N. 397 SENTENZA 10 - 23 novembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico - Regione Toscana - Concorsi interni per titoli  per
 l'accesso   alla  seconda  qualifica  dirigenziale  -  Graduatorie  -
 Presunta violazione di fuzioni riservate al  potere  giudiziario  con
 incidenza  sui  giudizi  in corso - Natura interpretativa della norma
 impugnata - Richiamo alla giurisprudenzza della  Corte  (v.  sentenze
 nn.  118/1957,  6, 91 e 123 del 1988, 402 e 39 del 1993, e 240/1994 -
 Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (Legge regione Toscana 26 novembre 1990, n. 67).
 
 (Cost., artt. 101, secondo comma, 103, primo comma,  e  108,  secondo
 comma).
 
(GU n.49 del 30-11-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo unico della
 legge   regionale   della   Toscana   26   novembre   1990,   n.   67
 (Interpretazione  autentica dell'art. 32, terzo e quarto comma, della
 legge regionale 24 aprile 1984, n. 22), promosso con ordinanza emessa
 il 30 marzo 1993 dal Consiglio di Stato, sezione IV  giurisdizionale,
 sul  ricorso  proposto da De Sena Simonetta contro la Regione Toscana
 ed altro, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  ottobre  1994  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
    Udito l'avv. Carlo Mezzanotte per la Regione Toscana;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel procedimento promosso da De Sena Simonetta nei  confronti
 della  Regione  Toscana  ed  altro,  in  ordine ad una delibera della
 Giunta regionale toscana con cui erano state approvate le graduatorie
 dei concorsi interni per titoli per l'accesso alla seconda  qualifica
 dirigenziale, il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza emessa il
 30  marzo  1993  e pervenuta alla Corte il 7 marzo 1994, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo  unico  della
 legge   regionale   della   Toscana   26   novembre   1990,   n.   67
 (Interpretazioneautentica dell'art. 32, terzo e quarto  comma,  della
 legge regionale 24 aprile 1984, n. 22).
    Rileva  il  giudice  a  quo  che l'art. 57 della legge regionale 6
 settembre 1973,  n.  54  (poi  abrogato  dall'art.  164  della  legge
 regionale  21  agosto 1989, n. 51, ma vigente alla data di emanazione
 dei provvedimenti impugnati), prevedeva  un  sistema  di  valutazioni
 periodiche  dell'attivita'  dei  singoli  dipendenti,  sulla  base di
 aggiornamenti  biennali.  Dette  valutazioni  si  attuavano  mediante
 questionari   compilati   dai   singoli   dipendenti,   corredati  da
 osservazioni apposte dai coordinatori  e  trasmessi  all'ufficio  del
 personale.  L'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24
 aprile 1984, n. 22, con  cui  e'  stato  recepito  il  terzo  accordo
 contrattuale  nazionale  per  il  personale  delle  regioni a statuto
 ordinario e sono  state  previste  le  modalita'  ed  i  criteri  per
 l'effettuazione  delle  selezione  per  i dirigenti regionali, non ha
 preso in  considerazione,  ma  nemmeno  esplicitamente  abrogato,  la
 precedente disposizione sopra richiamata.
    In  base a tale situazione normativa, il Consiglio di Stato, in un
 giudizio  precedente  rispetto  a  quello  a  quo,  aveva   accertato
 l'illegittimita'  per  difetto  di  istruttoria  dei provvedimenti di
 approvazione delle graduatorie di tre selezioni interne per l'accesso
 alla seconda qualifica dirigenziale, in quanto ai fascicoli personali
 non erano  state  acquisite,  perche'  non  effettuate,  le  predette
 valutazioni.
    In  seguito  a  tali  vicende  e'  intervenuta  la legge regionale
 oggetto del presente giudizio,  che  ha  interpretato  autenticamente
 l'art.  32,  terzo  e  quarto  comma, della legge regionale n. 22 del
 1984, escludendo, ai fini dell'accertamento e della valutazione degli
 elementi di  cui  al  punto  B3  dell'art.  31  della  legge  stessa,
 l'applicabilita'  della  previsione delle valutazioni biennali di cui
 all'art. 57 della legge regionale n. 54 del 1973.
