N. 697 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 1994
N. 697 Ordinanza emessa il 7 giugno 1994 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Ente ferrovie dello Stato contro Maretto Lucia ed altri Processo civile - Sentenza di primo grado - Termini per l'impugnazione - Decesso della parte non soccombente durante i primi sei mesi del decorso del termine annuale dalla pubblicazione della sentenza - Lamentata mancata previsione dell'automatica interruzione in caso di omessa dichiarazione del procuratore all'atto della ricezione della notifica dell'impugnativa - Incidenza sul diritto di difesa con lesione del principio di eguaglianza. In alternativa: Processo civile - Sentenza di primo grado - Termini per l'impugnazione - Decorrenza contro gli eredi della parte defunta solo dal momento della conoscenza della controparte dell'avvenuto decesso - Omessa previsione - Incidenza sul diritto di difesa con lesione del principio di eguaglianza - Richiesta di esercizio da parte della Corte costituzionale del potere di sindacato di ufficio sulla legittimita' degli artt. 327 e 328 del c.p.c. nell'ipotesi di decesso di una delle parti processuali. (C.P.C., art. 328). (Cost., art. 24).(GU n.49 del 30-11-1994 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'Ente ferrovie dello Stato, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende, ope legis, ricorrente, contro Maretto Lucia ved. Filiberto, Filiberto Maurizio, Filiberto Sergio, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Gracchi, 126, presso l'avv. Camillo Romano, che li rappresenta e difende, giusta proc. spec. per atto notar Luisa Calogero di Messina del 13 maggio 1994, rep. 4050, controricorrenti, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Messina dell'11 ottobre 1991-15 novembre 1991 r.g. n. 613/1989; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 1994 dal consigliere dott. Genghini; Udito l'avvocato Stipo; Udito l'avvocato Romano; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Carlo Chirico che ha concluso per la rimissione della questione alla Corte costituzionale per la declaratoria di illegittimita' dell'art. 328 del c.p.c. o, comunque, il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con ricorso in data 8 aprile 1987 Filiberto Gaetano, dipendente dell'Ente FF.SS., ricorreva al pretore di Messina chiedendo la riliquidazione dei compensi per lavoro straordinario prestato dal 1 gennaio 1979 al 31 dicembre 1986; l'Ente si costituiva e resisteva alla domanda. Il pretore, in accoglimento della domanda, condannava l'Ente al pagamento di L. 11.662.413, oltre interessi e rivalutazione a decorrere dall'8 aprile 1992. Proponeva appello l'Ente (depositato il 21 agosto 1989, notificato, il 16 novembre 1989, "a mani proprie", presso il difensore domiciliatario, che non rendeva edotto l'ufficiale giudiziario dell'avvenuto decesso del rappresentato), eccependo l'erroneita' dei calcoli compiuti e la inclusione di indennita' percepite a titolo diverso, e chiedendo, pertanto, la riduzione della domanda accolta per quanto di ragione. Si costituiva, il 25 gennaio 1990 - due giorni dopo che era decorso un anno dal deposito della sentenza, non notificata, avvenuto il 23 gennaio 1989 - la vedova dell'appellato, ed eccepiva la nullita' dell'appello perche' proposto nei confronti del marito, deceduto il 13 marzo 1989, dopo la pubblicazione della sentenza, ed al medesimo notificato - presso il difensore domiciliatario -. Il tribunale dichiarava inammissibile il gravame, perche' proposto nei confronti della parte in cui decesso doveva ritenersi noto all'ente ferrovie, per aver liquidato alcune spettanze (indennita' di buonuscita, trattamento di quiescenza) alla vedova, e condannava l'appellante al pagamento delle spese. Contro questa sentenza ha presentato ricorso l'Ente FF.SS.: resiste con controricorso la Maretto vedova Filiberto unitamente agli eredi Filiberto Maurizio e Filiberto Sergio: entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione Con il solo mezzo di annullamento, l'Ente FF.SS. impugna la sentenza per violazione degli artt. 84, 141, 156, 157, 162, 170, 291, 299, 300 e 330 del cod. proc. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 del cod. proc. civ.) in quanto la impugnazione della sentenza non notificata va notificata presso il procuratore costituito nel domicilio eletto, laddove la morte della persona costituita a mezzo di procuratore, non rileva se non dichiarata o notificata dal procuratore stesso; irrilevante la conoscenza del decesso, se non per dichiarazione del procuratore, ed erronea l'affermazione, contenuta nella impugnata sentenza, che la conoscenza del decesso derivava dall'avvenuta liquidazione della pensione, trattandosi di Ente con migliaia di dipendenti ed una complessa organizzazione nella quale il contenzioso e' trattato in uffici diversi da quelli che provvedono alle pensioni: in ogni caso la costituzione dell'appellata, anche se al solo fine di far rilevare la nullita' della notifica, poiche' dimostra che l'atto ha raggiunto il suo scopo, ha efficacia sanante ex tunc della nullita'. E' appena il caso di sottolineare, a questo riguardo la fondatezza del rilievo svolto dal ricorrente, in ordine della estrema difficolta', che si potrebbe risolvere in pratica impossibilita', per un ente avente migliaia di dipendenti e con una articolazione di uffici con distinte competenze, di far si' che il decesso di un dipendente - reso noto per fini pensionistici dal coniuge superstite - sia altresi' - tempestivamente - comunicato al procuratore legale che rappresenta l'ente in un giudizio contro la parte mancata; di guisa che i principi in questa materia