N. 64 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 agosto 1994

                                 N. 64
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 30 agosto 1994 (della regione Liguria)
 Edilizia e urbanistica - Riapertura ed estensione agli immobili
    costruiti abusivamente sino a  tutto  il  31  dicembre  1993,  del
    condono  edilizio  introdotto  come misura eccezionale dalla legge
    statale n. 47 del 1985 - Previsione: a) di programmi di intervento
    comunali i cui criteri di formazione ed i contenuti sono riservati
    al   Ministro   dei   lavori   pubblici;   b)    dell'introduzione
    dell'istituto  del silenzio-assenso per le concessioni edilizie in
    caso di mancata comunicazione del diniego entro novanta giorni; c)
    dell'attribuzione al  giudice  amministativo  della  giurisdizione
    esclusiva  in  materia  di responsabilita' per danni del sindaco e
    del responsabile del  provvedimento  per  illegittimo  diniego  di
    concessione  edilizia; d) dell'attribuzione al Ministro dei lavori
    pubblici di eventuali poteri sostitutivi per  i  provvedimenti  di
    competenza  del sindaco mediante la nomina di commissari ad acta -
    Asserita illegittimita' del d.l. impugnato per  la  mancanza  del
    presupposto  della  necessita' ed urgenza - Violazione della sfera
    di competenza regionale in materia di edilizia e urbanistica e dei
    principi di leale collaborazione, di tutela  del  paesaggio  e  di
    imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione.
 (D.L. 26 luglio 1994, n.468, artt. 1, 2, 3, 4, 6 e 8).
 (Cost., artt. 3, 5, 9, 97, 115, 117, 118, 128, 130, nonche' artt. 70,
    71, 72, 73 e 77).
(GU n.40 del 28-9-1994 )
   Ricorso   per   la  regione  Liguria,  in  persona  del  Presidente
 pro-tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato  con  delibera
 n.  5528  in data 11 agosto 1994 rappresentato e difeso per mandato a
 margine con facolta'  disgiunte  dall'avv.  Giuseppe  Petrocelli  del
 servizio  legale  della  regione,  e  dal prof. avv. Alberto Quaglia,
 corso Aurelio Saffi n. 7, Genova, con domicilio eletto presso  l'avv.
 Enrico Romanelli, in Roma, via Cosseria n. 5 contro la Presidenza del
 Consiglio  dei  Ministri, in persona del presidente in carica al fine
 di ottenere la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in  via
 principale  degli  artt.  1, 2, 3, 4, 6 e 8 del decreto-legge emanato
 con d.P.R. 26 luglio 1994, n. 468, pubblicato in  Gazzetta  Ufficiale
 n.  175  del 28 luglio 1994, ed avente ad oggetto "misure urgenti per
 il  rilancio  economico  e  occupazionale  dei  lavori   pubblici   e
 dell'edilizia   privata",   nonche'   dello  stesso  d.P.R.  nel  suo
 complesso.
                               F A T T O
    Sulla Gazzetta Ufficiale n.  175  del  28  luglio  1994  e'  stato
 pubblicato  il  testo  del  decreto-legge  avente  ad oggetto "Misure
 urgenti per il rilancio economico e occupazionale dei lavori pubblici
 e dell'edilizia privata.
    Si tratta, com'e' noto, di un intervento normativo  che  ha  avuto
 vasta  risonanza  nella  opinione  pubblica  e che concerne, in primo
 luogo, la possibilita' di accedere nuovamente alla  sanatoria-condono
 in  materia  edilizia di cui al capo IV della legge 28 febbraio 1985,
 n. 47, sia per coloro che all'epoca non  ne  avevano  fruito,  sia  -
 soprattutto - per coloro i quali hanno commesso successivamente abusi
 edilizi, purche' ultimati entro il 31 dicembre 1993.
    Contestualmente,  vengono  dettate altre norme in materia edilizia
 (artt. 3, 4,  7,  8),  nonche'  disposizioni  in  materia  di  lavori
 pubblici (artt. 6 e 9).
    La regione Liguria reputa le previsioni di cui al d.P.R. in parola
 costituzionalmente   illegittime   ed   invasive   delle  competenze,
 legislative ed amministrative, ad  essa  rimesse  e  garantite  dalla
 Costituzione,    come    confida   di   dimostrare   nelle   seguenti
 considerazioni di
                             D I R I T T O
    1. - In ordine all'art. 1, commi 1, 2, 5, 7, 8, 9 e 10 del  d.P.R.
 26  luglio  1994,  n.  468.  Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118
 della Costituzione. Incompetenza. Violazione degli artt. 3 e 97 della
 Costituzione. Irragionevolezza.
     a) Le norme indicate in rubrica disciplinano approfonditamente  e
 minuziosamente  profili  sostanziali  e procedimentali attinenti alla
 materia urbanistica, la quale - com'e' noto -  e'  costituzionalmente
 rimessa  alla  competenza legislativa (concorrente) ed amministrativa
 delle regioni a statuto ordinario ai sensi  degli  artt.  117  e  118
 della  Costituzione.  Segnatamente, le norme consurate sono ben lungi
 dal mantenersi, come d'obbligo, sul  piano  della  mera  legislazione
 (statale)   di   principi,   ponendo  invece  illegittimamente  norme
 legislative  di  dettaglio  invasive  delle  attribuzioni  regionali,
 irragionevoli  ed  in  contrasto  con altri valori costituzionalmente
 tutelati. Il tutto in assenza di disposizioni che  possano  dirsi  di
 riforma fondamentale economico-sociale.
