N. 592 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 1994
N. 592 Ordinanza emessa il 16 luglio 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Ivrea sull'istanza proposta da Santoro Domenico Processo penale - Custodia cautelare in carcere - Inapplicabilita' per il reato di ricettazione - Conseguente disposizione di revoca o di conversione in arresti domiciliari - Lamentata irragionevolezza - Emissione di decreto-legge in assenza dei presupposti della necessita' e dell'urgenza - Ingiustificata limitazione della funzione giurisdizionale e della tutela dei diritti inviolabili compresi quelli delle vittime del reato - Trattamento ingiustificatamente privilegiato per determinati reati considerati, ope legis, piu' gravi di altri per i quali e' prevista la misura cautelare del carcere. (D.L. 14 luglio 1994, n. 440, art. 2). (Cost., artt. 2, 3, 77 e 112).(GU n.41 del 5-10-1994 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta l'istanza di rimessione in liberta' salva eventuale applicazione di misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, presentata dal dott. proc. Paola Perello del foro di Ivrea difensore di Santoro Domenico, nato a Capua il 6 ottobre 1960; Visto il parere del pubblico ministero che ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, la cui applicazione e' invocata nell'istanza; Considerato che il Santoro e' attualmente detenuto solo per il delitto di ricettazione, a seguito di ordinanza pronunciata all'udienza di convalida del fermo, in quanto e' scaduto il termine di carcerazione per le imputazioni in materia di armi; Letto il d.l. 14 luglio 1994, n. 440; Ritenuto che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, dovrebbe essere revocata, ovvero sostituita con gli arresti domiciliari, la misura cautelare della custodia in carcere nei suoi confronti; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; O S S E R V A Le argomentazioni del pubblico ministero quanto alla illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, debbono essere condivise; in effetti la norma in questione presenta numerosi profili di illegittimita' che qui sotto si riassumono: 1) in primo luogo, e' stato violato l'art. 77 della Costituzione, nella parte in cui prevede che, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge. Appare invero difficile ravvisare la sussistenza dei requisiti di necessita' e di urgenza richiesti dalla Costituzione in una materia che e' stata oggetto di approfondita indagine ed elaborazione dottrinale, sfociate nella redazione del codice di procedura penale del 1988 e che, da allora, e' stata costantemente analizzata ed approfondita. La carenza di tali requisiti appare evidente ove si consideri che " .. la necessita' rappresenta un elemento di qualificazione delle fattispecie regolate, da non confondere, dunque, con l'opportunita' politica dell'atto anche se al Governo compete la scelta del come fronteggiare ciascun caso. .. l'urgenza non equivale alla mera speditezza e non si risolve nel fatto che per il Governo sia difficile vedere altrimenti approvate le proprie proposte" (L. Paladin - La formazione delle Leggi - Commentario della Costituzione a cura di G. Branca - Tomo II - Zanichelli 1979 pag. 56). E' innegabile che il decreto-legge in questione si fa carico, all'art. 6, da correlare con l'art. 14, di affrontare un problema che riveste oggettivo carattere di necessita' ed urgenza, quello di evitare che reati anche gravi si prescrivano poiche' le relative udienze non possono essere tenute per effetto delle manifestazioni di protesta degli avvocati difensori, situazione recentemente emersa in maniera inequivoca e prepotente; e' anche vero pero' che l'occasione e' stata poi utilizzata dal Governo per emanare un atto avente forza di legge, destinato in realta' ad apportare profonde modifiche al codice di procedura penale, funzionali in buona sostanza ad impedire la sottoposizione alla custodia cautelare in carcere degli indagati per i reati previsti dal libro secondo, titolo secondo, capo primo, del codice penale, nonche' degli indagati per reati di criminalita' economica. A prescindere dalla gravita' delle conseguenze processuali di tale scelta, su cui si tornera' in seguito, e' necessario di nuovo ricordare l'autorevole dottrina piu' sopra citata nella parte in cui, trattando dei c.d. decreti di riforma, espone: "E' quantomeno opinabile che simili atti corrispondano, nel complesso delle loro disposizioni, a 'casi straordinari di necessita' e d'urgenza'. In concreto, attorno ad un nucleo costituito da una decisione realmente urgente .. il Governo progetta ed erige interi edifici normativi destinati a durare nel tempo, sottraendoli al procedimento legislativo ordinario senza che lo imponga nessuna ragione