    Affermata la decisivita' di tale ultima legge per  la  definizione
 del  giudizio,  il  giudice  rimettente  sottolinea, anche sulla base
 della giurisprudenza di questa Corte, che sebbene debba  riconoscersi
 la   legittimita'   ex   se   di   leggi   regionali   retroattive  o
 interpretative, cio' non vale quando tali leggi ledano  il  giudicato
 gia'  formatosi  o  siano  intenzionalmente  dirette  ad incidere sui
 giudizi in corso.
    Nella  specie,  la  relazione  alla  legge  in  esame  deduce   la
 necessita' di una norma di interpretazione autentica dall'esigenza di
 superare  un contrasto giurisprudenziale e di evitare ulteriori dubbi
 sia  in  sede  giurisdizionale  che  di  esecuzione  dei   giudicati:
 presupposti  contestati  dal giudice a quo, secondo il quale non puo'
 parlarsi di "contrasto giurisprudenziale"  nel  caso  di  riforma  di
 sentenze  di  un  Tribunale  amministrativo  regionale  da  parte del
 Consiglio di Stato.
    Sulla base di tali considerazioni,  ritiene  pertanto  il  giudice
 rimettente  che  la  legge  regionale  abbia  leso  i  giudicati gia'
 formatisi e sia intenzionalmente diretta ad incidere sui  giudizi  in
 corso,  tra i quali il presente. Si realizzerebbero pertanto entrambe
 le condizioni al cui avveramento consegue, secondo la  giurisprudenza
 di  questa  Corte,  l'illegittimita'  della  legge interpretativa, in
 riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103, primo comma,  e  108,
 secondo comma, della Costituzione.
    2.  -  Si  e'  costituita  la  Regione  Toscana,  in  persona  del
 Presidente della Giunta regionale, chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata non fondata.
    Dopo  aver  premesso  un'articolata  ricostruzione delle vicende -
 normative e di fatto - che  hanno  portato  alla  costituzione  della
 categoria dirigenziale all'interno dell'amministrazione regionale, la
 difesa  della  regione sottolinea che l'art. 57 della legge regionale
 n. 54 del 1973 non ha mai ricevuto attuazione, ne' con riguardo  alle
 procedure,  ne'  con  riferimento  agli  organismi  ivi  previsti. Di
 conseguenza, degli inesistenti rapporti informativi biennali non  era
 possibile   tenere   conto  nell'espletamento  dei  concorsi  per  la
 dirigenza. A cio' si aggiunga, prosegue la Regione, che anche  coloro
 che  secondo  la legge avrebbero dovuto convalidare detti rapporti (i
 coordinatori  del  dipartimento)  al  momento  dell'espletamento  del
 concorso  altro  non  erano che primi inter pares, e quindi anch'essi
 candidati alla medesima selezione.
    La legge  oggetto  del  presente  giudizio,  ritiene  pertanto  la
 Regione,  altro  non  ha  fatto  che  chiarire l'univoca volonta' del
 legislatore del 1984, precisando le modalita' con cui il procedimento
 di selezione poteva e doveva essere svolto. Essa mira a  superare  un
 contrasto   giurisprudenziale   evidente  tra  alcune  decisioni  del
 Tribunale amministrativo regionale  (assurte  all'autorita'  di  cosa
 giudicata  in  quanto  non  sottoposte  ad appello) e le pronunce del
 Consiglio di Stato.  L'interpretazione  che  in  essa  e'  affermata,
 prosegue  ancora  la Regione, e' perfettamente razionale e pienamente
 coerente con le intenzioni e la portata della legge regionale  n.  22
 del  1984,  che fra due interpretazioni possibili della propria legge
 ne privilegia una riconfermandola come storicamente esatta, con  cio'
 non violando alcun principio costituzionale.