non dovrebbero prescindere dalla esistenza di realta' organizzative complesse, diverse da quelle semplicemente familiari, nelle quali solo con cautela potrebbe configurarsi una presunzione di conoscenza, senza determinare una compressione del diritto di difesa. Tanto piu' in un caso, come quello in esame, in cui la rappresentanza e difesa in giudizio e' per legge (art. 9 della legge 3 aprile 1979, n. 103) dell'Avvocatura dello Stato, ed in cui (art. 12) una eventuale divergenza circa la instaurazione o la resistenza in giudizio con la amministrazione interessata e' risolta con determinazione non delegabile del Ministro. Ed e' evidente, in ordine alla omessa valutazione di tali elementi, la sussistenza del difetto di motivazione lamentato dal ricorrente, e cio' anche a prescindere dalla giurisprudenza per la quale e' "indispensabile ed insostituibile la comunicazione formale dell'evento", talche' non ha "rilevanza la conoscenza che di esso le altre parti abbiano aliunde: l'effetto interruttivo e' prodotto solo da quella comunicazione, che si configura come negozio processuale del procuratore legittimato ad assumere una simile discrezionale iniziativa in forza del potere rappresentativo conferitogli con la procura ad litem" (Cass. 5 giugno 1990, n. 5391, S.U. 29 agosto 1989, n. 3815, Cass. 21 settembre 1988, n. 5181, 27 agosto 1986, n. 5242, 20 febbraio 1986, n. 1039, 16 giugno 1984, n. 3597, 5 novembre 1971, n. 3126). Il difetto di motivazione in ordine alla presunzione di conoscenza, rende rilevante l'esame della dubbia costituzionalita' dell'art. 328 del cod. proc. civ., cosi' come di seguito risulta delineata la disciplina della fattispecie in esame: che', infatti, posta la insufficienza della motivazione in ordine alla ritenuta conoscenza dell'avvenuto decesso del lavoratore da parte dell'Ente ferrovie dello Stato, la irrilevanza di tale evento incolpevolmente ignorato dalla parte soccombente - e non comunicato dal procuratore della parte vittoriosa in sede di notifica della impugnazione presso il domiciliatario -, puo' condurre alla nullita' - insanabile - della impugnazione, soltanto ove l'art. 328 del cod. proc. civ. si interpreti nel senso, come si vedra', accolto da ultimo dalla giurisprudenza, della necessita' di correttamente individuare la parte nei confronti della quale proporre l'appello, risultando peraltro in tal caso gravemente compromessi i diritti di difesa della parte soccombente, per effetto della decadenza dal diritto di impugnare, ove rivolga tempestivamente la impugnazione, ignara dell'avvenuto decesso dopo il deposito della sentenza non notificata, e prima che siano decorsi sei mesi, nei confronti della parte deceduta, presso il difensore domiciliatario. E' poi appena il caso di confermare (ex pluribus, cfr. S. U. 21 luglio 1978, n. 3630, Cass. 13 luglio 1982, n. 4119, 21 febbraio 1989, n. 989, 8 giugno 1992, n. 7045) che, versandosi in ipotesi di nullita' della impugnazione, perche' rivolta nei confronti di soggetto passivo non piu' esistente, in nessun caso la costituzione degli eredi, avvenuta al fine di far valere la inammissibilita' del gravame, potrebbe avere effetto sanante, non trattandosi di vizio della notificazione della impugnazione, ma di mancata evocazione in giudizio di appello dei soggetti legittimati passivamente ne' tanto meno si versa in ipotesi di integrazione del contraddittorio - poiche' questo puo' aversi solo in caso di "incompleta" chiamata in giudizio, non, come nel caso in esame, di impugnazione nei confronti di soggetto che non esiste piu' -: ed e' proprio da cio' che discende la rilevanza della questione. Ai fini della decisione, pertanto, e' evidente che assume valore determinante la interpretazione dell'art. 328 del cod. proc. civ., soprattutto in relazione alla incidenza di detta disciplina sul diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione). La giurisprudenza di legittimita', nel corso di un travaglio che dura ormai da oltre quaranta anni, ha dato diverse interpretazioni alla disciplina, in verita' lacunosa nelle previsioni, tra loro scarsamente coordinate, ed imprecisa nella formulazione, degli effetti della morte della parte nelle diverse ipotesi che possono verificarsi nel corso del processo; una formulazione, d'altra parte, che per essere avvenuta prima della approvazione della Costituzione, non puo' certo dirsi a questa ispirata e, pertanto, puo' in alcune sue parti - come del resto e' avvenuto - avere bisogno di verifiche di legittimita'. Il codice di procedura civile del 1865 prevedeva come termine per l'impugnazione solo quello dalla data di notificazione della sentenza, non esisteva il termine di decadenza di un anno dalla pubblicazione di cui al vigente art. 327 cod. proc. civ.: l'art. 468 del codice abrogato, peraltro, prevedeva la morte soltanto della parte soccombente, e cioe' del destinatario della notificazione della sentenza, ma non considerava il decesso del vincitore, cioe' del destinatario dell'impugnazione. Pertanto, secondo le regole generali, la giurisprudenza (Cass. 4 aprile 1930, n. 1137, 4 maggio 1931, n. 1659, 4 maggio 1934, n. 1437, 22 gennaio 1935, n. 273, 31 luglio 1935, n. 3157) ritenne che l'impugnazione dovesse notificarsi, in caso di morte della parte vittoriosa, agli eredi della stessa. Il nuovo cadice di rito introduceva non solo il termine annuale di decadenza dall'impugnazione - allorche' la sentenza non e' stata notificata -, ma anche, e per tutte le parti, la interruzione del processo o la proroga del termine per notificare la impugnazione, in caso di morte o di perdita della capacita'. Si ritenne (Cass. 19 luglio 1950, n. 1959) che avere la legge (art. 328, terzo