N. 78 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 novembre 1994

                                 N. 78
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 4 novembre 1994 (della regione Liguria)
 Edilizia e urbanistica - Riapertura ed estensione agli immobili
    costruiti  abusivamente  sino  a  tutto  il  31 dicembre 1993, del
    condono edilizio introdotto come misura  eccezionale  dalla  legge
    statale  n.  47/1985  -  Previsione: a) di programmi di intervento
    comunali i cui criteri di formazione ed i contenuti sono riservati
    al   Ministro   dei   lavori   pubblici;   b)    dell'introduzione
    dell'istituto  del silenzio-assenso per le concessioni edilizie in
    caso di mancata comunicazione del diniego entro novanta giorni; c)
    dell'attribuzione al giudice  amministrativo  della  giurisdizione
    esclusiva  in  materia  di responsabilita' per danni del sindaco e
    del responsabile del  provvedimento  per  illegittimo  diniego  di
    concessione  edilizia; d) dell'attribuzione al Ministro dei lavori
    pubblici ed eventuali poteri sostitutivi per  i  provvedimenti  di
    competenza  del sindaco mediante la nomina di commissari ad acta -
    Asserita illegittimita' del d.l. impugnato per  la  mancanza  del
    presupposto  della  necessita' ed urgenza - Violazione della sfera
    di competenza regionale in materia di edilizia e urbanistica e dei
    principi di leale collaborazione, di tutela  del  paesaggio  e  di
    imparzialita'  e  buon  andamento della pubblica amministrazione -
    Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 393/1992,
    343/1991, 407/1989 e 961/1988.
 (D.L. 27 settembre 1994, n. 551, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 9).
 (Cost., artt. 3, 5, 9, 77, 97, 115, 117, 118 e 130).
(GU n.48 del 23-11-1994 )
   Ricorso per la regione Liguria,  in  persona  del  presidente  pro-
 tempore  della  giunta  regionale, a cio' autorizzato con delibera n.
 7231 in data 19 ottobre 1994, rappresentato e difeso  per  mandato  a
 margine  con  facolta'  disgiunte  dall'avv.  Giuseppe Petrocelli del
 servizio  legale  della  regione  con  domicilio eletto presso l'avv.
 Gianpaolo  Zanchini,  in  Roma,  piazza  Foro  Traiano,   contro   la
 Presidenza  del  Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in
 carica  al  fine  di  ottenere  la  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale in via principale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 9 del
 d.l.  27 settembre 1994, n. 551, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
 n. 226 del 27 settembre 1994 avente ad oggetto: "Misure  urgenti  per
 il   rilancio  economico  ed  occupazionale  dei  lavori  pubblici  e
 dell'edilizia privata", nonche' dello stesso d.l. nel suo complesso.
                               F A T T O
    Sulla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 27  settembre  1994  e'  stato
 pubblicato  il  testo  del  decreto-legge  avente  ad oggetto "Misure
 urgenti  per  il  rilancio  economico  ed  occupazionale  dei  lavori
 pubblici e dell'edilizia privata".
    Si  tratta,  com'e'  noto, di un intervento normativo che ha avuto
 vasta risonanza nella opinione pubblica  e  che  concerne,  in  primo
 luogo,  la possibilita' di accedere nuovamente alla sanatoria-condono
 in materia edilizia di cui al capo IV della legge 28  febbraio  1985,
 n.  47,  sia  per  coloro  che all'epoca non ve avevano fruito, sia -
 soprattutto - per coloro i quali hanno commesso successivamente abusi
 edilizi, purche' ultimati entro il 31 dicembre 1993.
    Contestualmente, vengono dettate altre norme in materia  edilizia,
 nonche' disposizioni in materia di lavori pubblici.
    La  regione  reputa  le  previsioni  di  cui  al  d.l.  in parola
 costituzionalmente illegittime ed invasive delle competenze, legisla-
 tive  ed  amministrative,  ad  essa   rimesse   e   garantite   dalla
 Costituzione,    come    confida   di   dimostrare   nelle   seguenti
 considerazioni di
                             D I R I T T O
    1. - In ordine all'art. 1, primo, secondo, quinto,  ottavo,  nono,
 decimo  e  undicesimo  comma,  del  d.l.  27 settembre 1994, n. 551.
 Violazione  degli  artt.  5,  115,  117  e  118  della  Costituzione.
 Incompetenza.  Violazione  degli  artt.  3  e  97 della Costituzione.
