1175, 110, 81 cpv. c.p., 71 e 74 del primo comma nn. 2 e 5 secondo e terzo comma legge citata e 110 c.p. 282, 284, 295 d.P.R. n. 43/1973 (p.b. anni 4 di reclusione per il reato associativo, diminuita di un terzo per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, aumentata fino alla predetta entita' per la continuazione). Con ordinanza del 14 gennaio 1993 della Corte di appello veniva dichiarata estinta per intervenuto condono la pena inflitta per i reati satelliti, attesa la ritenuta prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Di conseguenza, avendo il Manzoni espiato in custodia cautelare anni 1 mesi 4 e giorni 19, la residua pena detentiva in relazione alla quale risulta avanzata l'istanza di affidamento fa esclusivo riferimento alla condanna per il delitto di cui all'art. 75 della legge n. 685/1975. Stante le modifiche normative intervenute con il d.l. n. 306/1992, conv. con modif. nella legge n. 356/1992, modifiche che hanno determinato per la prima volta la preclusione assoluta nei confronti dei condannati per il reato di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309/1990 di tutte le misure extramurarie qualora non ricorra l'ipotesi della condotta collaborativa, sia pure nella forma c.d. "attenuata" - introdotta in sede di conversione, rilevante in presenza di determinate circostanze attenuanti -, interessato a difesa all'udienza del 7 gennaio 1994 avanzavano istanza di accertamento della condotta collaborativa ai sensi dell'art. 58-ter legge n. 354/1975. Instaurato il relativo procedimento, acquisita la necessaria documentazione ed il parere del p.m. presso il tribunale di Civitavecchia, all'udienza del 15 aprile 1994, p.g. e difesa concludevano come da verbale in atti. Sulla scorta delle risultanze processuali, ritiene il collegio che la condotta tenuta dal Manzoni nel corso delle indagini e dei giudizi di merito integri appieno la fattisepcie della "collaborazione oggettivamente irrilevante". Con la locuzione "collaborazione oggettivamente irrilevante" il legislatore ha evidentemente inteso indicare coloro che si siano adoperati per evitare conseguenze ulteriori dell'attivita' delittuosa, ovvero abbiano cercato di fornire un aiuto agli investigatori ai fini della esatta ricostruzione del fatto o per l'individuazione e la cattura dei colpevoli, senza in realta' fornire elementi ulteriori rispetto a quelli gia' altrimenti acquisiti dagli inquirenti. La collaborazione oggettivamente irrilevante si ravvisa, cioe', nell'ipotesi di contributi successivi forniti in un quadro probatorio di gia' avvenuta ricostruzione del fatto ed individuazione dei colpevoli. Ritiene in proposito il collegio che, per valutare la sussistenza della collaborazione, sia pure nella forma c.d. "attenuata", non puo' prescindersi dalle risultanze processuali e dalla valutazione che delle stesse e' stata fatta dai giudici di merito, venendosi altrimenti a stravolgere un giudicato ormai intoccabile sul punto. Unica ipotesi potrebbe sussistere, eventualmente, nel caso di collaborazione "dopo la condanna", sia pure - trattandosi di collaborazione oggettivamente irrilevante - al di fuori di una procedura di revisione o senza necessariamente l'apertura di un nuovo procedimento penale contro soggetti non coinvolti in quello ormai definito, fattispecie comunque non ravvisabile nel caso di specie. Il p.m. della procura della Repubblica di Civitavecchia, interpellato ex art. 58-ter O.P., ha evidenziato che il Manzoni, pur avendo reso in istruttoria ampia confessione in ordine alla sua partecipazione ai fatti contestatigli, non ha tuttavia offerto alcun contributo concreto allo sviluppo delle indagini, ne' alla individuazione e/o cattura dei compartecipi. La confessione del Manzoni ha riguardato fatti e circostanze gia' ampiamente acquisiti dagli inquirenti, che hanno trovato ulteriore conferma nella confessione medesima. Argomentazioni che trovano integrale riscontro nella richiesta di rinvio a giudizio del 30 ottobre 1987, nell'ordinanza di rinvio a giudizio del 29 dicembre 1987 e nella sentenza di primo grado in