N. 642 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 gennaio - 6 ottobre 1994

                                N. 642
 Ordinanza   emessa   il   28   gennaio  1994  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 6 ottobre  1994)  dal  pretore  di  Lecce,  sezione
 distaccata di Alessano, nel procedimento penale a carico di Antonazzo
 Maurizio
 Processo penale - Reato perseguibile a querela - Remissione della
    stessa   -   Conseguente   condanna   del  querelante  alle  spese
    processuali, salvo diversa espressa pattuizione  -  Ingiustificato
    uguale  trattamento  per il querelante avventato o temerario e per
    il querelante incolpevole - Irragionevolezza  -  Compressione  del
    diritto  di  agire  in giudizio per la difesa dei propri diritti -
    Richiamo ai  principi  delle  sentenze  nn.  165/1974,  52/1975  e
    29/1992  in  relazione  al  codice  di  rito  del 1930 e n. 2/1993
    (recte: 180/1993 e 423/1993).
 (C.p.p. 1988, artt. 340, quarto comma in relazione a 427, ultimo
    comma, e 542).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.44 del 26-10-1994 )
                              IL PRETORE
    Alla pubblica  udienza  del  28  gennaio  1994  ha  pronunziato  e
 pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei
 confronti di Antonazzo Maurizio, nato in Tricase (Lecce) il 21 agosto
 1969  e  residente a Tiggiano (Lecce), via Solferino, 13 imputato del
 reato  di  cui all'art. 590 del c.p. per aver cagionato a Tagliaferro
 Sonia lesioni gravi consistite nella rottura del femore destro, in un
 trauma cranico e in un trauma mascellare,  con  la  propria  condotta
 negligente   consistita   nel  condurre  la  propria  autovettura,  a
 velocita' elevata, pur essendo nel centro abitato,  non  accorgendosi
 della  presenza  della  Tagliaferro  sulla  sede stradale, intenta ad
 attraversare la strada, investendola e cagionando le lesioni  di  cui
 al referto. In Corsano il 26 giugno 1992.
    Con  decreto  in  data  6 settembre 1993, il sostituto procuratore
 della Repubblica presso la pretura circondariale di  Lecce  disponeva
 la  citazione  a  giudizio,  davanti  a  questa sezione distaccata di
 pretura, di Antonazzo Maurizio da Tricase per rispondere del reato di
 cui in epigrafe.
    All'odierno dibattimento, le parti lese Tagliaferro Luigi e  Maria
 Colaci,  entrambi  da  Corsano,  rimettevano la querela nei confronti
 dell'Antonazzo,  il  quale  accettava  la  remissione,  e  le   parti
 stabilivano  che  le  spese  processuali  fossero  ripartite come per
 legge; e, quindi, tutte  a  carico  del  remittente,  non  risultando
 convenuto,  nell'atto di remissione, che dette spese siano in tutto o
 in parte a carico del querelato, cosi'  come  espressamente  previsto
 dall'ultimo comma dell'art. 340 del c.p.p.
    Quindi,  questo  pretore,  con ordinanza il cui dispositivo veniva
 letto in udienza, sollevava di ufficio questione di costituzionalita'
 degli artt. 340, quarto comma, del c.p.p. correlato agli  artt.  427,
 ultimo comma, e 542, secondo comma, per violazione degli artt. 3 e 24
 della Costituzione, per i seguenti motivi:
    Osserva,  anzitutto,  il giudicante che la verifica di conformita'
 ai principi costituzionali della disciplina riguardante  la  condanna
 del  querelante  al  pagamento  delle  spese del processo penale ebbe
 inizio da questa on. Corte durante la vigenza del c.p.p. abrogato.
    Invero, ai  sensi  dell'art.  382  primo  comma  c.p.p.  del  1930
 (previsto  per  il  proscioglimento  adottato  al  termine della fase
 istruttoria) e del collegato art. 482  primo  comma  s.c.  (previsto,
 invece,  per  la  fase  dibattimentale)  il  querelante doveva essere
 condannato alla rifusione verso  lo  Stato  delle  spese  processuali
 laddove l'imputato fosse prosciolto e purche' la stessa pronuncia non
 fosse  dovuta  ad  insufficienza  di prove, a concessione del perdono
 giudiziale ovvero ad una causa estintiva del reato sopravvenuta  dopo
 la  presentazione  della  querela.  Tali presupposti erano egualmente
 richiesti per la condanna del querelante alla rifusione  delle  spese
 sostenute  dall'imputato  o dal responsabile civile, a condizione che
 vi fosse la richiesta dell'interessato.
