N. 704 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 1993- 12 novembre 1994
N. 704 Ordinanza emessa il 13 dicembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 12 novembre 1994) dal tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento civile vertente tra soc. Anonima Siciliana per irrigazioni e Ministero dei lavori pubblici ed altri. Giustizia amministrativa - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Impugnabilita' delle decisioni di carattere giurisdizionale di detto tribunale, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, innanzi alle sezioni unite oltre che per motivi attinenti alla giurisdizione, anche per violazione di legge - Mancata previsione dell'impugnabilita' per soli motivi attinenti alla giurisdizione, come previsto per le pronunce del Consiglio di Stato - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee, attesa la stessa natura di giudici amministrativi e non di giudici speciali del Consiglio di Stato e del Tribunale superiore delle acque - Contrasto col principio dell'ordinamento binario della giurisdizione, basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e con i limiti attribuiti alla potesta' giurisdizionale della Corte di cassazione, che e' giudice di legittimita' e non di merito - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 40/1958 e 42/1991. (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 201). (Cost., artt. 3, 103, 111 e 113).(GU n.49 del 30-11-1994 )
TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa in sede di legittimita' ed in sede di giudizio di rinvio, iscritta al n. 46 del ruolo dell'anno 1993, vertente tra la societa' Anonima Siciliana per irrigazioni (S.A.S.I.), con sede in Palermo, in persona del presidente Matteo Lo Bianco, rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto e Michele Conte, presso i quali e' elettivamente domiciliata in Roma, via E.Q. Visconti n. 99; ricorrente, contro il Ministero dei lavori pubblici e delle finanze, in persona dei rispettivi titolari, rappresentati e difesi dall'avvocatura generale dello Stato, con domicilio presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi n. 12; nonche' contro il comune di Palermo, in persona del commissario straordinario, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Antonelli Camposarcuno e Vito Lo Verde, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 24; resistenti, e nei confronti dell'ente di sviluppo agricolo di Palermo; non costituito in giudizio per l'annullamento del decreto del Ministero dei lavori pubblici, adottato, di concerto con quelle delle finanze, in data 21 gennaio 1989, n. 142. F A T T O Con R.D. 27 aprile 1924, n. 7039, venne rilasciata alla societa' Generale Elettrica della Sicilia (S.G.E.S.) (cui poi e' subentrato l'E.N.E.L.) la concessione di derivare, per la durata di anni 60, acqua dal fiume Belice, allo scopo di produrre energia elettrica nelle due centrali di Casuzze e di Villagrazia di Palermo, nonche' per la utilizzazione delle acque di scarico per la irrigazione di un vasto comprensorio. Con istanza del 24 luglio 1926, la S.G.E.S. e la societa' Anonima Siciliana Irrigazioni (S.A.S.I.) chiesero al Ministero dei lavori pubblici il nullaosta per il subingresso della seconda alla prima nella concessione per la parte relativa alla utilizzazione delle acque per fini irrigui. Con successiva istanza del 15 maggio 1936, esse chiesero che fosse loro autorizzato il trapasso della concessione delle acque utilizzate a valle del primo salto in contrada Casuzze sia per forza motrice che per uso irriguo, secondo quanto tra loro pattuito con atto notarile del giorno precedente. Con istanza del 6 febbraio 1937, la S.A.S.I. chiese che le venissero concesse in sanatoria alcune varianti per una migliore utilizzazione delle acque irrigue. Nessuno dei procedimenti veniva portato a compimento, sebbene nel frattempo la S.A.S.I. avesse, anche con il contributo dello Stato, realizzate alcune opere di derivazione ed esercitato di fatto la utenza con la creazione di una efficiente rete irrigua. Approssimandosi la data 26 aprile 1984 di scadenza della concessione intestata alla S.G.E.S. e per essa all'E.N.E.L., la S.A.S.I. chiedeva, con istanza del 29 novembre 1983, il rinnovo della concessione stessa a suo nome. L'Amministrazione dei lavori pubblici ometteva di provvedere e nel frattempo, con istanze del 16 marzo e del 6 dicembre 1984, il comune di Palermo e l'ente di sviluppo agricolo di Palermo presentavano domande di concessione delle stesse acque. Con ricorso a questo tribunale, previa diffida ad adempiere notificata il 27 settembre 1984, la S.A.S.I. impugnava il silenzio rifiuto formatosi sulle