N. 677 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1994
N. 677 Ordinanza emessa il 27 settembre 1994 dal pretore di Terni nel procedimento penale a carico di Giulivi Fabio ed altro Inquinamento - Scarichi provenienti da insediamenti produttivi (nella specie: allevamento bestiame senza impianto di depurazione) - Inosservanza dei limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle della legge n. 316/1976 (legge Merli) e superamento dei limiti di accettabilita' inderogabili per parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile - lamentata depenalizzazione della prima ipotesi (gia' reato piu' grave tra quelli previsti dalla legge citata) e riduzione della pena per la seconda - Irragiovevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita' - Mancata tutela del paesaggio e della salute - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale, in particolare, con le norme CEE (direttiva n. 271/1991) - Penalizzazione dell'iniziativa economica privata, in specie: aziende che abbiano fatto investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale. (D.L. 17 settembre 1994, n. 537, art. 3). (Cost., artt. 3, 9, 10, 32 e 41).(GU n.47 del 16-11-1994 )
IL PRETORE 1) Il pretore di Terni, dott. Maurizio Santoloci, nel procedimento penale a carico di Giulivi Fabio e Franceschini Maurizio, imputati tra l'altro dei reati di cui agli artt. 21 primo comma, e 21 terzo comma, della legge n. 319/76, osserva che il p.m. di udienza dott. Francesco Scavo ha richiesto pronuncia di questo pretore in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 17 settembre 1994 n. 537, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, argomentando che detto articolo "( ..) che modifica il terzo comma dell'art. 21 della legge-Merli ( ..) prevede una manifesta disparita' di trattamento tra coloro che scaricando non osservano i limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle, per la cui fattispecie la sanzione comminata dal legislatore e' penale soltanto laddove lo scarico supera di oltre il 20% i limiti di accettabilita' delle tabelle stesse, rispetto a coloro che ai sensi del primo comma dell'art. 21 legge-Merli scaricano in difetto di prescritta autorizzazione, fattispecie per la quale il legislatore ha previsto l'obbligatorieta' della sanzione penale. A parere del p.m. la norma citata si pone in contrasto con gli artt. 3 e con l'art. 9 della Costituzione per manifesta disparita' di trattamento sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe ed anzi di maggiore gravita' sostanziale per quanto in particolare concerne la modifica del comma 3 dell'art. 21 legge-Merli come novellato dal decreto-legge citato; in contrasto altresi' con l'art. 9 della Costituzione in relazione al secondo comma dell'articolo stesso in quanto la mancata applicazione della sanzione penale nella fattispecie prevista dall'art. 3 del decreto legge citato appare insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione piu' lata che recenti pronunce delle Corti supreme hanno dato alla nozione del paesaggio; infine la norma in questione appare in contrasto altresi con l'art. 10 della Costituzione che impone allo Stato Italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute laddove omette la sostanziale applicazione e attuazione delle direttive C.E.E. in materia di inquinamento ambientale; la questione ad avviso del p.m. appare fondata e non manifestamente irrilevante ai sensi di legge". 2) Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e' fondata e si ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.l. 17 settembre 1994, n. 537, il quale, nella sua integrale stesura, prevede, in modifica globale del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 e succ. mod. che "fatte salve le disposizioni penali di cui al primo ed al secondo comma, l'inosservanza dei limiti di accettabilita' di cui alle tabelle allegate alla presente legge, ovvero di quelli stabiliti dalle regioni, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, nei rispettivi limiti e modi di applicazione, ovvero di quelli specifici eventualmente prescritti in sede di rilascio dell'autorizzazione o di modifica della stessa, ove non costituisca reato o circostanza aggravante di altro reato connesso, e' punita con la sola sanzione amministrativa pecuniaria da lire 3 milioni e lire 30 milioni, salvo diversa disposizione della legge regionale. In deroga a quanto previsto dal terzo comma, per gli scarichi diversi da quelli provenienti da insediamenti abitativi o adibiti allo svolgimento di attivita' alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica