N. 562 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 luglio 1994

                                N. 562
 Ordinanza emessa il 13 luglio 1994 dal pretore di Bassano del  Grappa
 nel procedimento penale a carico di Alberti Pier Giorgio
 Processo penale - Procedimento innanzi al pretore - Rigetto della
    richiesta  della  pena concordata - Incompatibilita' del giudice -
    Possibile plurima reiterazione  di  istanze  gia'  precedentemente
    proposte  (uguali  o diverse) e respinte - Incidenza sul principio
    del giudice naturale -  Intralcio  alla  corretta  amministrazione
    della giustizia.
 (C.P.P. 1988, artt. 446 e 448).
 (Cost., artt. 25 e 97).
(GU n.40 del 28-9-1994 )
                              IL PRETORE
   1.  -  Osserva  che,  a  seguito di decreto di citazione a giudizio
 emesso dal p.m. in relazione alla contestata  imputazione:  art.  110
 del c.p. e 527 del c.p. l'imputato, attraverso il difensore munito di
 procura   speciale,   all'udienza  del  30  maggio  1994,  richiedeva
 predibattimentalmente e con il consenso del p.m.  avanti  il  pretore
 dott.  Montini  Trotti  di questa stessa pretura l'applicazione della
 pena di L. 2.000.000 di multa, sostituita la pena detentiva finale di
 mesi due e giorni venti di reclusione  ex  art.  53  della  legge  n.
 689/1989 e cosi' calcolata: pena base mesi quattro di reclusione, 444
 del c.p.p., mesi due e giorni venti di reclusione.
    Ritenuto  che  la  sostituzione  della  pena detentiva con la pena
 pecuniaria non poteva aver luogo ostandovi l'art.  59,  primo  comma,
 della  legge  n.  689/1989  avendo l'imputato riportato condanna alla
 pena della  reclusione  complessivamente  superiore  ad  anni  due  e
 risultando  commesso  il  fatto  contestato entro i cinque anni dalla
 condanna di cui alla sentenza  corte  d'appello  di  Venezia  del  13
 maggio  1988  irrevocabile il 28 gennaio 1989, rigettava la richiesta
 di applicazione della pena e, in ossequio della sentenza della  Corte
 costituzionale n. 186/1992 di illegittimita' costituzionale dell'art.
 34  del  c.p.p.  si  dichiarava  incompatibile a giudicare dal merito
 costi' rimettendo gli atti al sottoscritto pretore.
    All'odierna  udienza  l'imputato,  tramite  il difensore munito di
 procura speciale e con il consenso del p.m., avanzava nuova richiesta
 di applicazione della pena nei  medesimi  termini  gia'  proposti  al
 primo  giudice,  senza  operare, tuttavia, la sostituzione della pena
 detentiva finale con quella pecuniaria.
    2. - Ritiene a tal proposito questo pretore che le disposizioni di
 cui agli artt. 446 e 448  del  c.p.p.  relativi  alla  "richiesta  di
 applicazione  della pena e consenso" e "ai provvedimenti del giudice"
 la cui applicazione sarebbe nel presente procedimento rispettivamente
 necessario presupposto e necessaria conseguenza della valutazione del
 contenuto della  nuova  richiesta  di  patteggiamento  appaiano,  ove
 interpretate  nel  senso  che  le  stesse  consentono  alle  parti di
 reiterare avanti al giudice, cui siano stati  trasmessi  gli  atti  a
 seguito  della dichiarata incompatibilita', ex art. 34 del c.p.p., di
 quello cui sia stata proposta la prima richiesta poi rigettata, nuova
 richiesta di applicazione, uguale o difforme alla  precedente,  e  al
 giudice  di  valutare  il  merito  della  nuova  richiesta,  in guisa
 rilevante e non manifestamente infondata, contrastanti con molteplici
 norme costituzionali.
    Deve   anzitutto   premettersi   come    appunto    l'orientamento
 praticamente  uniforme  della  suprema  Corte  sul punto si ponga nel
 senso di un'assoluta facolta' per le parti di reiterare la  richiesta
 di  patteggiamento  (senza  distinzione alcuna tra richieste tra loro
 eguali ovvero difformi)  sino  alla  dichiarazione  di  apertura  del
 dibattimento di primo grado (cfr. sezione prima 25 luglio 1991; Cass.
 19  febbraio  1992;  sezione  prima  2  marzo  1992, n. 2265; sezione
 quinta, 4 maggio 1992, n.  5154),  desumendosi  in  particolare  tale
 possibilita'  dall'art. 446, quarto comma, del c.p.p. che consente la
 prestazione del consenso alla  parte,  che  in  precedenza  lo  aveva
 negato, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
 grado.