 Irragionevolezza.
     a) Le norme indicate in rubrica disciplinano approfonditamente  e
 minuziosamente  profili  sostanziali  e procedimentali attinenti alla
 materia urbanistica, la quale - com'e' noto -  e'  costituzionalmente
 rimessa  alla  competenza legislativa (concorrente) ed amministrativa
 delle regioni a statuto ordinario ai sensi  degli  artt.  117  e  118
 della  Costituzione.  Segnatamente, le norme censurate sono ben lungi
 dal mantenersi, come d'obbligo, sul  piano  della  mera  legislazione
 (statale) di principi, ponendo invece illegittimamente norme legisla-
 tive di dettagli invasive delle attribuzioni regionali, irragionevoli
 ed  in  contrasto  con  altri  valori costituzionalmente tutelati. Il
 tutto in  assenza  di  disposizioni  che  possano  dirsi  di  riforma
 fondamentale  economico-sociale.    Di  qui  la  loro  illegittimita'
 costituzionale.
     b) In particolare, l'art. 1, primo comma, del d.l.  indicato  in
 rubrica,   individua   gli   abusi  che  possono  accedere  al  nuovo
 procedimento di sanatoria-condono, prevedendo che "le disposizioni di
 cui al capo quarto e quinto della legge 28 febbraio 1985,  n.  47,  e
 successive   modificazioni   e   integrazioni,   come   ulteriormente
 modificate dal presente decreto, si applicano alle opere abusive  che
 risultino  ultimate  entro  il  31  dicembre  1993  e che non abbiano
 comportato  ampliamento  del  manufatto  superiore   al   30%   della
 volumetria della costruzione originaria ovvero superiore a 750 mc. Le
 suddette  disposizioni  trovano altresi' applicazione alle opere abu-
 sive che non abbiano comportato nuove costruzioni  superiori  ai  750
 metri  cubi  in  relazione  alla  singola  richiesta  di  concessione
 edilizia in sanatoria".
    Tale disposizione, com'e' evidente,  costituisce  in  primo  luogo
 norma  di  estremo  dettaglio, puntuale ed assolutamente esaustiva in
 ordine ai presupposti di fatto per accedere alla procedura di condono
 edilizio, in una materia - l'urbanistica  -  nella  quale  lo  Stato,
 notoriamente, non puo' porre che norme di principio.
    Per  contro,  nel  caso  in  esame,  nulla residua alle regioni in
 ordine ai profili ivi considerati, discendendone i dedotti profili di
 illegittimita' costituzionale.  b1) D'altra parte, la disposizione di
 che trattasi pone in evidenza  ulteriori  profili  di  illegittimita'
 costituzionale  anche  con  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione  e  ai  connessi  principi  di  ragionevolezza  e   buon
 andamento  (censure  invocabili  anche dalle regioni in via di azione
 se, come nel caso, connesse ad  un'invasione  delle  loro  competenze
 costituzionalmente  garantite;  v.    Corte  costituzionale 7 ottobre
 1992, n. 393; Corte costituzionale 13  luglio  1991,  n.  343;  Corte
 costituzionale 13 ottobre 1988 n. 961; Corte costituzionale 18 luglio
 1989,   n.   407).      Infatti,   porre   dei   limiti  quantitativi
 indifferenziati di condonabilita' dei manufatti abusivi, da un  lato,
 come   detto,   e'   compito  di  dettaglio  attinente  alla  materia
 urbanistica che, quindi, compete al legislatore regionale; dall'altro
 costituisce previsione del tutto illogica, irragionevole e foriera di
 macroscopiche diseguaglianze, conducendo - nella  sua  rozzezza  -  a
 disciplinare  in maniera eguale situazioni tra loro macroscopicamente
 diverse.    Al  riguardo,  e'  sufficiente  notare  come  l'incidenza
 insediativa,  di  impatto  urbanistico  e paesistico-ambientale di un
 manufatto edilizio e'  evidentemente  diversa  a  seconda  della  sua
 destinazione   d'uso  e  della  sua  localizzazione  sul  territorio,
 configurandosi in proposito sensibili differenze  sia  tra  le  varie
 zone  del territorio dello Stato, sia all'interno delle regioni o dei
 singoli comuni (si consideri, in proposito, la  differente  rilevanza
 in  abuso  edilizio  attinente  ed  un  nuovo  edificio di 750 mc. se
 situato in una zona industriale, ovvero, in  un  centro  storico;  o,
 ancora,  la  diversita'  di  impatto  insediativo di un magazzino per
 ricovero attrezzi di 750 mc rispetto ad una  casa  di  abitazione  di
 analoga  cubatura).   E' chiaro come l'identico trattamento normativo
 riservato a situazioni cosi' diverse - tra loro  omologate,  soltanto
 dal  limite  quantitativo  dei 750 metri cubi - configura un'evidente
 violazione  del  principio  di  eguaglianza   e   del   criterio   di
 ragionevolezza.      b2)   Ebbene,  tali  aspetti  -  trattati  cosi'
 irragionevolmente  e  grossolanamente  dal   Governo   in   sede   di
 decretazione  d'urgenza  -  erano e sono di competenza delle regioni,
 anche in quanto queste ultime risultano - intuitivamente - i soggetti
 piu'   idonei   a   distinguere,   nelle   diverse   situazioni,   la
 tollerabilita'  o  meno  di  ammettere  la  sanatoria  dei  manufatti
 abusivi,  tenuto   conto   delle   diverse   esigenze   territoriali,
 urbanistiche  e  paesistico-ambientali  nei vari casi implicate.   c)
 Anche i commi 2, 5, 8, 9 e 10 dell'art. 1 del  d.l.  n.  551  citato
 configurano  una disciplina procedimentale e sostanziale di dettaglio
 che deve reputarsi preclusa, ai sensi degli artt.  117  e  118  della
 Costituzione, alla legislazione statale, non costituendo ne' norma di
 principio,   ne'  riforma  fondamentale  economico-sociale.    Ci  si
 riferisce,  in  particolare,  alla  disciplina  del  procedimento  di
 presentazione    della    domanda   di   sanatoria-condono   e   alla
 individuazione  della  relativa  documentazione,  agli  esiti   della
 domanda  in  caso  di  silenzio, nonche' alle conseguenze del mancato
 versamento delle somme ivi richieste.