    Di qui la loro illegittimita' costituzionale.
     b)  In particolare, l'art. 1, primo comma, del d.P.R. indicato in
 rubrica,  individua  gli  abusi  che  possono   accedere   al   nuovo
 procedimento di sanatoria-condono, prevedendo che "le disposizioni di
 cui  al capo IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive
 modificazioni  e  integrazioni,  come  ulteriormente  modificate  dal
 presente  decreto,  si  applicano  alle  opere  abusive che risultino
 ultimate entro il 31 dicembre 1993,  e  che  non  abbiano  comportato
 ampliamento  del  manufatto  superiore  al 30% della volumetria della
 costruzione originaria o nuove costruzioni  superiori  ai  750  metri
 cubi  in  relazione alla singola richiesta di concessione edilizia in
 sanatoria".  Tale disposizione, com'e' evidente, costituisce in primo
 luogo norma di estremo dettaglio, puntuale ed assolutamente esaustiva
 in ordine ai presupposti di fatto  per  accedere  alla  procedura  di
 condono  edilizio,  in  una  materia - l'urbanistica - nella quale lo
 Stato, notoriamente, non puo' porre che  norme  di  principio.    Per
 contro,  nel  caso  in esame, nulla residua alle regioni in ordine ai
 prifili  ivi  considerati,  discendendone  i   dedotti   profili   di
 illegittimita' costituzionale.
     b1)  D'altra  parte,  la  disposizione  di  che  trattasi pone in
 evidenza ulteriori profili di illegittimita' costituzionale anche con
 riferimento agli artt. 3  e  97  della  Costituzione  e  ai  connessi
 principi di ragionevolezza e buon andamento (censure invocabili anche
 dalle  regioni  in  via  di  azione  se,  come  nel caso, connesse ad
 un'invasione delle loro competenze costituzionalmente  garantite:  v.
 Corte  costituzionale 7 ottobre 1992, n. 393; Corte costituzionale 13
 luglio 1991, n. 343; Corte costituzionale 13 ottobre  1988,  n.  961;
 Corte  costituzionale  18  luglio 1989, n. 407).   Infatti, porre dei
 limiti quantitativi indifferenziati di "condonabilita'"dei  manufatti
 abusivi,  da  un  lato, come detto, e' compito di dettaglio attinente
 alla  materia  urbanistica  che,  quindi,  compete   al   legislatore
 regionale;  dall'altro,  costituisce  previsione  del tutto illogica,
 irragionevole e foriera di macroscopiche diseguaglianze, conducendo -
 nella  sua rozzezza - a disciplinare in maniera eguale situazioni tra
 loro macroscopicamente diverse.  Al riguardo, e'  sufficiente  notare
 come    l'incidenza    insediativa,    di   impatto   urbanistico   e
 paesistico-ambientale  di  un  manufatto  edilizio  e'  evidentemente
 diversa   a   seconda  della  sua  destinazione  d'uso  e  della  sua
 localizzazione sul territorio, configurandosi in proposito  sensibili
 differenze  sia  tra  le  varie  zone del territorio dello Stato, sia
 all'interno delle regioni o dei  singoli  comuni  (si  consideri,  in
 proposito,  la differente rilevanza di un abuso edilizio attinente ad
 un nuovo edificio di 750 mc  se  situato  in  una  zona  industriale,
 ovvero  in  un  centro  storico;  o, ancora, la diversita' di impatto
 insediativo di un magazzino per ricovero attrezzi di 750 mc  rispetto
 ad  una  casa  di  abitazione  di analoga cubatura).   E' chiaro come
 l'identico trattamento normativo riservato a situazioni cosi' diverse
 - tra loro omologate, soltanto dal limite quantitativo dei 750  metri
 cubi  - configura un'evidente violazione del principio di eguaglianza
 e del criterio di ragionevolezza.
     b2)   Egualmente,   si   manifesta   in   termini   di   evidente
 irragionevolezzae  causa  di  ingiustificate  diseguaglianze anche la
 limitazione di sanabilita' degli abusi "in  ampliamento",  posta  nel
 d.P.R.  impugnato  nella misura massima ed invariabile "del 30% della
 volumetria della costruzione originaria".  E cio' sia per le medesime
 ragioni di cui sopra (mancata distinzione  tra  diverse  destinazioni
 d'uso  e  tra diverse aree territoriali), sia per il fatto che e' ben
 diversa l'incidenza di un ampliamento del 30% relativo ad un  piccolo
 immobile  (che non puo' dare luogo a nuove unita' abitative) rispetto
 ad un immobile di grandi dimensioni.
