N. 62 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 agosto 1994
N. 62 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 30 agosto 1994 (della regione Toscana) Edilizia e urbanistica - Riapertura ed estensione agli immobili costruiti abusivamente sino a tutto il 31 dicembre 1993 del condono edilizio introdotto come misura eccezionale dalla legge statale n. 47 del 1985 - Previsione: a) di programmi di intervento comunali per il rientro dell'abusivismo di necessita' i cui criteri di formazione ed i contenuti sono riservati al Ministro dei lavori pubblici; b) dell'attribuzione al Ministro dei lavori pubblici di eventuali poteri sostitutivi per i provvedimenti di compentenza del sindaco mediante la nomina di commissari ad acta; c) della possibilita' di sanatoria retroattiva delle nullita' di concessioni edilizie dichiarate con sentenze passate in giudicato se non siano avvenute trascrizioni a favore di terzi; d) dell'obbligo delle pubbliche amministrazioni di esaminare entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore del d.l. i casi relativi alle procedure di affidamento e di esecuzione delle opere pubbliche che, non rientrando nelle ipotesi previste dall'art. 6 del d.l. stesso, possono essere riavviate con provvedimento amministrativo; e) dell'introduzione dell'istituto del silenzio-assenso per le concessioni edilizie in caso di mancata comunicazione del diniego entro novanta giorni; f) dell'attribuzione al giudice amministativo della giurisdizione esclusiva in materia di responsabilita' per danni del sindaco e del responsabile del provvedimento per illegittimo diniego di concessioni edilizie - Violazione della sfera di competenza regionale in materia di edilizia e urbanistica e dei principi di leale collaborazione, di tutela del paesaggio e di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 392 e 393 del 1992 - Istanza di sospensione. (D.L. 26 luglio 1994, n.468, artt. 3, 4, 5, 6, undicesimo comma, e 8). (Cost., artt. 3, 24, 97, 117, 118 e 119).(GU n.40 del 28-9-1994 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, rappresentata e difesa per mandato a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, via G. Carducci, n. 4, in forza di deliberazione g.r. n. 7865 del 1 agosto 1994 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per l'annullamento previa sospensione del decreto-legge 26 luglio 1994, n. 468, "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata". 1. - L'architettura del decreto-legge ricalca quella della legge n. 47/1985: si tratta cioe' di un testo normativo contenente un condono per gli illeciti in materia urbanistica e una riforma di parti essenziali della regolazione urbanistica, con profonde innovazioni rispetto alla disciplina vigente. Ma, mentre nel caso ricordato veniva correttamente usato lo strumento della legge, indispensabile quando debba essere regolata materia che appartenga alla competenza legislativa regionale che puo' essere esercitata nei limiti dei principi posti da leggi dello Stato, nel caso sottoposto al giudizio della Corte lo strumento e' quello illegittimo del decreto-legge, provvedimento provvisorio, che ontologicamente non puo' porre principi. Principio e' nozione (impiegata nell'art. 117 della Costituzione) contrapposta a provvedimento (impiegata nell'art. 77 della Costituzione), con una serie di implicazioni gia' sottolineate dalla dottrina (per tutti ricordiamo l'autorevole presa di posizione di Paladin, in G. Branca, Commentario della Costituzione, La formazione delle leggi, vol. II, 69), tanto per quanto riguarda la generalita' quanto per cio' che attiene alla proiezione diacronica. I principi hanno "carattere fondamentale e si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla intima razionalita' delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell'ordinamento giuridico", come la Corte ha ritenuto a partire dalla sentenza 6/1956, in Giur. cost., 1956, 586. Questa formulazione comporta che configurare un principio momentaneo contingente che viene assunto provvisoriamente, sia una contraddizione irragionevole. Se i principi vanno desunti da un tessuto, l'inopportunita' funzionale di un rabberciamento provvisorio di un tessuto e' di per se' tale da escludere l'uso di uno strumento incongruo quale il decreto-legge. Che, comunque, e' da proscrivere per le ragioni testuali e strutturali alle quali ci riferiamo. L'irragionevolezza e' lo