N. 590 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 1994

                                N. 590
 Ordinanza emessa  il  3  giugno  1994  dal  pretore  di  Bologna  nel
 procedimento penale a carico di Marani Clarisca ed altri
 Processo  penale - Dichiarazioni indizianti rese a pubblico ufficiale
 (nella specie: al curatore del fallito  nell'ambito  della  procedura
 fallimentare  a  seguito  di  chiamata  ex  art.  49  della  L.F.)  -
 Inutilizzabilita' in  sede  penale  come  mezzo  di  prova  -  Omessa
 previsione  -  Lesione del principio di eguaglianza con incidenza sul
 diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 63).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.41 del 5-10-1994 )
                              IL PRETORE
    Alla  udienza  dibattimentale  del  3 giugno 1994 con procedimento
 penale a carico di: Marani Clarisca, Tosarelli Vittorio  e  Tosarelli
 Andrea  imputati  ciascuno:  del  reato  p. e p. dall'art. 220, primo
 comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in  relazione  all'art.  49,  r.d.
 cit.,  perche',  essendo  stati  dichiarati  falliti  con sentenza 20
 luglio  1989  tribunale  di  Bologna,  si  allontanavano  dalla  loro
 residenza  senza il permesso del giudice delegato al fallimento ed in
 particolare:
       a) Marani Clarisca e Tosarelli Vittorio si allontanavano  dalla
 loro  residenza,  per cinque giorni, nel mese di gennaio 1990 e nella
 seconda meta' del mese di giugno 1990 ed in quello di luglio 1990  vi
 si allontanavano dalla domenica al mercoledi' di ogni settimana;
       b) Tosarelli Andrea si allontanava dalla propria residenza, per
 viaggi  all'estero,  alla  fine  del 1989, nell'aprile del 1990 e nel
 giugno 1990.
    In Bologna, nelle epoche per ciascun imputato innanzi precisate.
    Rilevato che la difesa degli imputati ha sollevato la questione di
 costituzionalita' dell'art. 33 del  c.d.  L.F.  e  dell'art.  63  del
 c.p.p.,  in  relazione  agli  artt.  3  e  24  della Costituzione, ha
 pronunciato la seguente ordinanza.
    Sull'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art.  63  del
 c.p. con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sentite le
 parti, osserva quanto segue in fatto e diritto.
    Il nuovo codice di procedura penale e' ispirato al principio della
 formazione   in   dibattimento   delle   prove   orali   (deposizioni
 testimoniali ed esame delle parti) limitando ad ipotesi specifiche  e
 residuali  la acquisizione ed utilizzazione di verbali di deposizioni
 testimoniali e di interrogatori dell'imputato formati al di fuori del
 dibattimento.
    Quanto poi alla  possibilita'  di  acquisizione  ed  utilizzazione
 delle   dichiarazioni   di  una  persona  attraverso  la  deposizione
 testimoniale  di  un  terzo  deve  osservarsi  che  la  testimonianza
 indiretta  trova  specifici limiti nella disciplina dell'art. 195 del
 c.p.p.
    Con riferimento alle dichiarazioni rese  dall'imputato  l'art.  62
 del  c.p.p.  precisa che le dichiarazioni comunque rese nel corso del
 dibattimento dall'imputato o dalla persona sottoposta  alle  indagini
 non  possono  formare oggetto di testimonianza e l'art. 63 del c.p.p.
 che se una persona  non  imputata  o  indiziata  rende  all'autorita'
 giudiziaria  o alla polizia giudiziaria dichiarazioni da cui emergono
 indizi di  reita'  a  suo  carico  deve  essere  interrotto  l'esame,
 avvertito  che  possono  essere  svolte indagini nei suoi confronti e
 invitato a nominare un difensore e che  le  precedenti  dichiarazioni
 non  possono essere utilizzate a fine di prova (ma solo quale notizia
 di reato).
    Da tale disciplina si ricava che,  ferma  restando  l'applicazione
 dell'art.  62  del c.p.p., se una persona riferisce ad un terzo fatti
 costituenti reato questi possono essere riferiti in sede testimoniale
 (non si tratta infatti di una ipotesi di testimonianza indiretta), se
 invece  li  riferisce  all'autorita'  giudiziaria  o   alla   polizia
 giudiziaria,   in   qualunque   sede   cio'   avvenga,  deve  trovare
 applicazione l'art. 63 citato.
    Tale differenza nasce dal fatto che ben diversa  e'  l'ipotesi  in
 cui un soggetto si confidi con un terzo riferendogli volontariamente,
 al di fuori di un obbligo giuridico e in una situazione di normalita'
 fatti costituenti reato, dell'ipotesi in cui cio' avvenga nell'ambito
 di  una  situazione  di  obbligo  giuridico o comunque nell'ambito di
 situazioni in cui la persona venga in contatto per  motivi  d'ufficio
 con soggetti qualificati che rivestono la qualifica di p.u.