     d) Analoghe censure debbono  muoversi  all'undicesimo  comma  del
 citato  art. 1, il quale prevede un meccanismo di silenzio-assenso in
 merito ai pareri delle amministrazioni competenti, laddove  le  opere
 abusive insistano su aree vincolate.
    Inoltre,  tale meccanismo - dati i ristretti termini di formazione
 dell'assenso tacito - e' del tutto irragionevole e contrario al  buon
 andamento,  privando  le  relative  amministrazioni,  tra le quali le
 regioni della effettiva possibilita' di  esercitare  con  sufficiente
 utilita' le loro attribuzioni, anche costituzionalmente garantite.
    2.  -  Sempre  in ordine all'art. 1 del d.l. 27 settembre 1994 n.
 551.Violazione degli artt.  3,  5,  9,  97,  115,  117  e  118  della
 Costituzione.   Incompetenza.   Violazione  del  principio  di  leale
 collaborazione. Irragionevolezza. Violazione del  principio  di  buon
 andamento.    L'art.  1  del  d.l.  citato, complessivamente inteso,
 rappresenta innegabilmente un fattore deflagrante nella gestione  del
 territorio  e,  piu'  in  generale,  dell'ambiente, vale a dire nella
 materia  "urbanistica"  costituzionalmente  rimessa   alle   regioni,
 nonche'  nella  materia  paesistico-ambientale,  oggetto  anch'essa -
 secondo l'ormai costante giurisprudenza di codesto ecc.mo collegio  -
 di  una  competenza  legislativa  e  amministrativa concorrente delle
 regioni, dopo l'emanazione del d.P.R. n. 616 del 1977.
    Ebbene, l'assetto dato dall'art. 1 citato  alla  materia  trattata
 non  pare rispettoso ne' delle competenze conferite in argomento alle
 regioni   dalla   Costituzione,   ne'   del   principio   di   "leale
 collaborazione"  al quale deve essere informato l'esercizio, da parte
 dello  Stato,  delle  attribuzioni  nelle   materie   di   competenza
 regionale,  e contrasta inoltre con l'art. 9 della Costituzione e con
 i principi di ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt.  3  e
 97 della Costituzione.
    In primo luogo, la stessa scelta di fondo di consentire, una volta
 ancora,  una  sanatoria  generalizzata  degli  abusi  edilizi,  anche
 recenti, anche in zone  vincolate,  ed  anche  in  contrasto  con  le
 previsioni  degli  strumenti  urbanistici,  proprio  per  i suoi gia'
 sottolineati effetti di  "scardinamento"  della  disciplina  preposta
 alla   conservazione   del   territorio  e  dell'ambiente,  viola  le
 richiamate norme costituzionali ed i principi da  esse  costantemente
 ricavati  e  non  puo'  venire  imposta  con  legge dello Stato senza
 lasciare alle regioni, evidentemente interessate  secondo  competenze
 costituzionalmente   garantite  alla  tutela  del  territorio  e  del
 paesaggio, nessun profilo di scelta o di possibile limitazione  degli
 effetti  delle  misure  adottate;  una  siffatta  disciplina di legge
 puntuale ed  esaustiva,  anche  per  la  gravita'  delle  conseguenze
 prodotte  in  rapporto  alla  effettiva  possibilita' di continuare a
 gestire "l'urbanistica",  non  e'  compatibile  con  l'assetto  delle
 competenze  stabilito  in  materia  dalla  Costituzione  e dal citato
 d.P.R.  n.  616  del  1977, soprattutto alla luce del principio della
 "leale collaborazione" (posto che, nel caso, collaborazione non vi e'
 stata, ne e' prevista dal decreto, dove in sostanza tutto e'  rimesso
 alla  legislazione  statale, sia per gli aspetti sostanziali, sia per
 quelli procedimentali della nuova sanatoria-condono).  La  riapertura
 dei  termini della sanatoria, di cui al capo quarto della legge n. 47
 del 1985, vanifica in  sostanza  un  decennio  di  regolazione  e  di
 protezione  del  territorio  e  dell'ambiente,  da  parte  degli enti
 competenti, in violazione degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione; e
 cio', senza che, in relazione a tale gravissima evenienza, le regioni
 possano in qualche  modo  interagire,  in  sede  sia  normativa,  sia
 amministrativa,  per  attenuarne  gli  effetti  deteriori, travandosi
 gravate in materia da una disciplina  legislativa  statale  puntuale,
 completa  ed  assolutamente  esautorante.   Ne discende la violazione
 delle norme e dei principi costituzionali indicati in rubrica.  3.  -
 Con  riguardo  all'art.  2  del  d.l.  27  settembre  1994,  n. 551.
