N. 407 SENTENZA 21 - 28 novembre 1994
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Deposizione testimoniale - Contestazione - Denuncia a suo tempo presentata per iscritto dal testimone all'autorita' giudiziaria - Eventuale acquisizione al fascicolo per il dibattimento - Preclusione - Presunta dispersione di un mezzo di prova - Insussistenza di un'incisione negativa sull'ordinario esercizio del potere di domanda delle parti - Erroneita' dei presupposti interpretativi - Non fondatezza. (C.P.P., art. 500, primo e quarto comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.50 del 7-12-1994 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 500, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1993 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Lalario Paolo, iscritta al n. 608 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 12 luglio 1993, il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, in quanto non consente che possa essere oggetto di contestazione, e successiva acquisizione, il contenuto della denuncia presentata da un privato. Premesso che il difensore dell'imputato aveva chiesto di poter contestare al denunciante-persona offesa, ai sensi dell'art. 500, primo comma, del codice di procedura penale, le dichiarazioni dal medesimo rese in sede di denuncia (al fine della eventuale acquisizione della stessa ex art. 500, quarto comma, del codice medesimo), e che il pubblico ministero si era opposto alla richiesta, il giudice a quo osserva che la norma impugnata, non consentendo di contestare, e quindi di acquisire a fini probatori, il contenuto di una denuncia, viola i principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di non dispersione dei mezzi di prova enunciati da questa Corte con la sentenza n. 255 del 1992. In particolare, sarebbe irragionevole, ad avviso del remittente, mettere su piani diversi le dichiarazioni rese dalla persona offesa alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero e trasfuse nel relativo verbale, e quelle contenute in scritti o altri mezzi di rappresentazione del pensiero, depositate o inviate all'autorita' giudiziaria o di polizia giudiziaria: in entrambe le ipotesi, infatti, il contenuto della denuncia e' identico, essendo diverse soltanto le modalita' di acquisizione e di documentazione. A differenza, inoltre, del caso in cui la persona offesa, convocata dal pubblico ministero, confermi a verbale la denuncia precedentemente fatta pervenire all'autorita' giudiziaria, qualora tale conferma non avvenga si viene a disperdere, senza alcuna valida ragione, un mezzo di prova altrimenti utilizzabile e si vanifica il fine primario della ricerca della verita', che deve sempre ispirare il giudice penale. Infine, conclude il giudice a quo , risulta violato il diritto di difesa nei casi in cui, come quello in esame, il denunciante abbia reso dichiarazioni in contrasto con il contenuto della denuncia: nella specie, non e' possibile al difensore far rilevare delle difformita' tra le deposizioni rese in dibattimento dalla persona offesa e la denuncia dalla stessa a suo tempo inviata all'autorita' giudiziaria. 2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione. Osserva l'Avvocatura dello Stato che la denuncia, essendo destinata a fornire la notitia criminis , e' atto che si forma al di fuori del procedimento ed e' privo di funzione probatoria, per cui non e' possibile metterla sullo stesso piano delle deposizioni testimoniali. Ne' sussiste violazione del diritto di difesa, in quanto le parti si trovano in identica situazione di fronte ad un atto inutilizzabile. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Torino solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente che, per contestare il contenuto della deposizione testimoniale, le parti possano servirsi del contenuto della denuncia a suo tempo presentata per iscritto dal testimone all'autorita' giudiziaria, con successiva eventuale acquisizione al fascicolo per il dibattimento: in particolare, nella fattispecie, la norma impugnata, ad avviso del remittente, impedisce al difensore dell'imputato di far rilevare, in sede di controesame, delle difformita' tra la deposizione resa dal denunciante in dibattimento e quanto da lui dichiarato nella denuncia inviata all'autorita' giudiziaria. Cio' determina, secondo il giudice a quo , in primo luogo la violazione del principio di ragionevolezza, per ingiustificata dispersione di un mezzo di prova (sent. n. 255 del 1992), in quanto la possibilita' di contestazione viene a dipendere soltanto dalle modalita' di acquisizione e di documentazione della denuncia, la quale, se e' presentata oralmente o se, pur inviata per iscritto, e' successivamente confermata dinanzi all'autorita' giudiziaria, viene recepita in un verbale, con la conseguenza di poter poi essere oggetto di contestazione ai sensi della norma impugnata. La denunciata preclusione comporterebbe, in secondo luogo, la violazione dell'art. 24 della Costituzione, poiche', in tutti i casi in cui il contenuto della deposizione testimoniale sia in contrasto con quello della denuncia, il divieto per il difensore di far rilevare tale difformita' costituisce lesione del diritto di difesa. 2. - La questione non e' fondata. Il Tribunale remittente muove dalla implicita, ma evidente, premessa secondo cui la possibilita' di far rilevare difformita' tra la deposizione dibattimentale del teste e qualsiasi altra precedente acquisizione (anche di provenienza dal medesimo soggetto) trovi il suo unico strumento nell'art. 500 del codice di procedura penale, per cui, quando il ricorso a tale norma debba ritenersi inammissibile - come avviene, ad avviso del giudice a quo , nella fattispecie - la menzionata facolta' resterebbe radicalmente esclusa. Tale tesi non e' condivisibile. L'art. 500 disciplina le "contestazioni" nell'esame testimoniale con riferimento alle "dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero", attribuendo al giudice, in presenza di determinate condizioni, la possibilita' di valutarle come prova dei fatti in esse affermati. Ma e' evidente che la norma in esame - la quale mira essenzialmente ad individuare un meccanismo di recupero al fascicolo dibattimentale di determinati atti di indagine - non incide sull'ordinario esercizio del potere di domanda delle parti, potere che, come afferma anche la relazione al progetto preliminare, "deve esplicarsi in tutta la sua latitudine, utilizzando percio' ogni precedente acquisizione". Deve, pertanto, ritenersi che non e' affatto impedito al difensore dell'imputato, sia pure al solo scopo - che del resto in sede di controesame e' quello per lui essenziale - di influire sulla valutazione dell'attendibilita' del teste, di porre all'esaminando domande intese ad evidenziare un contrasto tra la deposizione dibattimentale e qualsiasi altra risultanza, diversa da quelle indicate nell'art. 500, ivi compreso, quindi, il contenuto della denuncia dal medesimo a suo tempo redatta. In conclusione, l'ordinamento processuale consente, sia pure con effetti limitati, cio' che il giudice remittente ritiene invece radicalmente precluso: ne consegue che la questione, poggiando su un erroneo presupposto interpretativo, va dichiarata non fondata.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1994. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: FERRI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 28 novembre 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 94C1288