N. 677 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1994

                                N. 677
 Ordinanza emessa il 27  settembre  1994  dal  pretore  di  Terni  nel
 procedimento penale a carico di Giulivi Fabio ed altro
 Inquinamento - Scarichi provenienti da insediamenti produttivi (nella
 specie:   allevamento  bestiame  senza  impianto  di  depurazione)  -
 Inosservanza dei limiti  di  accettabilita'  previsti  dalle  tabelle
 della  legge  n.  316/1976  (legge Merli) e superamento dei limiti di
 accettabilita'  inderogabili  per   parametri   di   natura   tossica
 persistente  e  bioaccumulabile  -  lamentata  depenalizzazione della
 prima ipotesi (gia' reato piu' grave tra quelli previsti dalla  legge
 citata)  e  riduzione  della pena per la seconda - Irragiovevolezza -
 Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi,  ma  punite
 con maggior severita' - Mancata tutela del paesaggio e della salute -
 Omesso  adeguamento  con  le  norme  del  diritto  internazionale, in
 particolare,  con  le   norme   CEE   (direttiva   n.   271/1991)   -
 Penalizzazione  dell'iniziativa economica privata, in specie: aziende
 che abbiano fatto investimenti per adeguare i  propri  impianti  alle
 esigenze di tutela ambientale.
 (D.L. 17 settembre 1994, n. 537, art. 3).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 32 e 41).
(GU n.47 del 16-11-1994 )
                              IL PRETORE
    1) Il pretore di Terni, dott. Maurizio Santoloci, nel procedimento
 penale  a  carico  di Giulivi Fabio e Franceschini Maurizio, imputati
 tra l'altro dei reati di cui agli artt. 21 primo comma,  e  21  terzo
 comma,  della  legge  n. 319/76, osserva che il p.m. di udienza dott.
 Francesco Scavo ha richiesto pronuncia di questo  pretore  in  ordine
 all'ipotesi   di   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3   del   decreto-legge   17
 settembre  1994  n.  537,  con  trasmissione  degli  atti  alla Corte
 costituzionale, argomentando che detto articolo "( ..)  che  modifica
 il  terzo  comma  dell'art.  21  della  legge-Merli ( ..) prevede una
 manifesta disparita' di trattamento tra  coloro  che  scaricando  non
 osservano  i  limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle, per la
 cui fattispecie la  sanzione  comminata  dal  legislatore  e'  penale
 soltanto  laddove  lo  scarico  supera  di  oltre  il 20% i limiti di
 accettabilita' delle tabelle stesse, rispetto a coloro che  ai  sensi
 del  primo  comma  dell'art.  21  legge-Merli scaricano in difetto di
 prescritta autorizzazione, fattispecie per la quale il legislatore ha
 previsto l'obbligatorieta' della sanzione penale. A parere  del  p.m.
 la  norma  citata si pone in contrasto con gli artt. 3 e con l'art. 9
 della  Costituzione   per   manifesta   disparita'   di   trattamento
 sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe
 ed  anzi  di  maggiore gravita' sostanziale per quanto in particolare
 concerne  la  modifica  del  comma  3  dell'art.  21 legge-Merli come
 novellato dal decreto-legge citato; in contrasto altresi' con  l'art.
 9  della  Costituzione  in  relazione  al secondo comma dell'articolo
 stesso in quanto la mancata applicazione della sanzione penale  nella
 fattispecie  prevista  dall'art.  3  del  decreto legge citato appare
 insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione  piu'  lata  che
 recenti  pronunce  delle  Corti  supreme  hanno dato alla nozione del
 paesaggio; infine la norma in questione appare in  contrasto  altresi
 con  l'art.  10  della Costituzione che impone allo Stato Italiano di
 conformarsi  alle  norme  del  diritto  internazionale   generalmente
 riconosciute  laddove omette la sostanziale applicazione e attuazione
 delle direttive C.E.E. in  materia  di  inquinamento  ambientale;  la
 questione  ad  avviso  del  p.m.  appare fondata e non manifestamente
 irrilevante ai sensi di legge".