strumento che veicola una lesione del sistema posto dall'art. 117; essa e', di per se' sussistente (e' bene precisarlo) quand'anche non fosse stato usato lo strumento del decreto-legge, come verra' detto piu' avanti, dimostrando l'irragionevolezza delle nuove disposizioni in relazione al loro specifico contenuto. Le ragioni per cui la costituzione vuole la legge (cioe' rappresentanza di punti di vista e degli interessi, discussione, ponderazione, tutela delle minoranze) non hanno bisogno di lunghi commenti. Sono ragioni e finalita' tutte frustrate dal ricorso ad uno strumento che non risponde alle finalita' della riserva posta dalla costituzione, anzi e' utilizzato per raggiungere indebitamente obiettivi in contrasto con l'ordinamento costituzionale. Si ha, in questo modo, una peculiare forma di irragionevolezza che consiste in una consequenzialita' perversa, vale a dire nello scegliere lo strumento piu' efficiente per raggiungere un fine contrario a quello della norma costituzionale. Obiettare che nel caso in questione il decreto ha forza di legge e quindi non puo' esservi diversita' fra i suoi effetti e quelli di legge, non supera l'obiezione per cui non basta una norma di legge, ma occorre una norma di principio posta dalla legge o da essa desumibile. Puo' essere significativo notare che la Corte, nella sentenza n. 100/1980, ha escluso che un d.P.R. potesse avere titolo per abrogare o contraddire una fonte locale in materia regionale non essendo neanche dotato di forza di legge. Il che vuol dire - proseguendo l'iter del ragionamento - che, se anche un atto fosse dotato di forza di legge, questa attribuzione non avrebbe di per se' titolo sufficiente per porre quelle statuizioni di principio che solo una legge puo' fare. Non a caso in gran parte delle letture del testo costituzionale la conversione del decreto-legge viene vista come novazione, per cui ad una fonte ne viene sostituita un'altra con cui viene esercitata la funzione legislativa. Nel caso in cui si tratti di principi, la legge sola e' abilitata a porre norme costituzionalmente valide. Sino a quando, pero', una legge di conversione non sia sopravvenuta, il decreto-legge non ha titolo per alterare l'ordine dei principi fondamentali della materia. Il d.l. prodotto e' irragionevole, perche' non vi e' assoluta urgenza di cambiare principi, tanto meno in una materia in cui le oscillazioni sono frequenti. Se per avventura la necessita' e l'urgenza vi fosse, andrebbe data una motivazione adeguata del nesso che intercorre secondo il governo fra il rilancio dell'economia e il modificare i principi fondamentali della normazione, che nel nostro caso manca del tutto anche se in questo caso la costituzione esige la motivazione dell'atto normativo. 2. - Le pesanti modificazioni all'ordinamento di settore vigente, e cioe' al complesso principi generali statali-normazione regionale, violano le competenze garantite alle regioni dall'art. 117, con riferimento al rovesciamento di principi posti da una lunga tradizione normativa, che ha posto un assetto della regolazione la cui coerenza e' stata riconosciuta dalla Corte, corrispondente ad esigenze di buon andamento e di corretto impiego delle potesta' e delle disponibilita' finanziarie, violando tanto l'art. 117, in correlazione con l'art. 97 e l'art. 3, quanto l'art. 119, sempre in correlazione con gli artt. 97 e 3. 3. - Scendendo ad esaminare i singoli articoli, va detto che oltre che nel capo secondo relativo alla regolazione urbanistica, anche nel capo primo relativo al condono vengono inserite norme che violano le competenze regionali. L'art. 3 prevede che i comuni individuino le zone maggiormente interessate dall'abusivismo, ai fini della realizzazione di programmi di intervento. Si tratta di atti di incerta collocazione, che paiono istituire un nuovo tipo di strumenti urbanistici; non paiono, infatti, semplici programmi di spesa di opere pubbliche, limitati a stanziamenti di somme per realizzare progetti gia' localizzati. Comunque, in entrambi i casi, sia sotto il profilo dell'urbanistica, sia sotto quello dei lavori pubblici, si tratta di competenze previste negli artt. 117 e 118 della Costituzione. Se questi programmi determinassero (come sembra) le modificazioni di precedenti previsioni urbanistiche, costituirebbero una "causa di alterazione del quadro dei rapporti tra competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali nel vigente sistema di programmazione urbanistica, nelle sue articolazioni territoriali e di settore", per usare le parole della sentenza n. 393/1992. La quale proseguiva rilevando "chiara l'irrazionalita' ed il contrasto della normativa che la produce con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione". L'enunciato del decreto e' incerto e confuso. Non si sa da chi vengano approvati questi programmi, con quali effetti e con quali scopi. Il decreto nell'art. 3, secondo comma, dice che "entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dei lavori pubblici determina, con proprio decreto, i criteri di formazione e i contenuti dei programmi di intervento nonche' le modalita' di concessione dei finanziamenti". Il terzo comma aggiunge che "Per la realizzazione dei programmi di cui al primo comma si provvede utilizzando le somme, eccedenti gli importi di lire 2.550 miliardi per il 1994 e di lire 5.915 miliardi per il 1995, relative agli introiti derivanti dall'art. 1. Le predette somme sono riassegnate, con decreto del Ministro del tesoro, ad appositi capitoli dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici". Tutta la materia viene sottratta all'attivita' normativa e amministrativa delle regioni, violando gli artt. 117 e 118 con una normazione irragionevole, basata sull'ignorare completamente la competenza regionale, attribuendo al Ministro un potere normativo di attuazione della legge e in realta' di determinazione e conformazione di una scatola vuota di cui viene solo indicato il nome. Si tratta di un potere illegittimo non configurabile in materie trasferite alle regioni. L'illegittimita' denunciata si aggiunge a quella della incoerenza della normativa, che istituisce un programma senza dire che cosa intenda programmare, se opere o insediamenti, sapendo solo che entro tre mesi il Ministro fara' conoscere il contenuto e le modalita' per erogare i finanziamenti che egli dara', in materia di competenza regionale e quindi con ulteriore violazione dell'art. 119 sia sotto il profilo della spesa sia sotto quello dell'entrata. La statuizione dell'art. 3, terzo comma, prevede un impiego degli introiti derivanti dalle domande di condono affidato all'arbitrio del Ministro che, in violazione del principio di legalita', determina esso stesso con suo decreto a che cosa debbano essere volti i programmi, che, sempre a suo arbitrio, finanziera': con nuova totale esclusione delle regioni e con un rovesciamento delle norme finanziarie connesse alle leggi come la n. 457/1978, poste dalle leggi regionali in attuazione di una legislazione concorrente coerente. 4. - Lo stesso filo conduttore di sottrazione di competenze istituzionali regge l'enunciato dell'art. 4, anch'esso brutto esempio di confusione. Nel primo comma, l'articolo prevede che "in caso di inadempienze" (quali e da chi commesse il testo non dice; se dovessimo pensare a previsioni sulla materia intera avremmo evidenti sovrapposizioni e interferenze) venga nominato dal Ministro un commissario ad acta per l'adozione di provvedimenti di competenza del sindaco. Anche in questo caso viene invasa un'area di competenza della regione che ha, e deve avere, funzioni di controllo e sostitutive, sia per la regolazione delle competenze, come e' stata effettuata dal d.P.R. n. 616, sia per la coerenza del sistema di regolazione della materia urbanistica, con la posizione che la regione in essa deve avere agli effetti della vigilanza, del controllo e delle repressioni. 5. - L'art. 5 del decreto-legge viola un principio che universalmente veniva considerato fermo, il rispetto del giudicato e del limite dei rapporti esauriti, con un'invasione delle competenze regionali. Infatti la stutuizione interferisce con le funzioni amministrative della regione. Ad esempio, gli atti di annullamento di concessioni edilizie che fossero stati effettuati dalla regione sulla base di una sentenza passata in giudicato che avesse accertato la nullita' di un trasferimento di immobili a norma dell'art. 17 e dell'art 40 della legge n. 47/1985 con correlativo successivo annullamento regionale della concessione rilasciata ad un proprietario che tale non era in violazione dell'art. 4 della legge n. 10/1977, verrebbero travolti dall'eversiva statuizione dell'art. 5. Esempio a parte, con il sovvertimento di un principio dell'ordinamento che e', per usare la definizione altra volta data dalla Corte, principio di civilta' giuridica, si ha lesione dell'affidamento nell'esercizio del propri poteri che compete ai soggetti costituzionali, con una violazione delle norme degli artt. 3, 97, 117, 118 della Costituzione, nonche' dell'art. 24 inteso con riferimento alle garanzie che l'ordinamento deve apprestare per la tutela giurisdizionale a livello generale, non solo con riferimento alle singole situazioni soggettive. 