N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 novembre 1994

                                 N. 81
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria l'8 novembre  1994  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri)
 Regione Campania - Edilizia e urbanistica - Programmi integrati di
    riqualificazione  urbanistica,  edilizia e ambientale - Previsione
    che il programma integrato  possa  costituire  variante  al  piano
    regolatore  generale e variante o deroga al regolamento edilizio -
    Previsione altresi' della facolta'  della  regione  di  apportare,
    senza  alcun  limite,  modifiche  d'ufficio  al programma stesso -
    Imposizione  a  carico  del  comune  di  provvedere,  a  pena   di
    decadenza,  entro centoventi giorni nel caso di restituzione degli
    atti per integrazione o rielaborazione -  Obbligo  del  comune  di
    adottare  un  nuovo  programma  integrato relativamente alla parte
    inattuata  di  precedente  programma   -   Indebita   compressione
    dell'autonomia   comunale   -   Irragionevolezza  della  impugnata
    normativa e contrasto con la disciplina statale in materia  (legge
    n.   179/1992)   -   Riferimenti   alla   sentenza   della   Corte
    costituzionale n.  393/1992,  nonche'  nn.  157/1990,  212/1991  e
    61/1994.
 (Delibera legislativa regione Campania riapprovata il 12 ottobre
    1994).
 (Cost., artt. 5, 117 e 128).
(GU n.50 del 7-12-1994 )
    Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri,
 rappresentato dall'avvocatura  generale  dello  Stato  nei  confronti
 della  regione  Campania,  in  persona  del  Presidente  della Giunta
 regionale in carica, avverso la delibera legislativa riapprovata  dal
 Consiglio regionale il 12 ottobre 1994, comunicata al Commissario del
 Governo  il  17  ottobre  1994, e concernente "programmi integrati di
 riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale".
    Con telegramma 8 luglio 1994 il Governo ha  rinviato  la  delibera
 legislativa  9 giugno 1994, (corretta come da nota 21 giugno 1994 del
 Presidente  del   Consiglio   regionale),   poi   riapprovata   senza
 modificazioni.
    Come  noto, l'art. 16 della legge statale 17 febbraio 1992, n. 179
 ha previsto la "nuova figura" (cosi' la sentenza Corte costituzionale
 19 ottobre 1992, n. 393) del programma integrato di  intervento,  non
 precisando  pero'  -  specie dopo la dichiarazione della legittimita'
 costituzionale dei commi da 3 a 7 del citato art. 16 -  le  modalita'
 "di  coordinamento con gli strumenti tipici di disciplina di settore,
 sopratutto  in  relazione  ai  piani  di  coordinamento  e  a  quelli
 paesistici,  nonche' ai piani regolatori generali" (cosi' l'anzidetta
 sentenza).
    L'art. 7, quinto comma della delibera  legislativa  ora  in  esame
 permette  che  "il  programma  integrato  non risulti conforme con il
 piano regolatore generale  o  con  il  regolamento  edilizio",  ossia
 costituisca rispettivamente variante del primo e/o deroga al secondo.
 Qualora  cio'  accada,  il  programma integrato deve essere trasmesso
 alla Regione. Questa - secondo l'art. 9 della delibera legislativa  -
 puo' a) approvare il programma come adottato, b) richiedere al comune
 di apportarvi specifiche modifiche (con effetto di approvazione se ad
 esse  il comune consente), c) rinviarlo al comune "per integrazione o
 per  rielaborazione",  d)  approvarlo  apportandovi  pero'  modifiche
 d'ufficio,   ed   infine  e)  non  aprovarlo.  Pervero,  quest'ultima
 eventualita'  non  e'  esplicitamente  prevista,   e   pero'   appare
 desumibile mediante interpretazione sistematica.
    Neppure  esplicitamente  prevista e' l'eventualita' che la regione
 introduca modifiche d'ufficio (ed in quali casi cio' sia  possibile);
 peraltro   sembra   che  modifiche  d'ufficio  siano  consentite  dal
 (tutt'altro che univoco) quarto comma dell'art. 9.
    Il secondo, terzo e  quarto  comma  dell'art.  10  della  delibera
 legislativa  prevedono la "entrata in vigore" del programma integrato
 sottoposto all'esame della Regione  perche'  non  conforme  al  piano
 regolatore generale e/o al regolamento edilizio. Il successivo quinto
 e  sesto comma ricollegano al programma integrato effetti sui diritti
 di proprieta' immobiliare: si parla  infatti  di  "vincoli"  come  da
 piano  regolatore  generale  e  di  espropriazioni  come da strumento
 attuativo. Tali effetti avrebbero durata decennale (arg. dal  settimo
 comma)  e  pero'  sopravviverebbero  al  decorso  del  decennio (arg.
 dall'ottavo, nono e decimo comma). In particolare, al nono  e  decimo
 comma,  l'art.  10 impone ai comuni dotati di programma integrato non
 attuato o solo parzialmente attuato di rinnovarlo alla  scadenza  del
 decennio   di   efficacia;   e   cio'   persino  mediante  intervento
 sostitutivo.
