N. 576 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 1994
N. 576 Ordinanza emessa il 21 aprile 1994 dalla commissione tributaria di primo grado di S. Maria Capua Vetere sul ricorso proposto da Ventrone Fracesco, in proprio e n.q., ed altro contro l'intendenza di finanza di Caserta Tributi in genere - Imposte dirette - Previsione della tassabilita', con effetto retroattivo rispetto alla data di entrata in vigore della norma impugnata, delle indennita' di esproprio o somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonche' di somme comunque dovute per effetto di acqusizione coattiva conseguentemente ad occupazioni d'urgenza divenute illegittime, relativamente a terreni destinati a opere pubbliche ovvero a interventi di edilizia residenziale pubblica - Assoggettamento a imposizione fiscale con legge retroattiva di fatti passati che hanno esaurito completamente i loro effetti eocnomici e patrimoniali e non possono pertanto essere indici di capacita' contributiva. (Legge 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono comma). (Cost., artt. 3 e 53).(GU n.41 del 5-10-1994 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso prodotto da Ventrone Francesco, in proprio e quale procuratore generale di Cappabianca Raffaela, nonche' Ventrone Antonio avverso silenzio-rifiuto Intendenza finanza di Caserta, letti gli atti, sentito il rappresentante dell'ufficio signora dott.ssa Orlando Angela Maria, udito il relatore signor Della Selva; F A T T O Con ricorso del 1$ aprile 1993 Ventrone Francesco, in nome proprio e nella qualita' di procuratore generale della madre Cappabianca Raffaela, nonche' Ventrone Antonio deducevano quanto segue: 1. - Con decreto del prefetto di Caserta n. 1940/ll.pp. del 7 luglio 1989 veniva pronunciata l'espropriazione definitiva del terreno di proprieta' degli istanti sito in Teano - Rione De Gasperi - in catasto partita 7240, foglio 42, particella 7/r per mq 1322 e particella 7/s per mq 55, totale mq 1377, e la relativa indennita' di L. 87.888.000 veniva depositata dalla s.r.l. E.R.C.E. (Ente Romano Costruzioni Edilizia), quale concessionaria del Ministero dei lavori pubblici, presso la cassa depositi e prestiti di Caserta con quietanza n. 243 del 2 giugno 1989. 2. - A seguito di giudizio di opposizione alla stima, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 2048/1991, determinava tale indennita' in complessive L. 249.600.000, piu' L. 19.760.000 per indennita' di occupazione temporanea, oltre interessi legali successivi, per il che la s.r.l. E.R.C.E. in data 31 marzo 1992 con quietanza integrativa n. 117 provvedeva al versamento della somma di L. 218.040.000 presso la medesima cassa. 3. - A seguito della procedura di svincolo, la direzione provinciale del Tesoro di Caserta, con avviso del 25 agosto 1992, recapitato l'8 settembre 1992, a fronte della somma di L. 310.072.000 (lire 87.888.000 per quietanza n. 243/1989, piu' L. 218.040.000 per quietanza integrativa n. 117/1992, piu' L. 4.144.230 per interessi sulle somme depositate presso la cassa depositi e prestiti) autorizzava il pagamento della minor somma, poi riscossa, di L. 244.742.400, piu' L. 4.144.230, pari all'80% dell'importo dovuto in virtu' delle predette due polizze essendosi trattenuta la differenza di lire 61.185.600 ai sensi dell'art. 2, settimo comma, della legge n. 313/1991, differenza versata alla Tesoreria a cura della cassa depositi e prestiti quale ente depositario dell'indennita' ai sensi dell'art. 28 d.P.R. n. 600/1973. Gli istanti, al fine di conseguire il pagamento del suddetto importo, con atto trasmesso a mezzo a.r. del 20 novembre 1992, chiedevano all'intendenza di finanza di Caserta il pagamento della somma trattenuta di lire 61.185.600, oltre agli interessi legali a decorrere dall'8 settembre 1992. Non avendo cio' sortito alcun effetto, gli stessi si opponevano al silenzio-rifiuto dell'amministrazione con il ricorso in esame contestando, con articolati motivi di gravame, l'operato della cassa depositi e prestiti, ed eccependo l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto, sesto, settimo e nono comma, della legge n. 413/1991. All'udienza il rappresentanze dell'ufficio insisteva per il rigetto del ricorso sotto ogni profilo. La commissione riservava la sezione. D I R I T T O Per effetto delle disposizioni contenute nel quinto, sesto, settimo e nono comma, dell'art. 2, della legge n. 413/1991, con decorrenza dal periodo d'imposta 1992, sono considerati redditi diversi di cui all'art. 81, primo comma, lettera b), ultima parte T.V. n. 917/1986, le plusvalenze percepite da soggetti non imprenditori, a seguito di procedimenti espropriativi di terreni destinati ad opere pubbliche, ad infrastrutture urbane, ad interventi di edilizia residenziale pubblica o economica popolare. L'art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, contenente la delega legislativa al governo della Repubblica per la riforma tributaria, fissa i principi ed i criteri direttivi che disciplinano l'imposta sul reddito delle persone fisiche, prevedendo al n. 5 "l'inclusione nel computo del reddito complessivo delle plusvalenze realizzate dalle persone fisiche a seguito di operazioni effettuate con fini speculativi su beni non relativi alla impresa commerciale". E' chiaro, quindi, fin dalla nascita della "riforma tributaria", che oggetto di tassazione sarebbero state le plusvalenze con fini speculativi. Il d.P.R. n. 597/1973, pur contenendo nell'art. 1 la previsione residuale secondo la quale alla formazione del reddito complessivo concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati, allorquando tratta di redditi diversi, all'art. 76, richiama chiaramente le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi. Anche l'art. 81 t.u. n. 917/1986 con il quale il legislatore, memore dei principi e criteri contenuti nella legge delega, ha voluto individuare specificatamente i redditi diversi (elencandoli nell'articolo stesso) si e' riferito sempre a plusvalenze realizzate con fini speculativi. Cio' posto, e' di tutta evidenza che alla stregua delle norme e principi fin qui richiamati, nel caso di indennita' percepita a seguito di esproprio, non sembra legittimo ipotizzare l'insorgenza del fine speculativo. Infatti, se si tiene conto della reale volonta' del legislatore, del significato lessicale delle espressioni usate e della struttura del procedimento espropriativo, e' fuor di dubbio che in tali fattispecie si sia in presenza di un atto unilaterale dell'ente espropriante che il proprietario del bene subisce e contro il quale questi non puo' far altro che limitare il danno inflittogli al fine di ottenere con l'opposizione alla stima un piu' equo indennizzo: con la conseguenza che un siffatto indennizzo non puo' certo farsi rientrare nella sfera delle operazioni attuate con fini speculativi. Sicche' le tassazioni in oggetto (vale a dire la tassazione della indennita' di occupazione e la tassazione degli interessi sulle plusvalenze derivanti dalla percezione di indennita' di esproprio di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonche' di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime: quinto e sesto comma, legge citata) appaiono in violazione dell'art. 53 in relazione all'art. 3 della Costituzione. Invero, come la Corte costituzionale ha ripetutamente ribadito piu' volte, il precetto enunciato nell'art. 53, primo comma, della Costituzione, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva, va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza contenuto nell'art. 3 della Costituzione, nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali ragioni impositive e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale. Sul piano garantistico costituzionale, poi, esso deve essere inteso come espressione dell'esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rilevatori di ricchezza (sentenza n. 120/1972). E poiche', nella fattispecie, le tassazioni sopra indicate vengono a colpire delle somme che non rappresentano ricchezza nuova, ne' plusvalore, ma un semplice ristoro a fronte dello spossessamento effettuato dalla pubblica amministrazione su un bene privato, manca quel collegamento dell'imposizionead un presupposto rivelatore di ricchezze e, quindi, manca l'idoneita' soggettiva alla obbligazione d'imposta. Un secondo profilo riguarda il prelievo fiscale su somme riferite in concreto a situazioni gia' esaurite: sifatta tassazione viola sempre il disposto dell'art. 53, in relazione all'art. 3 della Costituzione, a causa, questa volta, della non attualita' della capacita' contributiva presa in considerazione, in quanto i fatti passati, utilizzati dal legislatore, non possono costituire indici attuali concretamente rivelatori di ricchezza. La stessa Corte costituzionale ha precisato che, quando la legge assume a presupposto un fatto passato ovvero estenda gli effetti di questo fatto al passato, occorre verificare se il rapporto che deve sussistere tra capacita' contributiva ed imposizione non risulti reciso ed in particolare se l'efficacia retroattiva sia sorretta da una razionale presunzione che gli effetti economici della situazione passata permangono attualmente nella sfera patrimoniale dell'obbligato: il quale, invece, nel caso in esame, per le ragioni piu' svariate, potrebbe non essere piu' nella disponibilita' dell'indennita', da anche la possibilita' che l'acquisizione della stessa sia avvenuta in un tempo notevolmente remoto, in cui non era neppure prevedibile la istituzione dell'imposta. In conclusione, alla stregua delle esposte considerazioni, va ritenuta la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in relazione ai principi ed alle garanzie previste dagli articoli 3 e 53, terzo comma della Costituzione ed in conseguenza la commissione, sciogliendo la riserva di cui all'udienza, provvede come da dispositivo della presente ordinanza.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina, altresi', che a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata anche ai Presidenti della Camera del Parlamento. S. Maria Capua Vetere, addi' 21 aprile 1994 Il Presidente: DE IULIO 94C1076