N. 601 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 1994
N. 601 Ordinanza emessa il 18 luglio 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lucca sull'istanza proposta da Boschero Stella Maris Processo penale - Custodia cautelare in carcere - Inapplicabilita' in caso, come nella specie, di corruzione e falso in atto pubblico - Conseguente dovuta disposizione di revoca o di conversione in arresti domiciliari anche in caso di insufficienza di detta misura - Irragionevolezza - Ingiustificata limitazione della funzione giurisdizionale, della tutela dei diritti fondamentali - Violazione del principio di eguaglianza. (C.P.P. 1988, art. 275, commi 3-bis e 3-ter, come aggiunto dal d.l. 14 luglio 1994, n. 440). (Cost., artt. 2, 3 e 101).(GU n.42 del 12-10-1994 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Pronunciando sulla richiesta 16 luglio 1994 di sostituzione della misura coercitiva della custodia in carcere in corso nei confronti di Boschero Stella Maris giusta ordinanza 18 maggio 1994 di questo Ufficio; 1. - Rileva in punto di fatto che la prevenuta risulta ristretta per i reati di corruzione propria continuata (art. 81 cpv 319, 321 c.p.) e di falso continuato in atto pubblico (art. 81 c.p.v., 479 c.p.) sul presupposto della combinata ricorrenza di esigenze cautelari ex art. 274 lett. a) e c) del c.p.p.; che in data 11 luglio 1994 questo ufficio ha respinto un'identica istanza di assegnazione della Boschero agli arresti domiciliari, evidenziando come lo stato delle investigazioni fosse tale da indurre tuttora a ritenere inadeguata, rispetto alla natura e al grado di esigenze da salvaguardare in concreto, qualsivoglia misura diversa dalla custodia in carcere. 2. - Rileva, in diritto, che, per effetto delle disposizioni ex art. 2 d.l. 14 luglio 1994, n. 440, l'attuale articolazione normativa dell'art. 275 del c.p.p., nei commi 3- bis e 3-ter, immediatamente estensibili alle situazioni cautelari in atto in base al principio processuale tempus regit actum, fa divieto di applicare la custodia in carcere, tra l'altro, per i delitti di corruzione propria e di falso in atto pubblico; di talche' la Boschero, pur in presenza di pericula liertatis insuscettibili di essere adeguatamente fronteggiati mediante misure custodiali attenuate (arresti domiciliari), a questi pur dovrebbe essere sottoposta un forza della ricordata previsione normativa; che dunque l'ordinamento processuale, per effetto della novella in esame, e' entrato in contraddizione con se stesso, dal momento che, mentre nel primo comma l'art. 275 del c.p.p. (non modificato) prevede che il giudice, in materia di scelte cautelari, debba tenere conto della "specifica idoneita'" di ciascuna misura "in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto", viceversa nei commi 3- bis e 3- ter vieta (o comunque ingiustificatamente comprime l'espletamento di una simile valutazione per delitti contro la pubblica amministrazione e contro la pubblica fede, pur rientranti nel novero di quelli che, ai sensi dell'art. 280 del c.p.p., giustificano la scelta cautelare; che analogo divieto la norma novellata non pone con riguardo ad ipotesi criminose (art. 336, 343, 356, 368, 385, 386, 410, 420, 432, 433, 530, 564, 571, 578, 611, 644, 644- bis del c.p.) punite con pena uguale o addirittura inferiore a quella prevista dalla legge penale sostanziale relativamente ai delitti suddetti; che in definitiva il meccanismo processuale introdotto con le disposizioni citate (art. 275 commi 3- bis e 3- ter) codifica una sacca di privilegio inaccettabile per soggetti determinati, sottoposti ad indagini in ordine a reati del tipo di quelli per cui si procede, ai quali la custodia in carcere viene "risparmiata" ancorche' in presenza di motivate ragioni cautelari che, in concreto, quella misura (e solo quella) imporrebbero. 