N. 569 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 aprile 1994

                                N. 569
 Ordinanza emessa  il  29  aprile  1994  dal  pretore  di  Chieti  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Zanapa  Antonio  ed altro contro
 O.P.A.F.S.
 Impiego pubblico - Computo dell'indennita' integrativa speciale nella
    determinazione della buonuscita - Controversie giudiziali in corso
    - Prevista automatica estinzione dei giudizi con  declaratoria  di
    compensazione   delle   spese   -   Compressione   della  funzione
    giurisdizionale -  Limitazione  dell'indipendenza  dei  giudici  -
    Incidenza  sul  diritto  di  difesa  in  giudizio e sulla garanzia
    previdenziale   -   Riferimenti   alle   sentenze   della    Corte
    costituzionale nn. 243/1993 e 443/1990.
 (Legge 29 gennaio 1994, n. 87, art. 3, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 38, 101 e 104).
(GU n.40 del 28-9-1994 )
                              IL PRETORE
    Letti gli atti della causa, iscritta al n. 1249 dell'anno 1993 del
 ruolo  generale  affari  contenziosi, promossa da Zanapa Antonio e De
 Girolamo  Giovanni   (ricorrenti)   nei   confronti   dell'O.P.A.F.S.
 (resistente),  avente  ad  oggetto  il riconoscimento dell'indennita'
 integrativa speciale sulla buonuscita;
    A scioglimento della riserva assunta all'odierna udienza;
    Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con ricorso  depositato  in  data  13  luglio  1993  i  ricorrenti
 indicati   in   epigrafe,  ex  ferrovieri  collocati  in  quiescenza,
 evocavano  in  giudizio  l'O.P.A.F.S.  chiedendo  il   riconoscimento
 dell'indennita'   integrativa   speciale   sulla  buonuscita  di  cui
 assumevano  l'illegittimo  diniego,  nonostante   la   loro   formale
 richiesta  stragiudiziale  volta ad ottenere tale riconoscimento, con
 la conseguenza che l'Ente - non avendo provveduto al riguardo  -  era
 stato costituito in mora.
    Costituendosi  in  giudizio,  l'O.P.A.F.S.  chiedeva  che  venisse
 pregiudizialmente dichiarato il difetto di giurisdizione  dell'A.G.O.
 per  esservi  quella  del giudice amministrativo: in via subordinata,
 instava acche'  il  ricorso  venisse  dichiarato  improcedibile,  non
 essendosi   esaurita   la   fase  amministrativa:  deduceva  altresi'
 l'infondatezza del ricorso e comunque la prescrizione  della  pretesa
 azionata ex art. 2948 del c.c.
                             D I R I T T O
    Il  giudicante  rileva preliminarmente che e' entrata in vigore la
 legge 29 gennaio 1993, n. 87 pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  n.
 29,   del   5  febbraio  1994  recante  "Norme  relative  al  computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale  nella  determinazione   della
 buonuscita  dei pubblici dipendenti", con la quale conformemente alla
 direttiva impartita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 243
 del 5-19 maggio 1993 sono stati  determinati  i  criteri  di  computo
 dell'i.i.s. sulla buonuscita dei pubblici dipendenti (artt. 1 e 2) ed
 i   tempi   entro   i  quali  deve  provvedersi  alla  conseguenziale
 riliquidazione per i dipendenti  cessati  dal  servizio  dopo  il  30
 novembre 1984 (art. 3, terzo comma).
    L'art.  4  della  detta  legge  al  primo comma nel disciplinare i
 giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge e  quindi
 al  6  febbraio  1994,  nel  cui  ambito  rientra  anche  la presente
 controversia, essendosi svolta  la  discussione  all'udienza  dell'11
 febbraio  ultimo  scorso  dispone  che  gli  stessi  "sono dichiarati
 estinti d'ufficio con compensazione delle spese  tra  le  parti":  il
 comma  successivo  (secondo)  prevede  altresi'  che "i provvedimenti
 giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto".