6. - Nell'art. 6, undicesimo comma, viene previsto che "le pubbliche amministrazioni provvedono, per quanto di loro competenza, ad esaminare entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto i casi relativi alle procedure di affidamento e di esecuzione delle opere pubbliche che, non rientrando nelle ipotesi di cui al presente articolo, possono essere riavviati con provvedimento amministrativo sulla base dei principi indicati nel presente articolo". Se per pubbliche amministrazioni si intendono anche quelle non statali, viene posta in essere una normazione incoerente, confusa e irragionevole che pretenderebbe di avere effetti immediatamente operativi anche per le regioni e per le amministrazioni che hanno funzioni relative ad opere pubbliche di competenza regionale ex art. 117 della Costituzione, con invasione della sfera regionale. 7. - L'art. 8 rovescia la logica posta dall'art. 4 della legge n. 493/1993. Questo aveva escluso completamente il silenzio-accoglimento nella submateria della concessione edilizia, dopo un periodo di estensione transitoria disposta dalla legge n. 94/1982. Quest'ultima, pero', si riferiva al silenzio accoglimento nei casi in cui la concessione fosse atto dovuto per l'esecuzione di uno strumento urbanistico direttamente operativo. Con l'illegittimo decreto-legge n. 468/1994 il metodo del silenzio-assenso viene esteso ad ogni e qualsiasi caso. Chiunque puo' presentare una domanda di concessione e, decorso il termine indicato, e' abilitato a costruire in forza della regola del silenzio-assenso posta dall'art. 4, primo comma, del nuovo testo della legge n. 493/1993 riscritto dal primo comma, dell'art. 8 del d.l. n. 468/1994. La prova del titolo all'edificazione e' data dalla copia dell'istanza presentata da cui risulti la data del deposito. Anche se la domanda di concessione non fosse conforme al piano regolatore oppure se un piano valido ed efficace mancasse, oppure se il piano richiedesse una ponderazione e la concessione fosse tutt'altro che atto dovuto (come e' nella normalita' dei casi), il silenzio-assenso opera sempre. Questa e' la profonda diversita' con il metodo della legge n. 94/1982, che prevedeva il silenzio-accoglimento nei casi di "interventi da attuare su aree dotate di strumenti urbanistici attuativi vigenti ed approvati non anteriormente all'entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765, nonche' quando la concessione o autorizzazione e' atto dovuto in forza degli strumenti urbanistici vigenti e approvati non anteriormente alla predetta data". Altro e' superare una impasse dovuta ad una inattivita' dell'amministrazione in un caso particolare (che puo' essere ragionevole perche' utile metodo per aumentare l'efficienza), altro elevare il silenzio-assenso a regola normale, arrivando ad una normativa per cui ben si puo' parlare di incostituzionalita' per abuso di silenzio-assenso. Con l'illegittimo decreto-legge, il meccanismo consente la costruzione immediata, decorso il termine, con un congegno che depotenzia il momento della ponderazione cosi' come quello del controllo. La legislazione urbanistica, per lunga e consolidata tradizione, e' fondata sulla esistenza di una fase di predisposizione di previsioni vincolanti con i piani e su un'altra di attuazione attraverso il rilascio di concessioni o di autorizzazioni, che debbono essere conformi al piano e, se discrezionali, debbono essere ponderate al momento del rilascio. Invero se in taluni casi la concessione puo' essere configurata, in relazione alle singole concrete previsioni di quel determinato piano, come atto dovuto, in altri casi e' discrezionale; e' sempre subordinata ad accertamento di fatto a norma dell'art. 31, quinto comma, l. urb., ad esempio con conseguenti illegittimita' di una concessione di costruzione "in zona non servita, o insufficientemente servita, da opere di urbanizzazione primaria" (Cons. Stato, sezione V, 4 gennaio 1993, n. 26, in Foro it., 1993, III, 573 e segg.); ed e' sempre subordinata a ponderazioni