atti (la sentenza d'appello risulta pronunciata ai sensi dell'art. 590 c.p.p., di talche' poco rileva in proposito). Gia' infatti nelle richieste inoltrate in data 30 ottobre 1987 dal p.m. al g.i. (pag. 2) si evidenzia come "fulcro della prova e conseguentemente elemento portante della responsabilita' degli imputati, sia rappresentato dalle intercettazioni telefoniche ritualmente disposte sulle utenze in uso ad alcuni di essi, nonche' dai sequestri dell'ingente quantitativo di sostanza stupefacente operate dai c.c.". Con riferimento alla posizione processuale di alcuni imputati (tra cui il Manzoni), si da' atto che hanno consentito una ricostruzione dei fatti risultata sorretta da quei rilievi e riscontri obiettivi cui prima si faceva riferimento. Cio' premesso, deve evidenziarsi che in relazione al titolo per il quale e' stata pronunciata condanna: 1) pur emergendo espressamente ed in piu' punti della sentenza il ruolo marginale del Manzoni nella vicenda, non potevano i giudici di merito concedere la circostanza attenuante di cui all'art. 114, primo comma, c.p. -- rilevante nel caso di specie, atteso l'espresso richiamo operato dall'art. 4-bis legge n. 354/1975, come modificato in sede di conversione in legge del citato d.l. n. 306/1992 -, ritenendo la minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, stante l'espresso dettato normativo, inequivoco al riguardo (art. 114 secondo comma del c.p.). Invero, il numero dei concorrenti nel reato risulta notevolmente superiore alle previsioni dell'art. 112, primo comma n. 1, espressamente richiamato dal citato secondo comma dell'art. 114 al fine di escludere in tali casi la concedibilita' dell'attenuante; 2) non poteva comunque essere concessa la circostanza attenuante di cui all'art. 114, primo comma, del c.p. (partecipazione di minima importanza al reato) per due ragioni: perche' tale circostanza si riferisce, per espresse previsioni, ai soli artt. 110 e 113 che prevedono, rispettivamente, il concorso eventuale nel reato e la cooperazione nel delitto colposo (mentre il reato di cui all'art. 75 legge n. 685/1975 e' di natura plurisoggettiva o a concorso necessario); perche' nella valutazione legislativa dell'illiceita' penale nella valutazione del singolo imputato del reato associativo a venire in considerazione, bensi' l'attivita' dell'organizzazione criminosa nel suo complesso, qualunque sia stato il ruolo svolto dal singolo associato, necessariamente partecipe, insieme con gli altri; di quella attivita' (Cass., sez. VI, sent. 5349 dell'11 aprile 1990; Cass. sez. VI, sentenza 8727 del 20 giugno 1989); 3) non era concedibile e non risulta neppure ipotizzabile la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 del c.p., rilevante nel caso de quo, per espressa previsione normativa, anche ove il risarcimento sia intervenuto successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, non essendo ravvisabile in relazione al titolo del reato per il quale e' stata pronunciata condanna alcun onere risarcitorio. All'obiettiva impossibilita' di risarcimento consegue l'assoluta irrilevanza nel caso di specie del criterio normativo che collega all'intervenuta reintegrazione del patrimonio della vittima o dei suoi aventi diritto una manifestazione concreta del sopravvenuto ravvedimento del reo o, quanto meno, della sua minore pericolosita'. Ugualmente, in relazione al titolo del reato, non e' ravvisabile neppure astrattamente l'attenuante di cui all'art. 116 del c.p., che disciplina l'ipotesi del reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti. La stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 306/1993 ha condiviso le doglianze sollevate dai Tribunali remittenti circa l'eccezionalita' delle fattispecie normative considerate dal legislatore. ' .. Ora e' ben vero" - si legge in sentenza - "che queste ultime sono fattispecie normativamente assai ristrette e che possono darsi ipotesi ad esse cosi' prossime sul piano fattuale, da poterne sostenere ragionevolmente l'assimilazione. Ma nessuna delle ordinanze in esame ha mosso specifiche censure in questa