comma: "per tutte le parti") attribuito rilevanza non solo alla morte o perdita di capacita' del soccombente, legittimato all'impugnazione, ma anche agli stessi eventi occorsi al vincitore, stava a significare la volonta' della legge "che ognuna delle parti sia posta in condizione di conoscere l'evento e cioe' di sapere nei confronti di chi si dovra svolgere l'eventuale giudizio di impugnazione. Al riguardo e' particolarmente significativa la norma del 1 comma dell'articolo in esame. Una volta infatti che il vincitore abbia notificato la sentenza al soccombente, la morte o il cambiamento di stato di questi, non dovrebbero avere incidenza sulla decorrenza del termine, giacche' egli nessun atto deve piu' compiere, a differenza dell'altra parte cui spetta a provvedere all'impugnazione. La necessita' parimenti sentita dell'interruzione del termine e della nuova notificazione della sentenza, non puo' avere altra giustificazione che nella riconosciuta esigenza di rendere noto al soccombente quale sia il soggetto nei cui confronti egli debba notificare l'impugnazione". Premesso che se l'evento (art. 299 del cod. proc. civ.) riguarda il soccombente, la proroga e' sufficiente a garantire i diritti delle parti, osservava di seguito la cennata sentenza nella lucida motivazione: "ma se l'evento si riferisce invece al vincitore, sarebbe necessario che l'altra parte fosse posta in condizione di conoscerlo per poter intimare l'impugnazione a chi e' subentrato all'originario avversario o ne ha assunto la rappresentanza. Normalmente l'evento, pur non essendo stato notificato, viene a conoscenza della parte, perche' certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notifica dell'atto di impugnazione.". Allorche' cio' si verifica, cosi' come nella fattispecie in esame corrispondente a quella di cui alla richiamata sentenza n. 1959 del 1950, riteneva la detta sentenza, che la forma facoltativa usata dall'art. 286 del cod. proc. civ. "si puo' fare", consente la notifica invece che a coloro ai quali spetta stare in giudizio, al procuratore della parte costituita. "Il procuratore, cioe', cosi' come nel corso del giudizio, continua ad esercitare i suoi poteri di rappresentanza, nonostante che parte sia stata colpita dall'evento, poiche' esso e' ignorato dall'avversario". E cio', si ritiene, vale, ai sensi del primo comma dell'art. 330 del cod. proc. civ., anche in caso di sentenza non notificata; "dal complesso della disciplina della materia, risulta pertanto che, sempre se l'evento non sia notificato, la rappresentanza processuale del procuratore spiega effetto fino a quando l'altra parte non compia una notificazione conseguente alla pubblicazione della sentenza, sia essa quella sentenza medesima, sia quella dell'atto di impugnazione". Concludeva la cennata importante sentenza, nel senso che a siffatta ricostruzione della volonta' legislativa, non ripugna il principio dell'art. 1722 cod. civ. "sia perche' la rappresentanza processuale ha una disciplina diversa da quella negoziale, sia perche' lo stesso codice civile dispone, a tutela della buona fede dei terzi che la morte, al pari delle altre cause di estinzione del potere di rappresentanza conferito dall'interessato, non e' opponibile ai terzi che l'abbiano senza colpa ignorata (art. 1396 del cod. civ.) e dispone anche che gli atti compiuti dal mandatario, prima di conoscere l'estinzione del mandato, sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi (art. 1729 del cod. civ.". In senso analogo si richiamava anche una precedente sentenza delle Sezioni Unite in tema di notificazione di un ricorso al genitore rappresentante legale del figlio, nonostante questi avesse raggiunto la maggiore eta' (S.U. 28 maggio 1948, n. 801). Ma questo indirizzo, pur con molte incertezze, non veniva successivamente confermato, ancorche' la dottrina, gia' in sede di commento della cennata sentenza, rilevasse come "se poi la sentenza non e' stata notificata, il termine annuale della decadenza, comminata dall'art. 327, ove uno degli eventi previsti nell'art. 299 si verifichi dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, viene prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento"; ma gli inconvenienti posti in luce in relazione alla disciplina di cui al codice di rito del 1865, non sussisterebbero nella nuova disciplina, per la quale spetta al procuratore costituito comunicare all'ufficiale giudiziario, che procede alla notificazione dell'impugnazione, l'essersi verificato uno degli eventi previsti nell'art. 299 in danno del proprio rappresentato: soltanto la sua denuncia rende necessaria la notificazione della sentenza, o della impugnazione, alle persone alle quali spetta di stare in giudizio. Da notare che le sezioni unita' di questa suprema Corte hanno individuato l'inizio del decorso del termine di cui all'art. 327 del cod. proc. civ., ma gia' dalla data di pubblicazione della sentenza, ma "dal giorno della detta presa di conoscenza" nel caso della parte contumace che venga a conoscenza, successivamente alla sentenza, del processo, malgrado la nullita' della citazione o della notificazione della stessa (sentenza 15 maggio 1990, n. 4196). Come evidente, tutta questa ricostruzione della complessa normativa, caratterizzata da una rilevante eteronomia nelle diverse fasi processuali (Cass. 29 novembre 1971, n. 3474), rispondente ad esigenze differenziate e con conseguente impossibilita' di enucleare principi unitari, e' imperniata su due presupposti che negli anni successivi erano sottoposti a serrata critica: a) la facolta' alternativa prevista dall'art. 286 del cod. proc. civ.; b) la esistenza di un "dovere" di comunicazione da