e sanitaria, in caso di superamento, in misura superiore al 20 per cento, dei limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle allegate alla presente legge, o di quelli stabiliti dalla regione, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, si applica la pena dell'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni. Si applica la pena dell'ammenda da lire 20 milioni a lire 200 milioni o la pena dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile, di cui al n. 4) del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del Comitato Interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di cui all'elenco allegato 1 della delibera medesima". 3) Circa i presupposti di diritto in ordine alla non manifesta infondatezza si rileva quanto segue. 3 a) Va premesso che la legge 10 maggio 1976, n. 319, e succesive modifiche (cosiddetta "legge-Merli") costituisce la norma-base in materia di tutela del territorio e delle acque dall'inquinamento idrico, e nel suo contesto sanzionatorio il reato piu' grave e significativo in senso assoluto e' stato sempre considerato quello previsto dal terzo comma dell'art. 21 posto che punisce la condotta sostanziale, immediatamente incidente sull'ambiente naturale, di coloro che "inquinano" materialmente nel senso logico-previsionale della legge stessa e cioe' superando nello scarico i limiti di accettabilita' previsti dalla legge stessa come parametri massimi formalmente tollerabili per ciascuna sostanza riversata su quello che viene definito il corpo ricettore (e che in realta' e' in massima parte il patrimonio idrico e poi anche territoriale del nostro Paese). Accanto ad altri reati satellite, si evidenzia altro reato, per cosi' dire preventivo e burocratico, previsto dal primo e secondo comma del citato art. 21 che punisce chi opera uno scarico senza aver ottenuto l'autorizzazione amministrativa allo stesso. 3 b) Di conseguenza, il reato di cui al terzo comma citato riporta la pena piu' grave (arresto da due mesi due anni oltre la pena accessoria dell'incapacita' di contrattare con la pubblica amministrazione), mentre nel caso dei reati previsti dagli altri commi o dagli altri articoli si prevedono pene piu' lievi, laddove peraltro la pena detentiva e' alternativa a quella pecuniaria (con possibilita' di oblazione). 3 c) L'art. 3 del decreto-legge in esame, come e' stato sopra riportato, depenalizza in linea generale il terzo comma dell'art. 21 e relega in una ipotesi secondaria un residuo di sanzione penale applicabile a casi specifici e limitati, selettivamente individuati. 3 d) Riguardo a quest'ultimo punto, si osserva che: la norma portante e di base diventa l'ipotesi depenalizzata, che trova applicazione nel grande contesto generale della disciplina degli scarichi; e con cio' si e' operata di fatto una diffusa e latente depenalizzazione del reato del terzo comma art. 21; l'ipotesi residua penale e' espressamente indicata come semplice "deroga" a questa regolamentazione di base ed e' ristretta ad alcuni casi specifici limitati; detta residua sanzione penale e', peraltro, estremamente piu' modesta rispetto alla sanzione originaria del terzo comma in questione giacche' prevede in un caso la sola ammenda ed in altro caso la pena dell'arresto alternativa con l'ammenda e dunque entrambi i casi sono soggetti all'oblazione; peraltro nel primo caso trattasi di oblazione "semplice" prevista dall'art. 162 del c.p. con la conseguente impossibilita' del giudice di negare l'oblazione stessa quando "permangano conseguenze pericolose o dannose del reato eliminabili da parte del contravventore" (art. 162/ bis del c.p.); e, di fatto, il sistema sanzionatorio si traduce in una depenalizzazione potenziale indiretta, ben diversa dalla previsione originaria del terzo comma come sopra espressa; detta residua ipotesi di carattere penale appare poi scarsamente adattabile ai casi concreti in quanto la verifica del superamento della soglia del 20 per cento non e' immediatamente percepibile dagli organi di p.g. in loco in sede di accertamento dell'illecito e dunque un organo di p.g. non sa e non puo' sapere in quel momento se agisce come organo di polizia giudiziaria che accerta un reato (con tutti i poteri/doveri conferitigli dal codice di procedura penale) o come organo amministrativo che verifica un illecito amministrativo (con schemi operativi del tutto diversi); ne' e' data possibile questa verifica in quei casi di inquinamento oggettivo ai quali la giurisprudenza della Corte di cassazione ricollega un superamento automatico generale, anche se non