prospettiva ne' ha soprattutto, dato conto, ai fini della rilevanza, di aver accertato l'ulteriore requisito posto dalla norma in esame, costituito dalla prova certa, nel caso oggetto del giudizio principale, dell'inesistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata". Di conseguenza, non possono ritenersi venuti meno in sede di conversione del d.l. n. 306/1992 quei dubbi di legittimita' costituzionale sollevati da piu' parti, in relazione ai quali la consulta aveva disposto la restituzione degli atti ai giudici a quibus per un riesame ed una nuova valutazione alla luce della normativa introdotta in sede di conversione in legge. Nel caso di specie puo' ritenersi accertata nei confronti del Manzoni l'assenza di collegamenti attuali con il crimine organizzato. Atteso il dettato normativo, assolutamente inequivoco al riguardo, essendo inutilmente decorso in termine di legge, deve provvedersi in assenza delle informazioni del C.P.O.S.P., ritualmente richieste. L'ottima evoluzione comportamentale evidenziata dal Manzoni successivamente al reato, unica esperienza delittuosa nella vita del condannato, il serio processo di revisione critica delle pregresse scelte delinquenziali poste all'origine della devianza criminale, la valida progettualita' manifestata, l'effettivo reinserimento sociale - elementi oggettivamente desumibili dall'approfondita indagine del C.S.S.A. di Brescia -, costituiscono tutti dati univocamente volti a dimostrare l'assenza di collegamenti attuali con il crimine organizzato. Piu' volte la Corte costituzionale (sentenze nn. 204/74343/1987, 282/1989, 125/1992 e 306 del 1993), facendo riferimento al precetto dell'art. 27 della Carta costituzionale, ha ribadito che nel corso dell'espiazione della condanna "sorge il diritto per il condannato e che verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantita' di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo .." Diritto, questo, che deve trovare nella legge "una valida ragionevole garanzia giurisdizionale." L'ancorare la concedibilita' dei benefici penitenziari, ivi compreso il permesso premio, alla collaborazione con la giustizia, rende evidentemente irrilevante il percorso rieducativo compiuto dall'interessato nel corso dell'espiazione della condanna, con la evidente conseguenza che ne risulta quanto meno frustrato il menzionto diritto del condannato al riesame degli effetti di recupero e di risocializzazione verificatisi nel corso dell'esecuzione della pretesa punitiva. Non si vede infatti come possa ritenersi sussistente una correlazione necessaria tra scelta collaborativa ed evoluzione comportamentale del soggetto nel corso dell'espiazione della condanna, tale cioe' da ravvisare la seconda proposizione solo ed esclusivamente in presenza della prima. Non solo, infatti, la scelta di collaborare puo' prescindere da un valido processo di distacco dalle pregresse scelte delinquenziali, potendo essere dettata esclusivamente da motivazioni utilitaristiche, ma anche ammesso che alla scelta collaborativa corrisponda una volonta' di emenda, non altrettanto valida puo' ritenersi la proposizione contraria. "E' ben vero che la collaborazione consente di presumere che chi la presta si sia dissociato dalla criminalita' e che ne sia percio' piu' agevole il reinserimento sociale. Ma dalla mancata collaborazione non puo' trarsi una valida presunzione di segno contrario, e cioe' che esso sia indice univoco di mantenimento dei legami di solidarieta' con l'organizzazione criminale: tanto piu', quando l'esistenza di collegamenti con quest'ultima sia altrimenti esclusa" (sentenza n. 306/1993 della Consulta). L'eguaglianza dinanzi alla pena significa innanzitutto proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' ed alle esigenze che ne conseguono (sent. n. 299/1992 della Corte costituzionale), ed il trattamento penitenziario deve, per espresso dettato normativo, essere improntato ai criteri di proporzionalita' ed individualizzazione nel corso di tutta l'esecuzione della condanna, criteri che discendono direttamente dagli artt.27 primo e