in relazione alle previsioni. Il rilascio della concessione presuppone un'istruttoria per l'accertamento della sussistenza dei requisiti. Per addurre un esempio, secondo l'art. 9 della variante p.r.g. del capoluogo della Toscana, gli interventi di risanamento conservativo per i quali si prevede con concessione gratuita "sono quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalita' mediante un insieme sistematico di opere che, sulla base di una attenta analisi storico-critica e nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, consentano destinazioni d'uso con essi compatibili", la cui compatibilita' va determinata; "E' consentito l'uso di solai in cemento armato, ferro e misti, in sostituzione di preesistenti strutture in legno, qualora non vi siano elementi di interesse architettonico, pittorico, storico che comunque saranno oggetto di analisi preventiva da parte degli uffici competenti, ai fini del parere della commissione edilizia", art. 29, lett. o). Nella maggioranza dei casi non basta l'accertamento della sussistenza dei requisiti: occorrono valutazioni discrezionali o ponderazioni, per usare il linguaggio pertinentemente impiegato dalla Corte. Sempre per addurre ad esempio le previsioni del piano citato, le "concessioni che comportino mutamenti di destinazione possono essere non rilasciate se a causa del tipo di attivita' svolta, dei movimenti di traffico indotti, della nocivita' e rumorosita', o per altro motivo, le destinazioni possano alterare, in modo dannoso, l'equilibrio urbanistico della zona limitrofa all'edificio o dei tessuti storici e consolidati", art. 30, secondo comma; oppure "i parcheggi multipiano sono condizionati alle esigenze funzionali, ed alla compatibilita' con la viabilita' e con i valori ambientali e paesistici della zona circostante", art. 68, ottavo comma; altrettanto per i progetti di parcheggi privati, art. 69, nono comma. Del pari e' evidente che la concessione per un opificio ben puo' contenere "la prescrizione secondo cui la rumorosita' dell'opificio stesso durante le fasi di lavorazione a pieno regime non dovra' superare i valori determinati" (Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 1 marzo 1993, n. 103, in Giur. amm. sic., 1993, 62); cosi' come il piano puo' prevedere una convenzione come presupposto per il rilascio di concessione ai fini produttivi, Cons. Stato, sezione V, 19 settembre 1992, n. 839, in Foro amm., 1992, 1936. Senza soffermarsi su fattispecie singole, puo' essere sufficiente ricordare che le sezioni unite della Corte di cassazione considerano sempre discrezionale il rilascio della concessione (cfr. Cass., sez. un., 5 marzo 1993, n. 2667, in Foro it., 1993, I, 3062, "il privato non ha, neppure di fronte a strumenti urbanistici che prevedono determinate edificabilita', un diritto soggettivo al rilascio della concessione edilizia, potendo comunque la p.a. discrezionalmente determinare le concrete modalita' di esercizio del richiesto 'diritto'"). Di fronte a queste constatazioni sulla necessita' del momento di ponderazione e' evidente che il prevedere che il progettista assuma la funzione di legittimare il silenzio accoglimento ("alla domanda di concessione edilizia e' allegata anche una relazione a firma del progettista che asseveri la conformita' degli interventi da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonche' il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie"), e' insufficiente. Il progettista potra' dire al piu' che esiste una norma che costituisce un quadro e una base che consente all'autorita' amministrativa la ponderazione degli interessi. Anche ammesso che sia legittimo sostituire alla norma vigente (che prevede un certificato dell'amministrazione che deve applicare e interpretare la legge) una nuova statuizione che prevede invece una relazione di persona tecnicamente valida per progettare interventi costruttivi, meno per interpretare norme, resta sempre indubitabile che il momento della ponderazione viene abbandonato e pretermesso. Sarebbe superfluo ripetere che la necessaria strutturazione con una fase istruttoria e di ponderazione deriva direttamente dall'insegnamento della Corte, nel quadro del collegamento riaffermato dalla giurisprudenza della Corte fra accertamento del rispetto dell'art. 97 della Costituzione e sindacato di ragionevolezza. L'insegnamento della Corte viene disatteso con l'istituzione di un silenzio-assenso