quantificato, dei limiti tabellari in seguito a riversamento nel corpo ricettore di alcuni tipi di scarico (es. allevamenti) senza alcuna forma di depurazione e trattamento (come nel caso di specie ove il capo di imputazione prescinde dalle analisi e si basa su riscontro di comune scienza/esperienza per scarico senza trattamento, rendendo quindi di fatto impossibile il calcolo del superamento del 20 per cento su una analisi inesistente); detta residua ipotesi di carattere penale rende impossibile per l'organo di p.g., per le medesime ragioni, l'immediata percezione in loco in sede di accertamento dei limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile, di cui all'ultima parte dell'art. 3 del decreto in esame cosicche' anche in tal caso un organo di p.g. non sa e non puo' sapere in quel momento se agisce come organo di polizia giudiziaria che accerta un reato (con tutti i poteri/doveri conferitigli dal codice di procedura penale) o come organo amministrativo che verifica un illecito amministrativo (con schemi operativi del tutto diversi); la sinergia di dette previsioni amministrative/penali con labili ed incerti confini di immediata definizione e percezione in sede di accertamento di p.g. crea di fatto una incertezza operativa per gli organi di polizia giudiziaria che rischia di tradursi in una generale casistica di accertamenti mancati e/o inesatti per inevitabili errori ed incertezze interpretative e difficolta' attuative. 4) Nel cosi' rinnovato e novellato testo generale della legge n. 319/1976, consegue peraltro che colui che viola il regime autorizzatorio (e quindi pone in essere una condotta illecita ben piu' modesta in via sostanziale rispetto a chi scarica inquinando) vede intatta la norma punitiva originaria che prevede, in linea teorica, anche l'arresto che addirittura puo' giungere fino a due anni; mentre chi riversa nell'ambiente naturale sostanze inquinanti in violazione di legge sara' soggetto, in linea generale, ad una semplice sanzione amministrativa (o, nel caso piu' teorico che pratico - a prova remota - della deroga residua penale sara' soggetto ad una blanda sanzione penale immediatamente oblazionabile e quindi di fatto potenzialmente ed indirettamente decriminalizzata); in detta situazione si puo' individuare, ad avviso dello scrivente pretore, come ha giustamente rilevato il p.m. di udienza, una violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto si e' creata una ingiustificata disparita' di trattamento tra i cittadini soggetti alle sanzioni del primo/secondo e terzo comma art. 21 della legge n. 319/1976. Nel contesto del citato principio di uguaglianza la Corte costituzionale (sentenza n. 7/1963) ha stabilito che appare legittimo per il legislatore emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo a condizione che tali norme rispondano all'esigenza che la disparita' di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione. ln caso di trattamento sanzionatorio irrazionalmente differenziato la Corte costituzionale ha sempre dichiarato l'incostituzionalita' delle disposizioni relativa (da ultimo, sentenza n. 341/1994 in materia di oltraggio con ridimensionamento della pena minima edittale). 5) Il sistema sanzionatorio dell'art. 21 della legge n. 319/1976, cosi come modificato dall'art. 3 del decreto legge in esame, di fatto e in ogni caso crea un profondo ed oggettivo svuotamento deterrente e punitivo in ordine a quello che puo' essere definito non uno qualsiasi dei reati in materia ambientale ma senz'altro il piu' grave o comunque uno tra i piu' gravi reati in assoluto in questo settore, e cioe' l'inquinamento in senso stretto del patrimonio idrico nazionale e del territorio in linea generale. Va sottolineato al riguardo che, nonostante il titolo del decreto ("Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature") in realta' la modifica del terzo comma dell'art. 21 in questione va ad incidere in via diretta e totale sulla regolamentazione sanzionatoria anche degli scarichi da insediamenti produttivi, ivi compresi i grandi complessi industriali. Dunque anche i grandi casi di inquinamento chimico di origine industriale rientrano in detta modifica. ll ridurre le relative sanzioni, che possono dunque riguardare anche casi socialmente gravissimi sotto il profilo biologico/ambientale, ad una sanzione amministrativa o, tutt'al piu', ad una improbabile e difficilmente raggiungibile sanzione penale di minima e trascurabile ed oblazionabile entita', significa di fatto aver creato uno svuotamento improvviso ed ingiustificato del sistema sanzionatorio originario che era, invece, chiaro, facilmente interpretabile, facilmente attuabile e soprattutto riportava un effetto deterrente e punitivo di ben altra portata. 