terzo comma (sentenze nn. 50/1980 e 203 del 1991 e 3 della Costituzione. La tipizzazione per titoli di reato determina evidente violazione di detti criteri e suscita legittime perplessita' la tendenza alla configurazione normativa di "tipi di autore", per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita in difetto del presupposto della collaborazione. La mancata collaborazione con la giustizia puo', ad avviso di questo Tribunale, essere valutata come mero elemento indiziante ai fini dell'accertamento della perdurante esistenza di contatti con il crimine organizzato. Ma quando ulteriori accertamenti, ancorati in particolare alla partecipazione del condannato al percorso rieducativo - riabilitativo proprio della condanna a pena detentiva, elementi - che trovano riscontro all'esito dell'osservazionescientifica della personalita' e/o sulla scorta di dati obiettivi, diano esito univocamente negativo, non puo' ritenersi rilevante in senso ostativo tale dato. Pena, la violazione del dettato dell'art. 27 e la trasmodazione della normativa in regolamentazione assolutamente irragionevole della materia. Ma la normativa citata appare incostituzionale anche sotto altro profilo. Costituisce ormai principio consolidato che l'irretroattivita' della legge penale sancita dall'art. 25 secondo comma della Costituzione si estende a tutte le norme che si riferiscono al quadro sanzionatorio, ivi comprese le norme che disciplinano il trattamento penitenziario. Le disposizioni di natura sostanziale relative alla modalita' di esecuzione della pena, infatti, in quanto incidenti sulla "qualita' e quantita' in concreto" della pena inflitta, rivestono indubbiamente natura penale. Il divieto di introdurre innovazioni in pejus deve farsi risalire, ad avviso di questo Tribunale, se non al momento del passaggio in giudicato della sentenza o al momento dell'inizio dell'esecuzione, teorie entrambe sostenute da autorevole dottrina, senz'altro al momento della maturazione dei presupposti di legge. Nel caso di specie, al momento dell'entrata in vigore della normativa di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale il Manzoni vantava tutti i requisiti di legge per addivenire ad una pronuncia di merito sull'odierna istanza. Solo in seguito al decreto-legge n. 306 citato il Manzoni ha sentito richiedere quale presupposto indefettibile di ammissibilita' del beneficio l'ulteriore requisito della condotta collaborativa, nei termini in precedenza evidenziati. Le modifiche apportate dalla normativa del 1992, hanno sostanzialmente determinato una nuova ed ulteriore valutazione del comportamento tenuto dal Manzoni sulla scorta di parametri estranei al processo rieducativo o comunque non necessariamente a questo correlato, cosi' di fatto modificato nei suoi aspetti fondamentali l'entita' della pena inflitta nella forma delle sue modalita' esecutive. Ritenuta pertanto di dubbia costituzionaita' in relazione agli artt. 3, secondo comma, 25, secondo comma, e 27 terzo comma, della Costituzione la normativa di cui all'art. 4-bis primo comma, cosi' come modificato dal d.l. n. 306/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 356/1992; ritenuta rilevante la questione nel caso di specie, poiche' la norma che si sottopone al vaglio di costituzionalita' impedisce di esaminare nel merito l'istanza; deve sospendersi il giudizio in corso, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la valutazione delle censure sollevate.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale illustrate nella motivazione della presente ordinanza; Sospende la procedura relativa alle istanze di accertamento della condotta collaborativa e di affidamento in prova avanzate da Manzoni Mario. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in ordine alle questioni sollevate. Manda alla cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le forme di pubblicita' previste dall'art. 23 della legge citata. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 aprile 1994. Il presidente: CARUSTO Gli esperti: MARASCO - GENTILI Il magistrato estensore: FINITI 94C1025