N. 667 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile - 29 ottobre 1994
N. 667 Ordinanza emessa il 2 aprile 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 29 ottobre 1994) dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra S.p.a. Sogefan e fallimento S.p.a. Codelfa Procedure concorsuali - Azione revocatoria fallimentare - Estensione, per diritto vivente, della normativa prevista per il fallimento in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento - Conseguente computo del termine di un anno dall'amminissione della procedura di amministrazione controllata anziche' dalla dichiarazione di fallimento - Lamentato egual trattamento per situazioni disuguali - Compressione del diritto di difesa per il convenuto in revocatoria - Limitazione della liberta d'azione economica. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67). (Cost., artt. 3, 24 e 41).(GU n.47 del 16-11-1994 )
IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio per discutere della causa civile iscritta al ruolo generale n. 6385/87 chiamata all'udienza collegiale del 21 aprile 1994, promossa con ricorso ex art. 9817 da: Sogefan S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Piero Dina per delega a margine dell'atto di opposizione ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo via della Guastalla, 15, Milano, attrice, contro fallimento Cudelfa S.p.a. rappresentato e difeso dall'avv. Giampaolo Tagliagambe per delega in calce al ricorso introduttivo ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo via Daverio, 6, Milano, convenuto. Ha pronunciato la seguente ordinanza. Con ricorso ex art. 98 legge fallimentare la Sogefan S.p.a. ha esposto di avere richiesto l'ammissione al passivo del proprio credito in via privilegiata di L. 2.244.560 per IVA su fatture ed in via chirografaria di L. 219.261.929 comprensivo del saldo delle fatture indicate nel decreto ingiuntivo del 6 maggio 1982, degli interessi dal 1 maggio 1982 al 15 aprile 1985 della rivalutazione monetaria anteriore al fallimento, delle spese liquidate in decreto, delle spese di precetto e delle spese del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; di essere stata ammessa al passivo del fallimento per il minor importo di L. 122.397.432 in via chirografaria con esclusione del privilegio IVA e del residuo; ha chiesto pertanto di essere ammessa al passivo per il maggiore importo indicato nella domanda di insinuazione con il riconoscimento del privilegio sul credito IVA. Il giudice delegato ha fissato con decreto l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a se' ed il termine per la notifica del ricorso al curatore. Si e' costituito in giudizio il fallimento Codelfa che ha eccepito che la Sogefan S.p.a. e stata correttamente ammessa al passivo per l'importo capitale di L. 82.352.489 ancora dovuto a saldo delle fatture 170, 188, 189, 195 del 1981 dopo l'ultimo pagamento ricevuto dalla Codelfa di L. 20.000.000, che il conteggio degli interessi convenzionali dovuti dall'l.5.1982 al 15.4.1985 e' viziato per eccesso, che la rivalutazione monetaria non e' dovuta e cosi' pure non sono dovute le spese del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e che infine non puo' essere riconosciuta per IVA per mancanza dei beni sui quali esercitarlo. Inoltre il fallimento Codelfa, autorizzato con decreto del giudice delegato in data 1 aprile 1987 e 6 maggio 1987 ha chiesto, in riconvenzionale la condanna della Sogefan S.p.a. alla restituzione dell'importo di L. 76.000.000 per pagamento revocabile effettuati nel periodo compreso tra luglio 1981 ed il luglio 1982 nell'anno anteriore alla data di ammissione della Codelfa alla procedura di amministrazione controllata (28 luglio 1982). La causa e' stata istruita attraverso la produzione di documenti ed il libero interrogatorio delle parti per chiarire l'ammontare degli interessi richiesti dalla Sogefan S.p.a.; indi e' stata rimessa al Collegio per la discussione all'udienza sopra indicata. Ai fini del decidere sulla riconvenzionale proposta dal fallimento, si pone il problema del termine dal quale computare il periodo di esperibilita' dell'azione revocatoria fallimentare nel caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento. Il fallimento chiede infatti la revoca dei pagamenti effettuati dalla fallita