N. 615 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 1994
N. 615 Ordinanza emessa il 24 marzo 1994 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Vinciguerra Franco ed altri contro prefetto della provincia di Roma ed altri Regione Lazio - Procedimento referendario per l'istituzione di nuovi comuni (nella specie: comune di Boville) - Mancata diversificazione del procedimento a seconda che si tratti di distacco di una o piu' frazioni ovvero di proprio smembramento nel qual caso dovrebbe essere prevista l'obbligatoria consultazione non solo della popolazione che intende staccarsi, bensi' di tutta la popolazione dell'originario ente locale - Inosservanza dell'obbligo della previa consultazione di tutta la popolazione interessata. (Legge regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19, art. 1, secondo comma, lett. a), modificato dalla legge regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49, art. 1). (Cost., art. 133).(GU n.42 del 12-10-1994 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 16006/1993 e 18724/1993, proposti entrambi da Vinciguerra Franco, Cametti Giorgio, Bennato Alfredo e dal Comitato "Citta' di Marino", rappresentati e difesi dall'avv. Alessandro Pace e presso lo stesso elettivamente domiciliati, in Roma, piazza delle Muse, 8; contro il prefetto della provincia di Roma; la regione Lazio, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'avvocatura generale dello Stato e presso la stessa domiciliati ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, 12; il comune di Marino, non costituitosi in giudizio; il comune di Boville, in persona del commissario prefettizio (limitatamente al ricorso n. 18724/1993), costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Marino ed elettivamente domiciliato in Roma, viale Regina Margherita, 157 (presso avv. Giuseppe Agosta); con l'intervento ad opponendum di Manni Mauro (in proprio e quale presidente del comitato promotore per il comune di Boville), rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Davoli e presso lo stesso elettivamente domiciliato, in Roma, via di Santa Maria Maggiore, 112 (ricorso n. 18724/1/993); e di Corbelli Walter Maria, Forti Pietro, Corbelli Alessandro e Aversa Maurizio, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Giorgio Marino ed elettivamente domiciliati in Roma, viale Regina Margherita, 157 presso lo studio dell'avv. Giuseppe Agosta (ricorso n. 18724/1993); per l'annullamento del decreto del Prefetto della provincia di Roma 21 ottobre 1993, n. 40459, che sospende i comizi elettorali per l'elezione diretta del sindaco, del consiglio comunale e dei consigli circoscrizionali del comune di Marino (ricorso n. 16006/1993); e per l'annullamento del decreto del prefetto della provincia di Roma 16 novembre 1993, n. 12360, di nomina del commissario prefettizio presso il comune di Boville. Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Visti gli atti di intervento oppositivi; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Udito, alla pubblica udienza del 24 marzo 1994, il cons. Eugenio Mele; Udito, altresi', l'avv. Alessandro Pace, per i ricorrenti, l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per le amministrazioni intimate, l'avv. Giorgio Marino e l'avv. Domenico Davoli, per gli interventi; l'avv. G. Marino anche per il comune di Boville; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F A T T O Con il primo dei due ricorsi indicati in epigrafe (n. 16006/1993), i ricorrenti impugnano il decreto di sospensione della indizione dei comizi elettorali del comune di Marino, quale primo atto inteso a dare esecuzione alla istituzione autonoma del comune di Boville, per separazione da quello di Marino, prospettando i seguenti motivi di diritto: 1) Violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione, illegittimita' costituzionale della legge regionale del Lazio del 21 ottobre 1993, n. 56 e dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge regionale del Lazio 8 aprile 1980, n. 19, e illegittimita' derivata del decreto prefettizio del 21 ottobre 1993; e cio' perche' nella specie sono stati chiamati ad esprimersi sul referendum soltanto i cittadini residenti nelle frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino, la qual cosa e' nella specie evidente, in considerazione del fatto che il referendum interessava tutta la popolazione; 2) Incostituzionalita' della legge regionale del Lazio n. 56/1993, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, per inosservanza della normativa di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142 e illegittimita' derivata dal provvedimento prefettizio, in quanto si e' proceduto in contrasto con i principi della legge-quadro in materia di autonomie locali, ad ulteriori frammentazioni di enti locali e si e' vulnerato il quadro complessivo dell'area metropolitana di Roma; 3) Incostituzionalita' della suddetta legge regionale del Lazio per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 20, comma secondo, della legge n. 142/1990 e all'art. 2, secondo comma, della legge regionale del Lazio n. 63/1974, oltre che illegittimita' derivata del provvedimento prefettizio; per non sussistere le condizioni minime per la "tenuta" istituzionale del comune di Boville. Con il secondo ricorso (n. 