    L'ambito di possibilita' di una condanna del querelante  fu,  poi,
 notevolmente limitato da due sentenze di codesta Corte. Con quella n.
 165  del  19  giugno 1974, il giudice delle leggi escluse che potesse
 esser adottata una siffatta pronunzia di condanna se la querela fosse
 stata presentata contro ignoti per un fatto  realmente  verificatosi;
 con  quella  n.  52  del  6  marzo  1975  fu,  poi,  stabilito che il
 querelante  non  potesse  esser  condannato  nel  caso  di   imputato
 prosciolto  perche'  ritenuto  non  imputabile  in quanto incapace di
 intendere e di volere. In entrambe le sentenze, comunque,  la  stessa
 Corte formulo' un principio generale di esclusione di responsabilita'
 del  querelante  per tutte le ipotesi nelle quali nessuna colpa fosse
 addebitabile allo stesso.
    Va, poi, rilevato che nella stessa relazione ministeriale al nuovo
 codice  di  procedura  penale, con riferimento all'art. 542 (condanna
 del querelante nella fase dibattimentale; articolo  che  richiama  il
 complementare  art.  427  che regola la medesima ipotesi in relazione
 alla  sentenza  di  non  luogo  a   procedere   emessa   nell'udienza
 preliminare), si legge che il legislatore ha proprio tenuto conto, al
 fine della formulazione delle norme de quo, delle indicazioni offerte
 dalla  Corte  costituzionale  con le due sentenze appena considerate,
 eliminando la formula di proscioglimento dubitativa dal novero  delle
 ipotesi  che  comportano  la  condanna  del querelante alle spese del
 procedimento.
    Con sentenza n. 29/1992, seguendo il Suo orientamento di cui si e'
 gia' detto, la Corte dichiarava, poi, costituzionalmente illegittimi,
 per contrasto con l'art. 3 della  Costituzione  gli  art.  382  primo
 comma  e  482  primo  comma  del  c.p.p. del 1930, nella parte in cui
 prevedono la condanna del querelante alle spese del procedimento  an-
 ticipate   dallo   Stato   anche   nell'ipotesi   di  proscioglimento
 dell'imputato perche'  il  fatto  non  costituisce  reato.  All'uopo,
 precisava  nella  motivazione  che  "tale formula dev'essere adottata
 quando, pur affermandosi l'esistenza del fatto nella sua materialita'
 manchi l'elemento soggettivo del dolo e  della  colpa  ovvero  quando
 sussista  una  causa  di  giustificazione:  circostanze  tutte il cui
 accertamento non e' riconducibile al querelante; ne'  la  sussistenza
 delle medesime cause puo' essere ritenuta sintomo di una avventatezza
 o  temerarieta'  della  querela,  tant'e' che detta formula, in linea
 generale, non e' preclusiva dell'azione civile, ben potendo il  fatto
 lamentato non costituire illecito penale, ma, illecito civile".
    La  stessa  Corte,  con sentenza n. 2 del 1993, dichiarava, poi la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 427 prima  comma  del  c.p.p.
 nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato
 per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante
 al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, anche quando risulti
 che l'attribuzione del reato all'imputato non sia ascrivibile a colpa
 del querelante.
    Nella   stessa  sentenza  precisava  la  Corte  che,  con  le  sue
 precedenti pronunce in tema, "aveva chiaramente inteso escludere ogni
 ipotesi  di  responsabilita'  oggettiva  del  querelante:   di   ogni
 responsabilita',  cioe',  che  fosse  fondata  sul  mero  dato  della
 causalita' (per cui le spese ricadono sulla parte che ad esse ha dato
 causa) anche in assenza di qualsiasi colpa, leggerezza o temerarieta'
 rimproverabili a colui che ha esercitato il diritto  di  querela.  Il
 legislatore del nuovo codice di procedura penale ha mostrato di voler
 seguire  le indicazioni della Corte, ma, pur circoscrivendo il regime
 della  responsabilita'  del   querelante   alle   sole   ipotesi   di
 proscioglimento  perche'  il  fatto non sussiste o perche' l'imputato
 non  lo  ha  commesso,  ha,  tuttavia,  mantenuto  un   criterio   di
 automaticita';   evidentemente   presupponendo,   secondo  l'id  quod
 plerumque  accidit,  che,  nelle  ipotesi  considerate,  sia   sempre
 ravvisabile,   a   fronte   del  proscioglimento  dell'imputato,  una
 temerarieta' ed un'avventatezza riconducibili al  querelante  stesso.
