N. 664 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 1994
N. 664 Ordinanza emessa il 14 maggio 1994 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Lombardia sui ricorsi riuniti proposti da Maffezzoni Raffaele ed altre contro Provveditorato agli studi di Milano ed altro Pensione - Sospensione con il decreto-legge n. 384/1992 del diritto a trattamenti pensionistici di anzianita' a carico del regime generale obbligatorio, ivi comprese le gestioni autonome, dalla data di entrata in vigore dello stesso decretolegge (19 settembre 1993) e fino al 31 dicembre 1993 - Mancata considerazione della particolare situazione degli insegnanti che, per effetto delle norme che disciplinano il loro stato giuridico, sono collocati a riposo anziche' dalla data delle dimissioni (come avviene di regola per gli altri lavoratori dipendenti) dalla data della fine dell'anno scolastico (settembre 1993), con la conseguenza che quando (come nella specie) abbiano presentato la domanda di dimissioni prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in questione, restano al tempo stesso privati della retribuzione, per l'avvenuto collocamento a riposo, e del trattamento di quiescenza, per effetto della sospensione operata dalla norma impuganta - Ingiustificato eguale trattamento di situazioni diverse con incidenza sul principio della retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata e sulla garanzia previdenziale. (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 1, commi 1 e 2-quinquies, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438). (Cost., artt. 3, 36 e 38).(GU n.47 del 16-11-1994 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nei giudizi iscritti ai rispettivi numeri del registro di segreteria sui seguenti ricorsi, promossi con il patrocinio dei seguenti avvocati: 415/PC Maffezzoni Raffaele, dott. proc. Giuseppe Marzullo; 430/PC Ferrau' Elena, dott. proc. Giuseppe Marzullo; 405/PC Venosta Margherita e Bertoletti Anna Maria, avv. Carlo Rienzi; Visti gli atti della causa; Uditi nella pubblica udienza del giorno 14 maggio 1994 il relatore consigliere dott. Angelo Gallicchio; RITENUTO IN FATTO Nei ricorsi sopra elencati si chiede l'annullamento previa sospensione concessi con provvedimento della sezione dei provvedimenti con i quali i ricorrenti sono stati collocati a riposo per dimissioni, e a decorrere dal 1 settembre 1993 e, a norma dell'art. 1, commi 1 e 2-quinquies, del d.l. n. 384 del 19 settembre 1992 nel testo risultante dalla legge di conversione n. 438 del 14 novembre 1992, citata nella premessa dei decreti medesimi, con differimento della corresponsione della pensione al successivo 1 gennaio 1994 nonche' della circolare del Ministero della pubblica istruzione n. 47 del 24 febbraio 1993 nella parte in cui dispone che i dipendenti dimissionari dall'inizio dell'anno scolastico 1993-1994 non hanno diritto al trattamento pensionistico di anzianita' ne' a quello di attivita' di servizio e la circolare n. 227 del 28 luglio 1993 nella parte in cui consente ai docenti soprannumerari, collocati a riposo a far data dal 1 settembre 1993, di percepire lo spettante trattamento di quiescenza. Contestano, in primo luogo i ricorrenti l'interpretazione data dal Ministero della pubblica istruzione e seguita dal Provveditorato agli studi competente della normativa citata la quale nei confronti del personale della scuola, che non puo' cessare dal servizio in corso di anno scolastico avrebbe dovuto essere interpretata in modo tale da consentire la corresponsione immediata, alla data del collocamento a riposo, del trattamento di quiescenza ai dipendenti cessati dal servizio dal 1 settembre 1993. Affermano inoltre i ricorrenti che: l'interpretazione data dal Provveditorato agli studi (e dal Ministero della pubblica istruzione con circolare 47/1992) della normativa su ricordata e' viziata ed errata perche' trascura di considerare le disposizioni che, in modo speciale disciplinano il collocamento a riposo del personale della scuola escludendolo dalla normativa generale suindicata (art. 110 del d.P.R. n. 417/1974 e art. 10 del d.l. n. 357/1989 convertito nella legge n. 417/1989); il provvedimento di collocamento a riposo, con differimento della corresponsione della pensione deriva da errata e falsa applicazione della norma del d.l. n. 384/1992 e nata con le disposizioni dell'art. 8 del d.lgs. n. 503/1992 e con le norme che, in via di specialita', disciplinano il collocamento a riposo del personale della scuola. L'art. 1 del