18724/1993), i medesimi ricorrenti impugnano, poi, il decreto di nomina del commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione del comune di Boville, formulando gli stessi motivi di censura gia' presentati in occasione del precedente ricorso. Si costituiscono in giudizio, per il tramite dell'avvocatura generale dello Stato, sia il prefetto di Roma che la regione Lazio, i quali chiedono la reiezione dei suddetti ricorsi, evidenziando come, da un lato, i provvedimenti prefettizi fossero atti necessari e dovuti, e, dall'altro, come il concetto di popolazione interessata non possa che riguardare i soggetti che vivono nelle zone che intendono distaccarsi. Il comune di Boville, anch'esso ritualmente costituitosi in giudizio, eccepisce l'improcedibilita', l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza dei ricorsi, rilevando in particolar modo come l'atto lesivo dell'interesse dei ricorrenti non possa essere altro che quello della indizione del referendum, che viceversa non risulta impugnato. Gli interventori (entrambi ad opponendum rispetto ai ricorrenti) presentano rispettive memorie, nelle quali rilevano vari profili di inammissibilita' e di infondatezza del secondo ricorso. I ricorrenti presentano, infine, due memorie illustrative, nelle quali insistono nelle conclusioni di cui ai ricorsi. All'udienza pubblica, le cause sono discusse. Successivamente, le stesse sono spedite in decisione. D I R I T T O I due ricorsi sono fra loro intimamente connessi, sia da un punto di vista soggettivo che da un punto di vista oggettivo, incentrandosi su un'unica vicenda tra gli stessi soggetti, e possono percio' essere preliminarmente riuniti, in ossequio al principio di economia processuale. Il collegio ritiene, poi, aderendo ad una delle istanze dei ricorrenti, di sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge regionale del Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dall'art. 1 della legge regionale del Lazio 20 agosto 1987, n. 49, per contrasto con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione. La questione e' sicuramente rilevante nei giudizi riuniti all'esame del collegio, in quanto soltanto la declaratoria di incostituzionalita' della norma suddetta puo' portare all'accoglimento dei ricorsi, avendo la regione Lazio posto in essere il procedimento referendario di istituzione del comune di Boville sulla base della sopraindicata norma legislativa. La questione medesima appare, altresi', al collegio non manifestamente infondata. L'art. 133, secondo comma, della carta costituzionale afferma, infatti, senza fornire ulteriori precisazioni, che la regione puo', dopo aver sentito "le popolazioni interessate", istituire nuovi comuni. Il problema si incentra, quindi, tutto sulla locuzione "popolazioni interessate", con riferimento al fatto se queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un comune gia' costituito (nel nostro sistema non esistono aree non comunalizzate) ovvero con la locuzione suddetta si debba intendere tutta la popolazione dell'originario ente locale, chiamata in questo caso a consentire o meno lo smembramento del comune. Entrano qui in gioco due principi ordinamentali entrambi rivenienti dalle norme costituzionali: quello della cosiddetta autodeterminazione, per il quale un soggetto o un gruppo puo' scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e quello della volonta' della maggioranza di una collettivita', per il quale la modifica di qualsiasi elemento costitutivo deve essere deciso dal maggior numero dei soggetti che partecipano della originaria composizione, il tutto calato nell'altro principio ordinamentale, di carattere fondamentale, del nostro sistema giuridico per il quale gli enti locali sono, si', autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni loro decisione deve pur sempre rapportarsi agli interessi della comunita' organizzata in ordinamento sovrano. I due principi sopraddetti, intoccabili nella loro assolutezza, debbono trovare un punto di mediazione ordinamentale tutte le volte che essi si materiano in una vicenda concreta, per evitare che il prevalere dell'uno o dell'altro finisca per vanificare un piu' grande principio ordinamentale: quello della effettiva liberta' di tutti nell'ambito di un sistema unitario, nel senso che, se, da un lato, non e' pensabile che qualsiasi gruppo di cittadini in qualsiasi momento possa decidere di staccarsi da un altro gruppo gia' costituito dando luogo o potendo dare luogo ad una vorticosa fibrillazione ordinamentale che sarebbe il segno piu' evidente della fine di un ordinamento giuridico, dall'altro, neppure e' concepibile che un piccolo gruppo, solo perche' piccolo da un punto di vista numerico, mai possa rendersi autonomo, dovendo soccombere alla rigida legge della maggioranza, il che determinerebbe il fenomeno opposto di un eccessivo irrigidimento che non rispetta una effettiva volonta' di modificazione della base sociale. Quale, quindi, il quid intermediationis, il delicato punto di equilibrio ordinamamentale nel quale entrambe le esigenze della collettivita' prima evidenziate possono trovare quella composizione satisfattiva che renda giustizia complessiva a tutti e, affermando la superiorita' dell'ordinamento giuridico inertizzi le contrapposte spinte? Ritiene il collegio