    A cio' si aggiunga che, del tutto irragionevolmente,  la  suddetta
 "sanabilita'"  degli ampliamenti del 30% degli edifici esistenti, nel
 caso, non viene neppure limitata, nel massimo, ad una volumetria  che
 comunque  non  superi  i  750  mc (come avviene per i nuovi edifici),
 dando luogo quindi ad un diverso e ben  piu'  favorevole  trattamento
 per  chi commetta un abuso ampliando un immobile esistente rispetto a
 che ne edifichi uno del tutto  nuovo.    Tutto  cio',  a  parita'  di
 impatto   insediativo,   manifesta   un'evidente  irragionevolezza  e
 comporta la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
     b3) Ebbene, tutti tali aspetti - trattati cosi' irragionevolmente
 e grossolanamente dal Governo in sede  di  decretazione  d'urgenza  -
 erano  e  sono  di  competenza  della regioni, anche in quanto queste
 ultime  risultano  -  intuitivamente  -  i  sogetti  piu'  idonei   a
 distinguere,  nelle  diverse  situazioni, la tollerabilita' o meno di
 ammettere la sanatoria dei  manufatti  abusivi,  tenuto  conto  delle
 diverse  esigenze  territoriali, urbanistiche e paesistico-ambientali
 nei vari casi implicate.
     c) Anche  il  secondo,  quinto,  settimo,  ottavo  e  nono  comma
 dell'art.  1  del  d.P.R.  n.  468  citato configurano una disciplina
 procedimentale  e  sostanziale  di  dettaglio  che   deve   reputarsi
 preclusa,  ai  sensi  degli  artt. 117 e 118 della Costituzione, alla
 legislazione statale, non costituendo ne'  norma  di  principio,  ne'
 riforma   fondamentale  economico  sociale.    Ci  si  riferisce,  in
 particolare, alla disciplina del procedimento di presentazione  della
 domanda  di  sanatoria-condono  e  alla individuazione della relativa
 documentazione, agli esiti della domanda in caso di silenzio, nonche'
 alle conseguenze del mancato versamento delle somme ivi richieste.
     d)  Analoghe censure debbono muoversi al comma 10 del citato art.
 1, il quale prevede un meccanismo di silenzio-assenso  in  merito  ai
 pareri  delle  amministrazioni  competenti,  laddove le opere abusive
 insistano su aree vincolate.   Inoltre,  tale  meccanismo  -  dati  i
 ristretti  termini  di  formazione dell'assenso tacito - e' del tutto
 irragionevole e contrario al buon  andamento,  privando  le  relative
 amministrazioni,  tra  le quali le Regioni (v., ad esempio, il parere
 laddove sussita vincolo idrogeologico) della  effettiva  possibilita'
 di  esercitare  con  sufficiente utilita' le loro attribuzioni, anche
 costituzionalmente garantite.
    2. - Sempre in ordine all'art. 1 del d.P.R.  26  luglio  1994,  n.
 468.  Violazione  degli  artt. 3, 5, 9, 97, 115, 117, 118 e 128 della
 Costituzione.  Incompetenza.  Violazione  del  principio   di   leale
 collaborazione.  Irragionevolezza.  Violazione  del principio di buon
 andamento.
    L'art. 1 del d.P.R. citato, complessivamente  inteso,  rappresenta
 innegabilmente  un  fattore deflagrante nella gestione del territorio
 e, piu'  in  generale,  dell'ambiente,  vale  a  dire  nella  materia
 "urbanistica"  costituzionalmente rimessa alle regioni, nonche' nella
 materia paesistico-ambientale, oggetto anch'essa  -  secondo  l'ormai
 costante   giurisprudenza   di  codesto  ecc.mo  collegio  -  di  una
 competenza legislativa e amministrativa  concorrente  delle  regioni,
 dopo  l'emanazione  del  d.P.R. n. 616/1977.   Ebbene, l'assetto dato
 dall'art. 1 citato alla materia  trattata  non  pare  rispettoso  ne'
 delle   competenze   conferite   in   argomento  alle  regioni  dalla
 Costituzione, ne' del principio di "leale  collaborazione"  al  quale
 deve  essere  informato  l'esercizio,  da  parte  dello  Stato, delle
 attribuzioni nelle  materie  di  competenza  regionale,  e  contrasta
 inoltre  con  l'art.  9  della  Costituzione  e  con  i  principi  di
 ragionevolezza e buon andamento di  cui  agli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione.    In  primo  luogo,  la  stessa  scelta  di  fondo  di
 consentire, una volta ancora, una sanatoria generalizzata degli abusi
 edilizi,  anche  recenti,  anche  in  zone  vincolate,  ed  anche  in
 contrasto  con le previsioni degli strumenti urbanistici, proprio per
 i suoi gia' sottolineati effetti di "scardinamento" della  disciplina
 preposta  alla conservazione del territorio e dell'ambiente, viola le
 richiamate norme costituzionali ed i principi da  esse  costantemente
 ricavati  e  non  puo'  venire  imposta  con  legge dello Stato senza
 lasciare alle regioni, evidentemente interessate  secondo  competenze
 costituzionalmente   garantite  alla  tutela  del  territorio  e  del
 paesaggio, nessun profilo di scelta o di possibile limitazione  degli
 effetti  delle  misure  adottate;  una  siffatta  disciplina di legge
 puntuale ed  esaustiva,  anche  per  la  gravita'  delle  conseguenze
 prodotte  in  rapporto  alla  effettiva  possibilita' di continuare a
 gestire l'"urbanistica",  non  e'  compatibile  con  l'assetto  delle
 competenze  stabilito  in  materia  dalla  Costituzione  e dal citato
 d.P.R. n. 616/1977, soprattutto alla luce del principio della  "leale
 collaborazione" (posto che, nel caso, collaborazione non vi e' stata,
 ne'  e'  prevista dal decreto, dove in sostanza tutto e' rimesso alla
 legislazione statale, sia per gli aspetti sostanziali, sia per quelli
 procedimentali della nuova sanatoria-condono).    La  riapertura  dei
 termini  della  sanatoria,  di cui al capo IV della legge n. 47/1985,
 vanifica in sostanza un decennio di regolazione e di  protezione  del
 territorio  e  dell'ambiente,  da  parte  degli  enti  competenti, in
 violazione degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione;  e  cio',  senza
 che,  in relazione a tale gravissima evenienza, le Regioni possano in
 qualche modo interagire, in sede sia normativa,  sia  amministrativa,
 per  attenuarne  gli effetti deteriori, trovandosi gravate in materia
 da  una  disciplina  legislativa  statale   puntuale,   completa   ed
 assolutamente esautorante.