    2) Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e'  fondata  e  si
 ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente
 infondata,  per  violazione  degli  artt.  3,  9,  10,  32 e 41 della
 Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3
 del d.l. 17 settembre 1994, n. 537, il quale,  nella  sua  integrale
 stesura,  prevede,  in  modifica globale del terzo comma dell'art. 21
 della legge n. 319/1976 e succ. mod. che "fatte salve le disposizioni
 penali di cui al primo ed al secondo comma, l'inosservanza dei limiti
 di accettabilita' di cui alle tabelle allegate alla  presente  legge,
 ovvero  di  quelli  stabiliti  dalle  regioni, ai sensi dell'art. 14,
 secondo comma, nei rispettivi limiti e modi di  applicazione,  ovvero
 di  quelli  specifici  eventualmente  prescritti  in sede di rilascio
 dell'autorizzazione o di modifica della stessa, ove  non  costituisca
 reato o circostanza aggravante di altro reato connesso, e' punita con
 la  sola  sanzione amministrativa pecuniaria da lire 3 milioni e lire
 30 milioni, salvo diversa  disposizione  della  legge  regionale.  In
 deroga a quanto previsto dal terzo comma, per gli scarichi diversi da
 quelli   provenienti   da   insediamenti  abitativi  o  adibiti  allo
 svolgimento   di   attivita'   alberghiera,   turistica,    sportiva,
 ricreativa, scolastica e sanitaria, in caso di superamento, in misura
 superiore  al  20  per  cento,  dei limiti di accettabilita' previsti
 dalle tabelle allegate alla presente legge,  o  di  quelli  stabiliti
 dalla  regione,  ai  sensi dell'art. 14, secondo comma, si applica la
 pena dell'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni.  Si  applica
 la  pena dell'ammenda da lire 20 milioni a lire 200 milioni o la pena
 dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati  i  limiti
 di  accettabilita'  inderogabili  per  i parametri di natura tossica,
 persistente e bioaccumulabile, di cui al n. 4)  del  documento  unito
 alla   delibera  30  dicembre  1980  del  Comitato  Interministeriale
 previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella  Gazzetta
 Ufficiale  n.  9  del 10 gennaio 1981, e di cui all'elenco allegato 1
 della delibera medesima".
    3) Circa i presupposti di diritto in  ordine  alla  non  manifesta
 infondatezza si rileva quanto segue.
    3  a) Va premesso che la legge 10 maggio 1976, n. 319, e succesive
 modifiche (cosiddetta "legge-Merli")  costituisce  la  norma-base  in
 materia  di  tutela  del  territorio  e delle acque dall'inquinamento
 idrico, e nel suo  contesto  sanzionatorio  il  reato  piu'  grave  e
 significativo  in  senso  assoluto e' stato sempre considerato quello
 previsto dal terzo comma dell'art. 21 posto che punisce  la  condotta
 sostanziale,  immediatamente  incidente  sull'ambiente  naturale,  di
 coloro che "inquinano" materialmente  nel  senso  logico-previsionale
 della  legge  stessa  e  cioe'  superando  nello  scarico i limiti di
 accettabilita' previsti dalla legge  stessa  come  parametri  massimi
 formalmente tollerabili per ciascuna sostanza riversata su quello che
 viene  definito  il  corpo  ricettore (e che in realta' e' in massima
 parte il patrimonio  idrico  e  poi  anche  territoriale  del  nostro
 Paese).  Accanto  ad altri reati satellite, si evidenzia altro reato,
 per cosi' dire preventivo e burocratico, previsto dal primo e secondo
 comma del citato art. 21 che punisce chi opera uno scarico senza aver
 ottenuto l'autorizzazione amministrativa allo stesso.
    3 b) Di conseguenza, il reato di cui al terzo comma citato riporta
 la pena piu' grave (arresto da  due  mesi  due  anni  oltre  la  pena
 accessoria   dell'incapacita'   di   contrattare   con   la  pubblica
 amministrazione), mentre nel caso  dei  reati  previsti  dagli  altri
 commi  o  dagli  altri articoli si prevedono pene piu' lievi, laddove
 peraltro la pena detentiva e' alternativa a  quella  pecuniaria  (con
 possibilita' di oblazione).