 In  realta',  esaminando  la  questione  entro  i limiti proposti dal
 giudice remittente,  occorre  osservare  che  anche  nell'ipotesi  di
 proscioglimento  dell'imputato  per  non  aver commesso il fatto puo'
 emergere  una  situazione  nella  quale  l'infondatezza della notitia
 criminis nei suoi confronti derivi, come nel caso, da circostanze non
 addebitabile al querelante, il quale si trova, quindi, nella medesima
 posizione di coloro per i quali non e' prevista  una  responsabilita'
 in  ordine  alle  spese;  ma,  ciononostante,  subisce un trattamento
 ingiustamente  differenziato,  in  contrasto  con  l'art.   3   della
 Costituzione.  Anche  in  tale  ipotesi,  pertanto,  debbono  trovare
 applicazione i principi gia' espressi da questa Corte nelle ricordate
 pronunce, con conseguente esclusione della condanna del querelante al
 pagamento   delle   spese   processuali   allorche'    risulti    che
 l'attribuzione   del  reato  all'imputato,  non  sia  in  alcun  modo
 ascrivibile a colpa del querelante stesso".
    Con successiva  sentenza  del  18  novembre-3  dicembre  1993,  la
 medesima  Corte  dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 427 primo comma del c.p.p., nella parte in cui prevede, nel  caso  di
 proscioglimento dell'imputato perche' il fatto non sussiste o per non
 aver  commesso  il  fatto  -  conseguente ad una situazione di dubbio
 probatorio  esprimibile  solo   nella   motivazione,   ma   non   nel
 dispositivo,  nel  rispetto  dell'art. 530 secondo comma del c.p.p. -
 che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese antic-
 ipate dallo Stato, anche in  assenza  di  qualsiasi  colpa  a  questi
 ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela. Con detta sentenza
 la  Corte  formulava un principio di carattere generale, basato sulla
 considerazione di un "novero pressoche' illimitato di cause, le quali
 siano suscettibili di dimostrare l'assenza  di  colpa  a  carico  del
 querelante, pur in caso di pieno proscioglimento dell'imputato".
    Come  puo'  desumersi  dal  necessario  e  puntuale  richiamo  dei
 precedenti di codesta on. Corte in tema, non  risulta  al  giudicante
 che  la Stessa sia stata investita della questione di cui in premessa
 e, piu' precisamente,  della  disciplina  delle  spese  del  processo
 nell'ipotesi  di remissione della querela, con eventuale accettazione
 dell'imputato.
    All'uopo e' necessario tener presente  quanto  disposto  dall'art.
 340  u.p. del nuovo c.p.p. correlato con l'art. 427 u.p. e cioe' che:
 "le spese del procedimento sono a carico del  remittente,  salvo  che
 nell'atto  di  remissione sia stato convenuto che siano in tutto o in
 parte a carico del querelato". In sostanza,  trattasi  di  disciplina
 analoga  al  previgente  art.  14 c.p.p., anche se non si e' ritenuto
 necessario prevedere la solidarieta' nell'ipotesi di piu'  obbligati,
 stante il principio generale posto dall'art. 1294 cod. civ.
    Occorre, a questo punto, ai fini dell'indagine sulla non manifesta
 infondatezza della questione cui si e' gia' fatto cenno, stabilire se
 la disciplina di cui all'art. 340 u.p. e 427 u.p. del c.p.p. presenti
 o  meno  analogia  o differenze sostanziali con quella prevista dagli
 artt. 542 primo comma e 427 primo comma c.p.p.  relativa  all'ipotesi
 di  assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste o perche'
 l'imputato non lo ha commesso, quando si tratta di reato perseguibile
 a querela; disciplina, quest'ultima, che la Corte ha valutato con gli
 effetti desumibili dalle sentenze sopra indicate.