    Questo pretore sospetta della legittimita' costituzionale di  tale
 norma  nella parte in cui dispone sic et simpliciter la compensazione
 delle spese giudiziali.
     a) Sulla rilevanza della questione.
    Nella  specie,  dovendosi  dichiarare  cessata  la   materia   del
 contendere  quanto  alla  domanda  dei  ricorrenti  di riconoscimento
 dell'i.i.s. sull'indennita' di buonuscita ed essendovi contrasto  fra
 le parti in ordine all'onere delle spese processuali, appare evidente
 come debba farsi riferimento al principio della soccombenza virtuale,
 al lume dell'art. 91 del c.p.c.
    In  effetti  la  giurisprudenza  ha costantemente affermato che la
 pronuncia sul regolamento delle spese processuali, in presenza  della
 dichiarazione  di cessazione della materia del contendere, va fondata
 sulla valutazione delle probabilita' normali  di  accoglimento  della
 domanda   basata  su  considerazioni  di  verosimiglianza  ovvero  su
 apposita indagine sommaria volta alla deliberazione del merito  (cfr.
 Cass.,  sez.  I,  5  agosto  1981, n. 4889; Cass., sez. III, 26 marzo
 1981, n. 1771); al riguardo  e'  stato  altresi'  chiarito  che  deve
 considerarsi  vittoriosa la parte che - al momento della proposizione
 della domanda -  avrebbe  ottenuto  una  pronuncia  favorevole  (cfr.
 Cass.,  ss.uu.,  30  maggio  1989,  n.  2360);  questo  principio  e'
 applicabile, peraltro, anche in mancanza di una  esplicita  richiesta
 della  parte  interessata  che  -  in  base  ad una delibazione sulla
 fondatezza della domanda finalizzata alla conseguenziale  statuizione
 in  relazione  alle  spese processuali - sarebbe risultata vittoriosa
 (cfr., in tal senso, Cass., sez. III, 21 aprile 1990, n. 3346).
    In  buona  sostanza, quando viene meno la materia del contendere e
 persista fra le parti contrasto in relazione all'onere  delle  spese,
 il  giudice  deve  decidere  sulle  stesse secondo il principio della
 soccombenza virtuale, previa valutazione circa  la  fondatezza  della
 domanda proposta e delle relative eccezioni.
    Ebbene,  applicando  al caso di specie il criterio esposto, appare
 evidente come l'O.P.A.F.S. debba essere condannata al pagamento delle
 spese processuali sopportate dalla parte ricorrente.
    In effetti la domanda prospettata in giudizio risultava fondata al
 momento della sua proposizione, essendo stato depositato  il  ricorso
 (in   data   13   luglio   1993)   e  quindi  dopo  la  pronuncia  di
 incostituzionalita' emessa dalla Corte costituzionale con sentenza n.
 243/1993 (efficace a far tempo dal 27 maggio 1993 e cioe' -  al  lume
 dell'art.  30,  terzo  comma,  della  legge  11 marzo 1953 n. 87 - il
 giorno  successivo  a  quello  della  pubblicazione  nella   Gazzetta
 Ufficiale avvenuta il 26 maggio ultimo scorso), con la quale e' stato
 riconosciuto il diritto invocato dal ricorrente.
    A cio' si aggiunga, ad abundantiam, che l'O.P.A.F.S. anteriormente
 all'instaurazione   del   presente   giudizio  versava  gia'  in  una
 situazione  di  mora,   non   avendo   provveduto   sulla   richiesta
 stragiudiziale  di  riliquidazione proposta dai ricorrenti; questo e'
 un ulteriore elemento di colpa imputabile  all'ente  che  ha  causato
 l'azione  giudiziale  de  qua  e  come  tale  deve  indurre, sotto un
 ulteriore ed ultroneo aspetto, il  giudicante  ad  una  pronuncia  di
 condanna alle spese in favore dei medesimi ricorrenti.