    Cio'   premesso   in  via  generale  si  pone  il  problema  della
 possibilita'  che  il  curatore  fallimentare   riferisca   in   sede
 testimoniale  fatti costituenti reato riferitegli dal fallito in sede
 di  interrogatorio  o  comunque  esame  dello  stesso  da  parte  del
 curatore.
    Tale  problema e' gia' stato affrontato dalla Corte costituzionale
 che ha ritenuto manifestamente infondata  la  questione  che  le  era
 stata  sottoposta  sul  presupposto  dell'inutilizzabilita'  in  sede
 penale quali prove delle dichiarazioni indizianti rese dal fallito al
 curatore (v. sent. Corte costituzionale 14 marzo  1984,  n.  69),  ma
 tale  pronuncia  si  riferiva alla situazione esistente all'epoca del
 previgente codice di procedura penale.
    L'attuale  codice  invece   sembra   consentire   la   deposizione
 testimoniale del curatore sulle dichiarazioni del fallito non potendo
 trovare  applicazione  neppure  in  via  analogica  ne' l'art. 62 del
 c.p.p., che si riferisce  alle  dichiarazioni  rese  nell'ambito  del
 procedimento,  ne'  l'art.  63  del c.p.p. che si riferisce solo alle
 dichiarazioni  rese  all'autorita'   giudiziaria   e   alla   polizia
 giudiziaria.
    In  tal modo le dichirazioni rese al curatore vengono equiparate a
 quelle rese liberamente, in una normale situazione e in assenza di un
 obbligo giuridico ad un terzo, ma cosi' non e' perche' il curatore e'
 pubblico ufficiale, ausiliario del  giudice,  le  dichiarazioni  sono
 rese  nell'ambito  di  un  procedimento  giudiziario e soprattutto il
 fallito ha l'obbligo di presentarsi  quando  il  curatore  lo  chiama
 (art.  49  legge  fallimentare)  evidentemente  al  fine  di  fornire
 chiarimenti e dare la propria collaborazione.
    La  questione  prospettata  non   appare   quindi   manifestamente
 infondata  perche'  risponde ad un principio generale che non possono
 essere utilizzati in sede penale  come  mezzo  di  prova  contro  una
 persona   dichiarazioni   da   lui  rese  ad  un  pubblico  ufficiale
 nell'ambito di comportamenti dovuti, al di  fuori  di  ogni  garanzia
 difensiva.
    Vi   e'   una   sostanziale   omogeneita'  di  situazione  fra  le
 dichiarazioni rese  da  una  parte  al  giudice  civile  in  sede  di
 interrogatorio   formale  e  quelle  rese  dal  fallito  al  curatore
 nell'ambito e con riferimento alla procedura fallimentare, nel  primo
 caso   e'   pero'   applicabile  l'art.  63  del  c.p.p.  (che  parla
 genericamente    di    autorita'    giudiziaria    con    espressione
 onnicomprensiva e quindi anche in sede civile) nel secondo no.
    Si    prospetta    quindi   il   problema   della   illegittimita'
 costituzionale dell'art. 63 del c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e
 24 della Costituzione nella parte in cui non ricomprende il  curatore
 fallimentare  fra  i  soggetti indicati nel primo comma di tale norma
 quali destinatari delle dichiarazioni indizianti di una  persona  non
 imputata o non indiziata.
    La  questione  e' poi rilevante nella fattispecie perche' la prova
 del reato di cui agli artt. 49 e  220  legge  fallimentare  si  fonda
 sulla   deposizione  testimoniale  del  curatore  e  sui  verbali  di
 dichiarazioni rese a quest'ultimo dagli  imputati,  verbali  che  non
 possono  rientrare  nella  previsione  di cui all'art. 237 del c.p.p.
 (trattandosi nella sostanza di  verbali  di  dichiarazioni  rese  dal
 fallito  al  curatore  nell'ambito  della  procedura  fallimentare  a
 seguito di "chiamata" ex art. 49 legge fallimentare e  di  specifiche
 domande  fatte  dal curatore) e la cui utilizzabilita' sarebbe quindi
 esclusa nell'ipotesi di accoglimento dell'eccezione di illegittimita'
 costituzionale in oggetto quanto meno perche' rese senza  l'avviso  e
 l'invito di cui all'art. 63 del c.p.p.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  nella  causa  in oggetto e non manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  63
 del  c.p.p.  con  riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della
 Costituzione sollevata dal difensore degli imputati;
    Dispone trasmettersi i relativi atti alla Corte costituzionale;
    Dichiara sospeso il presente giudizio. Manda alla cancelleria  per
 gli adempimenti di legge.
      Bologna, addi' 3 giugno 1994
                         Il pretore: SGAMBARO

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