    A sostegno della legittimita' della disposizione impugnata vengono
 richiamate   numerose   decisioni   di   questa   Corte   nel   senso
 dell'ammissibilita' di leggi interpretative,  anche  nell'ipotesi  di
 interpretazioni giurisprudenziali difformi o in pendenza di giudizio,
 senza  che  cio'  si  configuri come violazione degli artt. 101 e 104
 della Costituzione.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Consiglio di Stato, sez. IV, con  ordinanza  emessa  il  30
 marzo  1993,  pervenuta  a questa Corte il 7 marzo 1994, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo  unico  della
 legge   regionale   della   Toscana   26   novembre   1990,   n.   67
 (Interpretazioneautentica dell'art. 32, terzo e quarto  comma,  della
 legge  regionale 24 aprile 1984, n. 22), per contrasto con i principi
 di cui agli artt. 101,  secondo  comma,  103,  primo  comma,  e  108,
 secondo comma, della Costituzione: secondo il giudice a quo, la norma
 avrebbe  vulnerato  le  funzioni riservate al potere giudiziario, sia
 violando i giudicati  gia'  formatisi,  sia  in  quanto  direttamente
 incidente sui giudizi in corso.
    2.  -  La  questione sollevata - certamente rilevante - e' per una
 parte inammissibile e per altra non fondata.
    Va premesso che i principi costituzionali in tema di  disposizioni
 interpretative,  cosi'  come  definiti dalla giurisprudenza di questa
 Corte in relazione alle leggi statali,  sono  estensibili  di  regola
 anche  alle  leggi  con  cui  una  regione  interpreta autenticamente
 proprie normative precedenti (sentenze n. 389 del 1991; 19 del  1989;
 113  del 1988). Questa stessa Corte ha inoltre costantemente ritenuto
 che il principio di irretroattivita' delle leggi ha ottenuto in  sede
 costituzionale  garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia
 penale (art. 25 della Costituzione), sebbene  esso  mantenga  per  le
 altre materie valore di principio generale ( ex art. 11, primo comma,
 delle  disposizioni preliminari del codice civile) cui il legislatore
 deve  in  via  preferenziale  attenersi,  pur  non  essendo  ad  esso
 vincolato in termini assoluti, salvi i limiti cui si fara' cenno piu'
 avanti  (sentenze n. 6 del 1994; 283 e 39 del 1993; 155 del 1990; 123
 del 1988).
    3. - In connessione col principio da ultimo ricordato, e' costante
 insegnamento di questa Corte che il ricorso da parte del  legislatore
 a  leggi  di interpretazione autentica non puo' essere utilizzato per
 mascherare  norme  effettivamente  innovative  dotate  di   efficacia
 retroattiva,   in   quanto  cosi'  facendo  la  legge  interpretativa
 tradirebbe la funzione che le e' propria: quella di chiarire il senso
 di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti
 di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine  di  eliminare
 eventuali  incertezze  interpretative (sentenze n. 163 del 1991 e 413
 del 1988), sia per  rimediare  ad  interpretazioni  giurisprudenziali
 divergenti  con  la linea politica del diritto voluta dal legislatore
 (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992;  205
 del 1991; 380 e 155 del 1990; 233 del 1988; 178 del 1987).
    Tale  carattere  interpretativo  deve  peraltro desumersi non gia'
 dalla qualificazione che tali leggi danno di se stesse, quanto invece
 dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione  cioe'
 ad  "un  rapporto  fra  norme  - e non fra disposizioni - tale che il
 sopravvenire della norma interpretante non fa  venir  meno  la  norma
 interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo a un
 precetto  normativo unitario" (sentenza n. 424 del 1993; analogamente
 n. 39 del 1993; 155 del 1990 e 233 del 1988).