parte del procuratore, successivamente alla morte o alla perdita di capacita' della parte. Basti qui ricordare, con riguardo all'art. 286 del cod. proc. civ., che (Cass. 7 gennaio 1974, n. 30), come del resto rilevato dalla dottrina, "l'argomento letterale da tale norma desumibile, cede il passo di fronte al piu' generale principio contenuto nell'art. 328, che mira a garantire, dopo il decesso della parte, la presenza nelle successive fasi del giudizio di coloro che ne hanno effettivo diritto"; e, con riguardo al dovere del procuratore, "l'ultrattivita', in tal caso, riguarda chiaramente solo il luogo, e non anche la persona del destinatario della notifica": "rimane salvaguardato in tal modo il diritto di difesa delle parti legittimate, diritto che potrebbe essere seriamente compromesso dalla prosecuzione del giudizio mediante atti di impulso notificati a soggetto che non le rappresenta". Lucidamente osservava la motivazione della detta sentenza, confermando e riprendendo critiche e riserve della dottrina, la quale ripetutamente invocava l'intervento della Corte delle leggi: "Da cio' consegue che, - interpretate nel senso che la parte, pur incolpevolmente ignara dell'evento che ha colpito il suo antagonista, resti soggetta alle preclusioni derivanti dall'aver indirizzato il proprio atto di impugnazione a questo, invece che al soggetto ormai legittimato in suo luogo -, le norme che disciplinano il caso appaiono compromettere, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa di essa parte", questione peraltro non sollevata per difetto di rilevanza in quel giudizio e cosi' anche in Cass. 26 novembre 1984, n. 6116). Come gia' in passato ha rilevato questo supremo collegio (sentenza 25 ottobre 1972, n. 3218), la giurisprudenza sulle questioni esaminate ha seguito quattro indirizzi fondamentali: a) gli eventi interruttivi di cui all'art. 299 del cod. proc. civ., se non comunicati dal procuratore con atto autonomo o all'ufficiale giudiziario che procede alla notifica, non interrompono il processo, e, quindi, la notificazione al nome del titolare del diritto risultante in sentenza e' valida (Cass. 18 luglio 1950, n. 1959, 29 maggio 1954, n. 1753, 27 luglio 1954, n. 2753, 19 ottobre 1957, n. 3971, 23 giugno 1959, n. 1977, 8 marzo 1961, n. 500, 16 gennaio 1962, n. 62, 28 settembre 1962, n. 2792, 23 febbraio 1963, n. 436, 7 agosto 1963, n. 2220, 24 febbraio 1966, n. 574, 28 maggio 1966, n. 1390, 10 febbraio 1968, n. 452, 18 marzo 1968, n. 879, 24 ottobre 1968, n. 3482, 30 maggio 1969, n. 1943, 9 ottobre 1969, n. 3240, 16 ottobre 1969, n. 3346 - "non puo' invocarsi la presunzione di conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive l'iscrizione (art. 2193 del cod. civ.), perche' tale principio non opera nel campo del processo" -, 3 dicembre 1969, n. 3861, 21 marzo 1970, n. 767, 5 aprile 1971, n. 984, 6 luglio 1971, n. 2116, 25 ottobre 1972, n. 3218, 7 gennaio 1974, n. 8, 6 dicembre 1974, n. 4040, 28 luglio 1975, n. 2905, 14 gennaio 1977, n. 172, 10 giugno 1977, n. 2391, 15 giugno 1977, n. 2945, 25 novembre 1977, n. 5142, 26 novembre 1977, n. 5175, 12 dicembre 1977, n. 5392, 15 febbraio 1979, n. 996, 22 febbraio 1979, n. 1139, 12 aprile 1979, n. 2167 - che richiama proprio l'art. 24 della Costituzione per affermare la validita' della notificazione -, 9 maggio 1979, n. 2641, 11 maggio 1979, n. 2689, 11 febbraio 1980, n. 941, 10 gennaio 1981, n. 217 - che pone l'accento sul fatto che gli eventi "non hanno prodotto effetti interruttivi per una scelta del soggetto abilitato a farli valere" -, 25 novembre 1982, n. 6400, 27 aprile 1983, n. 2890, 21 giugno 1984, n. 3671, 5 luglio 1984, n. 3929, 27 luglio 1984, n. 4474, 9 marzo 1987, n. 2435, 17 luglio 1991, n. 7929 - per la quale la rilevanza dell'evento morte e' correlata alla scelta eseguita dalla parte che ha proceduto alla notifica, secondo la facolta' concessagli dagli artt. 285 e 286 del cod. proc. civ. - 16 luglio 1992, n. 8616 - con riferimento ad una fattispecie di sopravvenuto fallimento - seguita peraltro da 13 ottobre 1992, n. 11168); b) gli eventi anzidetti, esaurita la fase processuale conclusasi con la sentenza, automaticamente interrompono il processo, nonostante la presenza di un procuratore gia' costituito per la parte che ha subito l'evento (Cass. 28 luglio 1951, n. 2190, 12 marzo 1966, n. 717, 6 giugno 1972, n. 1745, 27 marzo 1976, n. 1107, 23 luglio 1976, n. 2956, 9 ottobre 1977, n. 4476, 6 dicembre 1977, n. 5277, 4 maggio 1982, n. 2765, 13 luglio 1982, n. 4119, 15 febbraio 1985, n. 1317 - per la quale con la morte il rapporto di rappresentanza si estingue, e "la residua abilitazione del procuratore del defunto costituito in primo grado e' rigorosamente delimitata: egli e' valido destinatario della notificazione effettuata dalla controparte la quale incolpevolmente ignori l'evento, oppure puo' costituirsi in giudizio per dichiarare o notificare alla controparte la morte del suo rappresentato" - cfr. altresi', per la inamissibilita' della notificazione della sentenza e dell'appello proposto dal procuratore della parte deceduta: Cass. 29 aprile 1959, n. 1284, 21 gennaio 1971, n. 131, 19 dicembre 1978, n. 6096, 18 giugno 1980, n. 3888 - per la quale la costituzione degli eredi, se con determinati contenuti ed entro i termini, puo' valere come autonoma impugnazione -, 5 aprile 1984, n. 2213, 8 agosto 1985, n. 4393); la notificazione dell'impugnazione effettuata alla parte deceduta, anziche' agli eredi, dalla parte edotta dell'evento, e' affetta da nullita' assoluta rilevabile di ufficio (S.U. 21 luglio 1978, n. 3630, Cass. 2 aprile 1981, n. 1865, 27 aprile 1983, n. 2881, 21 febbraio 1989, n. 989 - "non si