d.l. n. 384/1992 fissa, infatti, esplicitamente il termine di validita' delle prescrizioni alla data di emanazione di una organica riforma del sistema pensionistico; riforma attuata con il d.lgs. citato il cui art. 8 mantiene in vigore nei confronti di chi aveva maturato alla data del 21 dicembre 1992 i requisiti contributivi o di servizio previsti per la pensione anticipata di anzianita' "le norme previste dai rispettivi ordinamenti" (art. 110 del d.P.R. n. 417/1974, quarto e quinto comma; art. 110 del d.P.R. n. 417/1989). Tali norme fissano la decorrenza delle dimissioni all'inizio dell'anno scolastico e pertanto il rinvio della corresponsione del trattamento di pensione al 1 gennaio effettuato dal d.l. n. 384/1992 non poteva legittimamente essere disposto per il personale della scuola in quanto comportante un mutamento del re- gime giuridico del collocamento a riposo del personale della pubblica istruzione ed una violazione del principio in base al quale la decorrenza della pensione non puo' che decorrere dalla data di cessazione dal servizio. Contestano ancora i ricorrenti la grave disparita' di trattamento che determina l'applicazione dell'art. 5, comma 1-bis della legge n. 243/1993 (conversione con modificazioni del d.l. n. 155/1993) che ha disposto, in deroga alle vigenti disposizioni, l'accoglimento delle domande di pensionamento, con decorrenza 1 settembre 1993, qualora, a causa del soprannumero di docenti della stessa materia e dello stesso ruolo provinciale il collocamento a riposo non avrebbe determinato nuove vacanze di organico con conseguente necessita' di nuove assunzioni. In via subordinata si eccepisce la illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.l. n. 384/1992 convertito nella legge n. 438/1992 e dell'art. 5 comma 1- bis del d.l. n. 155/1993 convertito nella legge n. 243/1993, della legge delega n. 421/1992 e del successivo art. 8 del d.lgs. n. 503/1992 con riferimento all'art. 110 del d.P.R. n. 417/1974, all'art. 10, del d.l. n. 357/1989, convertito in legge n. 417/1989 ed agli artt. 1, 42 e 191 del d.P.R. n. 1092/1973, per violazione degli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. Gli avvocati di parte hanno confermato le censure proposte e le questioni di legittimita' costituzionali sollevate. D I R I T T O I ricorsi sono stati riuniti all'udienza. Si osseva nel merito che i ricorrenti, gia' appartenenti al personale della scuola, cessata dal servizio per volontarie dimissioni con decorrenza 1 settembre 1993, tende a conseguire, con il ricorso all'odierno esame, una pronuncia giudiziale di condanna dell'amministrazione statale al pagamento dei ratei di pensione nel periodo settembre-dicembre 1993, ritenendo illegittimi gli atti con i quali il Provveditore agli studi, nel disporre il suo collocamento a riposo, ha differito, conformandosi ad istruzioni ministeriali, il trattamento di quiescenza al 1 gennaio 1994 in applicazione dell'art. 1, e piu' propriamente dei commi 1 e 2-quinquies, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (nel testo risultante dalla legge di conversione n. 438 del 1992. Sostanzialmente nelle impugnative si sostiene, in termini uniformi, che la norma in questione non dovesse considerarsi applicabile al personale della scuola per due ordini di motivi: perche' gia' abrogata a partire dal 1 gennaio 1993 in conseguenza della emanazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (il cui art. 8 avrebbe mantenuto ferme - a salvaguardia dei diritti quesiti - per i dipendenti in possesso alla data del 31 dicembre 1992 dei requisiti per il pensionamento anticipato, le norme previste dai rispettivi ordinamenti); perche' contrastante, alla stregua di una interpretazione, coerente con i principi costituzionali, con il quadro normativo risultante dalla speciale disciplina del collocamento a riposo del personale della scuola (art. 110 del d.P.R. n. 417/1974; art. 10, quinto comma, del d.l. n. 357/1989 convertito in legge n. 417/1989; art. 1, sesto ed ottavo comma, della legge n. 467/1986), dalle norme sulla cessazione dal servizio e sul trattamento di quiescenza degli impiegati civili dello Stato e degli stessi principi generali in materia pensionistica (art. 125 e 131 del d.P.R. n. 3/1957; artt. 1, 42 e seguenti, 154, 156, 157 e 162 del d.P.R. n. 1092/1973 della norma dell'art. 5, comma 1- bis del d.l. n. 155/1993, convertito in legge n. 243/1993 che ha consentito il pensionamento dei docenti al 1 settembre 1993 con corresponsione di trattamento pensionistico se