    4. - Tuttavia, come questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  la
 natura  effettivamente interpretativa di una legge non e' sufficiente
 ad escluderne il contrasto con i principi costituzionali. La  sovrana
 volonta'  del  legislatore  nell'emanare dette leggi - sia che queste
 abbiano effetti meramente retrospettivi sia che  di  vera  e  propria
 retroattivita'  si tratti - incontra una serie di limiti che la Corte
 ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, oltre che
 dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta'
 giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e  dello  stesso
 ordinamento,  tra  i quali vanno ricompresi il rispetto del principio
 generale  di  ragionevolezza  che  ridonda  nel divieto di introdurre
 ingiustificate disparita' di trattamento (sentenze n. 6 del 1994; 424
 e  283  del  1993;  440  del  1992  e  429  del  1991);   la   tutela
 dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei soggetti quale principio
 connaturato allo Stato di diritto (sentenze n. 424 e 39 del 1993;  n.
 349  del  1985); la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico
 (sentenze n. 6 del 1994; 429 del 1993; 822  del  1988);  il  rispetto
 delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
    A  tal riguardo, questa Corte ha in precedenti occasioni affermato
 che il legislatore vulnera le  funzioni  giurisdizionali:  a)  quando
 intervenga  per  annullare gli effetti del giudicato (sentenza n. 155
 del 1990);  b)  quando  la  legge  sia  intenzionalmente  diretta  ad
 incidere  su concrete fattispecie sub iudice (sentenze n. 6 del 1994;
 480 del 1992; 91 del 1988; 123 del 1987; 118 del 1957).
    5. - Nel verificare se detti principi siano stati rispettati dalla
 legge regionale cui si riferisce la presente questione, questa  Corte
 ritiene  in  primo  luogo  che  in  essa sono ravvisabili i caratteri
 propri della interpretazione autentica, e che quindi non si tratta di
 legge sostanzialmente innovativa con effetti retroattivi.
    Va al riguardo preliminarmente  considerato  che  la  disposizione
 interpretata  (art.  32,  terzo e quarto comma, della legge 24 aprile
 1984, n. 22), non solo non conteneva  alcun  richiamo  espresso  alla
 precedente normativa regionale (art. 57 della legge 6 settembre 1973,
 n.  54),  ma,  prevedendo un sistema di valutazione delle attivita' e
 delle attitudini dei  candidati  incentrato  sulla  presentazione  di
 curricula verificati d'ufficio, secondo modalita' pertanto diverse da
 quelle  di  cui  alla  legge  precedente  (peraltro mai concretamente
 applicate, e consistenti  in  valutazioni  biennali  corredate  dalle
 osservazioni   del   coordinatore  del  dipartimento  o  dell'ufficio
 competente),  poteva  ritenersi   implicitamente   abrogativa   della
 disciplina  del  1973. Tuttavia, essendo sorti dubbi in proposito, la
 legge interpretativa e' sopravvenuta,  non  gia'  per  modificare  un
 preteso  unico  sistema  normativo  risultante dal combinato disposto
 degli artt. 32, terzo e quarto comma, della legge n. 22 del 1984 e 57
 della legge n. 54 del 1973, quanto invece  per  chiarire  che  i  due
 sistemi  di  valutazione  risultavano  incompatibili  fra loro, e che
 quindi il primo doveva ritenersi superato dalla volonta' della  nuova
 legge.
    Tale intento normativo risulta rafforzato dalla considerazione che
 al  legislatore  regionale  del  1984 era ben noto che le valutazioni
 biennali di cui alla legge del 1973 non erano mai  state  realizzate:
 legittimamente, quindi, sotto questo profilo, il legislatore del 1990
 ha  chiarito  il significato della disposizione della legge del 1984,
 privilegiando una tra le interpretazioni possibili.
    6. - Occorre a questo punto esaminare se la legge impugnata si sia
 mantenuta entro i limiti imposti, secondo la giurisprudenza di questa
 Corte sopra richiamata, alle leggi di interpretazione autentica.