    Ne  discende la violazione delle norme dei principi costituzionali
 indicati in rubrica.
    3. - Con riguardo all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio  1994,  n.  468.
 Violazione  degli artt. 5, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione, in
 relazione agli artt. 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977, n.  10  e
 dell'art. 37 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Incompetenza.
    L'art.  2 del d.l. n. 468 regola, con riguardo al procedimento di
 definizione della sanatoria-condono di cui al precedente art.  1,  la
 materia  della  corresponsione  dei  contributi di concessione di cui
 alla legge n. 10 del 1977, sia temporalmente, sia  quantitativamente.
 Senonche', tale materia, attinente all'"urbanistica", e' sempre stata
 rimessa  alle  regioni  (ed ai comuni) ai sensi degli artt. 117 e 118
 della Costituzione in correlazione agli articoli - citati in  rubrica
 -  delle  leggi  n.  10/1977  e n. 47 /1985.   Nel caso di specie, al
 contrario, si e' in presenza di una norma puntuale ed esaustiva,  che
 esclude  del  tutto le regioni dalla materia in oggetto, dal punto di
 vista sia legislativo, sia amministrativo.
    Di qui la presenza dei dedotti profili di incostituzionalita'.
    4. - In merito all'art. 3 del  d.P.R.  26  luglio  1994,  n.  468.
 Violazione  degli  artt.  5,  115, 117, 118 e 128 della Costituzione,
 anche in relazione agli artt. 1 e 3 della legge  8  giugno  1990,  n.
 142. Incompetenza.
     a)  L'art.  3 del D.P.R. censurato tratta di non meglio precisati
 "Piani di rientro  dell'abusivismo  di  necessita'"  (nozione  invero
 quanto mai oscura), disponendo:
       a)  che  i  comuni,  entro  sei mesi dall'entrata in vigore del
 dedcreto,  debbono  individuare  "le  zone  maggiormente  interessate
 dall'abusivismo, con particolare riferimento agli immobili utilizzati
 come abitazione primaria";
       b)  che  "entro  tre  mesi  dalla data di entrata in vigore del
 presente decreto, il ministro  dei  lavori  pubblici  determina,  con
 proprio  decreto, i criteri di formazione e i contenuti dei programmi
 di   intervento,   nonche'   le   modalita'   di   concessione    dei
 finanziamenti".  Ebbene, la previsione di cui sub b), per quanto poco
 comprensibile,  e'  evidentemente  lesiva di competenze legislative e
 amministrative regionali costituzionalmente garantite.   Infatti,  e'
 fuor di dubbio che la suddetta disciplina, pur attenendo alla materia
 urbanistica  (di  competenza legislativa e amministrativa regionale),
 rimetta ad un organo dell'amministrazione statale (non la  fissazione
 di norme di principio, che comunque spetterebbero al legislatore, ma)
 la  determinazione  dei  criteri  di  formazione  e dei contenuti dei
 programmi di intervento, privando in tal modo del tutto la regione di
 competenze ad essa spettanti.  D'altra parte, nel caso, non  si  puo'
 neppure  ipotizzare  la  previsione  dell'esercizio  di  un potere di
 indirizzo e coordinamento, ai sensi dell'art. 118 della  Costituzione
 (che comunque non potrebbe essere cosi' puntuale ed omnicomprensivo),
 posto  che  -  com'e'  noto  -  tale  potere  si  estrinseca  in sede
 governativa   collegialmente   e   mediante  D.P.C.M.,  mentre  nella
 fattispecie e' prevista solo l'emanazione di un decreto ministeriale.
     b) Il  citato  art.  3  del  d.P.R.  censurato,  complessivamente
 inteso,  e'  lesivo delle competenze regionali anche sotto un diverso
 profilo  (seppure  connesso):  infatti,   pur   nella   sua   estrema
 genericita'   (cosi'   da   renderne   obiettivamente   difficile  la
 comprensione), tale norma stabilisce un nuovo modello  pianificatorio
 in    materia    urbanistica    che   si   snoda   solo   sull'"asse"
 Ministero-comuni,  escludendo  la  regione,  che   pure   e'   l'ente
 principalmente  competente  in  materia, sia ex artt. 117 e 118 della
 Costituzione ed ex d.P.R. n. 616/1977, sia infine ai sensi  dell'art.
 3  della  legge n. 142/1990, la quale - in quanto norma di principio,
 cosi' dichiarata (art. 1) -  non  puo'  essere  derogata,  "ai  sensi
 dell'art.  128  della Costituzione" con legge "della Repubblica .. se
 non mediante espressa modificazoine delle sue disposizioni" (che  nel
 caso, non e' stata disposta).