il collocamento a riposo non determina vacanza organica. L'assunto non puo' essere condiviso per nessuna delle due prospettazioni come sopra sinteticamente riassunte. Va osservato, anzitutto, che con l'emanazione del d.lgs. n. 503 in attuazione dell'art. 3 della legge-delega n. 421 del 1992 per il riordino del sistema previdenziale dei lavori dipendenti pubblici e privati, non si e' affatto conclusa - come intenderebbe invece dimostrare la ricorrente - quella completa riforma del sistema pensionistico indicata dall'art. 1, primo comma, del d.l. n. 384/1992 come termine finale di efficacia della temporanea sospensione delle pensioni dallo stesso decreto-legge introdotta. Ed invero argomenti decisivi per un tale convincimento possono rinvenirsi nella formulazione dell'art. 3, terzo comma, della legge n. 421 del 1992, che attribuisce espressa delega al Governo ad emettere ulteriori "provvedimenti" in materia previdenziale sino al 31 dicembre 1993, nella legge finanziaria n. 537/1993 che contiene, all'art. 11, numerose norme chiaramente riferibili ad una riforma del settore non ancora esaurita, nonche' nell'art. 5, comma 1-bis, del d.l. 20 maggio 1993, n. 155 (risultante dalla legge di conversione 9 luglio 1993, n. 243). Quest'ultima disposizione, in particolare, nel prevedere una deroga in favore dei docenti cosiddetti "soprannumerari" con il riconoscimento - limitatamente ad essi - del diritto a pensione dal 1 settembre 1993, postula evidentemente la perdurante vigenza della disciplina sul blocco pensionistico per tutti gli altri docenti non versanti in tale peculiare posizione. Quanto alla seconda prospettazione non vi e' dubbio che l'art. 1, commi 1 e 2-quinquies del d.l. n. 384/1992 assume valore derogatorio, per il tempo in cui e' operante, rispetto alla vigente disciplina sul collocamento a riposo e trattamento di quiescenza dei dipendenti pubblici, ivi compresi quelli della scuola, che le deroghe di cui al citato art. 5, comma 1- bis del d.l. n. 155/1993, convertito in legge n. 243/1993, sono dettate dalla specialita' delle situazioni e in conclusione detta norme del 1992 non e' suscettibile di alcuna interpretazione che la renda inapplicabile a tale categoria di personale, pure alla luce degli argomenti dedotti a sostegno di una lettura secudum Constitutionem. Accertato, dunque, che le norme in questione hanno come destinatario, senza alcun dubbio, anche il personale della scuola e che infondate si appalesano le dedotte censure di illegittimita' degli impugnati provvedimenti, i quali sono stati adottati dall'amministrazione scolastica in base ad un preciso e chiaro dettato legislativo, la sezione puo' procedere all'esame della questione di costituzionalita' sollevata, in via subordinata, dalle difese dei ricorrenti con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. In punto di rilevanza, si osserva - anche alla stregua di quanto si e' appena esposto - che se le norme contenute nel menzionato art. 1, commi 1 e 2-quinquies, del d.l. n. 384 dovessero risultare travolte da una declaratoria di illegittimita' costituzionale per quanto qui interessa, non si potrebbe piu' porre in dubbio il diritto della ricorrente al conseguimento della pensione fin dalla data del collocamento a riposo e, quindi, giuridicamente fondata ed accoglibile sarebbe la di lei pretesa alla corresponsione dei ratei maturati nel quadrimestre settembre-dicembre 1993. Quanto alla non manifesta infondatezza della proposta questione di costituzionalita', ritiene il collegio di procedere, secondo un ordine logico, all'esame delle norme contestate, iniziando dal riferimento all'art. 36, primo comma, della Costituzione che garantisce, come e' noto al lavoratore, il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. E' ormai jus receptum che tale norma estende l'ambito della sua tutela tanto alla retribuzione corrisposta in costanza del rapporto di lavoro, quanto a quella differita (a fini previdenziali) alla cessazione del rapporto stesso e attribuita sotto forma di trattamento pensionistico: in entrambi i casi, la retribuzione rappresenta nel vigente ordinamento costituzionale, fondato su lavoro, "una entita' fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione". Siffatto principio enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 3 del 10 gennaio 1966 e' stato sempre piu' rigorosamente ribadito in successive pronunce della stessa Corte con l'affermazione che, avuto riguardo al carattere retributivo del trattamento di quiescenza, il lavoratore