    Va  evidenziato altresi' che depone in tal senso anche la condotta
 processuale  assunta  dall'Opera  di  previdenza   che,   del   tutto
 infondatamente  ed immotivamente, ha resistito in giudizio, chiedendo
 pregiudizialmente  la  declaratoria  di  difetto   di   giurisdizione
 dell'A.G.O.  (che invece sussiste, trattandosi di ex ferroviere posto
 in quiescenza dopo l'entrata in vigore della legge n.  210/85:  cfr.,
 ex  multis,  in tal senso: Cass., sezioni unite, 23 novembre 1992, n.
 12482) per esservi quella del giudice amministrativo e,  nel  merito,
 la  pronuncia  di inammissibilita' del ricorso ovvero il suo rigetto,
 con il favore delle spese.
     b) Sulla non manifesta infondatezza della questione.
    Cio' acclaratosi, in ordine alla palese rilevanza della questione,
 va esaminata la configurabilita' dell'ulteriore requisito della  "non
 manifesta  infondatezza"  necessario affinche' possa essere investito
 il giudice delle leggi.
    Come evidenziatosi, la norma de qua prevede la  compensazione  sic
 et simpliciter delle spese processuali.
    Devesi  innanzitutto  verificare  se  la  disposizione  si pone in
 contrasto con l'art. 24, primo comma, della  Costituzione,  anche  in
 relazione   all'art.  38,  quale  norma  specificamente  dettata  dal
 costituente per assicurare ai cittadini la  tutela  previdenziale  ed
 assistenziale, nelle sue piu' svariate forme.
    Al riguardo la Corte costituzionale ha costantemente affermato che
 l'art.  24, primo comma, della Costituzione deve considerarsi violato
 ogni qualvolta l'esclusione  del  potere  di  decisione  in  capo  al
 giudice  si  traducesse  in  un non giustificabile pregiudizio per la
 parte interessata (cfr.,  in  tal  senso,  sentenza  n.  443  del  26
 settembre-12 ottobre 1990).
    Ebbene,  traslando  tale  principio  alla  fattispecie  de qua, va
 rilevato come  la  norma  censurata  -  attuando  una  indiscriminata
 sottrazione della potesta' decisoria del giudice in ordine alle spese
 processuali  -  appaia  pregiudizievole per la parte che - non avendo
 avuto il riconoscimento spontaneo del proprio diritto, nonostante  le
 reiterate  richieste stragiudiziali - sia stata costretta a ricorrere
 in giudizio per tutelare le proprie ragioni ed anche per evitare  che
 la propria pretesa rimanesse definitivamente pregiudicata (es. per il
 possibile  maturarsi del termine prescrizionale ex art. 2948 del c.c.
 et similia).
    Sicche', in siffatti casi,  fra  i  quali  vi  rientra  quello  di
 specie,  il nocumento derivante a colui che ha proposto il ricorso al
 giudice risulta privo di qualsiasi giustificazione.
    Ne' puo' osservarsi che le spese processuali sostenute dalla parte
 interessata - in favore della  quale,  nel  corso  del  giudizio,  e'
 intervenuto  il  riconoscimento  del proprio diritto - possano essere
 ricollegate ad una propria scelta discrezionale, non  necessitata  da
 alcuna esigenza, e quindi debbano rimanere a suo carico.
    Invero,  l'osservazione,  oltreche'  essere  disattesa  al lume di
 quanto innanzi esposto, non e' affatto condivisibile, considerato che
 nel caso de quo la necessita' del ricorso  al  giudice  e'  palesata,
 ulteriormente,  dalla  condotta  processuale  dell'O.P.A.F.S.  che ha
 resistito  in  giudizio  adducendo  l'infondatezza  del   ricorso   e
 chiedendone il rigetto, anche sul presupposto della dedotta eccezione
 di prescrizione quinquennale ex art. 2943 c.c.
    Cio'  acclaratosi,  non  puo'  mancare  di  rilevarsi come possano
 esservi dei casi nei quali il giudice  puo'  sicuramente  operare  la
 compensazione   totale   o   parziale  delle  spese,  ravvisando  dei
 giustificati motivi.