    Il giudice rimettente osserva in proposito: a)  che  sul  problema
 del  sistema  di  valutazione  delle  attitudini  dei  concorrenti ai
 concorsi per  dirigenti  nella  regione  Toscana  l'orientamento  del
 Consiglio  di  Stato  era  costante,  e  che  il  presunto  contrasto
 giurisprudenziale su cui  il  legislatore  regionale  ha  fondato  la
 necessita'  di  un  proprio intervento interpretativo, era in realta'
 inesistente, non potendosi esso ravvisare per il solo fatto di alcune
 pronunce  del  T.A.R.  discordanti  con  l'orientamento  dello stesso
 Consiglio di Stato; b) che l'applicazione della legge  interpretativa
 si  risolverebbe  in  una  lesione  dei  giudicati  gia' formatisi su
 precedenti decisioni dello  stesso  Consiglio  di  Stato  emesse  nei
 riguardi  di  altri  concorrenti al medesimo concorso; c) che in ogni
 caso, dalla predetta  legge  interpretativa  e  dalla  sua  relazione
 risulterebbe  l'intenzione  del  legislatore di incidere direttamente
 sui giudizi in corso.
    7. - In ordine al primo profilo occorre ribadire quanto  da  tempo
 affermato  da  questa Corte, e cioe' che il potere di interpretazione
 di una legge non e' riservato dalla Costituzione in via esclusiva  al
 giudice,  ne'  tantomeno  e'  sottratto alla potesta' normativa degli
 organi legislativi: le due attivita' operano infatti relativamente  a
 piani  diversi,  in  quanto  mentre l'interpretazione del legislatore
 interviene sul piano generale ed astratto del significato delle fonti
 normative, quella  del  giudice  opera  sul  piano  particolare  come
 premessa   per  l'applicazione  concreta  della  norma  alla  singola
 fattispecie sottoposta al suo esame (sentenze n. 402 e 39  del  1993;
 155 del 1990; 754, 91 e 6 del 1988; 620 del 1987; 167 del 1986; n. 70
 del 1983).
    In  tal senso, sebbene non sia in linea di massima contestabile la
 legittimita'  del  ricorso  all'interpretazione  autentica  anche  in
 mancanza di un contrasto giurisprudenziale (sentenze n. 402 del 1993;
 586  del  1990;  123 del 1988; ord. n. 480 del 1992), deve osservarsi
 che nel caso in esame, come gia' chiarito, la legge impugnata non  ha
 inciso  su  un orientamento giurisprudenziale a tal punto consolidato
 da far ritenere improbabili diverse soluzioni, bensi' ha privilegiato
 un'interpretazione  tra  quelle  possibili,  come  dimostrano  alcuni
 orientamenti  del  T.A.R.  divergenti dall'indirizzo del Consiglio di
 Stato. Cosi' facendo, la norma in esame non puo' ritenersi lesiva ne'
 della certezza dei rapporti giuridici (sentenza n. 402 del 1993), ne'
 della funzione giurisdizionale riservata al giudice.
    8. - Quanto alla supposta violazione dei giudicati gia'  formatisi
 sulla  base  della  disposizione interpretata, la norma della regione
 Toscana sarebbe censurabile, secondo quanto si deduce  dall'ordinanza
 di  rimessione,  in relazione alla garanzia costituzionale in tema di
 principi di riserva della giurisdizione e di separazione dei poteri.
    Tali profili sottopongono a questa Corte il delicato  problema  se
 l'esistenza  di  sentenze passate in giudicato costituisca di per se'
 un limite assoluto alle leggi interpretative che producano  l'effetto
 di  rescinderne  l'efficacia,  ancorche'  tali  leggi  siano  rivolte
 soltanto a chiarire la normativa sulla cui base quel giudicato si era
 formato: problema che  peraltro  fu  affrontato  anche  in  Assemblea
 costituente, dove una proposta in tal senso contenuta nel Progetto di
 Costituzione  (e  secondo  la  quale le sentenze non piu' soggette ad
 impugnazione non avrebbero potuto essere annullate neppure con legge,
 salvo casi particolari), era stata respinta dall'Assemblea.