    3  c)  L'art.  3  del  decreto-legge in esame, come e' stato sopra
 riportato, depenalizza in linea generale il terzo comma dell'art.  21
 e  relega  in  una  ipotesi  secondaria un residuo di sanzione penale
 applicabile a casi specifici e limitati, selettivamente individuati.
    3 d) Riguardo a quest'ultimo punto, si osserva che:
      la norma portante e di base diventa l'ipotesi depenalizzata, che
 trova applicazione nel  grande  contesto  generale  della  disciplina
 degli  scarichi;  e  con  cio'  si  e' operata di fatto una diffusa e
 latente depenalizzazione del reato del terzo comma art. 21; l'ipotesi
 residua penale e' espressamente indicata  come  semplice  "deroga"  a
 questa  regolamentazione  di  base  ed  e'  ristretta  ad alcuni casi
 specifici limitati;
      detta residua sanzione penale e',  peraltro,  estremamente  piu'
 modesta   rispetto  alla  sanzione  originaria  del  terzo  comma  in
 questione giacche' prevede in un caso la sola  ammenda  ed  in  altro
 caso la pena dell'arresto alternativa con l'ammenda e dunque entrambi
 i  casi sono soggetti all'oblazione; peraltro nel primo caso trattasi
 di oblazione "semplice"  prevista  dall'art.  162  del  c.p.  con  la
 conseguente  impossibilita'  del giudice di negare l'oblazione stessa
 quando  "permangano  conseguenze  pericolose  o  dannose  del   reato
 eliminabili da parte del contravventore" (art. 162/ bis del c.p.); e,
 di fatto, il sistema sanzionatorio si traduce in una depenalizzazione
 potenziale  indiretta,  ben  diversa  dalla previsione originaria del
 terzo comma come sopra espressa;
      detta residua ipotesi di carattere penale appare poi scarsamente
 adattabile ai casi concreti in quanto  la  verifica  del  superamento
 della soglia del 20 per cento non e' immediatamente percepibile dagli
 organi di p.g. in loco in sede di accertamento dell'illecito e dunque
 un  organo di p.g. non sa e non puo' sapere in quel momento se agisce
 come organo di polizia giudiziaria che accerta un reato (con tutti  i
 poteri/doveri  conferitigli  dal  codice  di procedura penale) o come
 organo amministrativo che verifica un  illecito  amministrativo  (con
 schemi  operativi  del  tutto  diversi); ne' e' data possibile questa
 verifica  in  quei  casi  di  inquinamento  oggettivo  ai  quali   la
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione ricollega un superamento
 automatico generale, anche se non quantificato, dei limiti  tabellari
 in  seguito  a  riversamento  nel  corpo  ricettore di alcuni tipi di
 scarico  (es.  allevamenti)  senza  alcuna  forma  di  depurazione  e
 trattamento  (come  nel  caso  di  specie  ove il capo di imputazione
 prescinde  dalle  analisi  e  si  basa   su   riscontro   di   comune
 scienza/esperienza  per scarico senza trattamento, rendendo quindi di
 fatto impossibile il calcolo del superamento del 20 per cento su  una
 analisi inesistente);
      detta  residua ipotesi di carattere penale rende impossibile per
 l'organo di p.g., per le medesime ragioni, l'immediata percezione  in
 loco   in   sede   di   accertamento  dei  limiti  di  accettabilita'
 inderogabili  per  i  parametri  di  natura  tossica,  persistente  e
 bioaccumulabile,  di  cui all'ultima parte dell'art. 3 del decreto in
 esame cosicche' anche in tal caso un organo di p.g. non sa e non puo'
 sapere in quel momento se agisce come organo di  polizia  giudiziaria
 che  accerta  un  reato  (con  tutti i poteri/doveri conferitigli dal
 codice di procedura penale) o come organo amministrativo che verifica
 un illecito amministrativo (con schemi operativi del tutto diversi);
      la sinergia di dette previsioni amministrative/penali con labili
 ed incerti confini di immediata definizione e percezione in  sede  di
 accertamento  di  p.g. crea di fatto una incertezza operativa per gli
 organi di polizia giudiziaria che rischia di tradursi in una generale
 casistica di accertamenti mancati e/o inesatti per inevitabili errori
 ed incertezze interpretative e difficolta' attuative.
