N. 577 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 1994

                                N. 577
 Ordinanza  emessa  il  23  marzo  1994  dal  tribunale amministrativo
 regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Belhaiba  Abdelilah
 contro il Ministero dell'interno
 Sicurezza   pubblica  -  Cittadino  extracomunitario  condannato  con
 sentenza passata in giudicato per determinati  reati  (nella  specie:
 condanna,  a seguito di patteggiamento, per tentato furto) - Prevista
 espulsione con decreto prefettizio - Automaticita' del  provvedimento
 -  Impossibilita'  per  l'autorita'  amministrativa  di  valutare  la
 pericolosita' sociale del soggetto - Irragionevolezza  con  incidenza
 sul  diritto  di  difesa,  sul diritto del lavoro, sui principi della
 funzione  rieducativa  della  pena  e del buon andamento della p.a. -
 Richiamo alla ordinanza n. 72/1994.
 (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, art. 7, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 25, 35 e 97).
(GU n.41 del 5-10-1994 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza sul  ricorso  r.g.  2020/1993,
 proposto da Belhaiba Abdelilah, rappresentato e difeso dagli avvocati
 Sergio  Onesti  e  Roberto Fortunato, presso il cui studio in Milano,
 via Bellezza, 9, e' elettivamente domiciliato,  contro  il  Ministero
 dell'interno,  in  persona  del Ministro pro-tempore, rappresentato e
 difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui  uffici
 in Milano, via Freguglia, 1, e' domiciliato, per l'annullamento:
      1)  del decreto di espulsione n. 2197/93 del prefetto di Milano,
 datato 8 maggio 1993;
      2) del conseguente provvedimento del questore in pari data;
      3) del provvedimento di rigetto  dell'istanza  di  soggiorno  n.
 C586266S datata 8 maggio 1993 da parte del questore di Milano;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero;
    Vista  la  memoria prodotta dalla difesa erariale a sostegno delle
 proprie difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi all'udienza del 23 marzo 1994 (relatore dott. Rita  Cerioni)
 il   procuratore   della   parte  ricorrente  e  dell'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto in fatto e diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il ricorrente, cittadino marocchino, entrato in Italia  prima  del
 31 dicembre 1989, e regolarizzato ai sensi della legge n. 39/1990, ha
 impugnato  il  decreto  di  espulsione  del prefetto di Milano di cui
 all'epigrafe, motivato dalla condanna per tentato  furto  emessa  nel
 gennaio  1991,  a  seguito  del  c.d.  patteggiamento ex art. 444 del
 c.p.p., unitamente ai due conseguenti provvedimenti del questore.
    Il ricorrente afferma di aver sempre prestato attivita' lavorativa
 subordinata e di aver sposato una cittadina italiana.
    Il ricorrente proclamandosi del tutto estraneo ai fatti che  hanno
 determinato  la sentenza di condanna, afferma che il patteggiamento a
 cui sarebbe stato indotto, senza rendersi  conto  delle  conseguenze,
 non  puo'  essere  assimilato  ad  una  condanna  penale  dalla quale
 scaturisca l'obbligo per la p.a. di  assumere  provvedimenti  di  cui
 all'art. 7 della citata legge n. 39.
    Il  ricorrente  ritiene,  altresi',  che  sussista l'obbligo della
 motivazione del provvedimento, che sarebbe del  tutto  carente  nella
 fattispecie.
    Il  Belhaiba  contesta  infine  la  contraddittorieta' del diniego
 relativo al permesso di lavoro.
    Resiste il Ministero reputando infondato il ricorso.
                             D I R I T T O
    La  questione   sottoposta   all'esame   del   collegio   riguarda
 l'espulsione  di un cittadino extracomunitario, a seguito di sentenza
 di patteggiamento ex art. 444 del c.p.p. per  uno  dei  reati  per  i
 quali   l'art.   7   della  legge  n.  39/1990  impone  il  censurato
 provvedimento prefettizio.
    La  citata sentenza, a parere del collegio, integra i contenuti di
 una pronunzia di condanna sia alla luce dell'esplicito ed  inequivoco
 disposto  dell'art. 445, primo comma, del c.p.p., sia perche' promana
 da un giudice penale  ed  irroga  una  pena  criminale  (detentiva  o
 pecuniaria)  (cfr.  sentenze, sezione I, nn. 371 e 597 del 1993), con
 la conseguenza che, non concedendo l'art. 7 della citata legge alcuna
 discrezionalita' al prefetto, il ricorso andrebbe rigettato.
    Risulta,  infatti,  del  tutto  irrilevante  ogni   censura   che,
 contrariamente alla realta' giuridica appena delineata, poggia le sue
 fondamenta su una pretesa discrezionalita' della p.a. ovvero pretenda
 che  sia  il  giudice  amministrativo  a farsi carico di un esame del
 merito ad esso sottratto in questa materia.
    Il collegio pero' dubita che il citato art. 7,  primo  comma,  sia
 legittimo sotto il profilo costituzionale.
    Il  collegio non ignora che la Corte costituzionale, recentemente,
 con ordinanza n. 72 del 21 febbraio-3 aprile 1994, ha  restituito  al
 t.a.r.  Lombardia gli atti di due giudizi, in cui era stata sollevata
 la questione di costituzionalita' dell'art. 7,  per  un  nuovo  esame
 della questione, stante la recente legge 12 agosto 1993, n. 296, che,
 secondo  la  Corte,  paleserebbe  una  nuova  ed  ulteriore  forma di
 coordinamento   tra   la   decisione   giurisdizionale    e    quella
 amministrativa,   anche   in   considerazione  dell'inciso  contenuto
 nell'art. 7, primo comma "Fermo restando".