che impedisce un esame dettagliato e puntuale di cui parla la sentenza n. 392/l992 e che pone previsioni accelerativo-derogatorie di fatto contrarie al buon andamento e alla ragionevolezza di un assetto normativo in area di legislazione concorrente. Del resto questo giudizio non positivo sul silenzio-assenso e' stato dato dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 28 febbraio 1991, causa 360/87. La normazione "non europea" dell'art. 8 del d.l. n. 468/1994 stravolge il sistema sinora seguito dalla normazione urbanistica con una diversificazione di momenti, sulla base di una lunga tradizione della legislazione urbanistica (per usare la formula impiegata dalla Corte) per cui pianificazione, attuazione ed esecuzione debbono rimanere separati. Nel nostro caso, invece, l'accoglimento della concessione, diventando automatico, priva il rilascio dell'atto concessorio del momento del riscontro alla conformita' e al piano, che potrebbe addirittura non esserci (o potrebbe, quanto meno, non esserci come strumento efficace e/o valido). In altre parole, potrebbe effettuarsi il deposito di una domanda di concessione contraria al piano o in regime di assenza di normativa di piano efficace e valido e produrre automaticamente l'accoglimento, senza che vi sia stato ne' controllo, ne' ponderazione sulla concessione che viene rilasciata con il silenzio, automaticamente, cosicche' la concessione viene a tener luogo di uno strumento pianificatorio che non c'e', oppure di fatto vi deroga. Tutto cio' e' precluso ad una legge statale che non puo' derogare "al principio di distinzione tra programmazione territoriale, come diretta a regolare la destinazione e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione dell'opera, conferita al soggetto interessato con il rilascio dell'atto amministrativo senza il controllo di coerenza dell'ntervento specifico con gli indirizzi programmatici, controllo particolarmente necessario, per l'osservanza, che esso consente, del precetto dell'art. 4, primo comma, della stessa legge n. 10/1977, secondo il quale la concessione e' data in conformita' alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi" (sentenza n. 393/1992). Se e' illegittima (come lo e' in forza della sentenza ora ricordata) una normativa che consenta all'atto con effetti concessori di derogare ad uno strumento di pianificazione, non e' meno illegittima e irragionevole una pianificazione che attribuisce ad una concessione "silenziosa" in fatto lo stesso valore derogatorio, legittimando l'inizio di una edificazione derogatoria, anzi contraria, al piano regolatore. 8. - Non diverse sono le conclusioni per quanto riguarda la statuizione del primo comma dello stesso art. 8 per l'abrogazione della norma di principio posta dall'art. 13 della legge n. 10/1977. La scansione temporale e' elemento fondamentale di ogni programmazione che e' l'individuazione di finalita' od obiettivi da raggiungere con determinati mezzi in un determinato tempo. Il congegno del programma pluriennale di attuazione costituisce la risposta a questa esigenza di determinazione del tempo e di correlativo apprestamento concreto e reale di disponibilita' finanziarie tali da evitare che il piano diventi una sterile operazione puramente grafica. L'elemento temporale fa parte anch'esso della tradizionale configurazione dell'assetto urbanistico che deve investire tanto lo spazio quanto il tempo. Originariamente, nella struttura della legge urbanistica del 1942, esso era affidato all'articolazione del piano particolareggiato che conteneva un piano di spesa. Successivamente la funzione di regolazione dell'attuazione nel tempo ha trovato un assetto nella dimensione temporale, che adesso viene scardinata. Nel diritto vivente (ricordiamo per tutte la sentenza del Cons. Stato, sezione quarta, 5 novembre 1991, n. 882, in Riv. giur. urb., 1993, I, 235 e segg.), "pur se il p.p.a. e' stato introdotto con la legge n. 10/1977, la potesta' di distribuire nel tempo gli interventi sul territorio era gia' contenuta per grandi linee, nel potere di pianificazione di cui alla legge 17 agosto 1942, n. 1150. Ogni piano regolatore, invero, benche' destinato a valere a tempo indeterminato, in effetti non contempla che gli interventi la cui attuazione e' prevedibile nel momento in cui lo strumento e' redatto, talche' l'amministrazione gode di ampia discrezionalita' nello scegliere, in pratica, il limite