 Violazione degli artt. 5, 115,  117  e  118  della  Costituzione,  in
 relazione  agli  artt. 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e
 dell'art. 37 della  legge  28  febbraio  1985  n.  47.  Incompetenza.
 L'art.   2   del   decreto-legge  n.  551  regola,  con  riguardo  al
 procedimento  di  definizione  della  sanatoria-condono  di  cui   al
 precedente  art. 1, la materia della corresponsione dei contributi di
 concessione di cui alla legge n. 10 del 1977, sia temporalmente,  sia
 quantitativamente.        Senonche',    tale    materia,    attinente
 all'"urbanistica", e'  sempre  stata  rimessa  alle  regioni  (ed  ai
 comuni)  ai  sensi  degli  artt.  117  e  118  della Costituzione, in
 correlazione con gli articoli - citati in rubrica - delle leggi n. 10
 del 1977 e n. 47 del 1985.  Nel caso di specie, al contrario,  si  e'
 in presenza di una norma puntuale ed esaustiva, che esclude del tutto
 le  Regioni  dalla  materia  in  oggetto,  dal  punto  di  vista  sia
 legislativo, sia amministrativo.   Di qui  la  presenza  dei  dedotti
 profili di incostituzionalita'.
    4.  -  In  merito  all'art. 3 del d.l. 27 settembre 1994, n. 551.
 Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 Costituzione. Incompetenza.
    L'art.  3  del  decreto-legge  censurato  tratta  di  non   meglio
 precisati   programmi  di  intervento  contro  l'abusivismo  edilizio
 disponendo:
       a) che "entro tre mesi dalla data  di  entrata  in  vigore  del
 presente  decreto,  il  Ministro  dei  lavori pubblici determina, con
 proprio decreto, sentita la conferenza Stato-regioni,  i  criteri  di
 formazione  e  i  contenuti  dei  programmi di intervento, nonche' le
 modalita' di concessione dei finanziamenti";
       b) che  i  comuni  debbono  individuare  le  zone  maggiormente
 interessate  dall'abusivismo, entro tre mesi dall'emanazione del d.m.
 di cui sopra.
    Ebbene,  la  previsione  di  cui   sub   a),   per   quanto   poco
 comprensibile,  e'  evidentemente  lesiva di competenze legislative e
 amministrative regionali costituzionalmente garantite.   Infatti,  e'
 fuor di dubbio che la suddetta disciplina, pur attenendo alla materia
 urbanistica  (di  competenza legislativa e amministrativa regionale),
 rimetta ad un organo dell'amministrazione statale (non la  fissazione
 di norme di principio, che comunque spetterebbero al legislatore, ma)
 la  determinazione  dei  criteri  di  formazione  e dei contenuti dei
 programmi di intervento, privando in tal modo del tutto la regione di
 competenza  ad  essa spettanti.  D'altra parte, nel caso, non si puo'
 neppure ipotizzare la  previsione  dell'esercizio  di  un  potere  di
 indirizzo  e coordinamento, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione
 (che comunque non potrebbe essere cosi' puntuale ed omnicomprensivo),
 posto che  -  com'e'  noto  -  tale  potere  si  estrinseca  in  sede
 governativa   collegialmente   e   mediante  d.P.C.M.,  mentre  nella
 fattispecie e' prevista solo l'emanazione di un decreto ministeriale.
 b) Il citato art. 3 del  decreto  legge  censurato,  complessivamente
 inteso,  e'  lesivo delle competenze regionali anche sotto un diverso
 profilo  (seppure  connesso):  infatti,   pur   nella   sua   estrema
 genericita'   (cosi'   da   renderne   obiettivamente   difficile  la
 comprensione), tale norma stabilisce un nuovo modello  pianificatorio
 in  materia  urbanistica  che  si  snoda  solo sull'"asse" Ministero-
 comuni, escludendo la regione,  che  pure  e'  l'ente  principalmente
 competente  in  materia, sia ex artt. 117 e 118 della Costituzione ed
 ex d.P.R. n. 616 del 1977.
    Ne' la previsione che venga sentita  la  conferenza  Stato-regioni
 elimina i dedotti profili di incostituzionalita'.
    5.  -  In  ordine  all'art. 4, primo comma, del d.l. 27 settembre
 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117,  118  e  130  della
 Costituzione. Incompetenza.