    Ne discendono i dedotti profili di incostituzionalita'.
    5. - In ordine all'art. 4, primo comma, del d.P.R. 26 luglio 1994,
 n.  468.  Violazione  degli  artt.  5,  115,  117,  118  e  130 della
 Costituzione. Incompetenza.
    L'art. 4 del d.P.R.  n.  468,  intitolato  "Commissari  ad  acta",
 prevede che "in caso di inadempienze il ministro dei lavori pubblici,
 ai  fini  dell'attuazione di quanto previsto dal presente decreto, su
 richiesta del sindaco, del comitato regionale di controllo, ai  sensi
 dell'art.   48   della  legge  8  giugno  1990,  n.  142,  ovvero  su
 segnalazione  del  prefetto  competente  per  territorio,  nomina  un
 commissario  ad  acta  per l'adozione dei provvedimenti di competenza
 del sindaco".  Tale previsione ha, invero,  del  sorprendente  ed  e'
 fonte    di   gravi   quanto   palesi   profili   di   illegittimita'
 costituzionale.  Per limitarsi, com'e' d'obbligo in questa sede, agli
 aspetti invasivi  delle  competenze  delle  regioni,  e'  sufficiente
 osservare  come, seppure nella sua manifesta indeterminatezza e nella
 sua infelice formulazione, la disposizione in esame,  innegabilmente,
 disciplini   un   potere   di  controllo  sostitutivo  nella  materia
 urbanistica, per ovviare a non  meglio  precisate  inerzie  da  parte
 delle   amministrazioni   comunali  nell'attuazione  del  decreto  in
 oggetto.    Senonche',  e'  pacifico  che  in  una   materia,   quale
 l'urbanistica, di competenza legislativa ed amministrativa regionale,
 eventuali poteri di controllo sostitutivo debbono essere disciplinati
 dalle  regioni o, comunque, almeno venire concretamente esercitati da
 queste ultime o da soggetti da esse nominati, posto che -  altrimenti
 -  le  regioni  medesime  verrebbero  (come nel caso vengono) private
 surrettiziamente delle loro competenze costituzionalmente  garantite.
 In  tal  senso,  del  resto,  si  e' pronunciata la giurisprudenza di
 codesta ecc.ma Corte (Corte costituzionale, 19 dicembre 1978, n. 178;
 Corte costituzionale 7 aprile 1988, n.  422).
    Nel caso di specie, al contrario, il non meglio specificato potere
 sostitutivo disciplinato del citato art. 4 risulta normato totalmente
 dal  legislatore  statale  ed  e'   inspiegabilmente   rimesso   alle
 determinazioni     dell'Amministrazione    statale,    prevedendosene
 l'esercizio  da  parte  di  un  soggetto   nominato   -   del   tutto
 autonomamente  - da quest'ultima e risultando del tutto esautorata la
 Regione  al  riguardo.     Ne  discendono  i   dedotti   profili   di
 incostituzionalita'.
    6.  -  In ordine all'art. 6, decimo e undicesimo comma, del d.P.R.
 26 luglio 1994, n. 468. Violazione degli artt.  5,  115,  117  e  118
 della  Costituzione,  in  relazione agli artt. 79 e 87 e seguenti del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Incompetenza.
     a) L'art. 6 del plesso normativo consurato nella presente sede si
 occupa  dei  procedimenti  di  esecuzione  dei  lavori  pubblici   di
 competenza del Ministero dei lavori pubblici, coniando un particolare
 procedimento  per  la  loro  riattivazione  laddove siano attualmente
 sospesi, per qualsiasi ragione.
    Tale particolare procedimento (commi da 1 a  9  dell'articolo)  al
 decimo comma, viene inoltre esteso, seppure facoltativamente, a tutte
 "le  pubbliche  amministrazioni".    Detta  previsione  (generale  ed
 applicabile a  tutte  le  opere  pubbliche)  costituisce  un'indebita
 ingerenza  normativa  nella  materia  "lavori  pubblici  di interesse
 regionale"  rimessa  alla  potesta'  legislativa   e   amministrativa
 regionale,  ai  sensi  degli  artt.  117  e  118  della Costituzione.
 Infatti, in tale materia, spetta eventualmente alle regioni  disporre
 e disciplinare meccanismi di riattivazione di opere pubbliche sospese
 e,  soprattutto, non puo' essere riconosciuto allo Stato il potere di
 dettare, in argomento, una normativa di  dettaglio  quale  quella  in
 esame.   Inoltre, un'ulteriore indebita compressione delle competenze
 regionali, conseguente alla norma in questione,  discende  dal  fatto
 che  -  anche  per i "lavori pubblici di interesse regionale" - vi si
 prevede che il procedimento  di  riattivazione  delle  opere  sospese
 venga  condotto  soltanto  da organi appartenenti all'Amministrazione
 statale.