3. - Reputa il giudice che la disciplina di cui al combinato disposto dai commi 3- bis e 3- ter dell'attuale art. 275 c.p.p. si rivolge in una ingiustificata limitazione della funzione giurisdizionale (art. 101 secondo comma della Costituzione) e della tutela dei diritti fondamentali (art. 2) oltre che nella palese violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione). Sotto il primo ed il secondo profilo osserva che le garanzie costituzionali dei diritti fondamentali, non ultimi quelli delle vittime del reato (art. 2 della Costituzione) e della giurisdizione penale (art. 101 secondo comma della costituzione) presuppongono l'esistenza di strumenti processuali che, sul modello del giusto processo, non si risolvano nel radicale svuotamento della peculiare funzione cautelare del giudice penale, sul piano dell'equilibrata necessita' di bilanciamento delle esigenze di liberta' e di difesa sociale, entrambe costituzionalmente garantite. Rileva che il divieto conseguente alla riforma con decretazione d'urgenza, nella sua portata applicativa, impedisce al giudice di adeguare la scelta cautelare alla natura e al grado di esigenze da salvaguardare in concreto, imponendogli misure attenuate anche quando queste siano ritenute inidonee, nel contesto procedimentale, allo svolgimento di funzioni cautelari: e dunque anche quando le esigenze di tutela collettiva (di interesse costituzionalmente significativo) non sono suscettibili di essere salvaguardate in tali modi. Ritiene che una tale imposizione (e, specularmente, il correlativo divieto di dar corso alla misura coercitiva "giusta" ex art. 275 primo e terzo comma del c.p.p.) introduce compressioni della funzione giurisdizionale mediante indiscriminata diversificazione nel trattamento giuridico di situazioni eguali: e cio' ben oltre il limite di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. Osserva che e' proprio il principio di uguaglianza che, nella giurisprudenza della Corte, e' venuto sempre piu' assumendo il ruolo di clausola generale di ragionevolezza, mediante la quale e' possibile, in sede di sindacato di costituzionalita', esplicare un controllo approfondito sulle figure cosiddette di eccesso di potere legislativo "contraddittorieta', illogicita' della normazione", "disparita' di trattamento", "ingiustizia manifesta". Ritiene, in ossequio al canone suddetto, che se e' legittimo l'intervento legislativo diretto a ridefinire, nel processo penale, i termini del trattamento cautelare complessivamente inteso (ad esempio mediante elevazione dei limiti edittali di cui all'art. 280 del c.p.p., ovvero mediante correttivi in ordine al modo di atteggiarsi dei principi generali di adeguatezza e di proporzionalita' per tutti i reati), e' per converso illegittimo inserire nell'ordinamento processuale norme speciali applicabili solo a talune fattispecie criminose, tali dunque da privilegiare alcuni imputati rispetto ad altri mediante irragionevole lesione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge penale. Per i rilievi che precedono, ritiene il giudice che non sia manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275 comma 3- bis e 3- ter del c.p.p., cosi' come introdotti dall'art. 2 d.l. 14 luglio 1994, n. 440, in riferimento agli art. 2, 3, 101 secondo comma della Costituzione. Osserva, in punto di rilevanza, che la soluzione dell'incidente di costituzionalita' e' determinante per provvedere sulle istanze de libertate: ed inoltre che, nei limiti del principio di separazione dei poteri, se e' vero che non spetta al giudice sindacare la legittimita' costituzionale di una legge formale o di un atto equiparato, nel senso che non gli e' consentito disapplicare la norma anche ove egli sia convinto della sua incostituzionalita', e' parimenti indiscutibile che sia al giudice vietato applicare la norma stessa, ove vi sia motivo anche semplicemente di dubitare della sua costituzionalita', senza prima aver provocato il giudizio della Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, commi 3- bis e 3- ter del c.p.p. cosi' introdotti dal d.l. 14 luglio 1994, n. 440, per contrasto con gli artt. 2, 3, 101 secondo comma della Costituzione. Dispone l'immediata sospensione del procedimento e ordina rimettere gli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia immediatamente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del parlamento. Lucca, addi' 18 luglio 1994 Il giudice per le indagini preliminari: TERRUSI 94C1105