    L'art.  4  del  d.l.  n.  551,  intitolato  "Commissari ad acta",
 prevede che "in caso di inadempienze il Ministro dei lavori pubblici,
 ai fini dell'attuazione di quanto previsto dal presente  decreto,  su
 richiesta  del sindaco, del Comitato regionale di controllo, ai sensi
 dell'art. 48 della legge 8 giugno 1990, n. 142, su  segnalazione  del
 prefetto  competente  per  territorio,  ovvero  d'ufficio,  nomina un
 commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori  di
 competenza   del   sindaco".      Tale  previsione  ha,  invero,  del
 sorprendente  ed  e'  fonte  di  gravi  quanto  palesi   profili   di
 illegittimita'  costituzionale.    Per  limitarsi,  com'e' obbligo in
 questa sede, agli aspetti invasivi delle competenze delle regioni, e'
 sufficiente   osservare   come,   seppure   nella    sua    manifesta
 indeterminatezza  e  nella sua infelice formulazione, la disposizione
 in  esame,  innegabilmente,  disciplini  un   potere   di   controllo
 sostitutivo  nella  materia  urbanistica,  per  ovviare  a non meglio
 precisate   inerzie   da   parte   delle   amministrazioni   comunali
 nell'attuazione  del  decreto in oggetto.  Senonche', e' pacifico che
 in una materia, quale l'urbanistica,  di  competenza  legislativa  ed
 amministrativa  regionale,  eventuali poteri di controllo sostitutivo
 debbono essere disciplinati dalle regioni o, comunque, almeno  venire
 concretamente  esercitati  da  queste  ultime  o  da soggetti da esse
 nominati, posto che - altrimenti -  le  regioni  medesime  verrebbero
 (come   nel   caso   vengono)  private  surrettiziamente  delle  loro
 competenze costituzionalmente garantite.  In tal senso, del resto, si
 e' pronunciata la  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  (Corte
 costituzionale,  19  dicembre  1978,  n.  178; Corte costituzionale 7
 aprile 1988, n. 422).  Nel caso di specie,  al  contrario,  il  ptere
 sostitutivo disciplinato del citato art. 4 risulta normato totalmente
 dal   legislatore   statale   ed  e'  inspiegabilmente  rimesso  alle
 determinazioni dell'amministrazione statale, esautorando del tutto la
 regione al riguardo.
    Ne discendono i dedotti profili di incostituzionalita'.
    6.  -  Con  riguardo all'art. 5, primo, secondo e terzo comma, del
 d.l. n. 551. Violazione degli  artt.  115,  117,  118  in  relazione
 all'art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
     a)  Con  riferimento  al  primo  e  secondo  comma  -  laddove ad
 integrazione dell'art. 39 della legge  n.  142/1990  si  prevede  nei
 confronti  dei  comuni  privi  di  strumento  urbanistico generale la
 sanzione dello scioglimento  del  relativo  organo  consiliare  e  si
 stabiliscono  le relative modalita' procedurali - si rileva la palese
 violazione dell'art. 117 della  Costituzione  per  essere  state  del
 tutto  compresse  e  disattese le competenze legislative regionali in
 materia, ove si consideri che la regione Liguria, prima con legge  n.
 28/1976  e  da  ultimo  con  legge  n.  30/1992 aveva gia' introdotto
 rilevanti limitazioni all'attivita' edilizia nei suddetti  comuni  in
 virtu'  del potere espressamente riservatole dall'art. 4 ultimo comma
 della legge n. 10/1977.   b) Con  riferimento  al  terzo  comma,  del
 medesimo  art.  5  -  laddove  viene fissato il perentorio termine di
 centottanta giorni per l'approvazione da parte  della  regione  degli
 strumenti  urbanistici  comunali  pena  la  formazione  del silenzio-
 assenso - e' di assoluta evidenza la violazione dell'art.  117  della
 Costituzione,  rientrando  l'urbanistica  nelle materie affidate alla
 competenza legislativa delle regioni, con riferimento alle quali,  lo
 Stato  e' legittimato ad emanare soltanto norme di principio.  E tale
 non e' senz'altro la disposizione de qua, inerendo essa ad un aspetto
 gestionale del sistema la cui definizione di dettaglio non  puo'  che
 spettare  alle  regioni:  invero  lo  Stato,  anche  di  fronte  alla
 eventuale  inerzia  regionale,  non  avrebbe  in  ogni  caso   potuto
 arrogarsi  la  potesta'  di  che  trattasi  al  di fuori di una legge
 organica  di  ridefinizione  dell'ordinamento  urbanistico  nel   cui
 contesto  fosse ridisciplinato il ruolo delle diverse amministrazioni
 in materia.
    In tal senso si e' del resto gia'  esplicitamente  pronunciata  la
 Corte  costituzionale  la quale con sentenza 19 ottobre 1993, n. 393,
 nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi da
 3 a 7, della legge n. 179/1992 recante la disciplina  del  "programma
 integrato di intervento", ha affermato che quando una disposizione di
 legge   statale   configura   meccanismi   incidenti  sulla  potesta'
 legislativa e sulle attribuzioni amministrative delle  regioni  viola
 inevitabilmente  la  loro  autonomia  garantita  dall'art.  115 della
 Costituzione: il che vale soprattutto  quando  tali  meccanismi  sono
 resi  "particolarmente  incisivi  dalla operativita' della regola del
 silenzio-assenso da parte della Regione".
    7. - In ordine all'art. 7, nono  e  decimo  comma,  del  d.l.  27
 settembre  1994,  n.  551.  Violazione  degli artt. 5, 115, 117 e 118
 della Costituzione in relazione agli artt. 79 e 87 e segg. del d.P.R.