proprie istanze suindicate del 15 maggio 1936, del 6 febbraio 1937 e del 23 novembre 1983, che veniva dichiarato illegittimo con sentenza del 4 ottobre 1985, n. 69. Infine, con decreto 21 gennaio 1989, n. 142, adottato di concerto con quello delle finanze, il Ministero dei lavori pubblici rigettava tutte le ricordate istanze e disponeva, ai sensi dell'art. 28 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775 il passaggio in proprieta' dello Stato di tutte le opere realizzate dalla S.A.S.I. per l'esercizio in via di fatto dell'utenza. Si riservava di provvedere a parte sulla istanza subordinata della medesima S.A.S.I. per una nuova concessione insieme alle domande avanzate dal comune di Palermo e dall'Ente sviluppo agricolo. La S.A.S.I. impugnava in questa sede il menzionato provvedimento ministeriale, deducendo i seguenti quattro motivi: 1) Violazione del principio generale dell'ammissibilita' di atti amministrativi retroattivi e violazione del giudicato derivante dalla sentenza di questo tribunale n. 69/1985, nonche' eccesso di potere per manifesta ingiustizia ed erroneita' della motivazione, in relazione all'assunto del provvedimento impugnato che non sarebbe stato possibile provvedere sulle domande a utenza scaduta. 2) Violazione, sotto altro profilo, dello stesso cennato principio e degli artt. 28 e 30 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, nonche' eccesso di potere per perplessita' ed erroneita' della motivazione, in relazione, anche qui, all'assunto del provvedimento impugnato dell'impossibilita' di attribuire a posteriori una condizione giuridica favorevole ad un soggetto, senza verificare le legittime aspettative dei terzi. 3) Illegittimita' derivata del provvedimento di diniego del rinnovo della concessione per effetto dei vizi del rigetto della iniziale domanda di subingresso della S.A.S.I. alla S.G.E.S. 4) Violazione degli artt. 28 e 30 dei citato testo unico n. 1775/1933, nonche' eccesso di potere per perplessita' e illogicita' della motivazione nel punto in cui il provvedimento dispone il passaggio senza indennizzo delle opere realizzate dalla S.A.S.I. allo Stato, una volta che la S.A.S.I. e' stata tenuta fuori dal rapporto di concessione dell'utenza di che trattasi. Con sentenza del 3 dicembre 1990, n. 86, questo tribunale annullava il provvedimento ministeriale, accogliendo il secondo dei riportati motivi di impugnazione e assorbendo gli altri tre. Senonche', con sentenza delle sezioni unite in data 5 febbraio 1993, n. 1457, la suprema Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso proposto dal comune di Palermo e dalle amministrazioni statali, ha cassato con rinvio la sentenza di questo tribunale. La suprema Corte ha, infatti, ritenuto erroneo l'assunto, su cui si fonda la sentenza cassata, che il Ministero dei lavori pubblici, una volta accertato giudizialmente, con la sentenza del 4 ottobre 1985, n. 69, la illegittimita' della sua ultraquarantennale omissione nel provvedere sulle istanze della S.A.S.I., sarebbe stato in obbligo di esaminare "ora per allora" le istanze stesse, con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della presentazione delle domande di nullaosta (1936) e di varianti in sanatoria (1937). Si sarebbe dovuto, viceversa, applicare il principio giurisprudenziale, secondo cui l'esame delle istanze rivolte alla pubblica amministrazione, dopo l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi su di esse, va condotto secondo la situazione di fatto e diritto esistente, non gia' al momento delle domande, ma a quello di notificazione della pronuncia di illegittimita' del silenzio. Di qui la riassunzione in questa sede della causa da parte della S.A.S.I. con atto del 10 maggio 1993, nel quale viene contestato il potere della Corte di cassazione di ritenersi competente a conoscere della impugnazione avverso le sentenze di tribunale per motivi diversi da quelli attinenti la giurisdizione. Con atti del 7 giugno e 2 luglio 1993, si sono costituiti anche in questa fase del giudizio il comune di Palermo e, col patrocinio dell'avvocatura generale dello Stato, il Ministero dei lavori pubblici e delle finanze, chiedendo il rigetto del ricorso. In data 3 dicembre 1993, la societa' ricorrente ha prodotto una memoria illustrativa. Con provvedimento del giudice delegato in data 7 giugno 1993 e' stata sospesa l'esecuzione del provvedimento ministeriale impugnato. D I R I T T O 1. - In via pregiudiziale va esaminata la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, secondo l'applicazione che ne fa la suprema Corte di cassazione. Invero, quest'ultima assume che l'impugnazione in cassazione delle sentenze del tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di giurisdizione amministrativa possa aver luogo, oltre che per motivi di giurisdizione, come stabilito dall'art. 201 citato, anche per violazione di legge, analogamente alle pronunce di tutti gli organi giurisdizionali speciali, ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione. Gran parte della dottrina ritiene, invece, che esse vadano impugnate in cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione, alla stessa stregua delle decisioni del consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 111, terzo comma, della Costituzione, perche' concernono la funzione giurisdizionale di legittimita' dell'azione amministrativa, sottratta, nell'ordinamento vigente, alla cognizione del giudice ordinario e sono, pertanto, conoscibili dalla Corte di cassazione esclusivamente nell'ambito del suo compito di regolatrice delle giurisdizioni. Nonostante la costante giurisprudenza al riguardo dalla suprema Corte, la questione non ha cessato di formare oggetto di dibattito ed essa viene ormai sollevata con sempre maggiore frequenza sia davanti alla stessa Corte di cassazione (vedi sentenze ss.uu. nn. 5888/1992 e 8348/1993) che davanti questo tribunale in sede di giudizio di rinvio (vedi anche i ricorsi n. 34/1993 e n. 109/1993). Il collegio ravvisa, pertanto, la necessita' di un intervento risolutivo della Corte costituzionale, anche nella prospettiva piu' generale di avviare in tal modo a chiarimento i problemi dell'esatta collocazione - nell'ambito degli organi giurisdizionali - del tribunale superiore delle acque in sede di legittimita' e della rispondenza o meno all'attuale sistema di giustizia amministrativa, nel quale e' stato introdotto il doppio grado di giudizio, delle sue pronunce in unico grado. E poiche' le ragioni che militano a favore della tesi dottrinaria non appaiono manifestamente infondate, il collegio ritiene di dover rimettere d'ufficio alla Corte costituzionale la questione della corretta applicazione dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione all'art. 111 della Costituzione. 2. - Cio' premesso in via generale, sul tema possono essere svolte in particolare le seguenti considerazioni. L'art. 201 del testo unico n. 1775/1933 stabilisce che "contro le decisioni del tribunale superiore delle acque pubbliche nelle materie contemplate nell'art. 143 (cioe' in sede di giurisdizione amministrativa) e' ammesso il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione soltanto per incompetenza o eccesso di potere a termini dell'art. 3 della legge 31 marzo 1877, n. 3761", ossia, secondo la formula usata poi nell'art. 362 del cod. proc. civ., per motivi attinenti alla giurisdizione. La disposizione era analoga a quella prevista per le decisioni del consiglio di Stato dall'art. 48 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1954. E' entrata poi in vigore la Carta costituzionale, il cui art. 111 dispone che "contro le sentenze .. pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e' sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge .. (secondo comma) e che "contro le decisioni del consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione e' ammesso per soli motivi inerenti alla giurisdizione" (terzo comma). La suprema Corte ha ritenuto che, in applicazione del secondo comma della norma costituzionale, le sentenze del tribunale superiore delle acque in sede di giurisdizione anministrativa siano impugnabili in cassazione, oltre che per motivi inerenti alla giurisdizione, anche per violazione di legge, analogamente alle decisioni di tutti gli altri organi giurisdizionali speciali. Richiamandosi poi al tenore letterale del terzo comma, che nell'indicare i provvedimenti giurisdizionali avverso i quali e' ammesso il ricorso in cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione menziona esclusivamente le decisioni del consiglio di Stato e della Corte dei conti, ha escluso che la norma potesse riguardare anche le decisioni del tribunale superiore delle acque nella sede di cognizione diretta (Cass. ss.uu. 13 luglio 1951, n. 1948; 14 agosto 1951, n. 2518; 7 agosto 1953, n. 2675; 19 gennaio 1954, n. 91; 22 giugno 1955, n. 1933; 21 gennaio 1957, n. 195; 9 marzo 1965, n. 378; 2 febbraio 1973, n. 311; 8 novembre 1976, n. 4076; 21 novembre 1986, n. 6839). La Corte suprema ha in tal modo ritenuto, per un verso, che l'art. 201 del testo unico n. 1775 del 1933 sia stato abrogato dall'art. 111 della Costituzione o quanto meno necessiti d'essere integrato dalla norma costituzionale, e, per l'altro, che sia irrilevante la circostanza che il tribunale superiore abbia sostituito nella materia delle acque il consiglio