sul presupposto della loro anteriorita' infrannuale rispetto, non gia' alla dichiarazione di fallimento, bensi' alla procedura concorsuale alla quale e' stata sottoposta la Codelfa S.p.a. Detta impostazione e' conforme ad una solida tradizione giurisprudenziale,rispetto alla quale questo Tribunale ha assunto da tempo un atteggiamento rispettosamente dissenziente (da ultimo, cfr. trib. Milano 16 settembre 1993 in "foro italiano", 1994, I, 1808), che e' rimasto tuttavia avversato dalla Corte di Cassazione, la quale ha sempre costantemente ribadito la validita' dell'interpretazione tradizionale della consecutio nella prospettiva della revocatoria fallimentare. Tanto appare irremovibile l'atteggiamento interpretativo della suprema Corte, che si puo' ben dire abbia dato luogo ad un "diritto vivente" secondo il quale l'art. 67, legge fallimentare e' come se fosse scritto: " .. gli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, o all'ammissione della procedura di amministrazione controllata nel caso di consecuzione". In tale formulazione sostanziale della norma, non appare manifestamente infondata la questione se essa violi il disposto: a) dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tratta in modo uguale situazioni diseguali; b) dell'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui di fatto non consente al convenuto in revocatoria di eccepire la propria inscientia decoctionis; c) dell'art. 41 della Costituzione, nella parte in cui implica una limitazione della liberta' d'azione economica. a) In relazione all'art. 3 della Costituzione. La ratio della proposizione normativa sottoposta all'esame di costituzionalita' si puo' riassumere nell'affermazione per cui, quando un'impresa sia passata attraverso la procedura minore giungendo senza soluzione di continuita' al fallimento (eventualmente, come nella specie, passando attraverso il concordato preventivo), essa poteva dirsi decotta fin dall'inizio. Siffatta considerazione induce a ravvisare nelle ipotesi di consecuzione una procedura concorsuale unitaria e omnicomprensiva, che assorbe la fisionomia della procedura anteriore, facendo risalire all'ammissione della medesima gli effetti legali, o almeno alcuni degli effetti legali, tipicamente connessi alla successiva dichiarazione di fallimento. Cosi', per restare al tema in discussione, il periodo di revocabilita' dei pagamenti effettuati dal fallito viene spostato all'indietro a partire da quando l'imprenditore era stato ammesso all'amministrazione controllata. Occorre pero' domandarsi fino a che punto sia giustificato agganciare l'esperibilita' dell'azione revocatoria ad un contesto fattuale nettamente diverso dal fallimento, qual'e' quello in cui si cala la procedura minore menzionata. A parere del collegio, l'estensione della normativa prevista per il fallimento ad una situazione appositamente differenziata dalla legge si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, giacche', com'e' noto, il principio d'uguaglianza non vale soltanto a rendere uniforme il trattamento di situazioni uguali, ma anche a rendere difforme il trattamento di situazioni diseguali. Comparando i presupposti di fatto dell'amministrazione controllata con quelli del fallimento, al di la' del comune e generico, quanto ovvio, riferimento alla crisi dell'impresa, si colgono delle marcate peculiarita', che costringono ad associare i due strumenti concorsuali ad una fenomenologia economica molto dissimile: mentre la procedura di amministrazione controllata e' volta al risanamento dell'impresa attraverso il superamento di una situazione di tremporanea difficolta' ad adempiere (art. 187 della legge finanziaria), il fallimento sanziona l'irreversibilita' del dissesto. Per quanto possa giudicarsi semplicistico il richiamo alla definizione letterale, la stessa ragione d'esistenza della procedura minore, piu' di ogni disquisizione filosofica sulla natura dell'insolvenza, suggerisce che essa deve necessariamente affondare le proprie radici in una realta' dell'impresa non assimilabile a quella sottostante al fallimento. Se non esistesse una disomogeneita', non avrebbe nemmeno senso la valutazione giudiziale che e' tenuta ad individuarla per contrapposizicne alla decozione. Poiche', senza ravvisare comprovate possibilita' di risanamentc e transitorieta' della