non puo' essere privato dei relativi assegni, qualunque sia la causa della cessazione del rapporto di lavoro (sentenza 7 maggio 1987, n. 169 e n. 31 del 1987). Ed in coerente sviluppo di detto orientamento il giudice delle leggi ha anche affermato che, nel caso di cumulo del trattamento pensionistico con quello di attivita', la riduzione del primo puo' essere giustificata e considerata compatibile con l'art. 36 della Costituzione solo ove correlata ad una retribuzione della nuova attivita' lavorativa che ne giustifichi la misura (sentenza n. 566 del 1989 e n. 204 del 1992). D'altronde, a far superare il dubbio di costituzionalita' non sembra alla sezione di ausilio la sentenza di rigetto n. 329 del 26 giugno 1990 pronunciata dalla Corte costituzionale a proposito dell'art. 10, quinto comma, del d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito in legge 25 marzo 1983, n. 79, statuente il differimento della erogazione del trattamento pensionistico per le donne dimissionarie coniugate o con prole a carico, attesa la differente situazione oggetto di quella disciplina mirante a disincentivare i pensionamenti in eta' ancora giovane e la posizione di vantaggio (abbuono di una anzianita' fino a 5 anni) che comunque offriva una razionale giustificazione al sacrificio imposto ai destinatari. Alla luce degli affermati principi ritiene la sezione che la prospettata questione di costituzionalita' in relazione all'art. 36 della Costituzione sia da reputarsi non manifestamente infondata. Ad analoga conclusione ritiene di dover pervenire per la prospettazione avente ad elemento di riferimento l'art. 38 della Costituzione. Ed invero il personale della scuola, pur avendo versato i prescritti contributi assicurativi, si vede privato per i quattro mesi compresi fra la data del collocamento a riposo (1 settembre 1993) e quella di decorrenza del trattamento di quiescenza (1 gennaio 1994) tanto della retribuzione (non essendogli consentito di proseguire nella prestazione lavorativa fino al 31 dicembre 1993 ancorche' ne avesse fatta formale richiesta come nel caso della ricorrente), quanto della pensione; il che vuol dire rimanere del tutto privi dei necessari mezzi di sussistenza, senza neppure quel minimo indispensabile per provvedere ai bisogni primari ed essenziali della vita. Parimenti ad un giudizio di non manifesta infondatezza conduce l'esame delle disposizioni in questione sotto il diverso profilo della violazione del principio costituzionale di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Ed, infatti, non v'e' dubbio che il personale scolastico, a causa della rigidita' della decorrenza del collocamento a riposo (1 settembre di ciascun anno) inderogabilmente imposta dall'ordinamento di appartenenza (art. 10, quarto e quinto comma, del d.l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417), si viene a trovare nella inevitabile condizione di dover subire le conseguenze economiche del blocco pensionistico diversamente dal restante personale statale che ad essa puo' normalmente sottrarsi con la presentazione (e l'accoglimento da parte dell'Amministrazione) delle proprie dimissioni con decorrenza immediatamente successiva al periodo di sospensione. Non si puo' non osservare che proprio la peculiarita' della posizione giuridica dei dipendenti della scuola avrebbe dovuto dissuadere il legislatore dal porre in essere una identica disciplina per situazioni cosi' diverse con l'effetto - di fatto poi verificatosi - di produrre un trattamento ingiustamente discriminatorio per tale categoria di personale, mentre e' lecito pensare che diverse ed appropriate scelte legislative avrebbero potuto conciliare le esigenze alla base delle norme contestate con la parita' di trattamento dei destinatari. Conclusivamente, le prospettate questioni di costituzionalita' risultano non manifestamente infondate ed i giudizi vanno sospesi con la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la conseguente pronuncia.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 febbraio 1953, n. 87; Dispone che, sospeso il giudizio in corso, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale perche' sia risolta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2-quinquies, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, nel testo risultante dalla legge di conversione 14 novembre 1992, n. 438, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera. Cosi' deciso in Milano nella camera di consiglio del 14 maggio 1994. Il presidente: GARRI 94C1183