oggettiva" (op. cit. pag. 61); 2) l'art. del d.l. n. 440/1994 comporta "una ingiustificata limitazione della funzione giurisdizionale e della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti (non esclusi i diritti delle vittime del reato)" (sentenza Corte costituzionale n. 255/1992). In realta', la Costituzione prevede "strumenti giuridici che integrino un processo 'giusto' ma al contempo non impediscano al giudice la piena cognizione del fatto reato per la effettiva attuazione della legge che ha il dovere di applicare" (sentenza Corte costituzionale n. 255/1992); ne' possono essere introdotte dal legislatore " .. limitazioni di tale entita' da privare di efficacia la legge penale sostanziale, cosi' violando il diritto costituzionale di azione, svuotando la peculiare funzione del giudice penale e, in sostanza, privando di effettiva tutela i diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale" (sentenza Corte costituzionale n. 255/1992). Le osservazioni della corte d'assise di Bari, riassunte nella sentenza della Corte costituzionale citata, sono assolutamente pertinenti alla fattispecie oggetto della presente eccezione di illeggittimita': invero gli artt. 273 e 274 del c.p.p. costituiscono un'organica disciplina rivolta alla mediazione tra la tutela dei diritti del singolo indagato, la tutela dei diritti della collettivita' e le necessita' processuali volte all'accertamento della verita'. Nel quadro di tale organica disciplina il legislatore aveva ritenuto di sottrarre alla teorica possibilita' che la misura di custodia cautelare in carcere venisse applicata all'indagato quelle fattispecie caratterizzate da un ridotto contenuto di offensivita', quale desumibile dalla pena edittale legalmente prevista, unico oggettivo criterio di valutazione della gravita' del reato; e cosi' l'art. 280 del c.p.p. prevedeva la teorica possibilita' di applicare la custodia cautelare in carcere solo per i reati puniti con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. Si vede bene come il criterio differenziatore tra le fattispecie che consentivano la custodia cautelare in carcere e quelle che non la consentivano era dato unicamente dalla scelta preventiva di gravita' operata dal legislatore con criteri generali di immediata e percepibile oggettivita'. La situazione conseguente all'entrata in vigore dell'art. 2 del d.l. n. 440/1994 e' invece caratterizzata dalla sottrazione alla teorica possibilita' di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere di numerosi reati puniti con pena edittale superiore nel massimo a tre anni, senza che sia dato comprendere le ragioni che hanno consigliato tale disparita' di trattamento. In effetti certamente non puo' parlarsi di minore gravita' dei reati "privilegiati" dalla norma in questione, non tanto perche' taluni di essi sono all'evidenza piu' "gravi" di altri per cui la custodia in carcere e' ancora consentita (si pensi al reato di cui all'art. 317 del c.p. rispetto a quello di cui all'art. 624 del c.p.), ma perche' la pena edittale tuttora prevista per i reati "privilegiati" e' superiore a quella prevista per altri reati che ancora consentono la custodia in carcere (cfr. 336, 343, 385, 410, 411 e 530 del c.p.). Resta il fatto che le esigenze previste e tutelate dall'art. 274 del c.p.p. sono certamente in teoria ravvisabili, ed anzi sono spesso sussistenti nella pratica, anche per i reati "privilegiati"; ne risultano quindi certamente violati gli artt. 2 e 112 della Costituzione, nella misura in cui la impossibilita' di garantire la "acquisizione o genuinita' della prova" (art. 274, lett. a), del c.p.p.) nonche' evitare che gli indagati commettano "delitti di criminalita' organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede" (art. 274, lett. c), del c.p.p.) si risolve nella impossibilita' di garantire i diritti inviolabili dei cittadini (ad esempio le parti offese presenti e future) e nella impossibilita' di esercitare l'azione penale, che potrebbe essere vanificata dalla evanescenza del materiale probatorio, conseguente all'inquinamento realizzato dagli indagati; 3) l'art. 2 del d.l. n. 440/1994 e' in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, poiche' esso sottopone a trattamento ingiustificatamente piu' favorevole indagati per reati che, ope legis, sono considerati piu' gravi di altri, per i quali e' tuttavia previsto un trattamento meno favorevole. In altri termini non appare ragionevole che non sia possibile applicare la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un indagato per il reato di cui all'art. 317 del c.p., punito fino a dodici anni di reclusione, mentre tale teorica possibilita' esiste per l'indagato del reato di cui all'art. 530 del c.p., punito con pena massima di tre anni