crisi, il tribunale non puo' ammettere l'impresa al beneficio della procedura minore, ma deve dichiarare il fallimento, appare chiaro, per converso, che il decreto di ammissione all'amministrazione controllata assume in sostanza il significato di un accertamento negativo sull'irreversibilita' dell'insolvenza. La funzione assegnata alla procedura dalla legge, oltreche' il contenuto della pronuncia che vi da' ingresso, pertanto, costringono ad associare all'amministrazione controllata una condizione ontologica dell'insolvenza distinta e persino alternativa a quella propria del fallimento, condizione che si potrebbe scolpire nella dicotomia insolvenza sanabile/insanabile. Sullo specifico terreno della revocatoria l'irriducibilita' ora segnalata non potrebbe delinearsi in modo piu' netto, giacche' l'amministrazione controllata, postulando il ripristino della normale solvibilita' dell'impresa all'esito della moratoria, non concepisce nemmeno la lesivita' dai pagamenti anteriori e dunque non prevede, di per se', alcuno strumento volto a ripristinare la par condicio creditorum in relazione a simili evenienze. E' superfluo ricordare che la revocatoria non e' esperibile nel corso dell'amministrazione controllata, ma solo ed esclusivamente col seguente fallimento; la disciplina della consecutio, insomma, cosi' come s'e' venuta delineando nel diritto vivente, non estende affatto lo strumento revocatorio al caso dell'amministrazione controllata, ma si limita a prolungare retrospettivamente il periodo sospetto proprio del fallimento, inglobando in esso la durata dell'amministrazione controllata. Le brevi osservazioni sopra condotte in ordine ai diversi profili delle due procedure e dell'accertamento giudiziale che rispettivamente vi da' ingresso sembrano avvalorate da una riflessione sul ruolo assunto dai creditori nel contesto della procedura minore. Invero, mentre il fallimento puo' essere dichiarato d'ufficio, a tutela di un preminente interesse pubblico, l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata risponde essenzialmente agli interessi del debitore e dei soggetti coinvolti dalla prosecuzione della sua attivita' imprenditoriale. Coerentemente, le valutazioni dell'organo di giustizia si collocano in un procedimento entro il quale risulta indispensabile il consenso, non solo del debitore, che deve chiedere il beneficio, ma anche dei creditori, che devono approvare la particolare soluzione concorsuale (artt. 188 e 189 della legge fallimentare) alla crisi dell'imprenditore. Il peso determinante assunto dalla volontaria adesione dei creditori avvicina la logica dell'amministrazione controllata a quella degli accordi stragiudiziali tra l'impresa in crisi ed i creditori, la cui frequenza ed importanza e' ampiamente dimostrata dalla recente cronaca economica. Gli approcci di questo tipo alla patologia della vita aziendale si sviluppano solitamente attraverso una trattativa preliminare coi maggiori creditori, di regola le banche, e si definiscono poi, in varie forme, sotto la veste di un pactum de non petendo, al quale aderiscono i rimanenti creditori, o comunque la maggioranza di essi, in modo da consentire all'imprenditore di fronteggiare anche le posizioni di coloro che restano dissenzienti. Non pare sussistano ostacoli di principio a collocare il rimedio dell'amministrazione controllata sotto la stessa categoria generale, visto che analoghi sono i conflitti d'interesse coinvolti ed analoga e' la manifestazione di volonta' che li risolve, benche' l'accordo in cui detta volonta' si esprime venga raggiunto entro lo schema di una procedura confezionata dalla legge e sorvegliata dall'autorita' giudiziaria; cio' che consente al debitore di ottenere subito e, per cosi' dire, "coattivamente" l'effetto sospensivo della esigibilita' dei crediti, ma non elimina la necessita' di una convergenza di volonta' sulla proposta formulata dal debitore, in quanto tale effetto resta pur sempre sottoposto alla condizione risolutiva di una rapida (il termine previsto dalla legge e' di 30 gg.) approvazione dei creditori. Rivalutando la valenza dell'aspetto volontaristico del procedimento, l'essenza della valutazione giudiziale che da' luogo alla procedura minore potrebbe cogliersi non tanto in una prognosi fausta sulla sorte dell'impresa, che dipendera' in