    A se' stante rispetto ai precedenti  commi  dell'art.10,  e  pero'
 molto  innovativo  ed  al  tempo  stesso suscettibile di molteplici e
 divergenti interpretazioni,  e'  il  dodicesimo  comma  dell'articolo
 stesso, ove si prevede che "in sede di realizzazione degli interventi
 ..   possono  essere  autorizzate  ..  variazioni  o  modifiche  alle
 concessioni  edilizie".  Sembra  di  comprendere  che,  piu'  che   a
 modifiche a concessioni gia' rilasciate od a penetranti controlli sui
 progetti  presentati  per  ottenerle, si alluda ad un mutamento della
 natura  della  concessione edilizia, da atto del sindaco (o assessore
 delegato) di controllo sulla coerenza  dei  progetti  agli  strumenti
 urbanistici  ad  atto  disponente "previa deliberazione del consiglio
 comunale" varianti particolari  a  tali  strumenti  (ossia  non  solo
 eccezionalmente   "in   deroga"):  significative  le  "tolleranze"  e
 l'assenza dell'avverbio "congiuntamente" nella  espressione  "qualora
 si verifichino le seguenti condizioni" (per il che, ad esempio, tutto
 sarebbe  consentito  sol che "non vengano violate le norme vigenti in
 materia di edilizia sismica").
    A questo quadro, gia' di per se' preoccupante, occorre  aggiungere
 che  l'art. 2, sesto comma, consente interventi nelle zone omogenee A
 (ossia sui centri storici) con aumento delle  volumetrie  "in  misura
 non  superiore  al  5%"  (e  pero'  forse  con  un  ulteriore  5%  di
 "tolleranza") senza una precisa  delimitazione  della  nozione,  essa
 pure  suscettibile di interpretazioni molteplici, di "nuovi servizi e
 attrezzature pubblici", e con ormai anacronistica  restrizione  della
 salvaguardia  ai  "singoli  edifici";  e  che  l'art.  13 esclude dal
 calcolo  della  "volumetria  complessiva   preesistente"   i   volumi
 edificati   abusivamente   o   sulla  base  di  concessione  edilizia
 illegittima, senza pero'  prescrivere  la  previa  demolizione  degli
 edifici cosi' realizzati.
    Le  disposizioni  sin  qui  menzionate,  contenute  nella delibera
 legislativa,  contrastano  a)  con  l'"ordine  delle  competenze  tra
 regione  e comune delineato dalla legislazione statale", e b) con gli
 insegnamenti contenuti nella menzionata sentenza n. 393/1992  che  ha
 censurato   -   sebbene   anche   con  riguardo  ad  altro  parametro
 costituzionale - disposizioni statali talune delle quali identiche  a
 quelle ora prodotte dalla regione.
    Le   rispettive   "funzioni"  della  regione  e  dei  comuni  sono
 determinate da "leggi generali  della  Repubblica"  (art.  128  della
 Costituzione,  che  si collega con l'art. 5 della Costituzione). Tali
 leggi nella  materia  "urbanistica"  (art.  117  della  Costituzione)
 attribuiscono  alla  regione la "funzione" di approvare gli strumenti
 urbanistici di coordinamento (per i quali lo  Statuto  della  regione
 Campania  prevede  la  competenza  del  consiglio  regionale)  e  gli
 strumenti   urbanistici   "generali",   alias   diversi   da   quelli
 "attuativi". Questa attribuzione regionale, essenziale al governo del
 territorio,  e'  stata confermata persino dall'art. 25 della legge 28
 febbraio 1985, n. 47 ove sono previste  "procedure  semplificate  per
 l'approvazione  di varianti agli strumenti urbanistici generali" solo
 se "finalizzate all'adeguamento degli standards"; d'altro  canto,  il
 programma  integrato  di  che  trattasi  -  proprio  per l'ampiezza e
 sostanziale indeterminatezza delle finalita' che  puo'  perseguire  -
 non  e'  qualificabile  come  mero  "strumento  attuativo" (del resto
 l'art. 2, primo comma, della delibera legislativa lo qualifica -  con
 singolare  accostamento  dei  contrari  -  strumento  al tempo stesso
 "programmatico ed attuativo").