6) Va peraltro osservato che sul modificato terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 si e' innestata una fiorente ed articolata giurisprudenza della Corte di cassazione che ha costruito principi inediti ed importanti ruotando intorno a detto sistema sanzionatorio; si pensi alle innovative sentenze sulla natura dei prelievi operabili anche da organi di p.g., alle problematiche sulle garanzie della difesa in sede di accertamento, alle nuove possibilita' operative offerte alla p.g. in diverse sedi di accertamento nel settore, alla individuazione di concetti-base come quello di insediamento produttivo e civile ed alle innumerevoli problematiche connesse risolte in sede di indagine e processuale, alle decisioni sulle competenze istituzionali, alla individuazione dei punti di scarico ed alle metodiche di prelievo e si potrebbe a lungo continuare; trattasi di una stratificazione, omogenea e per nulla disarticolata, di giurisprudenza che negli ultimi anni ha creato un vera e propria prassi interpretativa/applicativa di supporto e integrazione alla legge n. 319/1976 che ha costituito fino ad oggi l'ossatura portante delle indagini di p.g. e dei processi in materia; il decreto in esame, intaccando alla radice il sistema sanzionatorio si cui si e' basato l'intervento della suprema Corte, ha azzerato di fatto questa preziosa costruzione giurisprudenziale che appare in larga parte non piu' pertinente. 7) In detto svuotamento sanzionatorio di uno dei reati piu' importanti in materia di tutela ambientale (forse il reato piu' importante in assoluto in materia di inquinamenti) si profila ad avviso dello scrivente pretore, in sintonia con il p.m. di udienza, una violazione del disposto dell'art. 9, secondo comma della Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici. ll decreto-legge prevede come sostanze pericolose esclusivamente quelle contenute nella delibera del 30 dicembre 1980, ma successivamente a tale data le tabelle allegate alla legge n. 319/1976 sono state modificate inserendo anche altre sostanze notevolmente pericolose come i policlorobifenili ed i pesticidi differenti da quelli clorurati e fosforati; nel momento in cui invece si fa riferimento esclusivamente a quelle contenute nella delibera vengono fatte salve queste sostanze che, pur se pericolose, non vengono ad essere considerate tra quelle soggette alle sanzioni previste per le altre sostanze pericolose (ad es. atrazina). Inoltre si deve evidenziare come la legge n. 319/1976 non prevede che non vengano scaricate esclusivamente le sostanze contenute nella tabella A, ma prevede anche che non vengano scaricate senza autorizzazione tutte le sostanze possibili tossiche e nocive che possono essere presenti in uno scarico, talche' quando pretende l'autorizzazione all'art. 13 prevede che si chieda l'autorizzazione anche per tutte le sostanze inquinanti rendendo appunto necessaria la dichiarazione delle caratteristiche qualitative e quantitive dello scarico ma non limitatamente a quelle previste dalle tabelle. Questo precetto comporta che se un soggetto scarica nella acque uno sostanza tipo la diossina, non essendo la diossina stessa prevista tra i limiti tabellari l'autorita' competente che rilascia l'autorizzazione potra' e dovra' certamente prescrivere un limite per la diossina; nel momento in cui, pero', viene ad essere prescritto questo limite, non essendo la diossina annoverata dai limiti tabellari con l'attuale dizione presente nel decreto-legge in esame, abbiamo che pur in presenza di detto scarico che riguarda una delle sostanze piu' tossiche, non e' applicabile la stessa sanzione che e' irrogabile ad esempio per il mercurio; e quanto esposto per la diossina vale per molte altre sostanze tossiche come ad esempio l'argento. Va inoltre tenuto presente che le sostanze tossiche contenute nella delibera del 31 dicembre 1980, cosiddette inderogabili, sono solo una piccolissima parte di quelle che invece sono da considerare tossiche e nocive, perche' solo una piccola parte di queste sostanze possono essere ricondotte alle 129 sostanze previste dalla direttiva C.E.E. madre per quanto riguarda l'inquinamento e quindi andare ad applicare delle sanzioni penali esclusivamente a queste sostanze pericolose e' del tutto limitativo e non rispetta quanto previsto dalla direttiva C.E.E. 8) Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto anche con l'art. 32 della carta costituzionale. Infatti nel concetto di