     b) Parimenti invasivo delle competenze regionali appare  l'ultimo
 comma  dello  stesso  art.  6,  laddove  si prevede che "le pubbliche
 amministrazioni  provvedono,  per  quanto  di  loro  competenza,   ad
 esaminare  entro  e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in
 vigore del  presente  decreto  i  casi  relativi  alle  procedure  di
 affidamento e di esecuzione delle opere pubbliche che, non rientrando
 nelle  ipotesi  di cui al presente articolo, possono essere riavviati
 con provvedimento amministrativo sulla base dei principi indicati nel
 presente articolo".   Tale norma, se riferita  (come  in  effetti  e'
 riferita)   anche   ai   "lavori  pubblici  di  interesse  regionale"
 costituisce un'indebita invasione  delle  competenze  legislative  ed
 amministrative  riconosciute  in  argomento alle regioni.   Sul piano
 legislativo, la  norma  esula  infatti  dalla  mera  legislazione  di
 principio,   fornendo   una   disciplina   puntuale,   esaustiva   ed
 inderogabile. Sul piano amministrativo,  essa  impone  alle  regioni,
 entro  termini  brevissimi  e  senza  eccezione alcuna, l'esperimento
 obbligatorio di un'attivita' specifica la cui opportunita' e'  invece
 da  ritenere  rimessa alle valutazioni delle regioni stesse, ai sensi
 dell'art. 118 della Costituzione.
    7. - In ordine all'art. 8, primo comma, del d.P.R. 26 luglio 1994,
 n. 468.  Violazione  degli  artt.  5,  115,  117,  118  e  128  della
 Costituzione.  Violazione  degli  artt.  3  e  97 della Costituzione.
 Irragionevolezza. Violazione del principio del buon andamento.
    Con l'art. 8, primo comma,  del  d.P.R.  n.  468,  il  Governo  ha
 espunto  dall'ordinamento  l'istituto  del  Programma  pluriennale di
 attuazione, disciplinato dall'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n.
 10 e dalla successiva, cospicua, legislazione  regionale  in  materia
 (tra  cui  la  legge  regionale  ligure  9 marzo 1978, n. 16).   Tale
 repentina ed inopinata eliminazione dell'istituto predetto dal novero
 degli  strumenti  di regolazione delle modalita' di utilizzazione del
 territorio avrebbe la  pretesa  di  far  si'  che  la  pianificazione
 urbanistica   venga   privata  degli  strumenti  di  regolamentazione
 temporale degli interventi, la cui imprescindibile rilevanza, ai fini
 di una corretta e utile regolazione dell'uso  del  territorio  e  del
 necessario  coordinamento  tra nuovi insediamenti e livello pregresso
 di urbanizzazione, pare invero fuori di  dubbio  ed  e'  unanimemente
 riconosciuta  dagli  studiosi  di urbanistica.   Ebbene, la manifesta
 irragionevolezza e contrarieta' al principio del buon  andamento  che
 affligge  la norma illustrata si connette con il tentativo di operare
 una  indebita  privazione,   per   le   regioni,   delle   competenze
 pianificatorie    in   materia   urbanistica   rimesse   loro   dalla
 Costituzione; infatti, la  materia  "urbanistica",  come  comunemente
 intesa nell'attuale momento storico ed alla luce della sua evoluzione
 ordinamentale, comprende - quale attribuzione rimessa alla competenza
 regionale   -   anche  la  pianificazione  di  tipo  temporale  degli
 interventi edificatori, aventi impatto  insediativo  ed  urbanistico.
 In  altri  termini, la competenza regionale in materia "urbanistica",
 include  in  se'  -  in   quanto   compresa   nei   contenuti   della
 pianificazione territoriale - anche la programmazione temporale degli
 interventi, quale e' stata svolta, dal 1977, mediante l'utilizzazione
 dei  programmi  pluriennali di attuazione.   Pertanto, l'eliminazione
 dell'istituto della legislazione  nazionale  o  e'  indifferente  per
 regioni   che  -  come  la  Liguria  -  hanno  regolato  i  programmi
 pluriennali di  attuazione  con  proprie  leggi  (si  veda  la  legge
 regionale  ligure  n.  16  del  1978),  non  producendo alcun effetto
 abrogativo in relazione a tali fonti, ovvero comporta la  sottrazione
 alle  Regioni  stesse della facolta', connaturata alla pianificazione
 territoriale, di definire modelli di programmazione  temporale  delle
 trasformazioni  urbanistiche ed edilizie ammesse.  Nel primo caso, la
 norma contestata sarebbe solo irragionevole e contraria al  principio
 del  buon  andamento,  nel  secondo  caso,  la  stessa  comporterebbe
 un'inammissibile  ed  illegittima   sottrazione   alle   regioni   di
 attribuzioni ad esse riservate dalla Costituzione.
    8. - In orgine all'art. 8, terzo comma, del d.P.R. 26 luglio 1994,
 n.  468.  Violazione  degli  artt.  5,  115,  117,  118  e  128 della
 Costituzione. Incompetenza. Violazione  degli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione.  Irragionevolezza.  Violazione  del  principio del buon
 andamento. Violazione dell'art. 9 della Costituzione.
     a) L'art. 8, terzo comma, del  d.P.R.  n.  468,  che  sostituisce
 integralmente l'art. 4 della recente legge n. 493/1993, disciplina il
 procedimento  per  il rilascio delle concessioni edilizie, stabilendo
 un meccanismo generalizzato di silenzio-assenso e regolandone  l'iter
 istruttorio e formativo.