tratta di nullita' della notificazione, ma di errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius" -, 11 maggio 1991, n. 5292, 8 giugno 1992, n. 7045; cfr. altresi' le di seguito richiamate sentenze 19 ottobre 1977, n. 4476, 18 giugno 1980, n. 3888, 13 luglio 1982, n. 4119, 18 gennaio 1984, n. 443, 29 novembre 1986, n. 7055, 25 giugno 1990, n. 6404); c) la parte che avrebbe dovuto ricevere la notificazione, e' ammessa a provare che l'errore era dovuto ad ignoranza (in) colpevole (Cass. 18 novembre 1964, n. 2753, 10 febbraio 1968, n. 452, 5 dicembre 1968, n. 3895, 9 ottobre 1969, n. 3240, 16 ottobre 1969, n. 3352, 2 marzo 1970, n. 502, 22 ottobre 1971, n. 2977, 23 maggio 1992, n. 1605, 9 aprile 1974, n. 989, 7 ottobre 1974, n. 2639 - la sentenza era stata notificata al soccombente dall'"unico erede" della parte vittoriosa deceduta -, 13 marzo 1975, n. 951, in un caso di litisconsorzio necessario; in genere per le esigenze di tutela della buona fede dell'impugnante che versi in non colpevole ignoranza del decesso dell'altra parte, oltre alla piu' volte richiamata S.U. n. 2360 del 1978, cfr. Cass. 15 giugno 1977, n. 2495, 5 settembre 1977, n. 3877, 15 aprile 1980, n. 2452, 22 aprile 1981, n. 2349, 13 luglio 1982, n. 4119. Per un singolare caso di omonimia tra parte deceduta nel corso del giudizio di primo grado ed erede costituitosi in appello, cfr. Cass. 14 febbraio 1975, n. 579); d) la prova in ordine alla giustificabilita' dell'errore e' posta a carico della parte che procede alla notifica (Cass. 28 aprile 1956, n. 1305, 19 luglio 1957, n. 3048, 10 ottobre 1958, n. 3194, 29 aprile 1959, n. 1294, 7 agosto 1963, n. 2220, 8 luglio 1965, n. 1424, 23 maggio 1972, n. 1605, 21 aprile 1975, n. 1531, 5 aprile 1976, n. 1176, 15 gennaio 1982, n. 256; da ricordare, per una fattispecie nella quale la sentenza era stata notificata "a richiesta" della parte deceduta, e la morte non era stata dichiarata neppure in sede di notificazione dell'impugnazione Cass. 26 giugno 1976, n. 2420). Esattamente negli stessi termini di cui al presente ricorso, in una fattispecie nella quale parimenti si versava in ipotesi di notificazione dell'impugnazione al procuratore della parte morta dopo la pubblicazione della sentenza, ma prima del decorso dei sei mesi di cui all'ultimo comma dell'art. 238 del cod. proc. civ., questo supremo collegio ha recentemente ritenuto (Cass. 9 luglio 1992, n. 8347; cfr., peraltro, anche la su richiamata sent. n. 7929 del 1991), dopo una approfondita analisi delle tre diverse fasi: ( a) tra la costituzione in giudizio e la chiusura della discussione; b) dopo la chiusura della discussione, ma prima della notificazione (o del deposito) della sentenza; c) durante la decorrenza del termine per impugnare) nelle quali puo' cadere l'evento morte, che occorresse distinguere, nella terza ipotesi, a seconda che si tratti di termine breve (art. 325 del cod. prod. civ.) o del termine annuale di decadenza (art. 327 del cod. prod. civ.), dovendo applicarsi l'art. 328 del cod. proc. civ. ad entrambe le ipotesi. Il termine breve e' interrotto ed il nuovo termine prendera' a decorrere solo se, e da quando, la notificazione della sentenza sia rinnovata agli eredi della parte defunta o da parte degli stessi: la norma, infatti, ha valore sia nel caso che gli eredi siano destinatari della impugnazione, sia che ne siano autori (Cass. 22 dicembre 1987, n. 9571). Quanto al termine annuale, occorre distinguere a seconda che l'evento si verifichi nel secondo semestre, nel qual caso il termine stesso e' prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento (Cass. 8 agosto 1985, n. 4393), oppure nel primo semestre, "nel qual caso non si produce alcuna conseguenza". Si confermava in tale occasione che "non e' possibile prescindere dalla nuova situazione soggettiva determinatasi riguardo a qualcuna delle parti" (Cass. 29 novembre 1986, n. 7055, 25 giugno 1990, n. 6404, 11 maggio 1991, n. 5292; cfr. anche Cass. 18 gennaio 1984, n. 443, e soprattutto 29 novembre 1971, n. 3474, per la quale "nell'ipotesi dell'art. 328 del cod. proc. civ., non sussiste l'onere di cui all'art. 300 del cod. proc. civ., cioe' della notificazione o della comunicazione dell'evento interruttivo, si da potersi considerare, in caso di inadempimento del predetto onere, come non avvenuto, agli effetti processuali, l'evento stesso"). Soggiungeva la su richiamata sentenza n. 6404: "Tale principio, secondo le sezioni unite (sentenza 21 febbraio 1984, n. 1228: cfr. anche le coeve numeri 1229, 1230 e 1231) solo parzialmente affermato dall'art. 286 del cod. proc. civ., che lo esprime in termini di facoltativita' (anche se non mancano altre sentenze come la n. 30 del 1974 che ridimensionano l'accennato elemento letterale dell'art. 286, ritenendo che essa ceda al piu' generale principio desumibile dell'art. 328 del cod. proc. civ.), trova pieno riscontro, appunto, nell'art. 328, essendo evidente, in caso di termine breve, che la rinnovazione della notificazione e' funzionale e che l'impugnazione di svolga contro i (o per iniziativa dei) soggetti reali del processo (nell'ipotesi di morte della parte, gli eredi di essa); e, in caso di termine lungo, che la diversificata disciplina, sopra descritta, e' funzionale e che, dopo l'evento, rimanga un periodo comunque non inferiore a sei mesi perche' l'impugnazione possa essere proposta da, o contro, i nuovi soggetti reali del processo, in armonia con l'autorevole insegnamento secondo cui, chiusosi il grado con la fine della udienza di discussione, le parti ritornano nella situazione di dover conoscere la posizione di colui con il quale intendono contrarre il rapporto processuale, non