di Stato e che le sue decisioni siano del tutto simili a quelle di quest'ultimo. Alla stregua, inoltre, della giurisprudenza della medesima Corte di cassazione, secondo cui per violazione di legge deve intendersi la violazione di ogni norma, tanto sostanziale quanto processuale, ivi compresi i vizi della motivazione, di cui all'art. 360, n. 5 del cod. proc. civ. (salvo le indicazioni contenute nella sentenza delle sezioni unite 11 febbraio 1992, n. 5888), il sistema processuale delineato dagli artt. 200 e 201 del testo unico n. 1775/1933 e' risultato modificato e parificato per tutte le sentenze del tribunale superiore delle acque pronunciate sia in grado di appello che in unico grado. Da ultimo, puo' essere ricordata la sentenza delle sezioni unite 6 luglio 1993, n. 8348. Ora il collegio ritiene che la configurazione delineata dalla Corte di cassazione non sia conforme all'art. 111, terzo comma, della Costituzione, e che l'eccezione stabilita per le decisioni del consiglio di Stato sia riferibile anche a quelle del tribunale superiore delle acque in sede di legittimita'. Invero, quest'ultimo, che ha sostituito il consiglio di Stato nella materia delle acque pubbliche, ha una giurisdizione generale di legittimita', come il consiglio di Stato, con gli stessi poteri e gli stessi limiti: puo' annullare gli atti amministrativi e anche modificarli (art. 198 del testo unico n. 1775/1933); non puo' emanare decisioni di condanna, se non per quanto riguarda le spese di giudizio. Gli stessi principi che valgono per i giudizi innanzi al consiglio di Stato reggono anche lo svolgimento dei giudizi innanzi al tribunale superiore; dopo la sentenza della Corte costituzionale 31 gennaio 1991, n. 42 e' stato anche eliminato il presupposto processuale della definitivita' dell'atto impugnabile avanti al tribunale superiore, come per il ricorso giurisdizionale avanti ai tribunali amministrativi regionali. I vizi di legittimita' sono gli stessi che la giurisprudenza amministrativa ha eleborato, specie per la figura dell'eccesso di potere nei suoi vari profili. Allo stesso regime di impugnazione erano sottoposte, come si e' visto, prima delll'entrata in vigore del testo costituzionale, sia le pronunce del tribunale superiore delle acque che del consiglio di Stato. Orbene, si ritiene che tale identita' di principi e regole non sia stata alterata dall'art. 111 della Costituzione, nel senso che esso avrebbe modificato le precedenti disposizioni sulla impugnazione delle sentenze del tribunale superiore delle acque, mentre le avrebbe lasciate integre per le decisioni del consiglio di Stato, con la conseguenza che decisioni, aventi il medesimo oggetto, e cioe' pronunce su ricorsi contro atti amministrativi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge a tutela di interessi legittimi, sarebbero soggette a un sistema diverso di impugnazione: una volta sarebbero soggette al solo ricorso per motivi attinenti allla giurisdizione, altra volta al ricorso anche per violazione di legge. L'eccezione riservata dall'art. 11, terzo comma, della Costituzione alle decisioni del consiglio di Stato trova sostegno - come emerge anche dai lavori preparatori del testo costituzionale (resoconto dell'assemblea costituente del 27 novembre 1947, pagina 2593) - non gia' in ragioni subiettive per un particolare riguardo al consiglio di Stato, ma nel sistema generale della giustizia amministrativa, secondo il quale la tutela degli interessi legittimi costituisce materia del tutto fuori dal campo dell'Autorita' giudiziaria ordinaria. Ne consegue che l'eccezione, avendo la sua ragione d'essere nel carattere delle funzioni giurisdizionali, che sono esercitate dal consiglio di Stato, non puo' logicamente che riguardare anche il tribunale superiore delle acque, che esercita ugualmente quelle funzioni. Il diverso assunto derivante da una interpretazione meramente letterale della norma costituzionale porta alla conclusione che la Corte di cassazione possa essere investita da quella particolare competenza di merito, che e' necessaria per la verifica della legittimita' amministrativa, nell'ambito dell'eccesso di potere, nonche' della facolta' di sindacato e di emissione dei provvedimenti interinali, quali la sospensione dell'esecutivita' dell'atto amministrativo, la nomina del commissario ad acta per le ordinanze di sospensione del provvedimento negativo e la stessa istruttoria, che e' necessaria, ancorche' con i tipici limiti, avanti al giudice amministrativo. Non invano il nostro ordinamento, anche dopo la istituzione dei tribunali amministrativi regionali, assegna al supremo organo amministrativo, che e' il consiglio di Stato, il potere di