 24 luglio 1977, n.  616.  Incompetenza.    a)  L'art.  7  del  plesso
 normativo censurato nella presente sede si occupa dei procedimenti di
 esecuzione dei lavori pubblici di competenza del Ministero dei lavori
 pubblici,   coniando   un   particolare   procedimento  per  la  loro
 riattivazione  laddove  siano  attualmente  sospesi,  per  qualisiasi
 ragione.
    Detta  previsione  (generale  ed  applicabile  a  tutte  le  opere
 pubbliche) costituisce un'indebita ingerenza normativa nella  materia
 "lavori  pubblici  di  interesse  regionale"  rimessa  alla  potesta'
 legislativa e amministrativa regionale, ai sensi degli  artt.  117  e
 118 della Costituzione.
    Infatti,  in  tale  materia,  spetta  eventualmente  alle  regioni
 disporre  e  disciplinare  meccanismi  di  riattivazione   di   opere
 pubbliche  sospese  e, soprattutto, non puo' essere riconosciuto allo
 Stato il potere di dettare, in argomento, una normativa di  dettaglio
 quale quella in esame.
    Inoltre,   un'ulteriore  indebita  compressione  delle  competenze
 regionali, conseguente alla norma in questione,  discende  dal  fatto
 che  -  anche  per i "lavori pubblici di interesse regionale" - vi si
 prevede che il procedimento  di  riattivazione  delle  opere  sospese
 venga  condotto  da  organi appartenenti all'amministrazione statale.
 b) Parimenti invasivo delle competenze  regionali  appare  l'art.  7,
 laddove  si prevede che "le pubbliche amministrazioni provvedono, per
 quanto di loro competenza, a esaminare  entro  e  non  oltre  novanta
 giorni  dalla  data  di entrata in vigore del presente decreto i casi
 relativi alle procedure di affidamento e di  esecuzione  delle  opere
 pubbliche  che,  pur  rientrando  nelle  ipotesi  di  cui al presente
 articolo, possono essere riavviati con  provvedimento  amministrativo
 sulla base dei principi indicati nel presente articolo".
    Tale  norma,  se  riferita  (come in effetti e' riferita) anche ai
 "lavori pubblici  di  interesse  regionale"  costituisce  un'indebita
 invasione delle competenze legislative ed amministrative riconosciute
 in argomento alle regioni.
    Sul   piano   legislativo,  la  norma  esula  infatti  dalla  mera
 legislazione  di  principio,  fornendo   una   disciplina   puntuale,
 esaustiva ed inderogabile. Sul piano amministrativo, essa impone alle
 regioni,   entro   termini   brevissimi  e  senza  eccezione  alcuna,
 l'esperimento  obbligatorio  di   un'attivita'   specifica   la   cui
 opportunita'  e'  invece  da  ritenere rimessa alle valutazioni delle
 regioni stesse, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione.
    8. - In ordine all'art. 9, primo comma,  del  d.l.  27  settembre
 1994,  n.  551.  Violazione  degli  artt.  5,  115,  117  e 118 della
 Costituzione. Violazione degli  artt.  3  e  97  della  Costituzione.
 Irragionevolezza.  Violazione  del principio del buon andamento.  Con
 l'art. 9, primo comma, del  d.l.  n.  551,  il  Governo  ha  espunto
 dall'ordinamento  l'istituto del programma pluriennale di attuazione,
 disciplinato dall'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e  dalla
 successiva,  cospicua,  legislazione regionale in materia (tra cui la
 legge regionale ligure 9 marzo 1978, n. 16).
    Tale repentina ed inopinata  eliminazione  dell'istituto  predetto
 dal   novero  degli  strumenti  di  regolazione  delle  modalita'  di
 utilizzazione del territorio avrebbe la pretesa di  far  si'  che  la
 pianificazione   urbanistica   venga   privata   degli  strumenti  di
 regolamentazione temporale degli interventi, la cui  imprenscindibile
 rilevanza,  ai  fini di una corretta e utile regolazione dell'uso del
 territorio e del necesario coordinamento  tra  nuovi  insediamenti  e
 livello pregresso di urbanizzazione, pare invero fuor di dubbio ed e'
 unanimemente riconosciuta dagli studiosi di urbanistica.
    Ebbene,  la manifesta irragionevolezza e contrarieta' al principio
 del buon andamento che affligge la norma illustrata si  connette  con
 il  tentativo  di  operare  una  indebita privazione, per le regioni,
 delle competenze pianificatorie in materia urbanistica  rimesse  loro
 dalla   Costituzione;   infatti,   la   materia  "urbanistica",  come
 comunemente  intesa  nell'attuale  momento storico ed alla luce della
 sua evoluzione ordinamentale, comprende - quale attribuzione  rimessa
 alla competenza regionale - anche la pianificazione di tipo temporale
 degli   interventi   edificatori,   aventi   impatto  insediativo  ed
 urbanistico.  In altri termini, la competenza  regionale  in  materia
 "urbanistica",  include  in  se'  -  in quanto compresa nei contenuti
 della pianificazione territoriale - anche la programmazione temporale
 degli  interventi,  quale  e'  stata  svolta,  dal   1977,   mediante
 l'utilizzazione  dei  programmi pluriennali di attuazione.  Pertanto,
 l'eliminazione  dell'istituto  della  legislazione  nazionale  o   e'
 indifferente  per  regioni  che  - come la Liguria - hanno regolato i
 programmi pluriennali di attuazione con proprie  leggi  (si  veda  la
 legge  regionale ligure n. 16 del 1978), non producendo alcun effetto
 abrogativo in relazione a tali fonti, ovvero comporta la  sottrazione
 alle  regioni  stesse della facolta', connaturata alla pianificazione
 territoriale, di definire modelli di programmazione  temporale  delle
 trasformazioni urbanistiche ed edilizie ammesse.