diversamente da quando ancora doveva proporsi la domanda". Soggiungeva la motivazione della cennata sentenza che il secondo comma dell'art. 330 del cod. proc. civ. "per il quale l'impugnazione puo' essere notificata agli eredi della parte, deceduta dopo la notificazione della sentenza, presso il procuratore costituito per la parte stessa nel pregresso grado di giudizio, tale norma non esprime(ndo) una nuova manifestazione di ultrattivita' della procura, (ma) semplicemente identificando, attraverso il rinvio al precedente comma, uno dei luoghi in cui la notificazione dell'impugnazione e' eseguibile" (cfr. anche Cass. 4 agosto 1977, n. 3505). In sostanza si confermava (piu' recentemente: Cass. 19 ottobre 1977, n. 4476, 18 giugno 1980, n. 3888, 13 luglio 1982, n. 4119 - per la quale la costituzione degli eredi al solo fine di sostenere l'inammissibilita' dell'impugnazione, non ha effetto sanante -, 18 gennaio 1984, n. 443) l'autorevole dottrina, secondo la quale "irrilevante e' (che) alcuno degli eventi menzionati dall'art. 299 nel corso del termine annuale di decadenza, se verificatosi nei primi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza", conseguendone la inammissibilita' della impugnazione, per nullita' della notificazione al procuratore che ha rappresentato la parte deceduta, essendo irrilevante, a questi fini, la ignoranza incolpevole della controparte. D'altra parte non si dubita che i luoghi nei quali, ai sensi del primo comma dell'art. 330 del cod. proc. civ. deve essere notificata la impugnazione, sono identificati dal legislatore con riguardo alla presunzione che "detti luoghi siano quelli piu' idonei ad assicurare che il destinatario venga a conoscenza dell'atto notificatogli" (Cass. 28 luglio 1980, n. 4863); e cio', peraltro, trattandosi del luogo eletto da una parte successivamente deceduta, non appare piu' altrettanto plausibile rispetto agli eredi dello stesso. Puo' pertanto ritenersi essere questo il diritto "vivente" applicabile alla fattispecie, tenuto conto della sostanziale concordanza della giurisprudenza, almeno negli ultimi anni e per un tempo sufficientemente potratto. In realta' la disciplina che risulta da siffatta interpretazione, ed in particolare dalla necessita' di tenere conto della modificazione soggettiva ove il decesso intervenga dopo la pubblicazione della sentenza, si pone in termini rispetto ai quali non e' manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. Da ricordare che ormai da molti anni la dottrina invoca la sottoposizione della questione allo scrutinio della Corte delle leggi, proprio per sospetta violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Ed invero, posto che la parte soccombente ignora l'avvenuto decesso della parte vittoriosa, non ha altra possibilita', durante il decorso del termine annuale, che notificare la impugnazione a quello che le risulta essere il procuratore della parte stessa al domicilio eletto. Ben puo' accadere, e per ragioni diverse (ignoranza dell'evento o dell'esistenza degli eredi, sedi tra loro distanti, callidita' processuale - la su richiamata sentenza n. 3482 del 1968, al riguardo ritiene che il procuratore "non e' vincolato ad alcun termine per fare tale dichiarazione, poiche' la legge gli attribuisce la facolta', come dominus della lite, di valutare l'oppotunita' nell'interesse della parte che rappresenta, di portare o meno alla legale conoscenza del giudice e della controparte la notizia dell'evento idoneo a produrre l'intererruzione del processo", ecc.), che il procuratore, gia' domiciliatario della parte deceduta, nulla dica in sede di ricezione della notificazione dell'impugnazione, e che la parte appellante nulla sappia, ne' sia in grado di sapere, in ordine alla mutata situazione (cosi' come nel caso che ne occupa), e, pertanto, essendo priva di efficacia la notificazione della impugnazione effettuata, che il termine annuale di decadenza decorra, per quanto lo concerne, del tutto incolpevolmente con pregiudizio del suo diritto di difesa (donde l'evidente interesse del procuratore della parte deceduta e vittoriosa in primo grado, a tacere l'evento; soprattutto ove si consideri quanto affermato dalla su richiamata sentenza n. 3474 del 1971 in ordine alla insussistenza di un onere di comunicazione o notificazione dell'evento interruttivo). Ne' e' possibile, come prospettato dalla su richiamata sentenza n. 4393 del 1985, affermare che in realta' "chiusosi il grado con la fine della udienza di discussione, le parti ritornano nella situazione di dover conoscere la posizione di colui con il quale intendono contrarre il rapporto processuale, non diversamente da quando ancora doveva proporsi la domanda": la differenza, infatti, discende dalla circostanza che al momento di produrre la domanda, incombe all'attore o al ricorrente esattamente identificare il destinatario, ma non si verifica in caso di errore alcuna decadenza (cfr. su richiamata sentenza n. 30 del 1974), rientrando l'azionabilita' negli ordinari termini di prescrizione; diversamente, nel caso dell'appellante, proprio per essergli nota la parte vittoriosa ed il suo rappresentante domiciliatario (ed aver conseguentemente indirizzato ivi la notificazione dell'impugnazione), la mancata proposizione del gravame nei confronti degli eredi entro un determinato termine (ignorando la apertura della successione e la loro esistenza, ed anzi dovendo escluderla, alla stregua della relata alla notificazione "a mani proprie" dell'atto di impugnazione), provoca la decadenza della facolta' di impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza; inoltre, nell'ambito del processo, il domicilio eletto e il procuratore