    A tale delicato problema puo' essere  offerta  adeguata  soluzione
 non  in  questa  occasione  ma  soltanto  nel caso in cui, in sede di
 esecuzione del giudicato,  l'autorita'  giudiziaria  ritenga  che  la
 norma  interpretativa prevalga sul giudicato formatosi in ordine alla
 legge interpretata.
    Nella  specie  i giudicati di cui si lamenta la lesione riguardano
 soggetti diversi da quelli del presente giudizio, nei  cui  confronti
 non  si e' ancora formato alcun giudicato. Pertanto, in ordine a tale
 profilo, la sollevata questione deve essere dichiarata inammissibile.
    9. - Resta infine da valutare  la  ritenuta  violazione  da  parte
 della  legge  impugnata  degli  artt.  101, secondo comma, 103, primo
 comma, e 108, secondo comma,  della  Costituzione,  relativamente  al
 profilo della sua incidenza sui giudizi in corso.
    Deve  considerarsi  in  proposito  che,  secondo l'orientamento di
 questa Corte, "non e' contestabile che il legislatore ordinario abbia
 il potere di dettare  norme  dall'applicazione  delle  quali  possono
 derivare  effetti nei riguardi dei procedimenti giudiziari in corso",
 specie allorche' tale intervento sia dettato al fine di "impedire una
 situazione di irrazionale disparita' di trattamento" (sentenza n.  91
 del  1988).  In  tali casi la legge interpretativa, "pur interferendo
 necessariamente nella sfera del potere giudiziario,  non  incide  sul
 principio  della divisione dei poteri" (sentenze n. 118 del 1957 e n.
 123 del 1988), dal momento che essa agisce sul piano  astratto  delle
 fonti  normative,  e  determina  una  indiretta incidenza generale su
 tutti i giudizi, presenti o futuri, senza far venir meno la  potestas
 iudicandi,  bensi'  semplicemente ridefinendo il modello di decisione
 cui l'esercizio di detta potesta' deve attenersi (sentenze n. 240 del
 1994; n. 402 e 39 del 1993; 6 del 1988).
    Allorquando,   invece,   risulti    l'intenzione    della    legge
 interpretativa  di  vincolare  il giudice ad assumere una determinata
 decisione in specifiche  ed  individuate  controversie,  la  funzione
 legislativa  perde  la  propria  natura ed assume contenuto meramente
 provvedimentale, come nel caso in cui "il legislatore,  usando  della
 sua  prerogativa  di  interprete d'autorita' del diritto, precluda al
 giudice  la  decisione   di   merito   imponendogli   di   dichiarare
 l'estinzione dei giudizi pendenti" (sentenza n. 123 del 1987).
    Nella  specie,  la  legge  della  regione  Toscana n. 67 del 1990,
 limitandosi a chiarire la volonta' della legge n.  22  del  1984,  si
 inquadra  nella normale ipotesi di interpretazione autentica, facendo
 sistema con la disposizione interpretata ed imponendosi come tale  al
 giudice  in  forza  del principio di cui all'art. 101, secondo comma,
 della Costituzione.
    Sotto questo profilo, la questione come prospettata del  Consiglio
 di Stato deve pertanto ritenersi non fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'articolo unico della legge regionale della Toscana  26  novembre
 1990,  n.  67 (Interpretazione autentica dell'art. 32, terzo e quarto
 comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22), sollevata, sotto
 il profilo della denunciata violazione del giudicato, in  riferimento
 agli  artt. 101, secondo comma, 103, primo comma, 108, secondo comma,
 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sez. IV, con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe;
    Dichiara  non  fondata  la  medesima questione sollevata, sotto il
 profilo  della  lamentata  incidenza  sui  giudizi   in   corso,   in
 riferimento  agli  artt.  101,  secondo comma, 103, primo comma, 108,
 secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato,  sez.  IV,
 con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 novembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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