N. 559 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 1994

                                N. 559
 Ordinanza  emessa  il 16 giugno 1994 dalla pretura di Arezzo, sezione
 staccata di Cortona nel procedimento penale a carico di Roggi Alberto
 Processo penale - Procedimento innanzi al pretore - Possibilita' in
    via interpretativa, per il p.m., di rinviare a giudizio l'imputato
    senza il compimento di  alcun  atto  d'indagine  e  senza  sentire
    l'indagato,  anche  quando  la  denuncia  proviene  solo  da parte
    privata - Disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  parte  lesa
    nonche'  rispetto a coloro che vengono rinviati a giudizio innanzi
    al tribunale - Lesione del diritto di  difesa  -  Delegazione,  di
    fatto  dell'esercizio  dell'azione penale al privato - Richiamo ai
    principi della sentenza n. 445/1990.
 (C.P.P. 1988, art. 554, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.40 del 28-9-1994 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    1.  -  Risulta  dagli  atti  che  in data 15 settembre 1992 veniva
 presentata querela contro l'imputato predetto dalla  parte  lesa.  Il
 procuratore  circondariale,  al quale la querela era stata trasmessa,
 elevava la imputazione seguente (artt. 81 e 594  del  c.p.,  610  del
 c.p.  e  590  del  c.p.)  e  quindi  ordinava  il  rinvio  a giudizio
 dell'imputato.
    2.  -  All'odierno  dibattimento,  dalla  relazione  del  p.m.  di
 udienza,  si appurava che il rinvio a giudizio era stato disposto non
 solo senza avere prima  sentito  l'imputato,  ma  anche  senza  avere
 compiuto  alcuna  indagine  tesa  ad  accertare  la  fondatezza della
 denuncia o a individuare l'esistenza di prove.
    In relazione a tale situazione questo pretore ritiene di sollevare
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 554, primo  comma,
 del  c.p.p.  che  concede  al  p.m.  il potere di rinviare a giudizio
 l'imputato. Tale norma della  parte  che  qui  interessa  cosi'  dice
 concluse  le  indagini,  il  p.m.  trasmette  gli  atti al g.i.p. con
 richiesta di archiviazione o di decreto  penale  di  condanna  ovvero
 emette  decreto di citazione a giudizio. La questione non palesemente
 infondata che questo pretore ravvisa e che ritiene di  sottoporre  al
 giudizio  della  Corte investe la norma predetta laddove autorizza il
 p.m. a rinviare a giudizio l'imputato senza compiere alcuna indagine,
 senza prima sentire l'imputato o comunque laddove la  suddetta  norma
 viene interpretata in tal senso.
    3.  -  Su  questo punto e' opportuno richiamare l'attenzione della
 Corte perche' il fenomeno sta assumendo proporzioni inusitate, prassi
 costante. La giustificazione che si da'  normalmente  e'  l'eccessivo
 carico  di  lavoro  del  pubblico  ministero  pretorile il quale, non
 avendo  tempo  per  fare  le  indagini,   ricorrerebbe   al   sistema
 dell'immediato  rinvio  a  giudizio.  Si  tratta  ovviamente  di  una
 giustificazione che tale non e' in  quanto  costituisce  soltanto  un
 circolo  vizioso. Comunque e' una prassi che viola la legge ordinaria
 ed anche quella costituzionale.
    4. - Da tale modo di fare derivano conseguenze  gravi  e  negative
 quali:
       a)  l'inusitato aumento dei processi come conseguenza del fatto
 che viene  a  mancare  qualsiasi  riscontro  sulla  fondatezza  delle
 accuse;
       b)  allungamento  del  tempo  occorrente per celebrarli perche'
 quanto piu' le accuse sono infondate e basate su sospetti tanto  piu'
 l'imputato  e'  portato  a  difendersi  con  una valanga di prove che
 essendo richieste per la prima volta  in  udienza  spesso  presentano
 difficolta' di assunzione;
       c)   possibilita'   che   l'inizio   dell'azione   sia   basata
 sull'arbitrio e persegua scopi anomali. Di fatto le funzioni del p.m.
 vengono delegate al privato;
       d) il proliferare dei processi  allontana  sempre  di  piu'  il
 tempo della loro celebrazione favorendo la prescrizione dei reati;
       e)  di fatto il pretore non e' chiamato a celebrare processi ma
 a svolgere indagini preliminari di competenza degli organi di polizia
 giudiziaria e del pubblico ministero.
    Per le conseguenze cui puo'  dare  luogo  la  norma  in  questione
 costituisce  una  grave  smagliatura  nel  sistema processuale penale
 vigente. Puo' essere considerata una specie di  buco  nero  ove  puo'
 passare  di  tutto:  dall'accusa  piu'  infondata  e  pretestuosa, al
 tentativo  di  ricatto,  alla  strumentalizzazione  della   giustizia
 penale.