     b) Al riguardo, non puo' non notarsi, preliminarmente, come anche
 tale   norma   ponga   in  essere  una  disciplina  -  sostanziale  e
 procedimentale - di assoluto dettaglio,  tale  da  non  poter  essere
 considerata  rispettosa delle competenze legislative e amministrative
 spettanti in materia (urbanistica) alle Regioni, non potendosi  certo
 qualificare  la  disciplina  in  oggetto  in termini di mera norma di
 principio.
     c)  Tanto  premesso  in linea generale, le disposizioni censurate
 manifestano comunque ulteriori profili di  illegittimita'  alla  luce
 dei  loro  (irragionevoli)  contenuti  sostanziali;  profili  che, in
 quanto  connessi  con  un'indebita  invasione  delle   competenze   -
 legislative  ed  amministrative - regionali e vanificanti il concreto
 esercizio di queste ultime,  e'  pertinente  sottolineare  in  questa
 sede.
     c1)   In   primo   luogo,   la  previsione  di  un  generalizzato
 silenzio-assenso in materia edilizia che puo' formarsi anche  laddove
 il  progetto  non  sia  conforme  alla disciplina urbanistica vigente
 (mentre, com'e' noto,  il  silenzio-assenso  di  cui  alla  legge  n.
 94/1982,  secondo  la  prevalente giurisprudenza, veniva circoscritto
 all'edilizia  residenziale  ed  era  subordinato  al  rispetto  della
 strumentazione urbanistica) costituisce norma irragionevole e tale da
 rappresentare   un   fattore  deflagrante  in  senso  negativo  nella
 regolazione dell'uso del territorio e, piu' in generale, nella difesa
 del'ambiente e del paesaggio, vale a dire nella materia "urbanistica"
 costituzionalmente rimessa alle Regioni, secondo l'interpretazoine di
 codesta ecc.ma Corte.   Ebbene, proprio alla luce  dei  suoi  effetti
 oltremodo  incidenti, tale disciplina, secondo la regione ricorrente,
 non poteva e non puo' venire legittimamente imposta con  legge  dello
 Stato,  tanto  piu'  -  come  nel caso - senza lasciare alle regioni,
 evidentemente  interessate  secondo   competenze   costituzionalmente
 garantite  alla tutela del territorio e del paesaggio, nessun profilo
 di scelta o di  possibile  limitazione  degli  effetti  delle  misure
 adottate;   una  siffatta  disciplina  di  legge,  dunque,  non  pare
 compatibile con l'assetto delle competenze stabilito in materia dalla
 Costituzione e dal d.P.R. n.  616/1977,  anche  alla  luce  del  gia'
 invocato  principio della "leale collaborazione" che deve permeare in
 materia il rapporto Stato-regioni.
    In altri termini, cosi' come avviene per il nuovo "condono" di cui
 all'art. 1, la previsione di un silenzio-assenso  generalizzato,  con
 termini  brevi  e non impedito nel suo formarsi dalla difformita' del
 progetto rispetto alla pianificazione vigente, vanifica  in  sostanza
 la  pianificazione e la protezione del territorio; e cio', senza che,
 in  relazione  a  tale  grave  evenienza,  le   regioni   -   seppure
 principalmente   competenti  in  materia  ed  enti  esponenziali  dei
 relativi interessi -, possano in qualche modo interagire,  trovandosi
 in  sostanza  gravate sul punto da una disciplina legislativa statale
 puntuale, completa  ed  assolutamente  esautorante  (diversamente  da
 quanto  avveniva nell'originario art. 4 della legge n. 493/1993).  Ne
 discendono i rubricati profili di incostituzionalita'.
     c2)  Inoltre,  analoghe  censure  vanno   riferite   anche   alla
 previsione  di  cui  del  punto  3  del  comma  in oggetto, laddove -
 nuovamente  con  norma  di  dettaglio  -  si  prevede  che,  dopo  la
 presentazione  della  domanda,  possano venire richieste all'istante,
 nei successivi quindici giorni, integrazioni  documentali;  richiesta
 che,  in  ogni  caso,  non  puo'  essere  reiterata.    Tale termine,
 indifferenziato per qualsiasi tipo di pratica edilizia,  per  la  sua
 eccessiva  brevita'  e' irragionevole e tale da frustrare il corretto
 esercizio delle funzioni di tutela  del  territorio,  alle  quali  la
 Regione e' principalmente interessata, ai sensi degli artt. 117 e 188
 della Costituzione.
     c3) Sempre in ordine alla disciplina procedimentale dettata dalla
 norma   censurata,  occorre  ancora  notare  la  palese  incongruenza
 riscontrabile tra il disposto del primo comma del nuovo art. 4  della
 legge n. 493/1993 e quanto previsto dal successivo terzo comma.
    Il  primo comma prevede che "la domanda di concessione edilizia si
 intende accolta qualora, entro novanta giorni dal termine di  cui  al
 terzo comma, non venga comunicato all'interessato il provvedimento di
 diniego".    Senonche',  il  citato  terzo comma, contiene due soli -
 ipotetici - riferimenti temporali pertinenti; l'uno e' il momento  di
 presentazione della domanda, l'altro e' il momento (non successivo ai
 quindici   giorni   dal  primo)  in  cui  l'amministrazione  richieda
 eventualmente all'interessato integrazioni documentali.