un esame di merito. D'altra parte, una potesta' limitata al controllo di legittimita' non puo' essere esercitata su di un giudizio di legittimita' senza identificarsi in un gravame, cioe' in un appello; il controllo di mera legittimita' della suprema Corte sulla pronuncia del giudice civile in tanto e' possibile in quanto si opera una scissione fra fatto e diritto, ma in un giudizio di legittimita' sulla legittimita' questa scissione non ha contenuto. Da questo profilo, inoltre, la estensione dell'eccezione, di cui al terzo comma dell'art. 111 della Costituzione, alle pronunzie del tribunale superiore non comporta che tale estensione debba essere operata a favore di tutte le giurisdizioni amministrative speciali, perche' il tribunale superiore, avendo sostituito il consiglio di Stato, con la stessa funzione e gli stessi poteri gia' assegnati alla quinta sezione, ha una posizione chiara rispetto ad altri giudici speciali, che non rientrano nel complesso degli organi di giurisdizione amministrativa, che fanno capo al consiglio di Stato. Rispetto a questi ultimi il discorso richiederebbe la trattazione della piu' ampia questione relativa alla impugnabilita' avanti alla Corte di cassazione anche delle loro pronunce. Il collegio si limita ad osservare che eventuali equivoci possono derivare dall'uso dei termini "giudice amministrativo" e "giudice o giurisdizione speciale", che e' promiscuo nella pratica, ma che non appare corretto in dottrina, come e' stato piu' volte notato. Si deve, infatti, considerare che la giurisdizione e' basata su un sistema binario, nel quale coesistono due ordini di giudici, il giudice dei diritti soggettivi ed il giudice degli interessi legittimi, e nel quale, quindi, la magistratura amministrativa, lungi dall'essere una magistratura speciale, e' la magistratura "ordinaria" degli interessi legittimi. Vero e' che fra le due giurisdizioni vi sono momenti di comunione per l'esistenza di casi (che sono pero' tassativi), in cui al giudice amministrativo e attribuita la cognizione di diritti soggettivi (giurisdizione esclusiva) e al giudice ordinario, indipendentemente dal potere di disapplicazione, e' riconosciuto il potere di annullare o riformare l'atto amministrativo (in materia di stato civile, di sanzioni depenalizzate, tributaria ed elettorale). Tuttavia, la concessione di tali poteri non muta la natura rispettivamente amministrativa o civile del giudice, ne' lo trasforma in un giudice speciale. Ora, alla stregua di cio', non dovrebbe esservi dubbio che, almeno, il tribunale superiore delle acque pubbliche, in sede di legittimita', debba essere collocato nell'ordine della magistratura ordinaria amministrativa, e non possa essere considerato giudice speciale. D'altronde, quanto a tale qualificazione allargando il discorso, il tutto si incentra nella individuazione dei segni distintivi di essa, ai sensi dell'art. 102, secondo comma della Costituzione e sul suo riverbero - per quello che qui interessa - sull'interpretazione del successivo art. 111. Escluso, per le ragioni gia' viste, che il giudice amministrativo sia giudice speciale, e' anche da escludere che possa considerarsi speciale qualsiasi giudice che venga istituito nella dinamica dell'ordinamento, certamente non calcificato a tipologie determinate ne' per quel che attiene alla perennita' di esse nel tempo, ne' per quel che riguarda la distribuzione fra i giudici delle diverse materie. (v. Corte costituzionale 14 gennaio 1986, n. 4). Nel significato letterale del vocabolo, ogni giudice e' speciale rispetto ad altro giudice, altrimenti da questo non potrebbe distinguersi: muta il nome e la composizione (pretore, tribunale, Corte d'assise ecc.), la competenza (esclusiva o meno, per materia e valore, oltreche' per territorio), che da' la misura della giurisdizione (di legittimita' o di merito), e la particolarita' della struttura (giudice onorario o togato, con la presenza di elementi non togati, in via di specializzazione di altro giudice analogo ovvero di strutturazione essenziale, come il tribunale per i minorenni, la Corte di assise o i tribunali di sorveglianza), sicche' la specialita', di cui all'art. 102 della Costituzione, non e' data dalla diversita' rispetto ad un paradigma che si assume comune, al punto da costituire ai sensi dell'art. 102, secondo comma della Costituzione, un limite della facolta' di variare l'ordinamento da parte del legislatore ordinario. Invero, quanto alla composizione, si hanno giudici, a composizione mista, tradizionalmente considerati ordinari (tribunale per i minori, Corte di assise, tribunale di sorveglianza ovvero, rispetto al consiglio di Stato, il consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana e il tribunale regionale di giustizia amministrativa per il Trentino-Alto Adige e la sua sezione autonoma di Bolzano). Quanto alle parti, per le quali il giudice e' istituito, pur prescindendo dalle materie del pubblico impiego e pensionistica, vi sono giudici, anch'essi non considerati speciali, riservati a determinate categorie di soggetti (tribunali per i minorenni, giudici militari, consigli di ordini professionali, sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura). In relazione, poi, all'oggetto del contendere, vi e' diversita' di giudici sia per la "razione" di giurisdizione attribuita per competenza che per la materia trattata, indipendentemente dalla summa divisio fra giudice dei diritti e giudice degli interessi (Corte dei conti e le sue sezioni giurisdizionali regionali, commissioni tributarie, commissioni in tema di brevetti, commissari per la liquidazione degli usi civici, giunte e collegi arbitrali in tema di espropriazioni e trasferimento di beni). Anche il riferimento al rito si manifesta inidoneo a distinguere il giudice speciale dall'ordinario, perche', a prescindere dalla differenza di procedura fra giudice civile e giudice amministrativo, v'e' una differenza di procedura anche nell'ambito dello stesso giudice civile, a seconda che si guardi al tipo di giudice (onorario, monocratico o collegiale, di legittimita' o di merito), alla materia (civile, monitoria, di esecuzione, fallimentare ecc.) o alla struttura (civile, penale, del lavoro). Non e' possibile, percio', individuare nei tratti comuni di distinzione fra giudici diversi di un ordinamento la specialita' di un giudice. Questa non puo' discendere che da una configurazione che incida negativamente sulle condizioni che legittimano la distribuzione di compiti giudiziari e che attengono alle garanzie costituzionali: esemplificando, un giudice, per il quale sia previsto la assunzione di componenti, senza garanzia del criterio dell'imparzialita', ovvero venga riservato a soggetti determinati in modo arbitrario e non secondo una categoria generale, ovvero abbia una composizione arbitrariamente variabile (e da questo profilo verrebbe in sospetto perfino il nuovissimo tribunale monocratico rispetto al collegiale e viceversa), ovvero abbia potesta' diverse da quelle riservate alla giurisdizione (common law anziche' civil law, fuori dei casi del giudizio di equita' e dei limiti in cui e' ammesso), oppure sia istituito in periodi determinati, per luoghi determinati o contingenze particolari, e cosi' via. Per converso, non sembra che possa qualificarsi come speciale un giudice che sia strutturato in modo adeguato alla specialita' della materia devolutagli, con compiti e potesta' che non sono diverse da quelle che spetterebbero al giudice omologo. Con riguardo a cio', il tribunale superiore delle acque pubbliche non e' un giudice speciale, perche' assume due composizioni specializzate e, in ciascuna di esse, assolve con la procedura propria, e con gli stessi poteri del giudice omologo - per tutte le parti che possono essere interessate, senza discriminazione di soggetti e secondo una generale attribuzione per materia - al compito giurisdizionale ordinario sia per la materia civile, con apposita composizione, che per la materia amministrativa, con altra adeguata composizione. E questa affermazione trova pieno riscontro nella giurisdizione della Corte di cassazione, per la quale il tribunale superiore delle acque pubbliche viene considerato giudice ordinario, nella composizione di cinque membri, ossia quando giudica in secondo grado sulle pronunce dei tribunali regionali, e giudice speciale (nel senso di giudice amministrativo) quando giudica in unico grado in materia amministrativa. E difatti, il tribunale superiore delle acque pubbliche e' costituito da due giudici, uno civile e l'altro amministrativo, secondo i normali paradigmi, ed ha una composizione specializzata nell'un caso e nell'altro, con la presenza, nel primo, di un consigliere di Stato e di un tecnico e con la presenza, nel secondo, di due consiglieri di cassazione. Ed e' anche da escludere, ancorche' soltanto per l'unita' e l'autonomia dell'ufficio, che sia rispettivamente una sezione specializzata della cassazione o una sezione del consiglio di Stato. D'altronde, sotto tale profilo, esso non rappresenta un caso isolato nell'ordinamento, perche' spesso in una stessa unita' amministrativa di ufficio si trovano giudici distinti con composizione e competenza diverse (sezioni cosiddette specializzate; Corte di assise di primo e di secondo grado amministrativamente incardinate nel tribunale e nella Corte di appello, ma da essi