legale, gli erano noti ed e' appunto la sede ove indirizza la notificazione dell'impugnazione. La decadenza - la quale, come noto, per sua natura e' insensibile all'elemento psicologico (cfr., ad es., Cass. 23 giugno 1969, n. 2260, e, piu' recentemente, 6 dicembre 1988, n. 6666) -, nel caso che ne occupa, si verifica magrado che, per quanto a lui noto, egli abbia gia' manifestato, e dal suo punto di vista del tutto validamente, la volonta' di impugnare, cioe' di impedire il passaggio in giudicato della sentenza. A parte la irrilevanza, al fini che qui interessano, non e' possibile neppure ipotizzare una astratta responsabilita' del domiciliatario (in questo senso, ma non esplicitamente, sembrerebbe Cass. n. 4119 del 1982 su richiamata), se non altro perche' la ricezione potrebbe essere avvenuta senza alcuna consapevolezza del decesso nel frattempo intervenuto; ne' e' configurabile un obbligo processuale del procuratore (a seguito della morte della parte, viene meno la procura, tanto che egli non potrebbe validamente notificare la sentenza: Cass. 27 marzo 1976, n. 1107; non si tratta di un dovere, ma di un diritto potestativo processuale del procuratore costituito: Cass. 14 gennaio 1987, n. 204), di rendere edotto l'ufficiale giudiziario dell'avvenuto decesso del gia' rappresentato, poiche' - a parte la difficolta' di accertare la consapevolezza - tale obbligo, insussistente in ambito processuale, come si e' visto; dovrebbe configurarsi nei confronti degli eredi, con i quali egli non ha alcun rapporto. Del pari, non e' neppure possibile ipotizzare un'automatica efficacia della notificazione della impugnazione nei confronti degli eredi della parte costituita e deceduta, posto che gli stessi potrebbero non venire informati, o essere informati con ritardo pregiudizievole, della pendente impugnazione. Tanto piu' evidente appare cio', ove si ponga mente alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 3 marzo 1986 la' dove, con riferimento al difensore, si e' ritenuto che "non contribuisce alla difesa del cliente in misura minore dell'attivita' della parte stessa": e ancor piu' ove si consideri la ratio che ha presidiato la sentenza 12 dicembre 1967 n. 139 della Corte costituzionale, soprattutto ove e' affermato: "Ne' giova richiamarsi ad una pretesa congruita' dello spatium deliberandi, perche' non si tratta di valutare l'opportunita' di fissare un termine per il compimento di un atto e della discrezionalita' usata per fissarne i limiti, ma di giudicare della legittimita' del criterio adottato per la decorrenza del termine ove questo cominci a decorrere dalla data di un evento di cui il soggetto non e' messo in condizione di conoscere l'avverarsi. Trattandosi di termini processuali, viene percio' in considerazione il diritto di difesa, che comporta anche l'esigenza della conoscenza delle situazioni di fatto obbiettive e subiettive cui la legge ricollega, condiziona e subordina, in virtu' di oneri, preclusioni o decadenze, il concreto esercizio del diritto stesso" (cfr. anche Cass. 17 giugno 1968 n. 1943 e 23 luglio 1976 n. 2956). Tali principi erano poi confermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze 26 febbraio 1970, n. 34 e 28 giugno 1971, n. 159. Nella prima di dette sentenze si rilevava come fosse contrario alla possibilita' di difesa dei diritti, lasciare che la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione di nuova udienza (art. 297, primo comma, del cod. proc. civ.) si computasse dalla cessazione della causa di sospensione, anziche' dalla conoscenza che ne abbiano le parti: cio' in quanto si tratta di fatti che, in ipotesi non eccezionali ne' rare, non sono conosciuti dalle parti del processo, non solo quando si verificano, ma neppure successivamente, ovvero "sono conoscibili solo con l'impiego di una diligenza piu' che normale". Quanto alla successiva sentenza n. 159 del 1971, in quest'ultima sentenza, in particolare, si dichiarava contrario all'art. 24 della Costituzione l'art. 305 del cod. proc. civ. nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell'art. 299 dello stesso codice, decorre dall'interruzione, anziche' dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza. In motivazione, anzi, era detto testualmente: "nell'ipotesi di morte della parte (prima della costituzione, ed il discorso vale, con i necessari adattamenti, per le rimanenti ipotesi), l'estinzione del processo puo' essere impedita mediante la prosecuzione o riassunzione dello stesso. Si presuppone, cosi', che l'evento interruttivo sia tempestivamente conosciuto dagli eredi della parte deceduta o dalla controparte, e che, quindi, gli uni o l'altra siano in condizione di attendere con diligenza alla tutela dei rispettivi diritti ed interessi. Qualora, pero', detti soggetti, in fatto, non vengano tempestivamente a conoscenza di quell'evento, nulla gli stessi possono fare per impedire il prodursi dell'effetto estintivo". Questa sentenza, tra l'altro, esaminava anche un aspetto che non riguarda questo procedimento, ma che e' rilevante quanto meno in relazione alla possibilita' che la Corte delle leggi intenda valersi dei suoi poteri di sindacato di ufficio (art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87), e, comunque, per i criteri di valutazione della legittimita' che risultano adottati: "gli eredi della parte deceduta, ad es. che non sappiano della morte del loro dante causa, non sono infatti posti in grado di far valere in giudizio le loro pretese". Da notare che la giurisprudenza (Cass. 10 dicembre 1979, n. 6378), a seguito della sentenza n. 159 del 1971, riteneva, in applicazione del testo risultante dall'art. 305 del cod. proc. civ., il termine