    Nel  primo  caso, la norma contestata sarebbe solo irragionevole e
 contraria al principio del  buon  andamento;  nel  secondo  caso,  la
 stessa comporterebbe un'inammissibile ed illegittima sottrazione alle
 regioni di attribuzioni ad esse riservate dalla Costituzione.
    9.  -  In  ordine all'art. 9, quarto comma, del d.l. 27 settembre
 1994, n. 551.  Violazione  degli  artt.  5,  115,  117  e  118  della
 Costituzione.  Incompetenza.  Violazione  degli  artt.  3  e 97 della
 Costituzione. Irragionevolezza. Violazione  del  principio  del  buon
 andamento. Violazione dell'art. 9 della Costituzione.
     a)  L'art.  9,  quarto  comma,  del d.l. n. 551, che sostituisce
 integralmente  l'art.  4  della  recente  legge  n.  493  del   1993,
 disciplina   il   procedimento  per  il  rilascio  delle  concessioni
 edilizie, stabilendo un meccanismo generalizzato di  silenzio-assenso
 e regolandone l'iter istruttorio e formativo.
     b) Al riguardo, non puo' non notarsi, preliminarmente, come anche
 tale   norma   ponga   in  essere  una  disciplina  -  sostanziale  e
 procedimentale - di assoluto dettaglio,  tale  da  non  poter  essere
 considerata  rispettosa delle competenze legislative e amministrative
 spettanti in materia (urbanistica) alle regioni, non potendosi  certo
 qualificare  la  disciplina  in  oggetto  in termini di mera norma di
 principio.
     c) Tanto premesso in linea generale,  le  disposizioni  censurate
 manifestano  comunque  ulteriori  profili di illegittimita' alla luce
 dei loro  (irragionevoli)  contenuti  sostanziali;  profili  che,  in
 quanto connessi con un'indebita invasione delle competenze - legisla-
 tive   ed  amministrative  -  regionali  e  vanificanti  il  concreto
 esercizio di queste ultime,  e'  pertinente  sottolineare  in  questa
 sede.
     c1)  In  primo luogo, la previsione di un generalizzato silenzio-
 assenso in materia  edilizia  che  puo'  formarsi  anche  laddove  il
 progetto   non  sia  conforme  alla  disciplina  urbanistica  vigente
 costituisce norma irragionevole e tale da  rappresentare  un  fattore
 deflagrante in senso negativo, nella regolazione d'uso del territorio
 e, piu' in generale, nella difesa dell'ambiente e del paesaggio, vale
 a  dire  nella  materia "urbanistica" costituzionalmente rimessa alle
 regioni, secondo l'interpretazione di codesta ecc.ma Corte.   Ebbene,
 proprio   alla  luce  dei  suoi  effetti  oltremodo  incidenti,  tale
 disciplina,  secondo  la  regione  ricorrente,  non poteva e non puo'
 venire legittimamente imposta con legge dello  Stato,  tanto  piu'  -
 come   nel   caso   -  senza  lasciare  alle  regioni,  evidentemente
 interessate  secondo  competenze  costituzionalmente  garantite  alla
 tutela  del territorio e del paesaggio, nessun profilo di scelta o di
 possibile  limitazione  degli  effetti  delle  misure  adottate;  una
 siffatta  disciplina  di  legge,  dunque,  non  pare  compatibile con
 l'assetto delle competenze stabilito in materia dalla Costituzione  e
 dal  d.P.R. 616 del 1977, anche alla luce del gia' invocato principio
 della "leale collaborazione" che deve permeare in materia il rapporto
 Stato-regioni.
    In altri termini, cosi' come avviene per il nuovo "condono" di cui
 all'art. 1, la previsione di un silenzio-assenso  generalizzato,  con
 termini  brevi  e non impedito nel suo formarsi dalla difformita' del
 progetto rispetto alla pianificazione vigente, vanifica  in  sostanza
 la  pianificazione e la protezione del territorio; e cio', senza che,
 in  relazione  a  tale  grave  evenienza,  le   regioni   -   seppure
 principalmente   competenti  in  materia  ed  enti  esponenziali  dei
 relativi interessi -, possano in qualche modo interagire,  trovandosi
 in  sostanza  gravate sul punto da una disciplina legislativa statale
 puntuale, completa  ed  assolutamente  esautorante  (diversamente  da
 quanto  avveniva nell'originario art. 4 della legge n. 493 del 1933).