di reclusione, pena tra l'altro inferiore al limite edittale previsto dall'art. 280 del c.p.p. Vanno qui ricordate le argomentazioni piu' sopra esposte circa i criteri oggettivi di valutazione della gravita' delle singole fattispecie penali, il che vale a superare la possibile obiezione che il legislatore puo' e anzi deve trattare in maniera differenziata situazioni disuguali, nel senso naturalmente in cui a situazione piu' grave deve corrispondere trattamento meno favorevole: infatti la valutazione della gravita' della fattispecie non puo' derivare da una valutazione politica contingente del legislatore (tantomeno espressa con un decreto-legge dell'esecutivo) ma deve trovare fondamento in un'organica e coerente previsione sanzionatoria propria dell'intero ordinamento penale. La disparita' di trattamento emerge dunque dalla violazione di criteri oggettivi preposti alla valutazione della gravita' delle fattispecie. Ma vi e' di piu': poiche', se si entra nel merito delle scelte op- erate dal legislatore, non e' chi non veda come esse sono contrarie ad ogni principio di ragionevolezza. E' invero difficile sostenere che reati come il peculato, la concussione, la corruzione, l'omissione dolosa di misure antinfortunistiche, il falso in bilancio, la frode fiscale, l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, la bancarotta, siano fattispecie meno gravi del furto, della resistenza a pubblico ufficiale, della corruzione di minorenne, del vilipendio di cadavere; e pero' per i primi non e' piu' possibile assicurarsi che le prove non siano inquinate, che l'indagato non fugga e che non commetta ulteriori reati; la' dove cio' e' tuttora consentito per i secondi; 4) ne' tutte queste considerazioni sono scalfite dalla possibile obiezioni che, anche per i reati "privilegiati", rimane possibile il ricorso alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Invero va in primo luogo affermato senza ipocrisie che la misura cautelare degli arresti domiciliari e' in genere inadeguata ad assicurare le cautele di cui all'art. 274 del c.p.p. E' fin troppo noto come vi sia l'assoluta concreta impossibilita' di controllare che essi vengano osservati dall'indagato; e d'altra parte e' certo che l'eventuale divieto di comunicazione con l'esterno e' sistematicamente aggirato con l'uso di non controllabili telefoni cellulari. Inoltre l'inadeguatezza degli arresti domiciliari e' massima proprio in relazione ai reati "privilegiati", per i quali l'art. 2 del d.l. n. 440/1994 ne prevede teoricamente l'applicazione; infatti, se puo' avere un senso inibire la consumazione di ulteriori reati a rapinatori, ladri, assassini et similia che, per commetterli, debbono necessariamente operare sul territorio; non ha alcun senso ritenere che concussori, corruttori, ideatori di falsi in bilancio, di frodi fiscali e di bancarotte, siano impediti dal progettare ed eseguire i loro disegni criminosi solo perche' sono costretti tra le comodita' della loro abitazione; dove, com'e' ovvio, disporranno di adeguati mezzi di comunicazione idonei a trasmettere all'esterno i loro propositi criminosi. In ogni modo, prescindendo dalla valutazione della concreta efficacia di un istituto che ha stabile cittadinanza nel nostro ordinamento e che in taluni casi puo' anche essere adeguato, resta il fatto assorbente che la violazione delle norme costituzionali sopra citate e' pienamente integrata anche con riferimento a questa situazione; in effetti risulta impossibile, in base alla nuova norma, valutare la concretezza adeguatezza degli arresti domiciliari ad assicurare le cautele di cui all'art. 274 del c.p.p. nel caso dei reati "privilegiati". In altri termini, per questi reati, e' irragionevolmente vietato al giudice quel giudizio, pur imposto dall'art. 275, primo comma, del c.p.p.; nonostante l'eventuale giudizio di inadeguatezza in concreto cui si pervenga, e' sottratta al giudice la possibilita' di assicurare il corretto svolgersi del procedimento e di garantire pertanto sia la tutela dei diritti fondamentali delle parti offese (presenti e future) sia l'esercizio dell'azione penale. Tutto cio', si ripete, senza alcuna giustificazione attinente ad una supposta minor gravita' delle fattispecie i cui indagati sono cosi' gratificati; ed anzi in violazione del principio di ragionevolezza, poiche' si assicura una maggiore tutela, cui consegue sostanzialmente l'impunita', proprio agli indagati per reati piu' gravi; legittimita' costituzionale, vale forse la pena di evidenziare la serie di incongruenze e vistosi errori tecnici in cui il legislatore del d.l. n. 440/1994 e' caduto. A) L'art. 2 del d.l. citato, sostituendo il terzo comma dell'art. 275 del c.p.p., ne mantiene la formula iniziale "la custodia cautelare in carcere