    3.  -  Non  puo'  rilevarsi  tuttavia  come  tale interpretazione,
 anzitutto con riferimento alla reiterazione  di  richiesta  eguale  a
 quella  gia'  rigettata,  possa  dar  luogo,  dovendo  il giudice che
 rigetti  la  richiesta  di  applicazione  avanti   a   lui   proposta
 dichiararsi  incompatibile  per  effetto dell'art. 34 del c.p.p. come
 rivisitato da Corte  costituzionale  n.  186/1992,  alla  conseguenza
 (gia'  verificatasi, seppure nel suo primissimo stadio, nella specie)
 della trasmigrazione (eventualmente sinanco  ripetuta)  del  processo
 dinanzi  a plurimi e diversi giudici, a seguito di ripetute pronuncie
 di reiezione della richiesta  concordemente  formulata  dalle  parti,
 fintantoche'  non  si  ottenga,  alla fine, la auspicata applicazione
 della pena. Non puo' in effetti non rilevarsi la grave distonia con i
 principi costituzionali  che  da  tale  "peregrinazione"  deriva,  in
 particolare  con  l'art. 25, primo comma, della Costituzione e l'art.
 97, primo comma, della Costituzione: con il primo  perche'  le  parti
 otterebbero  una  possibilita'  di  scelta  del giudice assolutamente
 estranea ai principi  ordinamentali  e  con  il  secondo  perche'  la
 possibile plurima reiterazione (financo all'infinito) di istanze gia'
 precedentemente  proposte  e  respinte sarebbe del tutto contrastante
 col principio del buon andamento della pubblica  amministrazione,  in
 quest'ultimo  indubbiamente  rientrando  anche  una  gestione il piu'
 possibilmente  "economica"  del  processo  penale   con   conseguenze
 particolarmente rilevanti specie in uffici di piccole dimensioni.
    4.  -  Non  puo'  inoltre  non sottolinearsi come, nell'ipotesi di
 facolta' di reiterazione della richiesta di applicazione di pena gia'
 esclusa dal primo giudice, si addivenga sostanzialmente a configurare
 un'impugnazione vera e propria avverso il giudizio negativo formulato
 in precedenza con violazione dell'art.  591,  lett.  b),  del  c.p.p.
 posto  che il provvedimento di reiezione di istanza di patteggiamento
 in fase predibattimentale non e' impugnabile  separatamente  rispetto
 alla  sentenza  definitoria  del  giudizio.  Si introdurrebbe quindi,
 cosi' facendo, un'impugnazione  inammissibile  perche'  non  prevista
 dalla  legge e devoluta al giudice non precostituito a tal fine (come
 invece il giudice  d'appello,  con  violazione  dell'art.  25,  primo
 comma, della Costituzione).
    5.  -  Cio'  posto,  ritiene  comunque  questo  pretore  che debba
 pervenirsi ad analoghe  conclusioni  anche  con  riferimento,  questa
 volta,   alla  proposizione  di  nuova  istanza  di  "patteggiamento"
 sostanzialmente  difforme  dalla  precedente,   perche'   basata   su
 presupposti diversi o addirittura incompatibili rispetto a quella.
    Invero,  ferma  restando  l'esattezza,  anche  per  questa seconda
 evenienza, di quanto esposto sopra sub 3) riscontrandosi anche in tal
 caso il lamentato contrasto  con  i  principi  della  precostituzione
 naturale  del giudice e del buon andamento dell'amministrazione, deve
 sottolinearsi  come  lo  stesso  contenuto   della   sentenza   Corte
 costituzionale  n.  186/1992,  enunciativa  di principi gia' espressi
 nelle sentenze nn. 401 e 496 del 1990, 502/1991  e  124/1992,  sempre
 relative  all'incompatibilita' del giudice a partecipare al giudizio,
 conduca necessariamente a tale esito.
   Infatti, l'obbligo di astensione, cui il giudice che abbia respinto
 una  richiesta  di  applicazione  di  pena  deve   attenersi,   viene
 necessariamente  in  rilievo  sul  presupposto  che questi, una volta
 esaurita,   con   la   propria   pronuncia   reiettiva,    la    fase
 predibattimentale,  dovrebbe necessariamente affrontare il merito del
 processo in ordine al quale potrebbe, tuttavia, trovarsi sfornito del
 necessario requisito di imparzialita' per avere  egli  gia',  in  una
 certa guisa, pregiudicato dei fatti (seppure essenzialmente in ordine
 all'assenza dei presupposti legittimanti la pronuncia ex art. 129 del
 c.p.p.)  soprattutto  avendo egli avuto conoscenza, ex art. 135 della
 disp. att.  del  c.p.p.,  degli  atti  contenuti  nel  fascicolo  del
 pubblico ministero contribuenti a turbare l'assoluta "verginita'" del
 giudice dibattimentale.