    4) Nel cosi' rinnovato e novellato testo generale della  legge  n.
 319/1976,   consegue   peraltro   che   colui  che  viola  il  regime
 autorizzatorio (e quindi pone in essere  una  condotta  illecita  ben
 piu'  modesta  in  via sostanziale rispetto a chi scarica inquinando)
 vede intatta la norma  punitiva  originaria  che  prevede,  in  linea
 teorica,  anche  l'arresto  che  addirittura puo' giungere fino a due
 anni; mentre chi riversa nell'ambiente naturale  sostanze  inquinanti
 in  violazione  di  legge  sara'  soggetto, in linea generale, ad una
 semplice sanzione  amministrativa  (o,  nel  caso  piu'  teorico  che
 pratico - a prova remota - della deroga residua penale sara' soggetto
 ad  una  blanda sanzione penale immediatamente oblazionabile e quindi
 di fatto potenzialmente ed indirettamente decriminalizzata); in detta
 situazione si puo' individuare, ad avviso  dello  scrivente  pretore,
 come  ha  giustamente  rilevato  il  p.m.  di udienza, una violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione  in  quanto  si   e'   creata   una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra i cittadini soggetti
 alle sanzioni del primo/secondo e terzo comma art. 21 della legge  n.
 319/1976.
    Nel   contesto  del  citato  principio  di  uguaglianza  la  Corte
 costituzionale (sentenza n. 7/1963) ha stabilito che appare legittimo
 per il legislatore emanare norme differenziate riguardo a  situazioni
 obiettivamente  diverse  solo  a condizione che tali norme rispondano
 all'esigenza  che  la  disparita'  di  trattamento  sia  fondata   su
 presupposti  logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino
 l'adozione. ln  caso  di  trattamento  sanzionatorio  irrazionalmente
 differenziato   la   Corte   costituzionale   ha   sempre  dichiarato
 l'incostituzionalita'  delle  disposizioni   relativa   (da   ultimo,
 sentenza  n.  341/1994  in materia di oltraggio con ridimensionamento
 della pena minima edittale).
    5)  Il sistema sanzionatorio dell'art. 21 della legge n. 319/1976,
 cosi come modificato dall'art. 3 del decreto legge in esame, di fatto
 e in ogni caso crea un profondo ed oggettivo svuotamento deterrente e
 punitivo in  ordine  a  quello  che  puo'  essere  definito  non  uno
 qualsiasi dei reati in materia ambientale ma senz'altro il piu' grave
 o  comunque uno tra i piu' gravi reati in assoluto in questo settore,
 e  cioe'  l'inquinamento  in  senso  stretto  del  patrimonio  idrico
 nazionale  e  del  territorio  in  linea generale. Va sottolineato al
 riguardo che, nonostante  il  titolo  del  decreto  ("Modifiche  alla
 disciplina   degli   scarichi   delle  pubbliche  fognature  e  degli
 insediamenti civili che non recapitano in  pubbliche  fognature")  in
 realta'  la  modifica del terzo comma dell'art. 21 in questione va ad
 incidere in via diretta e totale sulla regolamentazione sanzionatoria
 anche degli scarichi  da  insediamenti  produttivi,  ivi  compresi  i
 grandi   complessi   industriali.  Dunque  anche  i  grandi  casi  di
 inquinamento  chimico  di  origine  industriale  rientrano  in  detta
 modifica.  ll  ridurre  le  relative  sanzioni,  che  possono  dunque
 riguardare  anche  casi  socialmente  gravissimi  sotto  il   profilo
 biologico/ambientale, ad una sanzione amministrativa o, tutt'al piu',
 ad  una  improbabile e difficilmente raggiungibile sanzione penale di
 minima e trascurabile ed oblazionabile entita',  significa  di  fatto
 aver  creato uno svuotamento improvviso ed ingiustificato del sistema
 sanzionatorio  originario  che  era,   invece,   chiaro,   facilmente
 interpretabile,  facilmente  attuabile  e  soprattutto  riportava  un
 effetto deterrente e punitivo di ben altra portata.