 Ne discendono  i  rubricati  profili  di  incostituzionalita'.    c2)
 Inoltre, analoghe censure vanno riferite anche alla previsione di cui
 del  punto  3 del comma in oggetto, laddove - nuovamente con norma di
 dettaglio si  prevede  che,  dopo  la  presentazione  della  domanda,
 possano  venire  richieste  all'istante,  nei  successivi  15 giorni,
 integrazioni documentali; richiesta  che,  in  ogni  caso,  non  puo'
 essere  reiterata.   Tale termine, indifferenziato per qualsiasi tipo
 di pratica edilizia, per la sua eccessiva brevita' e' irragionevole e
 tale da frustrare il corretto esercizio delle funzioni di tutela  del
 territorio,  alle  quali la Regione e' principalmente interessata, ai
 sensi degli artt. 117 e 118 della  Costituzione.    c3)  Infine,  del
 tutto   irragionevolmente   ed   in   violazione  dell'art.  9  della
 Costituzione, la norma in oggetto non si da' carico  di  disciplinare
 le  interferenze  notoriamente  sussistenti  tra  il  procedimento di
 rilascio delle concessioni edilizie  e  gli  altri  atti  di  assenso
 necessari  all'edificazione (per lo piu' conseguenti all'esistenza di
 previsioni vincolistiche sull'area oggetto di intervento).
    Posto che, in molti casi, si tratta di competenze legislativamente
 rimesse alle regioni in  attuazione  degli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione,  sembra  pertinente  dedurre  in questa sede anche tale
 profilo di manifesta irragionevolezza e di violazione degli artt.  3,
 9 e 97 della Costituzione.
    10.  -  In  ordine  al  d.l.  27  settembre 1994, n. 551, nel suo
 complesso.  Violazione  degli  artt.  77,  115,  117  e   118   della
 Costituzione.    Il plesso normativo censurato e' stato emanato nella
 forma del decreto-legge, ai sensi dell'art.  77  della  Costituzione.
 Tale  scelta  e'  stata  compiuta  in  funzione  della  finalita'  di
 rilanciare le attivita' economiche e di  favorire  la  ripresa  delle
 attivita' imprenditoriali.
    In  argomento,  viene  subito  da chiedersi quale pertinenza possa
 avere la "riapertura" del condono edilizio  di  cui  all'art.  1  del
 decreto   rispetto   al  rilancio  delle  attivita'  economiche,  non
 vedendosi obiettivamente quale vantaggio in tal senso possa scaturire
 dalla  regolarizzazione  di  abusi  pregressi  (se  non,  in effetti,
 un'incentivazione dell'abusivismo per il futuro, posto che si  potra'
 confidare  -  al  riguardo - nell'emanazione dell'ennesimo condono di
 qui a pochi anni, vista l'ormai ciclica scadenza con  la  quale  tali
 provvedimenti   legislativi   si   susseguono,   con  le  piu'  varie
 giustificazioni).
    Ne discende l'illegittimita' costituzionale per  violazione  delle
 norme rubricate, posta la mancata corrispondenza tra i presupposti di
 necessita' ed urgenza del decreto legge ed i suoi contenuti.  Operata
 tale  breve  premessa  -  che  incide  -  anche  sulla ragionevolezza
 dell'atto normativo in  esame  -,  e'  comunque  da  rilevare,  nella
 fattispecie   la   piu'  assoluta  assenza  dei  presupposti  per  la
 decretazione d'urgenza ex art.  77  della  Costituzione,  nonche'  la
 manifesta  incongruita'  e l'irragionevolezza di intervenire mediante
 decreto-legge con rilevanti modificazioni normative  in  una  materia
 organicamente  disciplinata  da leggi ordinarie (28 febbraio 1985, n.
 47, 28 giugno 1977, n. 10; 4 dicembre 1993, n. 493).   Ebbene,  posto
 tale   indebito,   irragionevole   e   pretestuoso   esercizio  della
 decretazione  d'urgenza  in  materia   (urbanistica)   rimessa   alla
 competenza   legislativa   e  amministrativa  delle  regioni,  sembra
 pertinente porre in evidenza in questa sede  i  relativi  profili  di
 illegittimita'  costituzionale del decreto-legge indicato in epigrafe
 nel suo complesso, per violazione delle norme indicate in rubrica.
                               P. Q. M.
    Voglia   l'ecc.ma   Corte,   in   accoglimento   delle   suesposte
 considerazioni,  dichiarare  costituzionalmente illegittimi gli artt.
 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 9 del decreto-legge emanato con legge 27 settembre
 1994, n.  551,  pubblicato  in  Gazzetta  Ufficiale  n.  226  del  27
 settembre  1994  ed avente ad oggetto "Misure urgenti per il rilancio
 economico e occupazione dei lavori pubblici e dell'edilizia privata",
 nonche' lo stesso decreto-legge nel suo complesso.
    Con ogni ulteriore conseguenza di legge.
      Genova, addi' 20 ottobre 1994
                       Avv. Giuseppe PETROCELLI

 94C1215