    Orbene, a parere  del  giudicante,  le  peculiari  caratteristiche
 della  normativa di cui agli artt. 340 u.p. e 427 u.p. c.p.p. e cioe'
 la presenza di una causa di estinzione del reato, come la  remissione
 della querela con l'accettazione del querelato (si rammenti, inserita
 nel  libro  primo  titolo VI, capo primo del c.p. insieme alla "morte
 del   reo   prima  della  condanna",  l'amnistia,  l'oblazione  nelle
 contravvenzioni), non inducono a ritenere che vi sia una  sostanziale
 diversita', tra gli effetti di detta normativa e quelli conseguenti a
 quanto  disposto  dagli  art.  427 p.p. e 542 c.p.p. per le finalita'
 dell'indagine  che  puo'  chiaramente  desumersi  da   quanto   sopra
 evidenziato.
    Invero,  non sembra potersi dubitare, a parere del giudicante, che
 l'ipotesi di sentenza di assoluzione dell'imputato perche'  il  fatto
 non  sussiste  o  non  fu  da  lui  commesso nei reati perseguibili a
 querela, e' di maggiore spessore ed incidenza di  quella  in  cui  la
 querela  non  puo' svolgersi e svilupparsi per la presenza, accertata
 dal giudice di una causa estintiva  del  reato,  come  la  remissione
 della  querela;  anche se normalmente, in tal caso, il giudice non si
 addentra nel merito della causa, ma valuta  egualmente  i  fatti  per
 l'eventuale  declaratoria  immediata della insussistenza del fatto, o
 della  non  commissione  dello  stesso  da  parte   dell'imputato   o
 nell'ipotesi del fatto non costituente reato ex art. 129 del c.p.p.
    Nonostante  cio',  gia'  nella  previgente normativa in merito, si
 palesava chiaramente, l'intento del legislatore di tener  distinta  e
 differenziata  la  causa  di  estinzione  del reato determinata dalla
 remissione della querela con l'eventuale accettazione del  querelato,
 dalle  altre  cause dello stesso tipo, gia' sopra richiamate. E tanto
 veniva evidenziato dal combinato disposto  dell'art.  14  del  c.p.p.
 (che disciplinava gli effetti della remissione della querela, ponendo
 le  spese  del  procedimento  a  carico del remittente, salvo che non
 fosse convenuto, nell'atto di remissione, che gravassero in  tutto  o
 in  parte  a carico del querelato o dei querelati) e 382 dello stesso
 codice del 1930, in virtu' del quale " .. il querelante e' condannato
 alle spese del procedimento  anticipate  dallo  Stato  salvo  che  il
 proscioglimento  sia  pronunciato  per  insufficienza  di  prove, per
 concessione del perdono giudiziale o per un'altra causa estintiva del
 reato sopravvenuta dopo la presentazione della querela".
   Con l'entrata in vigore del nuovo codice, sotto questo aspetto,  la
 disciplina  non  sembra affatto modificata sulla base degli artt. 340
 u.p. (gia' richiamato), 427 u.p. e 542 del nuovo c.p.p.; mentre, come
 si evince dalla relazione al nuovo codice,  con  quest'ultima  norma,
 "pur  seguendosi la linea degli artt. 382 e 482 del c.p.p. previgente
 la condanna del querelante alle spese  processuali  ed  ai  danni  e'
 stata  circoscritta  alle  sole ipotesi di proscioglimento perche' il
 fatto non sussiste o perche' l'imputato non l'ha commesso, avendo  la
 Commissione  seguito  talune  indicazioni contenute nelle sentenze n.
 165 del 1974 e 52 del 1975 della Corte costituzionale", le quali  non
 possono non essere riportate, per i notevoli effetti dirompenti sulla
 disciplina de qua, pure sopra evidenziata.
    Orbene,  c'e'  da  chiedersi,  a questo punto, anzitutto il motivo
 della differente disciplina di cui innanzi  nell'ambito  delle  cause
 estintive  del  reato  ex  art.  150-162 del c.p., potendosi rilavare
 soltanto che, mentre alcune  di  esse  (morte  del  reo  prima  della
 condanna;   amnistia;  prescrizione  del  reato  ed  oblazione  nelle
 contravvenzioni) non dipendono dalla determinazione  del  querelante,
 ma  dal  sopravvenire  di  eventi  cui  il legislatore ha attribuito,
 automaticamente,  valenza  estintiva  del  reato,  nel   caso   della
 remissione  della  querela, e' piu' che palese, quale presupposto per
 qualsivoglia effetto, la volonta' espressa o  tacita  del  querelante
 (art.  152  c.p.)  con  l'eventuale accettazione del querelato, tanto
 che, ex art. 155 c.p.: "La remissione  non  produce  effetto,  se  il
 querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata".