buona parte dalla fiducia che vorranno accordarvi i creditori, quanto proprio nell'accertamento negativo sopra cennato circa lo status decoctionis, ovvero circa l'assenza di impellenti ragioni tali da imporre l'espulsione dal mercato dell'impresa ormai irrimediabilmente decotta (tale clausola di salvaguardia si perpetua, dopo il voto favorevole dei creditori, nella disposizione dell'art. 192 della legge finanziaria). Non e' il caso di approfondire in questa sede la similitudine proposta: se e' facile immaginare le obiezioni che vi si possono muovere, non e' certo impossibile trovare esaurienti risposte, come ha messo in luce quella recente dottrina che e' giunta a configurare l'amministrazione controllata alla stregua di un pactum de non petendo di diritto positivo. Apprezzando anche solo in parte tale impostazione, comunque, non puo' non accentuarsi l'impressione di lontananza tra la situazione del fallimento e quella dell'amministrazione controllata: cosi' come l'esistenza di un pactum di diritto comune tra il debitore ed il ceto creditorio dissolve l'insolvenza, poiche' rivela la fiducia di cui gode l'imprenditore, la stessa conclusione puo' essere accolta nel caso dell'amministrazione controllata. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare tutto sommato sterile continuare a discutere se la temporanea difficolta' sia di per se' insolvenza dal punto di vista strettamente economico, inteso come un termine di riferimento assoluto e scientificamente misurabile, quando invece il dato economico appare largamente influenzato dall'esistenza o meno della volonta' dei creditori di concedere fiducia (e dunque credito) all'imprenditore in difficolta', valutandone discrezionalmente le potenzialita' di ripresa. La situazione di fatto sottostante all'amministrazione controllata, dunque, risulta in questa prospettiva irriducibile al fallimento, non solo perche' l'inesistenza della decozione costituiva un requisito preliminare della procedura minore, ma perche' l'atteggiamento favorevole dei creditori ribadisce nei fatti l'inesistenza della decozione. Orbene, se il legislatore ha architettato le due procedure secondo strutture e funzioni nettamente differenziate ed ha inteso associare il rimedio della revocatoria al solo contesto del fallimento, appare del tutto irragionevole, alla luce dell'art. 3 della Costituzione, che i limiti temporali di esperibilita' dell'azione in caso di consecuzione siano invece agganciati al contesto dell'amministrazione controllata, la quale e' istituzionalmente rivolta al ritorno in bonis dell'impresa e dunque tende ad uno sbocco palesemente contraddittorio con l'esistenza di una presunzione oggettiva d'insolvenza durante il periodo che la precede. b) In relazione all'art. 24 della Costituzione. Mentre l'esistenza oggettiva dello stato d'insolvenza durante il periodo sospetto e' presunta dalla legge, l'elemento soggettivo dell'azione revocatoria dev'essere dimostrato, com'e' noto, attraverso un'indagine di fatto; non rileva, a questo proposito, quale sia la collocazione dell'onere della prova (a seconda che si verta nell'ipotesi del primo o del secondo comma dell'art. 67 della legge finanziaria), ne' la natura concreta del mezzo di prova impiegato (eventualmente la presunzione indiziaria). Gli estremi della rappresentazione mentale che costituisce l'elemento soggettivo dell'azione (in termini penalistici si direbbe l'oggetto del dolo) sono incontestabilmente i connotati dell'insolvenza propri del fallimento, giacche', come abbiamo detto, anche in caso di consecuzione, e' solo dal susseguente fallimento che scaturisce la revocatoria. Nella concatenazione tra procedure emerge subito un problema di allineamento tra la retrodatazione della presunzione oggettiva dell'insolvenza fallimentare e la conoscenza effettiva dell'insolvenza medesima da parte di colui che riceve il pagamento. Il confronto tra la natura presuntiva del primo requisito e la natura realmente probatoria dell'accertamento sul secondo requisito evidenzia una incompatibilita', che reca una distorsione processuale. Invero, l'esistenza di una presunzione iuris et de iure sul lato oggettivo inibisce al convenuto in revocatoria la difesa piu' elementare ed efficace sul lato soggettivo, non consentendogli di eccepire l'inesistenza della base materiale