puo' essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata". Segue la divisione dei reati, per i quali e' teoricamente consentita la custodia cautelare in carcere, in due categorie, quella prevista alla lett. a) e quella prevista alla lett. b) dello stesso terzo comma novellato. Il problema consiste nel fatto che, in calce alla lett. b) compare la previsione "a meno che le esigenze cautelari non possano essere soddisfatte con altre misure" che e' evidentemente riferita a questa seconda categoria di reati e che ne costituisce l'elemento specializzante. Tuttavia la previsione in questione ha contenuto del tutto analogo a quella posta all'inizio del terzo comma novellato, piu' sopra riportata per esteso, che pero', posta com'e' all'inizio della norma, ha valore evidentemente per entrambe le categorie indicate nel comma stesso, sia quella di cui alla lett. a) che quella di cui alla lett. b). Ne consegue l'assoluta inutilita' della previsione posta in calce alla lett. b). E' possibile che il legislatore intendesse adottare, per i reati previsti alla lett. a) del terzo comma novellato dell'art. 275 del c.p.p., l'istituto una volta previsto nel terzo comma dell'art. 275 vigente prima dell'attuale modifica; se cosi' e', bisogna dire che l'intenzione gli e' rimasta nella penna e che il regime attuale prevede la vigenza del principio di adeguatezza delle misure cautelari per tutti i reati previsti dal terzo comma dell'art. 275 novellato, e non solo per quelli di cui alla lett. b). B) Ulteriori incongruenze emergono dal tenore del comma 3- bis, aggiunto all'art. 275 del c.p.p. dall'art. 2 del d.l. n. 440/1994. Il comma 3- bis autorizza la misura cautelare della custodia in carcere solo per i delitti previsti nel terzo comma novellato e per quelli previsti dall'art. 380 del c.p.p. Il problema consiste nel fatto che l'art. 380 del c.p.p. considera, tra i reati per cui e' obbligatorio l'arresto in flagranza (per i quali dunque e' possibile disporre la custodia in carcere proprio in base al comma 3- bis), quelli di cui agli artt. 628, 629 del c.p. e 73 del d.P.R. n. 309/1990 anche nella forma non aggravata; fattispecie questa esclusa invece dalla lett. b) del terzo comma novellato dell'art. 275 del c.p.p. E' auspicabile che il legislatore chiarisca quantomeno questa incongruenza; 6) i reati per cui e' stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nel presente procedimento non sono compresi fra quelli per i quali l'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, consente tale misura. Tuttavia ogni altra misura, ivi compresa quella degli arresti domiciliari, sarebbe inadeguata, avuto riguardo alla probabilita' di commissione di altri fatti della stessa specie di quello per cui si procede e al pericolo che l'indagato commetta gravi delitti con uso di armi, tenuto conto della pericolosita' dimostrata dal consistente numero di armi anche clandestine, da lui illegittimamente detenute e portate in luogo pubblico. Il reato per cui si procede appare certamente piu' grave, sia in concreto sia con riferimento alla pena edittale, rispetto ad altri per i quali la nuova formulazione dell'art. 275 del c.p.p. consente la custodia cautelare in carcere. Ne consegue che la questione di legittimita' costituzionale sopra esaminata e' rilevante nel procedimento in questione perche', ove l'art. 2 del d.l. n. 440/1994 venisse espunto dall'ordinamento, l'indagato resterebbe soggetto alla custodia cautelare in carcere mentre questa dovrebbe cessare nella vigenza della norma denunciata. La rilevanza sussiste tanto piu' in quanto, conformemente a quanto previsto dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudizio sulla revoca della misura cautelare imposta all'indagato va sospeso, con la conseguenza che lo stato di carcerazione dei medesimi permane fino alla fisiologica decorrenza dei termini previsti dall'art. 303 del c.p.p. oppure fino alla decisione di codesta Corte, ove giunga tempestivamente. Questa decisione pare confortata dai principi esposti dalla Corte di cassazione con sentenze 02090 del 7 luglio 1992, sezione sesta, e 04211 del 3 dicembre 1993, sezione prima, principi che appaiono applicabili al caso di specie.
P. Q. M. Visto l'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n. 440, con riferimento agli artt. 2, 3, 112 e 77 della Costituzione, sollevata dal pubblico ministero; Rimette gli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Dispone la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio, nonche' all'indagato e al difensore come indicato in epigrafe; Dispone altresi' che copia della presente ordinanza venga comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Ivrea, addi' 16 luglio 1994 Il giudice per le indagini preliminari: DE MARCHI 94C1094