    Quello  che  viene  censurato  e'  l'esclusione,  operata  sic  et
 simpliciter, del potere di decisione, in capo al giudice, sulle spese
 processuali  che,  in tali termini, concreta un correlativo nocumento
 nei confronti della parte virtualmente vittoriosa che ha promosso  il
 giudizio  per  la  necessita'  di  tutelare  coattivamente il proprio
 diritto.
    Quindi sotto tale profilo appare irragionevole che  a  carico  del
 ricorrente   a   prescindere  dalla  statuizione  giudiziale  debbano
 rimanere le spese processuali da lui sostenute.
    Le  considerazioni  innanzi  svolte   acquisiscono   indubbiamente
 maggiore   valenza   ove   si  consideri  che  si  verte  in  materia
 previdenziale, sicche' il pregiudizio per la parte interessata appare
 ancor piu'  sensibile;  sotto  questo  aspetto  l'art.  24  e'  stato
 relazionato all'art. 38.
    Anche  l'art. 3 della Costituzione appare vulnerato dalla norma in
 esame.
    In effetti, assumendo come parametro di  riferimento  la  identica
 posizione  di cui indubbiamente sono titolari due ex ferrovieri posti
 in quiescenza successivamente al 30 novembre 1984,  e  quindi  aventi
 diritto  alla  riliquidazione dell'I.I.S., appare assolutamente privo
 di ragionevolezza ed arbitrario gravare delle spese processuali colui
 che, esercitando un proprio diritto costituzionalmente  garantito  ex
 art. 24 della Costituzione, qual'e' quello alla difesa, anche al fine
 di  elidere  le  conseguenze  estintive previste dall'art. 2948 c.c.,
 debba essere penalizzato - con  l'onere  delle  spese  processuali  -
 rispetto  all'altro  che  non abbia inteso azionare giudizialmente il
 proprio  diritto  e  -  ipotizzando che non abbia compiuto degli atti
 interruttivi della prescrizione - si sia verificata, pertanto, in suo
 pregiudizio una situazione preclusiva all'esercizio del diritto.
    Va rilevato infine come la norma de qua appaia  censurabile  -  in
 relazione  agli  artt.  101, secondo comma, e 104, primo comma, della
 Costituzione  -  anche  sotto  l'aspetto   dell'eccesso   di   potere
 legislativo,  dal  momento che sembra essersi realizzata una indebita
 ingerenza  del  legislatore  nei  procedimenti  in  corso,   con   la
 conseguenziale   sottrazione   al   giudice   civile  del  potere  di
 regolamentare le spese processuali ex artt. 91 e segg. del c.p.c.
    In buona sostanza si e' imposto al giudice,  in  modo  che  appare
 arbitrario   ed   ingiustificato,  di  disattendere  il  principio  -
 costantemente affermato - della soccombenza virtuale  e  di  statuire
 obbligatoriamente  nel  senso della compensazione delle spese, pur in
 presenza di una deliberazione favorevole in  ordine  alla  fondatezza
 della domanda del ricorrente e quindi di una conseguenziale pronuncia
 di  condanna  alle  spese  - al lume del richiamato principio - della
 parte resistente virtualmente soccombente.
    Cio' concreta la violazione appena spiegata.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 29
 gennaio 1994, n. 87, laddove viene prefigurata sic et simpliciter  la
 compensazione  delle  spese  tra  le  parti  e  non si prevede che il
 giudice  possa  pronunciare  la  condanna  della  parte  virtualmente
 soccombente  al pagamento delle spese processuali in favore di quella
 vittoriosa, salvo  eventualmente  disporne,  per  giusti  motivi,  la
 compensazione  totale  o parziale, per contrasto con gli artt. 3, 24,
 38, 101 e 104 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione;
    Dispone la  sospensione  del  presente  giudizio  e  la  immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
 cancelleria, alle parti in causa ed al Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
 e del Senato della Repubblica.
      Chieti, addi' 29 aprile 1994
                Il pretore giudice del lavoro: MARSELLA

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