della supposta scientia decoctionis. Il contrasto tra la presunzione e la realta', come emerge dalle considerazioni sviluppate nel paragrafo precedente, laddove si e' messa in mostra la differenza tra il contesto fattuale dell'amministrazione controllata e quello del fallimento, conduce pertanto ad un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto di difesa in sede processuale. Per comprendere la gravita' con cui si manifesta tale lesione, occorre considerare che, com'e' noto, l'oggetto del dolo e' il fatto e non il giudizio sul fatto. Il substrato della scientia decoctionis e' quindi costituito da quella stessa situazione economica dell'impresa alla quale la legge (nell'interpretazione costante della Corte di cassazione) associa automaticamente, ovvero con un giudizio presuntivo, l'insolvenza. Ma il creditore che riceve il pagamento conosce inevitabilmente per quello e', almeno in qualche misura, la situazione economica del debitore, sicche', quando viene convenuto in revocatoria, si vede costretto a scegliere tra il seguente dilemma: o negare ipocritamente di aver conosciuto la realta' dell'impresa con cui intratteneva rapporti d'affari, oppure ammettere onestamente di averla conosciuta, sostenendo tuttavia di non aver ravvisato l'insolvenza, bensi' una temporanea difficolta'. Quest'ultima scelta difensiva, peraltro, benche' appaia piu' corretta, si traduce in una vana proclamazione, che cozza inesorabilmente contro il giudizio presuntivo imposto a posteriori dalla legge. Una vicenda esemplare, che aiuti a comprendere la scomoda e quasi paradossale posizione in cui si viene a trovare il convenuto in revocatoria, potrebbe essere sintetizzata come segue: Tizio riceve il pagamento; il tribunale ammette il debitore all'amministrazione controllata, all'esito di un'istruttoria con la quale accerta che non esiste decozione, ma soltanto temporanea difficolta' dell'impresa; il commissario giudiziale redige una relazione sulla situazione patrimoniale del debitore, che conferma la valutazione del tribunale; i creditori accettano, votando a favore dell'amministrazione controllata, la moratoria sui propri crediti; sopraggiunge il fallimento e Tizio si vede revocato il pagamento perche' la sua conoscenza dello stato d'insolvenza appare dimostrata dagli stessi fatti ampiamente conosciuti ed analizzati dal tribunale, dal commissario giudiziale e dall'adunanza dei creditori, che pure avevano escluso l'insolvenza fallimentare. E' il caso di segnalare che la vicenda sopra descritta trova puntuale riscontro negli atti della presente causa. Orbene, se il presupposto di fatto dell'amministrazione controllata e' diverso da fallimento, sovrapporre presuntivamente e retroattivamente la condizione fallimentare a quella propria della procedura minore significa fatalmente, non solo omologare cio' che e' diverso, ma anche impedire di contestare l'omologazione sotto il profilo della valutazione soggettiva. Ecco perche' la vicenda sopra esemplificata costituisce uno stereotipo comune, riproducibile in tutte le cause analoghe, dove la prova della scientia decoctionis viene immancabilmente offerta ricorrendo a quegli stessi elementi (notizie di stampa, esistenza di decreti ingiuntivi, procedure esecutive, solleciti di pagamento, ecc.) espressamente considerati dal tribunale, dal commissario giudiziale e dall'adunanza dei creditori, che avevano a loro tempo ammesso, caldeggiato e votato la procedura di amministrazione controllata, ritenendo temporanea la crisi economica dell'impresa e comprovate le possibilita' di risanamento, con cio' implicitamente riconoscendo, tra l'altro, la non lesivita' dei pagamenti anteriori. In sostanza, la conoscenza di quei fatti che all'epoca del pagamento non potevano per definizione rendere l'accipiens consapevole della lesione alla par condicio, viene successivamente intesa come consapevolezza della lesione, trasfigurando per mezzo di una nuova valutazione puramente normativa la stessa condizione psicologica fattuale. L'interversione a posteriori del semplice disvalore del fatto, anziche' la prova di una percezione conoscitiva effettivamente diversa e piu' grave di quella originariamente connessa alla situazione dell'amministrazione controllata, rende del tutto fittizia e minorata la difesa in punto di elemento soggettivo