    Ebbene, far decorrere da tali termini - come parrebbe nel caso  si
 sia  voluto - il lasso temporale per il formarsi del titolo tacito e'
 palesemente irragionevole e costituisce scelta contraria al principio
 del buon andamento e, a dir poco,  vanificante  per  le  funzioni  di
 regolazione  e controllo del territorio rimesse dagli artt. 117 e 118
 della Costituzione alle regioni.   Infatti, una volta  formulata,  da
 parte  dell'amministrazione, la richiesta di integrazione documentale
 (e quindi trovandosi quest'ultima in una condizione di impossibilita'
 di decidere con cognizione di causa sulla  domanda  di  concessione),
 ben  potrebbe  l'interessato  non  dare  seguito  a  tale  richiesta,
 formandosi tuttavia - secondo il disposto letterale della norma -  il
 silenzio-assenso  ai  sensi del primo comma, trascorsi novanta giorni
 dalla richiesta  di  integrazione.    Quindi,  una  disposizione  che
 sarebbe  stata  coniata  al  fine  di  impedire  che  l'inerzia della
 pubblica amministrazione gravi sul cittadino incolpevole, in  realta'
 -  cosi'  formulata - e' tale da premiare i comportamenti fraudolenti
 volti ad eludere i necessari controlli sull'attivita' costruttiva.
     c4)  Infine,  del  tutto  irragionevolmente  ed   in   violazione
 dell'art. 9 della Costituzione, la norma in oggetto non si da' carico
 di  disciplinare  le  interferenze  notoriamente  sussistenti  tra il
 procedimento di rilascio delle concessioni edilizie e gli altri  atti
 di  assenso  necessari  all'edificazione  (per  lo  piu'  conseguenti
 all'esistenza  di  previsioni  vincolistiche  sull'area  oggetto   di
 intervento).
    Posto che, in molti casi, si tratta di competenze legislativamente
 rimesse  alle  regioni  in  attuazione  degli  artt.  117 e 118 della
 Costituzione, sembra pertinente dedurre in  questa  sede  anche  tale
 profilo  di manifesta irragionevolezza e di violazione degli artt. 3,
 9 e 97 della Costituzione.
    9. - In  ordine  al  d.P.R.  26  luglio  1994,  n.  468,  nel  suo
 complesso.  Violazione  degli  artt.  70,  71,  72,  73  e  77  della
 Costituzione.  Violazione  degli  artt.  115,   117   e   118   della
 Costituzione.
    Il  plesso  normativo  censurato  e' stato emanato nella forma del
 decreto-legge, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione.  Tale scelta
 e' stata compiuta  in  funzione  della  finalita'  di  rilanciare  le
 attivita'  economiche  e  di  favorire  la  ripresa  delle  attivita'
 imprenditoriali.   In argomento,  viene  subito  da  chiedersi  quale
 pertinenza  possa  avere  la "riapertura" del condono edilizio di cui
 all'art.  1  del  decreto  rispetto  al  rilancio   delle   attivita'
 economiche, non vedendosi obiettivamente quale vantaggio in tal senso
 possa scaturire dalla regolarizzazione di abusi pregressi (se non, in
 effetti,  un'incentivazione  dell'abusivismo per il futuro, posto che
 si  potra'  confidare  -  al riguardo - nell'emanazione dell'ennesimo
 condono di qui a pochi anni, vista l'ormai ciclica  scadenza  con  la
 quale tali provvedimenti legislativi si susseguono, con le piu' varie
 giustificazioni).    Ne  discende l'illegittimita' costituzionale per
 violazione delle norme rubricate, posta la mancata corrispondenza tra
 i presupposti di necessita' ed urgenza del d.l. ed i suoi contenuti.
 Operata tale breve premessa - che incide anche  sulla  ragionevolezza
 dell'atto  normativo  in  esame  -,  e'  comunque  da rilevare, nella
 fattispecie  la  piu'  assoluta  assenza  dei  presupposti   per   la
 decretazione  d'urgenza  ex  art.  77  della Costituzione, nonche' la
 manifesta incongruita' e l'irragionevolezza di  intervenire  mediante
 d.l.   con   rilevanti   modificazioni   normative  in  una  materia
 organicamente disciplinata da leggi ordinarie (28 febbraio  1985,  n.
 47, 28 gennaio 1977, n. 10, 4 dicembre 1993, n. 493).
    Ebbene, posto tale indebito, irragionevole e pretestuoso esercizio
 della  decretazione  d'urgenza  in materia (urbanistica) rimessa alla
 competenza  legislativa  e  amministrativa  delle   regioni,   sembra
 pertinente  porre  in  evidenza  in questa sede i relativi profili di
 illegittimita' costituzionale del d.P.R. indicato in epigrafe nel suo
 complesso, per violazione delle norme indicate in rubrica.
                               P. Q. M.
    Voglia   l'ecc.ma   Corte,   in   accoglimento   delle   suesposte
 considerazioni,  dichiarare  costituzionalmente illegittimi gli artt.
 1, 2, 3, 4, 6 e 8 del d.l. emanato con d.P.R. 26 luglio 1994, n. 468,
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del  28  luglio  1994,  ed
 avente  ad  oggetto  "Misure  urgenti  per  il  rilancio  economico e
 occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia  privata",  nonche'
 lo stesso d.P.R. nel suo complesso.
    Con ogni ulteriore conseguenza di legge.
      Genova, addi' 12 agosto 1994
         Avv. Giuseppe PETROCELLI - Prof. avv. Alberto QUAGLIA

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