    Se  quindi  la  Corte  costituzionale  ha  affermato in tale caso,
 l'obbligo, per il giudice che abbia respinto  una  prima  istanza  di
 applicazione  di  pena, di astenersi (nella ricorenza dell'ipotesi di
 cui all'art.  34  del  c.p.p.,  e'  proprio  perche'  alla  reiezione
 dell'istanza  di  patteggiamento stesso, deve necessariamente e senza
 soluzione di continuita' seguire la fase del dibattimento (che  sara'
 quindi  devoluta al giudice, diverso dal primo, cui gli atti dovranno
 essere    trasmessi    successivamente    alla    declaratoria     di
 incompatibilita').   In   altri  termini,  respinta  la  proposta  di
 patteggiamento, seguira' la celebrazione  del  giudizio  nella  forma
 propria  del  rito nel quale la richiesta era stata inserita; ove, al
 contrario, il giudice, ad quem cio' non facesse, pronunciando  invece
 una seconda volta su altra richiesta di patteggiamento, anche diversa
 dalla prima (respingendola ancora oppure accogliendola), incorrerebbe
 evidentemente  in una violazione del canone di competenza funzionale,
 dovendosi appunto la competenza di tale secondo giudicante intendere,
 per quanto detto sopra, funzionalmente circoscritta alla celebrazione
 del   giudizio,  con  conseguenze  verosimilmente  assimilabili,  per
 analogia,  a  quelle  proprie  dell'incompetenza  per   materia   (o,
 addirittura,  dell'incapacita' del giudice ex art. 178, lett. a), del
 c.p.p.).
    6. - Tutto quanto sopra esposto relativamente al profilo della non
 manifesta infondatezza, va altresi' evidenziata l'indubbia  rilevanza
 della  questione  stessa  posto  che,  ove  questo giudice, lungi dal
 dichiarare inammissibile la nuova istanza  di  applicazione  di  pena
 (eguale o difforme alla precedente) come, a parere di questo giudice,
 una  interpretazione  della norma conforme ai principi costituzionali
 imporrebbe, scendesse, al contrario, in aderenza  all'interpretazione
 dell'art.  446  del c.p.p. sostenuta dalla suprema Corte, a valutarne
 il   merito,   ne   deriverebbe   l'alternativa   o    dell'ulteriore
 trasmigrazione   del   procedimento  ad  altro  giudice  per  effetto
 dell'art. 34 del c.p.p. nella ipotesi di nuova pronuncia di  rigetto,
 o  al  contrario,  una  definizione  del  procedimento  stesso in via
 predibattimentale con applicazione della diminuente di  cui  all'art.
 444  del c.p.p. in ipotesi di accoglimento (e contrariamente a quanto
 invece seguirebbe per effetto della declaratoria di  inammissibilita'
 della nuova richiesta).
    7.  - Va percio' ritenuta la non manifesta infondatezza nonche' la
 rilevanza della questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 446 del c.p.p. ove interpretato nel senso che lo stesso consenta alle
 parti  di  reiterare avanti al giudice cui siano trasmessi gli atti a
 seguito della dichiarata incompatibilita' ex art. 34 del  c.p.p.,  di
 quello  cui  sia  stata  proposta una prima richiesta di applicazione
 della pena  rigettata,  nuova  richiesta  di  applicazione  uguale  o
 difforme della precedente e dell'art. 448 del c.p.p. ove interpretato
 nel  senso  che  consenta  al  giudice  di valutare nel merito, senza
 dichiararla inammissibile, nuova richiesta di applicazione  eguale  o
 difforme  a  quella  gia'  rigettata  dal  primo giudice dichiaratosi
 incompatibile ex art. 34 del c.p.p. con le conseguenti statuizioni di
 cui al dispositivo.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  446  e 448 del c.p.p. con
 riferimento agli artt. 25, primo comma, e 97 della  Costituzione  per
 motivazioni esposte in narrativa;
    Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  di notificare la presente ordinanza alle
 parti  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  nonche'  di
 comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Bassano del Grappa, addi' 13 luglio 1994
                         Il pretore: ANDREAZZA

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