    Pur  tuttavia  il  collegio  ritiene  che  la  novella   non   sia
 determinante  ai  fini che qui interessano, anche per il principio di
 non retroattivita' della legge penale, quale deve intendersi l'art. 8
 della legge n. 296, e in relazione al fatto che  in  una  ipotesi  di
 condanna  intervenuta  prima  della  sua  emanazione  con  esecuzione
 sospesa, quale e' la presente, non sembrerebbero  esservi  spazi  per
 una   applicazione   dell'espulsione,  peraltro  su  richiesta  dello
 straniero,  ad  opera  del   giudice   procedente   o   del   giudice
 dell'esecuzione,  come prevede l'inserito nuovo comma 12- ter. A meno
 che la norma sopraggiunta, piu'  favorevole  allo  straniero  perche'
 rimette  alla sua volonta' l'espulsione, non debba intendersi, per le
 condanne inferiori ai tre anni, abrogativa di ogni altra normativa.
    Il collegio pero' dubita che sia questa l'interpretazione da  dare
 all'art.  8 della legge n. 296. In realta', secondo il collegio, tale
 norma ha fornito allo straniero, condannato ad una pena  inferiore  a
 tre  anni, un'alternativa all'espiazione della pena, senza modificare
 il  regime  relativo   all'espulsione   come   sanzione   accessoria,
 irrogabile  dal  giudice  penale nei casi previsti dal codice o dalle
 leggi  speciali,  o  dal  prefetto  nei  residui  casi   disciplinati
 dall'art. 7.
    Va  rilevato,  altresi',  che  non sarebbe risolutiva del presente
 giudizio, neanche l'interpretazione che si potrebbe  dare  all'inciso
 "Fermo  restando", richiamato significativamente nell'ordinanza n. 73
 della Corte e sopra ricordato.
    Infatti il presente caso esula da una delle ipotesi di  espulsione
 a  cura  dell'autorita'  penale,  trattandosi di condanna per tentato
 furto, che ha comportato una pena di  due  mesi  e  dieci  giorni  di
 reclusione oltre a L. 100.000 di multa.
    Una  tale  condanna,  alla  quale  non  hanno  fatto  seguito, ne'
 potevano farlo, misure cautelari od  espulsive  in  sede  penale,  ha
 determinato  pero' l'attivarsi obbligatorio e vincolato del prefetto,
 indipendentemente  da  una  valutazione   della   pericolosita'   del
 soggetto, del suo inserimento sociale, del lavoro da lui regolarmente
 svolto, del suo matrimonio con una cittadina italiana.
    Sono evidenti le contraddittorieta' del sistema. Tanto piu' che la
 sentenza   di  condanna  ex  art.  445  del  c.p.p.  non  pressuppone
 l'accertamento di responsabilita' in capo  a  colui  che  propone  il
 patteggiamento, al fine di evitare l'alea del giudizio.
    Se l'art. 7 deve essere interpretato, come sembra al collegio, nel
 senso  che il prefetto deve vincolativamente procedere all'espulsione
 in tutti i casi ivi previsti, e nei quali il giudice  penale  non  ha
 competenza  a  pronunziarsi  sull'espulsione, perche' la condanna non
 comporta l'applicazione di tale misura di sicurezza,  detto  articolo
 contrasta manifestatamente con numerosi principi costituzionali.
    Il  collegio  ritiene, condividendo quanto esposto nelle ordinanze
 di rimessione alla Corte costituzionale di questo tribunale nn. 537 e
 538 del 1992 e nell'ordinanza del t.a.r. Liguria n. 584,  che  l'art.
 7,  nei  commi  in  cui  dispone,  a  cura del prefetto, l'espulsione
 automatica   dello   straniero,   confligga   con   i   principi   di
 ragionevolezza,  desumibili dall'art. 3 della Costituzione, e di buon
 andamento della p.a. di cui al successivo art. 97.
    La  norma  appare  anche  in  contrasto  con   l'art.   24   della
 Costituzione,  essendo inibito al giudice amministrativo un potere di
 controllo sulla legittimita'  sostanziale  dell'operato  della  p.a.,
 nonche'  con  l'art. 25, sotto il profilo della finalita' rieducativa
 della pena, e con  l'art.  35,  sulla  tutela  del  lavoro,  venendo,
 attraverso  l'espulsione,  impedito  agli  interessati l'esercizio di
 un'attivita' lavorativa nel territorio italiano.
    La  risoluzione  della  questione  e'  rilevante  ai  fini   della
 decisione  del  ricorso,  che investe atti amministrativi adottati in
 applicazione dell'art. 7, della legge n. 39/1990.
    Il presente giudizio va pertanto sospeso,  con  conseguente  invio
 degli atti alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Sospende  il  giudizio  e  rimette  alla  Corte  costituzionale la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  7,  primo  comma,
 della  legge  28 febbraio 1990, n. 39, in relazione agli artt. 3, 97,
 25, 35 e 24 della Costituzione;
    Dispone che a cura della segreteria  gli  atti  vengano  trasmessi
 alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Milano, nella camera di  consiglio  del  23  marzo
 1994.
                        Il presidente: GIORDANO
    Il magistrato relatore: CERIONI
                                                Il magistrato: CARRARO
 94C1077