tutela della salute come principio costituzionalmente garantito deve, per forza di cose, ricomprendersi piu' vasto concetto della sa- lute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale ed urbano ove ciascun cittadino vive. ll diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza (si veda per tutte la famosa sentenza delle sezioni unite n. 517 del 6 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionale in data 31 dicembre 1987 n. 641 ed in data 16 marzo 1990, n. 17). E' fuor dubbio che la diminuita, ed anzi per certi versi di fatto del tutto caducata, possibilita' di intervento deterrente/punitivo in sede di illeciti da inquinamento idrico crea i presupposti per una evoluzione incontrollata del fenomeno, incoraggiata dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di p.g. e possibilita' di intervento processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per la salute e salubrita' pubblica in un ambiente che resta cosi' maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante. 9) Va ancora rilevato che la norma in esame pare porsi in totale contrasto con gli obblighi che derivano al nostro Paese per l'appartenenza all'Unione europea. Gia' due volte la Corte europea di giustizia ha condannato il nostro Paese per il contrasto tra la "legge-Merli" e le direttive comunitarie, tra l'altro anche per la permissivita' del sistema autorizzatorio previsto e per la "insufficienza" delle sanzioni penali previste dall'art. 22 in relazione alla inosservanza della prescrizione dell'autorizzazione (Corte di giustizia 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990 - pubblicate integralmente in "Amendola - Inquinamento e Industria" - Milano 1992 - pag. 69 e segg.). La sopra esposta generale regressione sanzionatoria creata dal decreto-legge in esame concretizza di conseguenza una ulteriore evoluzione del grado di inadempienza italiana verso le direttive C.E.E. e verso le sentenze della Corte europea. Peraltro il decreto stesso, eliminando limiti certi per gli scarichi da pubbliche fognature si pone in evidente contrasto con la direttiva C.E.E. n. 271 del 21 maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane, che lo Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro lo scorso giugno 1993 e che fissa obblighi e limiti ben precisi, con ben pochi margini di discrezionalita' specie per le "aree sensibili". E del resto il contrasto e' apparso evidentemente gia' in sede di redazione del testo in esame se il decreto specifica espressamente nell'art. 1, comma terzo, che "le disposizioni del presente decreto si applicano in attesa dell'attuazione della direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991". Dunque da un lato l'Italia non ha recepito la direttiva C.E.E. nei termini stabiliti e dall'altro ha adottato un decreto-legge in antitesi ai principi della direttiva stessa, con una mora temporale applicativa illogica. Ove il decreto 537 dovesse essere convertito in legge, le sue prescrizioni si applicheranno dunque finche' non si sara' data attuazione alla citata direttiva; evoluzione che dovrebbe avvenire, secondo la legge comunitaria 1993 n. 146 del 22 febbraio 1994, entro il marzo 1995 e cioe' entro pochissimi mesi; e, peraltro, con rigidi principi di attuazione predeterminati dal Parlamento (art. 37, primo comma) in evidente contrasto con la elasticita' e genericita' del decreto in esame. ll che provochera' ulteriore confusione ed incertezza del diritto. Ed in ogni caso va sottolineato che, secondo la citata legge comunitaria, il Governo dovrebbe dare attuazione a questa direttiva provvedendo all'"adeguamento della normativa vigente alla disciplina comunitaria, apportando alla prima ogni necessaria modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed organico della disposizioni di settore" (art. 36, lett. c). Dato il carattere regressivo in sede sanzionatoria del decreto 537, ritiene lo scrivente che si appalesa un contrasto con l'art. 10 della Costituzione per mancata conformazione alle citate norme del diritto internazionale. 10) Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in esame si pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni della Corte di cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. Ill, 2 febbraio 1994, n. 2525 e Cass. pen. sez. Ill, 6 aprile 1993, n. 3148). La norma denunciata infatti favorisce apertamente chi ha violato la legge e penalizza, invece, anche sul piano della concorrenza tra imprese, proprio le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio' appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della Costituzione. 