    Se  a cio' si aggiunge che, sia per la nuova che per la previgente
 disciplina, le spese del procedimento sono a carico  del  querelante,
 salvo  che,  come si e' gia' detto, nell'atto di remissione sia stato
 convenuto che siano in tutto o  in  parte  a  carico  del  querelato,
 sembrerebbe  che  il  legislatore,  (pur  con il sotteso proposito di
 agevolare una delle piu' frequenti ed auspicabili cause di estinzione
 del  reato  con  il  conseguenziale  salutare  effetto  di  eliminare
 procedimento per reati - almeno teoricamente - di piu' lieve entita';
 peraltro,  nella  piu'  ampia  ottica  che  puo'  desumersi da alcuni
 istituti del nuovo  codice  di  procedura  penale:  ad  es.  pena  su
 richiesta  delle  parti  ecc.),  abbia  devoluto  alle  parti  stesse
 (querelante  e  querelato)  una  notevole  autoregolamentazione   con
 riferimento   alle   spese   del  procedimento,  che,  a  parere  del
 giudicante, non potrebbero essere  oggetto,  per  la  loro  natura  e
 finalita', di un "presumibile" negozio giuridico di diritto privato.
    Deve,   poi,   necessariamente,  farsi  cenno  anche  si  notevoli
 inconvenienti teorico-pratici che si registrano  costantemente  nella
 prassi giudiziaria, in virtu' della suddetta disciplina.
    Invero,  tenuto  conto  che per giurisprudenza ormai consolidata -
 perfettamente aderente  alla  lettera  ed  alla  ratio  legis  -  per
 l'efficacia   giuridica   della   remissione  della  querela  non  e'
 necessaria l'accettazione, in quanto la  prima  parte  dell'art.  155
 c.p.  richiede  solo che da parte del querelato non vi sia un rifiuto
 della remissione in forma espressa o tacita, (tra le ultime: Cass. 21
 luglio 1986, n. 7568),  puo'  accadere  che  a)  il  querelante,  per
 qualsivoglia  motivo  consentitogli espressamente dal legislatore per
 le ragioni sopra precisate e con i presupposti di  cui  all'art.  152
 c.p.,  rimetta  la  querela  ed  il querelato, o rimanga contumace o,
 comunque,  venuto  a  conoscenza  della  remissione  effettuata   dal
 querelante  si  astenga  dall'esprimere  la  sua  volonta'  contraria
 esplicitamente o  tacitamente;  in  tale  ipotesi  la  remissione  e'
 efficace,  ma  il  querelante deve pagare le spese processuali; b) il
 querelato compaia, accetti la remissione e, per  quanto  riguarda  le
 spese   processuali,   inizi   un  "trattativa"  -  con  i  reciproci
 condizionamenti che ben si possono intuire - con  il  querelante  per
 stabilire se dette spese debbano essere pagate o tutte dal querelante
 o  in tutto o in parte dal querelato; peraltro in deroga al principio
 secondo cui la condanna alle spese processuali relative ai reati  cui
 la  condanna  si  riferisce, e' considerata un effetto naturale della
 sentenza di condanna penale ed a questa consegue di diritto (art. 535
 c.p.).