distinte). Ad ogni modo, qualunque sia la ricostruzione teorica del tribunale superiore delle acque pubbliche, restano chiari taluni suoi profili che sono sufficienti e confortanti per la questione che viene rimessa alla Corte costituzionale: a) esso, specialmente se si guardano distintamente le due strutture e funzioni, non presenta alcun carattere di specialita', nel senso negativo previsto dall'art. 102 della Costituzione; b) le sue due composizioni hanno il loro omologo rispettivamente in una sezione della Corte della cassazione e in una sezione del consiglio di Stato, con le specializzazioni del caso in relazione alla materia (le diversita' riscontrabili non appaiono rilevanti sia per quanto esposto sia perche' anche il tribunale regionale - sulla cui natura non v'e' piu' dubbio in dottrina ne' ve n'e' stato in giurisprudenza - presenta anomalie similari e si discosta dalle comuni sezioni specializzate, in quanto non aggiunge i tecnici alla normale composizione del giudice, ma modifica tale composizione: due magistrati ed un tecnico anziche' tre - modifica ancor piu' rilevante rispetto alla pregressa composizione delle Corti di appello - ); c) e' manifesta l'unita' amministrativa dell'ufficio, che ha una sua ragione d'essere logica e storica: storica, perche' in origine, col decreto del 1916, il tribunale era unico ed in unico grado, per diritti e interessi legittimi, nell'intero territorio, in omaggio alle molteplici e note ragioni di unita' giurisdizionale; logica, perche', una volta diviso il nuovo giudice, proprio per ovviare all'accusa di specialita' (che gli e' rimasta vischiosamente attribuita) si e' mantenuta l'unita' dell'ufficio, allo scopo di ottenere almeno che, in sede di gravame e nell'unico grado amministrativo, nonostante la innegabile distinzione, vi fosse comunita' di elementi e di indirizzo, dato che in definitiva sono le stesse persone a comporre l'organo giudiziario, sorrette dall'unita' di struttura e di guida, che garantisce la finalita' normativa; d) a differenza degli altri giudici, denominati a torto o a ragione, speciali, il tribunale superiore ha competenze nette, assolutamente non inquinate da potesta' anomale, sia come giudice ordinario che come giudice amministrativo. In conclusione, la configurazione del regime di impugnazione delle sentenze del tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di legittimita', discendente dall'interpretazione dell'art. 201 del testo unico n. 1775/1933, in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, fatta, propria della suprema Corte di cassazione, sembra porsi, per le ragioni avanti esposte, in contrasto con lo stesso art. 111, nonche' col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della medesima Costituzione, tenuto conto del regime differenziato cui vengono sottoposte le decisioni del tribunale superiore delle acque, rispetto alle decisioni del consiglio di Stato, sebbene entrambe siano espressione di una medesima funzione giurisdizionale, retta da principi e regole identiche. Si pone, altresi', in contrasto con gli artt. 103, 111 e 113 della Costituzione, che hanno conservato il sistema binario della giurisdizione, basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, nonche' con gli stessi confini della potesta' giurisdizionale attribuita alla suprema Corte soltanto in sede di legittimita' e non anche di merito. 3. - Quanto all'ammissibilita' della questione avanti alla Corte costituzionale, non dovrebbe costituire ostacolo il fatto che essa appaia diretta, non gia' alla denuncia della illegittimita' costituzionale di una norma (nel caso, dell'art. 201 piu' volte menzionato), ma alla denuncia della presunta non conformita' alla Costituzione della sua concreta applicazione. La questione, pur cosi' impostata, appare ugualmente suscettibile di esame da parte della Corte costituzionale, cui va debitamente rimessa. Invero, si e' in presenza di un'ipotesi di verifica di conformita' alla Costituzione di norme anteriori ad essa, in relazione alla quale la Corte costituzionale ha rivendicato la propria competenza, avendo affermato che le questioni relative alla compatibilita' di una disposizione legislativa con una norma costituzioaale sono questioni di legittimita' costituzionale, di esclusiva sua competenza, e che, se i comuni organi giudiziari decidono rispetto ad una norma, nel senso della sua abrogazione ad opera della Costituzione, e' tuttavia suo potere e dovere pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale della norma stessa (Corte costituzionale 8 aprile 1958, n. 27 e 27 giugno 1958, n. 40). Parimenti, l'ammissibilita' della questione non sembra preclusa dalla circostanza