dell'azione revocatoria. c) In relazione all'art. 41 della Costituzione. Per affrontare l'ultimo, forse tenue, sospetto d'incostituzionalita' della disciplina della consecutio, occorre esaminare gli effetti indiretti che si innescano quando vengono a profilarsi le prime difficolta' dell'impresa nei comportamenti dei creditori, i quali, normalmente, sono a loro volta imprenditori. E' facile immaginare che il timore di revoca degli atti e dei pagamenti agisce come un deterrente al compimento dello scambio economico secondo la pura convenienza di mercato, inducendo l'operatore che fornisce beni o servizi all'impresa, se non a rinunciare o interrompere del tutto il rapporto, a restringere anzitempo il credito concesso all'impresa in crisi, con cio' contribuendo a farla prematuramente collassare verso il fallimento. L'operatore che avverte di poter al momento concludere positivamente uno scambio, ma teme che questo possa essere successivamente reso inefficace a suo danno, presumibilmente evitera' tale rischio astenendosi dal contratto: l'efficienza del mercato viene in tal modo compromessa dall'esistenza di una regola giuridica, che indubbiamente incide sulla liberta' di scelta dei consociati. Si tratta ora di stabilire se tale inibizione sia giustificata dall'esistenza di altri interessi meritevoli di tutela. Torna al riguardo in considerazione, ancora una volta, la differenza tra stato d'insolvenza e condizione di temporanea difficolta' dell'impresa, quale presupposto dell'amministrazione controllata. E' noto che il pagamento rappresenta un atto doveroso, che deve essere omesso dal debitore unicamente nel contesto della propria incapacita' complessiva ad adempiere; correlativamente, il comportamento di colui il quale riceve un pagamento puo' essere contrassegnato da disvalore soltanto laddove vi sia stata consapevolezza di pregiudicare con cio' la soddisfazione del credito altrui. La sanzione dell'inefficacia e' dunque un rimedio eccezionale, il quale postula l'impotenza e non la semplice temporanea difficolta' del debitore, rispetto alla quale, come abbiamo visto, non e' giuridicamente concepibile la lesivita' del pagamento. Non solo dunque non e' legittimo, ma non e' nemmeno opportuno, che il sentore di una momentanea debolezza dell'impresa, da un lato, autorizzi l'astensione dai pagamenti e, dall'altro, induca i creditori a rifiutare fiducia all'impreditore. Cio' costituirebbe un turbamento ingiustificato alla negoziazione, che puo' e deve intervenire esclusivamente quando emerga la complessiva impossibilita' di un operatore nel far fronte ai propri impegni. Non sussiste dunque alcun apprezzabile interesse ad estendere a ridosso dell'amministrazione controllata l'incertezza sulla sorte dei rapporti anzitempo definiti dall'imprenditore, con cio' alterando prematuramente e dannosamente i comportamenti dei suoi interlocutori. Se, in una lettura sufficientemente aperta degli interessi tutelati dall'art. 41 della Costituzione, si vogliono ricomprendere nella sfera di protezione di tale norma tutte le liberta' d'azione volte ad ottimizzare l'efficienza dello scambio economico, la cui compressione non risulta razionalmente necessitata da alcuna utilita' sociale, appare legittimo il sospetto che la disciplina della revocatoria in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento si ponga in contrasto con detta norma costituzionale. In presenza dei vari dubbi di costituzionalita' sopra evidenziati, che attengono alla regola di diritto determinante ai fini del presente giudizio, si impone la sospensione del medesimo in attesa di una decisione in proposito da parte della Corte costituzionale. La presente ordinanza va notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati.
P. Q. M. Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina dell'azione revocatoria (art. 67 della legge finanziaria) in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento, per violazione degli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione. Dispone: 1) la sospensione del presente giudizio; 2) la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione; 3) la notificazione della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri; 4) la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Milano, addi' 21 aprile 1994 Il presidente: VIGNALI 94C1186