    5. - Che la norma in questione per il suo contenuto e comunque per
 il  modo  in  cui  viene  interpretata  sia in contrasto con la legge
 ordinaria e con quella costituzionale sembra evidente.
    Il principio di consentire ad una persona indagata  di  difendersi
 entro  un  lasso  di  tempo ragionevole e' uno dei cardini del nostro
 ordinamento  penale.  E'  recepito  addirittura  per  le   violazioni
 amministrative  che se non contestate entro cinque mesi dal fatto non
 sono piu' punibili. Lo scopo e' evidentemente  quello  di  consentire
 una  difesa efficace che rischia di essere vanificata col passare del
 tempo.
    E' evidente che tale esigenza debba  valere  anche  per  le  norme
 penali  le  cui  conseguenze  sono  ben piu' gravi. Infatti questo e'
 certamente uno degli scopi se non quello fondamentale della norma che
 limita a sei mesi i poteri di indagine del p.m. art. 406  del  c.p.p.
 Il  contenuto  dell'art. 554 del c.p.p. o comunque la interpretazione
 che gli viene  data  vanifica  completamente  le  garanzie  contenute
 nell'art.  406  del c.p.p. per quanto riguarda la possibilita' di una
 difesa in tempi ragionevoli. L'art. 406 nel fissare il limite di  sei
 mesi  alle  indagini  non garantisce sui tempi in cui l'imputato puo'
 difendersi perche' la richiesta di rinvio a giudizio non e' diretta a
 lui ed il decreto di citazione puo' essere notificato a  distanza  di
 anni  essendo  solo  stabilito  che  la  notifica  intervenga  almeno
 quarantacinque giorni prima  dell'udienza.  Quindi  con  tale  prassi
 l'imputato  puo'  essere  messo  a  conoscenza  della  imputazione  a
 distanza di anni dal fatto e fuori di tutti i termini che  il  codice
 prevede per l'espletamento delle indagini.
    6.  -  Per  quanto riguarda le norme costituzionali che si possono
 ritenere violate questo pretore si limita a  richiamare  l'art.  3  e
 l'art. 112.
    Il principio di eguaglianza e' violato sotto un duplice aspetto:
       a) in quanto l'attribuzione della qualifica di imputato, che e'
 certamente  una posizione scomoda e di inferiorita' rispetto a quella
 di parte lesa, viene attribuita dando credito ad una sola delle parti
 che hanno interesse alla vicenda.
    Questo e' certamente grave per quelle situazioni  di  reciprocita'
 che  molto  di  frequente sono alla base delle situazioni dalle quali
 scaturiscono le querele o le denuncie specie quando provengono non da
 organi dello Stato preposti all'accertamento dei reati ma da privati;
       b) il principio e' anche violato con riferimento alla posizione
 di chi viene rinviato a giudizio di fronte al tribunale che  gode  di
 garanzie   molto   maggiori.   Ne'  la  giustificazione  puo'  essere
 individuata nella minore gravita' dei reati di competenza del pretore
 situazione  che  non   sempre   si   verifica.   Basti   pensare   ai
 maltrattamenti    in    famiglia,   alla   ricettazione,   al   furto
 pluriaggravato.
    L'art. 112 e' violato perche'  di  fatto  l'esercizio  dell'azione
 penale  viene delegata al privato e perche' possono essere portati in
 dibattimento e di fatto vengono portati processi sforniti  di  prove.
 Dire   che   in  realta'  tutte  le  garanzie  dell'imputato  vengono
 assicurate nel dibattimento non convince sia  per  la  diversita'  di
 posizione  in  cui  viene  a trovarsi la persona imputata sia perche'
 intervenendo il dibattimento e la conoscenza dell'accusa  a  distanza
 di anni le possibilita' di difesa vengono o possono essere verificate
 dal decorso del tempo. Basti pensare al fatto che l'imputato potrebbe
 non  piu'  ricordare  o  che  testimoni  importanti potrebbero essere
 scomparsi o che riscontri possibili a breve distanza  dal  fatto  non
 sarebbero piu' tali.
    In  proposito  lo scrivente non puo' non richiamare la sentenza n.
 445 del 26 settembre-12 ottobre 1990 dove questa  problematica  viene
 lucidamente     affrontata     con    riferimento    alla    ritenuta
 incostituzionalita' dell'art. 554, secondo comma, del c.p.p. che  pur
 aveva un ambito molto piu' modesto con conseguenze meno gravi.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art. 554, primo comma, del c.p.p. nella parte in
 cui autorizza il p.m. a rinviare l'imputato a giudizio senza compiere
 alcuna indagine e senza prima sentire l'indagato o comunque  ritenuta
 rilevante  la  questione  di legittimita' nella parte in cui la norma
 succitata viene interpretata nel senso surriferito;
    Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Dispone che a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cortona, addi' 16 giugno 1994
                         Il pretore: FEDERICI

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