di poter sottoporre la questione alla Corte costituzionale, partendo da una considerazione logica e sociologica. I gruppi organizzati di carattere pubblico, come nella specie gli enti locali di carattere comunale, sono tali perche' i singoli soggetti che ne fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza piu' o meno intensa, che non e' mai solo l'elemento oggettivo del territorio, ma che si connette ad usi, costumi, dialetti, cemento storico, comunanze geografiche e atmosferiche, coerenza sociale, costumanze religiose, specificita' folcloristiche, ecc., per cui esso gruppo, prima di "essere" tale, si "sente" tale e la sovrapposizione istituzionale finisce soltanto per coprire una realta' gia' aggregata. Ove, pero', le multiformi esperienze del nostro Paese, se hanno sicuramente segnato la nascita e la consapevolezza di gruppi locali sicuramente compatti, possono anche aver determinato il sorgere di entita' solo amministrativamente unificate, senza il supporto di quella necessaria coscienza ordinamentale che fa diventare un ente locale anche un gruppo omogeneo. Se questo e' probabilmente il dato di base, e' fuori discussione che l'ordinamento nazionale, nella ricerca di quel consenso che forma e rafforza il suo prestigio e la sua vitalita', non puo' che favorire movimenti al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare le singole strutture sociali di cui esso si compone. Non, quindi, qualsiasi richiesta di qualsiasi gruppo in qualsiasi momento (con la certezza peraltro di ottenere il distacco) puo' essere presa in considerazione per smembrare unita' sociali che presentano caratteri di compattezza, ma soltanto quelle richieste che sono collegate con un gruppo che ha una nitida differenziazione complessiva che lo rende gia' di per se' autonomo, come e' potuto accadere per il recente scorporo del comune di Fiumicino dal comune di Roma, dove era evidente il rapporto puramente amministrativo che collegava le due comunita'. In casi del genere e' fuori discussione che basta la manifestazione della volonta' del gruppo che intende distaccarsi; questo e' gia' esistente come fatto sociologicamente distinto, e' collegato con un'area geografica eccentrica rispetto al capoluogo ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui l'autonomia amministrativa non puo' che discendere dalla volonta' degli autonomisti, potendosi vanificare un fatto naturale per una questione di maggioranza gia' di per se' precostituita, nel caso si ammettesse al voto l'intera cittadinanza. Diverso e', invece, il caso, come nel comune di Marino, allorquando la richiesta di distacco non proviene da una precisa e ben identificata (per elementi storico-sociali propri) comunita' di cittadini, ma scaturisce invece dall'interno della stessa comunita', da parte di quasi i due terzi dei cittadini dell'originaria comunita', perche' in questo caso non si tratta di far conseguire l'autonomia ad un grupo che gia' la possiede, ma si tratta invece di operare uno smembramento di una collettivita' organica, determinando, essa si', una suddivisione che puo' essere artificiale e che, quindi, l'ordinamento ha tutto l'interesse ad evitare. In tali casi, allorquando cioe' in una collettivita' di oltre 35.000 abitanti, piu' della meta' di essa chieda l'autonomia, non puo' ignorarsi la volonta' degli altri soggetti e tutti debbono essere chiamati a poter manifestare il loro voto circa la volonta' di smembrare o meno la collettivita' locale da tempo esistente, come pure e' avvenuto nel recente referendum per la separazione tra Venezia e Mestre, dove appunto non si e' trattato di un piccolo ed identificato gruppo che chiedeva il distacco da un capoluogo, ma di due notevoli entita' di un'unica comunita', con vari collegamenti. Ritiene, pertanto, il collegio che l'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge regionale del Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dall'art. 1 della legge regionale del Lazio 20 agosto 1987, n. 49, nella parte in cui non diversifica il procedimento referendario per l'istituzione di nuovi comuni, a seconda che trattasi di distacco dal capoluogo di una o piu' frazioni ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comunita', sia in contrasto con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 23 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la questione rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata; Sospende il giudizio in corso; Ordina alla segreteria della sezione l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge regionale del Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dall'art. 1 della legge regionale del Lazio 20 agosto 1987, n. 49, nella parte in cui non diversifica il procedimento referendario per l'istituzione di nuovi comuni, a seconda che trattasi di distacco di una o piu' frazioni ovvero di vero e proprio smembramento, per contrasto con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione. Ordina alla segreteria della sezione che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Lazio nonche' notificata al Presidente della giunta regionale del Lazio. Cosi' deciso in Roma, il 24 marzo 1994, dal tribunale amministrativo regionale del Lazio. Il presidente: MASTROCOLA Il consigliere: PULLI Il consigliere estensore: MELE 94C1119