    6) Va peraltro osservato che sul modificato terzo comma  dell'art.
 21 della legge n. 319/1976 si e' innestata una fiorente ed articolata
 giurisprudenza  della  Corte  di cassazione che ha costruito principi
 inediti ed importanti ruotando intorno a detto sistema sanzionatorio;
 si pensi alle innovative sentenze sulla natura dei prelievi operabili
 anche da organi di p.g.,  alle  problematiche  sulle  garanzie  della
 difesa  in  sede  di  accertamento, alle nuove possibilita' operative
 offerte alla p.g. in diverse sedi di accertamento nel  settore,  alla
 individuazione   di   concetti-base   come   quello  di  insediamento
 produttivo e  civile  ed  alle  innumerevoli  problematiche  connesse
 risolte  in  sede  di  indagine  e  processuale, alle decisioni sulle
 competenze istituzionali, alla individuazione dei punti di scarico ed
 alle metodiche di prelievo e si potrebbe a lungo continuare; trattasi
 di una  stratificazione,  omogenea  e  per  nulla  disarticolata,  di
 giurisprudenza  che  negli  ultimi  anni  ha creato un vera e propria
 prassi interpretativa/applicativa di  supporto  e  integrazione  alla
 legge  n. 319/1976 che ha costituito fino ad oggi l'ossatura portante
 delle indagini di p.g. e dei  processi  in  materia;  il  decreto  in
 esame,  intaccando  alla radice il sistema sanzionatorio si cui si e'
 basato l'intervento della suprema Corte, ha azzerato di fatto  questa
 preziosa  costruzione giurisprudenziale che appare in larga parte non
 piu' pertinente.
    7) In detto  svuotamento  sanzionatorio  di  uno  dei  reati  piu'
 importanti  in  materia  di  tutela  ambientale  (forse il reato piu'
 importante in assoluto in materia  di  inquinamenti)  si  profila  ad
 avviso  dello  scrivente pretore, in sintonia con il p.m. di udienza,
 una  violazione  del  disposto  dell'art.  9,  secondo  comma   della
 Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu'
 recenti   pronunce   della   Corte   di   cassazione  e  della  Corte
 costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da
 cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo
 anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici.
    ll  decreto-legge  prevede come sostanze pericolose esclusivamente
 quelle  contenute  nella  delibera   del   30   dicembre   1980,   ma
 successivamente  a  tale  data  le  tabelle  allegate  alla  legge n.
 319/1976  sono  state  modificate  inserendo  anche  altre   sostanze
 notevolmente  pericolose  come  i  policlorobifenili  ed  i pesticidi
 differenti da quelli clorurati e fosforati; nel momento in cui invece
 si fa riferimento esclusivamente a quelle  contenute  nella  delibera
 vengono  fatte  salve  queste  sostanze  che,  pur se pericolose, non
 vengono ad essere  considerate  tra  quelle  soggette  alle  sanzioni
 previste per le altre sostanze pericolose (ad es. atrazina).
    Inoltre  si deve evidenziare come la legge n. 319/1976 non prevede
 che non vengano scaricate esclusivamente le sostanze contenute  nella
 tabella   A,  ma  prevede  anche  che  non  vengano  scaricate  senza
 autorizzazione tutte le sostanze  possibili  tossiche  e  nocive  che
 possono  essere  presenti  in  uno  scarico,  talche' quando pretende
 l'autorizzazione all'art. 13 prevede che si  chieda  l'autorizzazione
 anche per tutte le sostanze inquinanti rendendo appunto necessaria la
 dichiarazione  delle  caratteristiche  qualitative e quantitive dello
 scarico ma non limitatamente a quelle previste dalle tabelle.