    Cio' si e' evidenziato, non solo per  compiutezza  d'indagine,  ma
 anche  per  significare  che,  comunque,  la  remissione, quale causa
 estintiva  del  reato  -   sia   pure   considerando   le   peculiari
 caratteristiche  teste'  poste in risalto, - a parere del giudicante,
 non puo' non comportare un'ingiustificata disparita' di  trattamento,
 nel   senso   che,   a   differenza   di  tutte  le  altre  cause  di
 giustificazione sopra elencate (150 - 162 del c.p.)  non  esonera  il
 remittente  dal pagamento delle spese processuali, sempre che - cosi'
 come stabilito dalla Corte costituzionale per i casi sopra  elencati,
 (compresa  l'estrema  ipotesi  di  assoluzione del querelato-imputato
 perche'  il  fatto  non costituisce reato per la presenza di cause di
 giustificazione o perche' il fatto  non  sussiste  o  l'imputato  non
 l'ebbe  commesso:  sentenze  22  gennaio-3 febbraio 1992: 2-21 aprile
 1993 e 18 novembre-3 dicembre 1993), non vi sia colpa,  leggerezza  o
 temerarieta'  rimproverabile  a  chi  abbia  esercitato il diritto di
 querela,   dovendosi,   invece,   "escludere    ogni    ipotesi    di
 responsabilita'  obbiettiva  del  querelante,  fondata  sul mero dato
 della causalita' materiale ed essendo stata dichiarata  espressamente
 l'illegittimita' intrinseca del criterio di automaticita'" (ivi).
    E'  appena  utile  rilevare  ancora,  sul punto, che la disciplina
 prevista relativamente alle spese del procedimento penale nel caso di
 remissione della querela e' piu' congeniale per quanto  concerne  gli
 effetti  civili,  tanto  che,  dall'art.  427 secondo, terzo e quarto
 comma e' previsto che, nell'ipotesi del fatto insussistente  o  della
 non  commissione  del  fatto,  su  domanda  dell'avente diritto, puo'
 esservi  condanna  "alle  spese  sostenute  dell'imputato  e,  se  il
 querelante  si  e' costituito parte civile, anche di quelle sostenute
 dal responsabile civile citato ed intervenuto,  e,  quando  ricorrono
 gravi  motivi,  le  spese  possono  essere  compensate  in tutto o in
 parte".
    Conclusivamente, puo'  dichiararsi  d'ufficio  non  manifestamente
 infondata  la  questione  di costituzionalita' degli artt. 340 quarto
 comma, correlato con gli artt. 427 ultimo comma  e  542  c.p.p.,  per
 violazione  del  principio  di eguaglianza, come sopra precisato; ed,
 inoltre, per un profilo di  irragionevolezza,  nella  parte  in  cui,
 escludendo  nell'ipotesi  in esame ogni valutazione del comportamento
 di chi ha esercitato il diritto di querela, si  impone  di  addossare
 egualmente  l'onere  delle  spese  del  procedimento  penale tanto al
 querelante avventato o temerario,  quanto  in  quello  a  cui  nessun
 addebito del genere possa muovere.
    A  cio'  deve  aggiungersi, ad avviso del giudicante, un ulteriore
 profilo di illegittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  24
 della  Costituzione,  emergente dal fatto che la persona offesa di un
 reato perseguibile a  querela  viene  a  trovarsi  al  rischio  della
 responsabilita'  patrimoniale  senza  colpa  alcuna;  il che potrebbe
 comportare un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto  di
 agire  in  giudizio  per  la  difesa  dei  propri diritti ed anche un
 notevole condizionamento per l'auspicabile remissione della  querela,
 per le ragioni sopra indicate.
    E'  necessario  far presente, infine, la rilevanza della questione
 per il procedimento a  carico  di  Antonazzo  Maurizio,  imputato  di
 lesioni  colpose gravi in pregiudizio della minore Tagliaferro Sonia,
 in quanto, in caso di accoglimento della questione cosi'  come  sopra
 prospettata,  egli  non  dovrebbe  esser  condannato - in mancanza di
 colpa, come sopra precisato - al pagamento delle  spese  processuali,
 non  essendosi,  peraltro,  nulla convenuto in contrario nell'atto di
 remissione della querela.
                               P. Q. M.
    Letti gli atti processuali, solleva di  ufficio  la  questione  di
 costituzionalita'  degli artt. 340 quarto comma del c.p.p., correlato
 con gli artt. 427 u.c. e 542 s.c. per violazione degli artt. 3  e  24
 della  Costituzione  italiana, in ordine alla condanna del querelante
 senza  colpa  al  pagamento  delle  spese  processuali  nel  caso  di
 remissione della querela;
    Dispone,  pertanto,  la  sospensione  del  giudizio  in  corso con
 notifica della presente ordinanza alle parti ed al signor  Presidente
 del Consiglio dei Ministri e comunicazione della stessa ai Presidenti
 delle due Camere.
      Alessano, addi' 28 gennaio 1994
                           Il pretore: SODO

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