sospeso a favore delle altre parti "fino a quando le stesse non abbiano avuto conoscenza di detto evento": e' evidente la disparita' di trattamento che residua rispetto all'evento morte della parte vittoriosa. Infine, recentemente, la Corte costituzionale (sent. n. 1110 del 20 dicembre 1988) ha escluso, ma con riguardo agli eredi della parte deceduta, la possibilita' di un intervento addittivo, pur ribadendo che "e' comunque di peculiare evidenza, che occorre una nuova e specifica disciplina normativa che, inserita nel sistema del codice di rito, ponga rimedio alla diversita' di trattamento che attualmente riceve il ricorrente incidentale rispetto al ricorrente principale, nei casi in cui si verifichi uno degli eventi di cui all'art. 299 del cod. proc. civ., tra cui la morte dello stesso ricorrente incidentale, ed appresti, tra i vari meccanismi possibili, quello ritenuto piu' idoneo a superare le difficolta' in cui possono trovarsi gli eredi, in modo che, con eguale trattamento, sia ad essi garantita la piena tutela del diritto di cui sono divenuti titolari per la morte del de cuius", il che, come evidente, vale anche con riferimento all'interesse alla impugnazione che derivi dalla impugnativa dell'altra parte. Tale intervento legislativo non vi e' stato, e pertanto permane nei diversi aspetti degli effetti processuali della morte di una delle parti, ignorata dall'altra - o, come si e' visto, dagli stessi eredi -, una compromissione del diritto di difesa delle parti ignare dell'avvenuto decesso. A conclusioni non dissimili si perviene anche tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale n. 136 del 27 marzo 1992, che solo apparentemente sembra contenere principi diversi: si deve infatti tenere conto del fatto che questa sentenza si riferisce ad una fattispecie del tutto diversa, trattandosi di perdita della capacita' (per fallimento) della parte costituita, ma in corso di giudizio, e non successivamente alla pubblicazione della sentenza, ed in relazione alla notificazione della impugnazione. Si e' infatti gia' avuto modo di confermare come la disciplina predisposta dal legislatore per la morte o la perdita della capacita', non sia riconducibile, nelle diverse fasi processuali, ad una unitarieta' di principi, essendo invece informata ad esigenze contingenti, connesse con la agevolazione dell'iter procedimentale. Cio' vale del pari in relazione alla sentenza 5 agosto 1993, n. 8553, della 1a sezione di questa suprema Corte, in quanto la fattispecie, ivi esaminata, non attiene alla individuazione del destinatario della impugnazione ed alla notificazione della stessa, ma alla notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione. Alla stregua delle svolte considerazioni, che, almeno in parte, pur riguardando norme diverse, si svolgono secondo criteri e principi applicabili anche alla disciplina che interessa questo giudizio, sempre che la delineata disciplina non garantisca in modo regolare e normale la possibilita' di reintegrare il contraddittorio, e, soprattutto, non assicuri il diritto di difesa in modo affettivo ed adeguato, nel rispetto del principio di uguaglianza: non appare, pertanto, del tutto infondato il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 328 del cod. proc. civ., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in relazione al decreto verificatosi durante i primi sei mesi del decorso del termine annuale di cui all'art. 327 del cod. proc. civ., non prevede la automatica interruzione del processo nel caso che il procuratore della parte deceduta successivamente alla pubblicazione della sentenza, all'atto della ricezione della notificazione dell'impugnazione dell'altra parte, ometta di dichiarare l'avvenuto decesso; ovvero, con riferimento all'art. 325 del cod. proc. civ., non prevede che, nel caso anzidetto, il termine annuale di decadenza decorra soltanto dal momento in cui sia conosciuto l'avvenuto decesso. Cio', indipendentemente dal fatto che la Corte costituzionale possa eventualmente avvalersi dei suoi poteri di sindacato di ufficio (art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della legittimita' della disciplina esistente in relazione alla morte di una parte successivamente alla pubblicazione della sentenza (in particolare con riguardo all'art. 327 ed allo stesso art. 328 del cod. proc. civ. nella cennata ipotesi di decesso avvenuto dopo sei mesi, soprattutto alla stregua della motivazione della sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984, di questo supremo collegio), ed anche tenuto delle sue precedenti pronunce su richiamate, in quanto appare possibile un suo intervento interpretativo di accoglimento, in una formulazione tale da impedire che, per effetto dell'assetto legislativo della materia, si verifichi una incolpevole perdita del diritto di difesa consistente nella decadenza dal diritto di impugnazione, pur in presenza di una volonta' di gravare la decisione sfavorevole, manifestata tempestivamente e ritualmente (almeno alla stregua di quanto noto e conoscibile dalla parte nel processo). Consegue a quanto esposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, previ gli incombenti di cancelleria precisati in dispositivo.
P. Q. M. Ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 328 del cod. proc. civ. in relazione all'art. 24, secondo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordine che, a cura della cancelleria, la ordinanza di trasmissione degli atti della Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa ed al Procuratore Generale presso la Corte suprema di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma il 7 giugno 1994. Il presidente: DONNARUMMA 94C1244