    Questo precetto comporta che se un soggetto  scarica  nella  acque
 uno  sostanza  tipo  la  diossina,  non  essendo  la  diossina stessa
 prevista tra i limiti tabellari l'autorita' competente  che  rilascia
 l'autorizzazione potra' e dovra' certamente prescrivere un limite per
 la  diossina;  nel  momento in cui, pero', viene ad essere prescritto
 questo  limite,  non  essendo  la  diossina  annoverata  dai   limiti
 tabellari  con l'attuale dizione presente nel decreto-legge in esame,
 abbiamo che pur in presenza di detto scarico che riguarda  una  delle
 sostanze  piu' tossiche, non e' applicabile la stessa sanzione che e'
 irrogabile ad esempio per  il  mercurio;  e  quanto  esposto  per  la
 diossina  vale  per  molte  altre  sostanze  tossiche come ad esempio
 l'argento.
    Va inoltre tenuto presente  che  le  sostanze  tossiche  contenute
 nella  delibera  del  31 dicembre 1980, cosiddette inderogabili, sono
 solo una piccolissima parte di quelle che invece sono da  considerare
 tossiche  e nocive, perche' solo una piccola parte di queste sostanze
 possono essere ricondotte alle 129 sostanze previste dalla  direttiva
 C.E.E.  madre  per  quanto riguarda l'inquinamento e quindi andare ad
 applicare delle sanzioni  penali  esclusivamente  a  queste  sostanze
 pericolose  e'  del  tutto  limitativo e non rispetta quanto previsto
 dalla direttiva C.E.E.
    8) Per gli stessi motivi esposti in  relazione  all'art.  9  della
 Costituzione,  si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto
 anche con l'art. 32 della carta costituzionale. Infatti nel  concetto
 di  tutela  della  salute come principio costituzionalmente garantito
 deve, per forza di cose, ricomprendersi piu' vasto concetto della sa-
 lute pubblica nel senso della salubrita'  dell'ambiente  naturale  ed
 urbano  ove  ciascun  cittadino  vive.  ll diritto alla salute inteso
 anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai  ripetutamente
 accertato  in  giurisprudenza  (si  veda per tutte la famosa sentenza
 delle sezioni unite n. 517 del  6  ottobre  1979,  nonche'  la  Corte
 costituzionale  in  data  31 dicembre 1987 n. 641 ed in data 16 marzo
 1990, n. 17). E' fuor dubbio che la  diminuita,  ed  anzi  per  certi
 versi  di  fatto  del  tutto  caducata,  possibilita'  di  intervento
 deterrente/punitivo in sede di illeciti da inquinamento idrico crea i
 presupposti  per   una   evoluzione   incontrollata   del   fenomeno,
 incoraggiata  dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di
 p.g. e possibilita' di intervento  processuale;  e  tutto  questo  si
 traduce  in  via  diretta  in  un  danno  per  la salute e salubrita'
 pubblica  in  un   ambiente   che   resta   cosi'   maggiormente   ed
 incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
    9)  Va  ancora rilevato che la norma in esame pare porsi in totale
 contrasto  con  gli  obblighi  che  derivano  al  nostro  Paese   per
 l'appartenenza all'Unione europea. Gia' due volte la Corte europea di
 giustizia  ha  condannato  il  nostro  Paese  per il contrasto tra la
 "legge-Merli" e le direttive comunitarie, tra l'altro  anche  per  la
 permissivita'   del   sistema   autorizzatorio   previsto  e  per  la
 "insufficienza"  delle  sanzioni  penali  previste  dall'art.  22  in
 relazione  alla  inosservanza  della prescrizione dell'autorizzazione
 (Corte di giustizia 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990 -  pubblicate
 integralmente  in "Amendola - Inquinamento e Industria" - Milano 1992
 -  pag.  69  e  segg.).  La  sopra   esposta   generale   regressione
 sanzionatoria  creata  dal  decreto-legge  in  esame  concretizza  di
 conseguenza  una  ulteriore  evoluzione  del  grado  di  inadempienza
 italiana  verso  le  direttive C.E.E. e verso le sentenze della Corte
 europea.