11) Da quanto sopra esposto, emerge che in applicazione della norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a verifica in ordine al capo B di imputazione per appurare se la violazione dei limiti tabellari supera o meno il 20 per cento stabilito dal decreto-legge 537. ln caso positivo, si dovrebbe procedere, premesso l'eventuale riconoscimento della penale responsabilita' soggettiva per gli imputati, ad applicare a loro carico la pena dell'ammenda; in caso negativo si dovrebbe procedere ad applicare la depenalizzazione del fatto-reato. ln detta situazione di incertezza allo stato attuale del dibattimento, peraltro, si ritengono lese le garanzie della difesa perche' gli imputati non possono oggettivamente sapere se l'esito istruttorio portera' all'una o all'altra evoluzione e dunque non possono procedere in apertura del dibattimento alla eventuale oblazione nel caso di postumo accertamento del superamento del 20 per cento (con conseguente applicabilita' della sanzione penale dell'ammenda nella fase finale del giudizio). Peraltro l'indagine in questione e' di fatto impossibile nel contesto dibattimentale in esame perche' il capo di imputazione ed il conseguente giudizio non si basano su esami di laboratorio dopo prelievi ma il quadro probatorio e' rappresentato da testimonianze e reperti fotografici che dovrebbero documentare uno stato di oggettivo seppur non numericamente quantificato superamento dei limiti tabellari sulla scorta dell'orientamento della suprema Corte che ha sancito che e' nozione di comune esperienza, come tale non bisognevole di conferma dei risultati di analisi, che i rifiuti liquidi e solidi, non sottoposti ad alcuna depurazione, di alcuni tipi di insediamenti produttivi (e tra questi gli allevamenti, come nel caso di specie) superano largamente i limiti tabellari della legge n. 319/1976 ed in tali casi non sono necessari prelievi ed analisi per giungere alla prova del reato (tra le tante, Cass. pen. sez. Ill - Imp. Mezzetti - Rel. Postiglione e Cass. pen. sez. Ill 16 aprile 1988, n. 4727). Qualora, invece, la questione di costituzionalita' dovesse essere accolta, si dovrebbe procedere a dibattimento secondo prassi ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 sulla base dei principi enunciati dalla Cassazione in materia e conseguente articolazione del dibattimento secondo i canoni di certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia. 12) Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito, allo stato e vigente i principi del decreto-legge n. 537/1994 in esame, in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 - integrale formulazione - del decreto-legge 17 settembre 1994, n. 537, il quale prevede, in modifica globale del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 e successive modifiche che "fatte salve le disposizioni penali di cui al primo ed al secondo comma, l'inosservanza dei limiti di accettabilita' di cui alle tabelle allegate alla presente legge, ovvero di quelli stabiliti dalle regioni, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, nei rispettivi limiti e modi di applicazione, ovvero di quelli specifici eventualmente prescritti in sede di rilascio dell'autorizzazione o di modifica della stessa, ove non costituisca reato o circostanza aggravante di altro reato connesso, e' punita con la sola sanzione amministrativa pecuniaria da lire 3 milioni e lire 30 milioni, salvo diversa disposizione della legge regionale. In deroga a quanto previsto dal terzo comma, per gli scarichi diversi da quelli provenienti da insediamenti abitativi o adibiti allo svolgimento di attivita' alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica e sanitaria, in caso di superamento, in misura superiore al 20 per cento, dei limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle allegate alla presente legge, o di quelli stabiliti dalla regione, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, si applica la pena dell'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni. Si applica la pena dell'ammenda da lire 20 milioni a lire 200 milioni o la pena dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile, di cui al n. 4) del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del Comitato Interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di cui all'elenco allegato 1 della delibera medesima". Sospende il giudizio in corso. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli imputati, ai loro difensori, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Terni, addi' 27 settembre 1994 Il pretore: SANTOLOCI 94C1204