che il tribunale superiore delle acque viene considerato come organo appartenente all'ordine giudiziario e come tale non abilitato a sottoporre alla Corte costituzionale pronunce della suprema corte quale organo di vertice dello stesso ordine, poiche' ad esso sono in ogni caso attribuite funzioni giurisdizionali non rientranti nella cognizione della magistratura "ordinaria" e cio' lo legittima a porre un problema, all'evidenza costituzionale, a salvaguardia del corretto svolgimento di quelle funzioni, secondo regole che siano conformi alla Costituzione. Con riguardo all'ipotesi che la questione dibattuta attenga alla materia dei conflitti tra giurisdizioni, in relazione alla contestata competenza della suprema Corte a conoscere degli interessi legittimi in materia di acque pubbliche, e' da soggiungere che la sentenza della cassazione, qui presa in considerazione, non e' stata assunta dalle sezioni unite, quale giudice dei conflitti, (che escluderebbe qualsiasi possibilita' di giudizio da parte della Corte costituzionale, per i noti effetti derivanti dall'art. 37, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87), anzitutto perche' la pronuncia attiene soltanto al merito della legittimita' amministrativa e, in secondo luogo, perche' essa non avrebbe potuto sollevare un conflitto. L'ipotesi conflittuale considerata, e', infatti, ben diversa da quella consueta (gia' regolata alla legge 31 marzo 1887 n. 3761 e, poi, dagli artt. 37, 41, 360 n. 1, 362 e 368 del c.p.c.), perche' nel giudizio di impugnazione, per il quale le sezioni unite hanno ritenuto la propria competenza, non si contrappone alcun giudice diverso, ma, constatando che la legge ordinaria, non contraddetta dalla norma costituzionale, esclude la impugnazione, si contesta la legittimita' del comando giurisdizionale, che impone il nuovo giudizio ed obbliga il giudice di rinvio a violare il giudicato precedentemente formatosi. Analogamente accadrebbe se, impugnando una pronuncia del consiglio di Stato per motivi diversi dalla giurisdizione, le sezioni unite statuissero sul merito della legittimita' amministrativa. Del resto, ove si volesse configurare una dualita' di giudici, sarebbe evidente che le sezioni unite potrebbero affermare o negare la propria giurisdizione, ma non risolvere un conflitto che esse medesime verrebbero a porre. Occorre, anzi, al riguardo, osservare come nella ricostruzione del regime di impugnazione delle decisioni del tribunale superiore delle acque in sede di legittimita', la Corte suprema, mentre parifica detto tribunale agli altri organi giurisdizionali speciali, quanto all'impugnazione in cassazione delle sue decisioni per violazione di legge, non attribuisca, poi, i ricorsi, non involgenti questioni di giurisdizione, alle sezioni semplici, analogamente ai ricorsi dal medesimo contenuto, avverso le pronunce dei giudici speciali, ai sensi dell'art. 374 del cod. proc. civ. e ritenga, in tal modo, per tale aspetto, la vigenza degli artt. 200 e 201 del testo unico n. 1775/1933, che demandano alle sezioni unite la cognizione di ricorsi avverso entrambi i tipi di decisione del tribunale superiore delle acque, sia in grado di appello che in unico grado. non puo' sottacersi neppure la modifica del sistema che deriverebbe dalla possibilita' di un giudizio di legittimita' su una pronuncia di mera legittimita' amministrativa, con la gia' censurata conseguenza di attribuire alla Corte di cassazione una giurisdizione attinente al merito di un giudizio di legittimita' amministrativo, come piu' sopra si e' chiarito. E', infine, di immediata evidenza la rilevanza nel presente giudizio della questione in argomento. 4. - In conclusione, il collegio, seppure sollecitato dall'eccezione della societa' ricorrente, ritiene di sollevare d'ufficio la questione della conformita' alle norme costituzionali sopraindicate del regime di impugnazione delle decisioni del tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di legittimita', configurato dalla suprema Corte di cassazione.
P. Q. M. Pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, cosi' dispone: Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del regime di impugnazione in cassazione delle decisioni dello stesso tribunale superiore in sede di legittimita', discendente dall'applicazione dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, che ne fa la Corte di cassazione, ritenuta non conforme allo stesso art. 111, nonche' agli artt. 3, 103 e 113 della medesima Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, il 13 dicembre 1993. Il presidente: PALAZZOLO Depositata oggi in Cancelleria il 28 aprile 1994. Il collaboratore di cancelleria: COPPARI 94C1251