    Peraltro il  decreto  stesso,  eliminando  limiti  certi  per  gli
 scarichi  da pubbliche fognature si pone in evidente contrasto con la
 direttiva C.E.E. n. 271 del 21  maggio  1991  sul  trattamento  delle
 acque  reflue  urbane,  che  lo  Stato  italiano  avrebbe dovuto gia'
 recepire entro lo scorso giugno 1993 e che fissa  obblighi  e  limiti
 ben  precisi, con ben pochi margini di discrezionalita' specie per le
 "aree sensibili". E del resto il contrasto e'  apparso  evidentemente
 gia'  in sede di redazione del testo in esame se il decreto specifica
 espressamente nell'art. 1, comma  terzo,  che  "le  disposizioni  del
 presente   decreto  si  applicano  in  attesa  dell'attuazione  della
 direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991". Dunque da un lato  l'Italia
 non   ha  recepito  la  direttiva  C.E.E.  nei  termini  stabiliti  e
 dall'altro ha adottato un decreto-legge in antitesi ai principi della
 direttiva stessa, con una mora temporale applicativa illogica. Ove il
 decreto 537 dovesse essere convertito in legge, le  sue  prescrizioni
 si  applicheranno  dunque  finche'  non si sara' data attuazione alla
 citata direttiva; evoluzione che dovrebbe avvenire, secondo la  legge
 comunitaria  1993  n. 146 del 22 febbraio 1994, entro il marzo 1995 e
 cioe' entro pochissimi mesi; e,  peraltro,  con  rigidi  principi  di
 attuazione  predeterminati  dal Parlamento (art.  37, primo comma) in
 evidente contrasto con la elasticita' e genericita'  del  decreto  in
 esame.  ll  che  provochera'  ulteriore  confusione ed incertezza del
 diritto.
    Ed in ogni caso va  sottolineato  che,  secondo  la  citata  legge
 comunitaria,  il  Governo dovrebbe dare attuazione a questa direttiva
 provvedendo all'"adeguamento della normativa vigente alla  disciplina
 comunitaria,  apportando  alla  prima  ogni  necessaria  modifica  ed
 integrazione allo scopo di definire un quadro  omogeneo  ed  organico
 della disposizioni di settore" (art. 36, lett. c).
    Dato  il  carattere  regressivo  in sede sanzionatoria del decreto
 537, ritiene lo scrivente che si appalesa un contrasto con l'art.  10
 della  Costituzione  per  mancata conformazione alle citate norme del
 diritto internazionale.
    10) Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in esame si
 pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga",  oggi
 chiaramente   presupposta   da   diverse  decisioni  della  Corte  di
 cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. Ill, 2  febbraio  1994,  n.
 2525  e  Cass.  pen.  sez.  Ill,  6  aprile  1993, n. 3148). La norma
 denunciata infatti favorisce apertamente chi ha violato  la  legge  e
 penalizza,  invece,  anche  sul  piano della concorrenza tra imprese,
 proprio le aziende che hanno affrontato  rilevanti  investimenti  per
 adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio'
 appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della
 Costituzione.
    11)  Da  quanto  sopra  esposto,  emerge che in applicazione della
 norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a
 verifica in ordine al capo  B  di  imputazione  per  appurare  se  la
 violazione  dei  limiti  tabellari  supera  o  meno  il  20 per cento
 stabilito dal  decreto-legge  537.  ln  caso  positivo,  si  dovrebbe
 procedere,   premesso   l'eventuale   riconoscimento   della   penale
 responsabilita' soggettiva per gli  imputati,  ad  applicare  a  loro
 carico  la  pena dell'ammenda; in caso negativo si dovrebbe procedere
 ad applicare la depenalizzazione del fatto-reato. ln detta situazione
 di incertezza allo  stato  attuale  del  dibattimento,  peraltro,  si
 ritengono  lese  le  garanzie  della  difesa perche' gli imputati non
 possono oggettivamente sapere se l'esito istruttorio portera' all'una
 o all'altra evoluzione e dunque non possono procedere in apertura del
 dibattimento  alla  eventuale   oblazione   nel   caso   di   postumo
 accertamento  del  superamento  del  20  per  cento  (con conseguente
 applicabilita' della sanzione penale dell'ammenda nella  fase  finale
 del   giudizio).   Peraltro  l'indagine  in  questione  e'  di  fatto
 impossibile nel contesto dibattimentale in esame perche' il  capo  di
 imputazione  ed  il  conseguente  giudizio  non si basano su esami di
 laboratorio dopo prelievi ma il quadro probatorio e' rappresentato da
 testimonianze e reperti fotografici che  dovrebbero  documentare  uno
 stato  di oggettivo seppur non numericamente quantificato superamento
 dei limiti tabellari sulla  scorta  dell'orientamento  della  suprema
 Corte  che  ha sancito che e' nozione di comune esperienza, come tale
 non bisognevole di conferma dei risultati di analisi, che  i  rifiuti
 liquidi  e  solidi,  non  sottoposti ad alcuna depurazione, di alcuni
 tipi di insediamenti produttivi (e tra questi gli  allevamenti,  come
 nel  caso  di  specie)  superano  largamente i limiti tabellari della
 legge n. 319/1976 ed in tali casi  non  sono  necessari  prelievi  ed
 analisi  per  giungere alla prova del reato (tra le tante, Cass. pen.