temporale entro il quale circoscrivere tali previsioni". Il potere di pianificare la graduazione cronologica degli interventi sul territorio e' dunque implicito nel concetto stesso di pianificazione urbanistica, mezzo per "uno sviluppo ordinato e razionale del territorio", e non (solo) un mezzo per "perseguire la politica finanziaria" dei comuni. Se e' pur vero che una gestione dei suoli improntata a criteri di economicita' rientra tra i fini istituzionali dei comuni in generale, deve in ogni caso ritenersi interesse prioritario uno sviluppo organico, e questo deve soprattutto rispondere alle esigenze della collettivita', esigenze che non ricomprendono semplicemente il c.d. "diritto alla casa", ma anche un ambiente salubre, un paesaggio il piu' possibile intatto, ecc. Scardinare questo sistema senza motivazione, in modo affrettato, non risponde ai criteri di ragionevolezza e di buon andamento. Il fatto che possa essere migliorata la risposta alla esigenza, non consente di considerare ragionevole la negazione pura e semplice delle esigenze di regolazione temporale sotto il profilo dell'attuazione ordinata delle previsioni con riferimento alle manovre di spesa di urbanizzazione che i comuni possono determinare con riferimento alla scansione nel tempo. Tanto meno consente di ritenere ragionevole un'immediata abrogazione della norma sui programmi pluriennali, con conseguente annullamento di quelli vigenti e una situazione di immediata paralisi e confusione. 9. - Del provvedimento impugnato deve essere chiesta la sospensione, in considerazione della gravita' degli effetti di turbativa dell'ordine costituzionale delle competenze e di disordine sulla corretta amministrazione della materia oggetto del decreto che esso produce, rovesciando il sistema in vigore, consentendo l'immediato uso del silenzio-assenso e l'immediata decadenza degli strumenti di programmazione temporale. L'ammissibilita' del potere cautelare della Corte costituzionale quale giudice delle leggi e' stata riconosciuta dalla piu' autorevole dotttrina (Mortati, Istituzioni di diritto pubbilico, IX ed., Padova, 1976, p. 1391). Essa ha giustamente rinvenuto il fondamento del potere inibitorio nelle esigenze di un sistema com'e' il nostro, il quale (come rileva Pace, Sulla sospensione cautelare dell'esecuzione delle leggi autoapplicative impugnate per incostituzionalita', in Riv. trim. dir. pubbl., 1968, 517 e segg.) impone l'effettivita' della tutela e conseguentemente fa considerare come attivita' istituzionale del potere del giudice il potere cautelare, che e' stato riconosciuto dal Consiglio di Stato il quale, in carenza di una disposizione testuale nella legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ha ritenuto la sussistenza del potere di inibitoria, per considerazioni interpretative sistematiche relative alla "generale competenza giurisdizionale a sindacare la legittimita' degli atti definitivi posti in essere dalla pubblica amministrazione statale e non statale e lesivi di interessi legittimi. Ed e' proprio la generalita' della sfera di competenza del Consiglio di Stato che induce a ritenere che, nella perdurante sua natura di giudice di unico grado per la tutela degli interessi legittimi, spetti al Consiglio stesso almeno la tutela cautelare ed urgente in relazione ai ricorsi proposti dopo l'entrata in vigore della nuova normativa" (Adunanza plenaria, 14 aprile 1972 n. 5, in Foro it., 1972, III, 105 e segg.). La decisione del Consiglio di Stato sembra avere particolare importanza anche in relazione all'art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che rinvia al regolamento per la procedura davanti al Consiglio di Stato, tenendo conto che esattamente la dottrina piu' autorevole (Mortati) richiama l'art. 39 t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato per il procedimento relativo alla sospensione dell'atto impugnato. Una rilevanza ancora maggiore, nella stessa linea interpretativa, deve essere riconosciuta all'insegnamento della Corte nella sentenza n. 284/1974, in cui e' stato statuito che "il potere di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato e' elemento connaturale di un sistema di tutela giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l'annullamento degli atti". L'affermazione della Corte si riferisce agli atti amministrativi, ma la ratio e la motivazione della decisione si attagliano anche all'annullamento