    In questo quadro, e tenuto anche conto di quanto imposto dall'art.
 2, terzo e quarto comma, della delibera legislativa (in coerenza  con
 l'art.  16,  secondo  comma,  della  citata  legge  n. 179/1992), una
 procedura semplificata con compressione dei "tempi" per  l'esame  del
 programma  integrato,  ed  eventuale  silenzio approvazione, non pare
 coerente ne' con i parametri costituzionali teste' menzionati ne' con
 l'interesse anche "nazionale" al buon  governo  del  territorio.  Tra
 l'altro,   il  silenzio-approvazione  e'  istituto  che  puo'  essere
 previsto -  allorquando  si  tratta  dell'approvazione  di  strumenti
 urbanistici  generali  e  delle  altre deliberazioni da sottoporsi al
 controllo preventivo di  legittimita'  di  cui  all'art.  125,  primo
 comma,  della  Costituzione  -  solo  nei casi consentiti dalla legge
 statale; che' diversamente tale controllo diverrebbe eludibile.  Piu'
 in generale, il silenzio-approvazione non puo' assurgere, da semplice
 "rimedio" contro disfunzioni, a modalita' normale di amministrazione,
 specie per le "funzioni" di maggiore rilievo politico-amministrativo;
 e  cio' anche per prevenire la eventuale tentazione ad amministrare -
 se del caso con l'ausilio  di  "ostruzionismo  della  maggioranza"  -
 mediante  meri  comportamenti  di  inerzia,  immotivati  e quindi non
 trasparenti, anziche' mediante atti regolarmente  prodotti  e  quindi
 comportanti esplicite responsabilita' verso il "popolo" (art. 1 della
 Costituzione) e, in particolare, verso lo specifico corpo elettorale.
    Comunque,  ancor  piu'  radicale,  e  percio'  assorbente,  e'  la
 considerazione che nessuna "legge generale della Repubblica" e nessun
 "principio"  recato  dalla  legislazione   statale   attribuisce   al
 programma  integrato, solo "abbozzato" dal citato art. 16 della legge
 n. 179/1992, la potenzialita' di variare  gli  strumenti  urbanistici
 generali  e  di derogare ai regolamenti edilizi; sicche' non pare che
 la regione sia "libera" di prevedere programmi integrati non conformi
 ai predetti strumenti e regolamenti.  Occorre  aggiungere,  a  questo
 proposito,  che  gli  artt.  869  e  871  cod.  civ.  -  disposizioni
 fondamentali per la disciplina  dei  rapporti,  rispettivamente,  tra
 proprieta'  fondiaria  e  pianificazione urbanistica e tra proprieta'
 fondiaria  e  "norme  di  edilizia"  -  prevedono  soltanto  i  piani
 regolatori  (cioe' gli strumenti urbanistici generali) e le anzidette
 "norme", non anche programmi integrati i quali contrastino  con  tali
 strumenti  e "norme".   La legge regionale non puo' invadere il campo
 del "diritto  privato",  raffigurante  il  programma  integrato  "non
 conforme"  e ad esso attribuendo valenze (sulle proprieta' fondiarie)
 non consentite dalla legislazione  statale;  il  programma  integrato
 invece  "conforme" trae valenze non da se stesso ma dagli strumenti e
 "norme" che l'hanno preceduto.
    Per contro, non paiono  coerenti  con  le  "leggi  generali  della
 Repubblica" di cui all'art. 128 della Costituzione e con i "principi"
 di cui all'art. 117 della Costituzione:
       a)   la  indeterminatezza  dell'art.  9,  quarto  comma,  della
 delibera legislativa, che - per come  il  comma  e'  scritto  -  puo'
 consentire,  senza  alcun  limite, modifiche d'ufficio ad opera della
 regione;
       b) l'imposizione a carico del comune, contenuta nel  successivo
 comma  5,  di  "provvedere"  ed  entro  centoventi  giorni, a pena di
 "decadenza" del programma integrato (decadenza che non e'  chiaro  se
 comporti preclusione sostanziale);
       c)  l'imposizione  a  carico del comune, prevista dall'art. 10,
 nono e decimo comma, dell'obbligo  di  adottare  un  nuovo  programma
 integrato  relativa  alla  "parte inattuata" di precedente programma;
 obbligo che - tra l'altro - deresponsabilizza gli eventuali promotori
 privati interessati e protrae indefinitivamente i "vincoli" cui si e'
 accennato.
    Le  disposizioni  cui  si  e'  teste'  accennato  si  traducono in
 altrettante "compressioni della autonomia" comunale (tra le  pronunce
 di  codesta  Corte in argomento si menzionano le recenti sentenze nn.