 sez. Ill - Imp. Mezzetti - Rel. Postiglione e Cass. pen. sez. Ill  16
 aprile 1988, n. 4727).
    Qualora,  invece, la questione di costituzionalita' dovesse essere
 accolta,  si  dovrebbe  procedere  a  dibattimento   secondo   prassi
 ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del
 terzo  comma  dell'art.  21  della  legge  n. 319/1976 sulla base dei
 principi  enunciati  dalla  Cassazione  in  materia   e   conseguente
 articolazione  del  dibattimento  secondo  i  canoni  di certezza del
 diritto fino ad oggi seguiti in materia.
    12)  Dalle  considerazioni  esposte  si  desume  che  il  presente
 giudizio non puo' essere definito, allo stato e  vigente  i  principi
 del  decreto-legge  n.  537/1994 in esame, in modo indipendente dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli  artt.  3,  9,  10, 32 e 41 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3 -  integrale  formulazione  -
 del  decreto-legge  17  settembre  1994, n. 537, il quale prevede, in
 modifica globale del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976
 e successive modifiche che "fatte salve le disposizioni penali di cui
 al  primo  ed  al  secondo  comma,  l'inosservanza  dei   limiti   di
 accettabilita'  di  cui  alle  tabelle  allegate alla presente legge,
 ovvero di quelli stabiliti dalle  regioni,  ai  sensi  dell'art.  14,
 secondo  comma,  nei rispettivi limiti e modi di applicazione, ovvero
 di quelli specifici eventualmente  prescritti  in  sede  di  rilascio
 dell'autorizzazione  o  di modifica della stessa, ove non costituisca
 reato o circostanza aggravante di altro reato connesso, e' punita con
 la sola sanzione amministrativa pecuniaria da lire 3 milioni  e  lire
 30  milioni,  salvo  diversa  disposizione  della legge regionale. In
 deroga a quanto previsto dal terzo comma, per gli scarichi diversi da
 quelli  provenienti  da  insediamenti  abitativi   o   adibiti   allo
 svolgimento    di   attivita'   alberghiera,   turistica,   sportiva,
 ricreativa, scolastica e sanitaria, in caso di superamento, in misura
 superiore al 20 per cento,  dei  limiti  di  accettabilita'  previsti
 dalle  tabelle  allegate  alla  presente legge, o di quelli stabiliti
 dalla regione, ai sensi dell'art. 14, secondo comma,  si  applica  la
 pena  dell'ammenda  da lire 10 milioni a lire 100 milioni. Si applica
 la pena dell'ammenda da lire 20 milioni a lire 200 milioni o la  pena
 dell'arresto  da  due mesi a due anni qualora siano superati i limiti
 di accettabilita' inderogabili per i  parametri  di  natura  tossica,
 persistente  e  bioaccumulabile,  di cui al n. 4) del documento unito
 alla  delibera  30  dicembre  1980  del  Comitato   Interministeriale
 previsto  dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di cui  all'elenco  allegato  1
 della delibera medesima".
    Sospende il giudizio in corso.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale.
    Ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
 notificata  agli  imputati,  ai loro difensori, al pubblico ministero
 nonche' al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata  al
 Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
      Terni, addi' 27 settembre 1994
                         Il pretore: SANTOLOCI

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