dell'atto legislativo, perche' tale e' la configurazione dell'esito delle sentenze di accoglimento, quale risulta dal terzo comma dell'art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e secondo le affermazioni della Corte (sentenze nn. 127/1966 e 49/1970) e posto che in tale funzione la Corte e' giudice. La Corte costituzionale, secondo il proprio indiscusso insegnamento (sentenze nn. 22, 73 e 74 del 1960, 57/1961, 67 e 68 del 1962, 73, 75 e 76 del 1965, 130/1968, 127 e 128 del 1969, 100 e 190 del 1970, 181/1971, 96, 97, 101 e 151 del 1972, ord. 9 ottobre 1974, nn. 259/1974, 13 e 230 del 1975, 179, 38, 246 e 247 del 1976, ord. 7 luglio 1977, n. 125/1977, sentenze 2 agosto 1979, nn. 44, 68 e 69 del 1978) e' come tale titolare del potere di decidere sull'azione cautelare che inerisce alla funzione del giudice. A conferma si puo' aggiungere la constatazione che, secondo i canoni piu' volte affermati dalla Corte, l'effettivita' del potere e' il parametro con cui ne vanno valutate le implicazioni. Cosicche' ad un potere che ha competenza di annullamento sull'atto legislativo inerisce il potere cautelare, cosi' come al potere che ha giurisdizione sull'atto amministrativo anche normativo inerisce il potere cautelare nei confronti di quest'ultimo. Non a caso questo principio del potere cautelare sull'atto legislativo e' una costante negli ordinamenti che hanno un sistema di giustizia costituzionale anche di data antecedente al nostro. Le constatazioni precedenti hanno trovato la piu' autorevole sanzione nella giurisprudenza della Corte. Essa nella sua sentenza n. 190/1985 ha affermato con chiarezza il "principio, per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione" e conseguentemente ha dichiarato l'illegittimita' di talune norme della legge n. 1034/1971. Sulla base di questo principio, che la Corte ha richiamato nella sentenza n. 146/1987, punto 5.2. in diritto, i dubbi interpretativi sul potere cautelare in relazione agli atti normativi trovano la loro soluzione nel principio posto dalla Corte, che non puo' non estendersi al processo di illegittimita' costituzionale. Esso e' un processo non dissimile nella sua struttura dagli altri in cui la Corte e' giudice (ed ormai la giurisprudenza della Corte sulla Corte come giudice e' pacifica: ordinanze nn. 95/1980, 100/1970, 73/1965, 230/1975, 57/1961, 22/1960) e come tale fornito di tutti i poteri che ha ogni giudice in ogni processo, come e' quello di sollevare questioni di costituzionalita' - riconosciuto da una giurisprudenza costante - e come e', appunto, il potere cautelare di cui viene chiesto l'esercizio. Nel caso del decreto impugnato ricorrono tutti gli elementi che giustificano la domanda cautelare. Il decreto-legge e' per sua natura caratterizzato dalla temporaneita', come atto che e' istituzionalmente a tempo predeterminato. Esso ha immediati effetti, che, come abbiamo visto, determinano irragionevolezza della disciplina complessiva; ledono l'affidamento ingenerato nel cittadino; modificano con effetto immediato (cosicche' - se il decreto non fosse sospeso, e poi fosse invece, per auspicata ipotesi, annullato - si ingenerebbe il caos) meccanismi e procedure di rilascio del titolo concessorio stabiliti solo un anno prima, e provvedimenti di programmazione temporale, senza nessuna motivazione ne' sulla necessita', ne' sull'urgenza di operare in tal senso. Per questo, la regione Toscana deve fare ricorso alla tutela della Corte, unico organo che puo' intervenire dal momento che la sinergia perversa e concentrata dei vizi di illegittimita', sommati all'immediata operativita' dell'incostituzionale decreto rende indispensabile l'intervento della Corte per sospendere l'esecuzione del medesimo: e nel valutare la opportunita' del provvedimento cautelare, crediamo che la Corte non possa prescindere dalle illegittimita' strutturali del decreto-legge, dalla assoluta mancanza di motivazione e di indicazione dei presupposti costituzionali, dall'incoerenza e dalla contraddittorieta', dalla violazione dei principi piu' volte richiamati.
P. Q. M. Si chiede che la Corte voglia, in accoglimento del presente ricorso, annullare gli artt. 3, 4, 5, 6, undicesimo comma, 8, del d-l. 26 luglio 1994, n. 468, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. In via interinale, si chiede che la Corte voglia sospendere le disposizioni impugnate. Roma, 24 agosto 1994 Avv. Alberto PREDIERI 94C1044