 157/1990,  212/1991  e  61/1994).  Dette  "compressioni"   potrebbero
 divenire  vistose, qualora la regione si rendesse non solo promotrice
 ma  anche  protagonista  (tramite   modifiche   d'ufficio)   di   una
 urbanistica   gestita   attraverso  una  molteplicita'  di  programmi
 integrati in deroga agli strumenti urbanistici generali. Per  contro,
 e  parimenti,  potrebbe  divenire  non  infrequente  la  compressione
 dell'esercizio concreto della "funzione"  regionale  di  approvazione
 degli  strumenti  urbanistici  generali, qualora piu' comuni - magari
 simultaneamente - sottoponessero alla  regione  voluminosi  programmi
 integrati non esaminabili nel ristretto "tempo" previsto dall'art. 9,
 primo comma, della delibera legislativa.
    Le  disposizioni  contenute  nell'art. 10, secondo, terzo e quarto
 comma, sono, di riflesso, affette  da  illegittimita'  costituzionale
 (l'art.  10,  primo  comma,  sembra  ricollegarsi soltanto all'art. 8
 della delibera legislativa).
    Quanto alle disposizioni  recate  dall'art.  10,  quinto  e  sesto
 comma,  esse appaiono affette da illegittimita' costituzionale per la
 parte  in  cui  abbiano  a  riferirsi  ai  programmi  integrati  "non
 conformi"  agli  strumenti  urbanistici  generali  e/o ai regolamenti
 edilizi; cio' per quanto dianzi osservato  in  tema  di  salvaguardia
 delle   proprieta'  fondiarie.  Del  resto,  il  programma  integrato
 potrebbe divenire, se mal gestito, un mezzo nelle mani  di  interessi
 "forti" contro le proprieta' minori.
    L'art.   10,   dodicesimo   comma,  appare  affetto  da  manifesta
 illegittimita' costituzionale, in relazione ai parametri gia' evocati
 ed ai  puntuali  insegnamenti  contenuti  nel  par.  5  della  citata
 sentenza  Corte  costituzionale  n.  393/1992  (non  a  caso  evocata
 nell'atto di rinvio). Il testo del comma - in  piu'  punti  oscuro  -
 consente  una  interpretazione comportante lacerazione del "principio
 di distinzione tra programmazione territoriale  ..  e  legittimazione
 all'esecuzione dell'opera"; per non dire che, attraverso "tolleranze"
 quantitative e di altro genere, esso discrimina tra soggetti operanti
 nell'ambito  di  un  programma  integrato ed altri soggetti cui siano
 rilasciate  "semplici"  concessioni  edilizie.  Comunque,  anche  per
 questo  dodicesimo  comma deve osservarsi che nessuna "legge generale
 della Repubblica" e nessun  "principio"  della  legislazione  statale
 consente   al   Sindaco  (o  all'assessore  delegato)  di  utilizzare
 l'istituto della concessione edilizia  per  raggiungere  i  risultati
 elencati nelle lettere da a) a g) del comma stesso.
    Censure  sono  state  dianzi  formulate  nei riguardi dell'art. 2,
 sesto comma, della delibera legislativa; il contrasto con  l'art.  17
 della legge "ponte" 6 agosto 1967, n. 765, appare evidente, come pure
 evidente  e'  la ambiguita' dell'art. 7, primo comma, periodo secondo
 della delibera legislativa. Anche per tale comma 6  occorre  ribadire
 che  nessuna  legge  generale  o  "principio" consente di affidare al
 programma integrato la idoneita' a legittimare interventi sui  centri
 storici e aumenti della "volumetria complessiva" dell'"ambito urbano"
 coinvolto.
    L'art.  13  della  delibera  legislativa  e' ad essa pervenuto dal
 (dichiarato incostituzionale) quinto comma dell'art. 16  della  legge
 n.  179/1992; ed introduce un ulteriore elemento di irragionevolezza,
 dal momento che si traduce in un premio all'abusivismo: dire che quei
 volumi   "non   sono  computabili"  equivale  a  dire  che  essi  "si
 aggiungono" e, come tali, sono commerciabili con maggior profitto. La
 caducazione  dell'art.  13  comporta  eliminazione  anche   del   non
 aggiornato secondo periodo di esso.
   Per  quanto  precede,  si  chiede  di  dichiarare la illegittimita'
 costituzionale  della  delibera  regionale  impugnata,  quanto   agli
 articoli indicati nel telegramma di rinvio.
    Si  produrranno il testo della delibera legislativa, il telegramma
 di rinvio e la delibera del Consiglio dei Ministri.
      Roma, addi' 28 ottobre 1994
                 Franco FAVARA - Avvocato dello Stato

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