N. 730 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1994

                                N. 730
 Ordinanza  emessa  il  20  giugno  1994 dal Tribunale superiore delle
 acque pubbliche nel procedimento civile  vertente  tra  consorzio  di
 bonifica Corfinio e Barone Raffaele ed altro
 Espropriazione per pubblica utilita' - Aree utilizzate sine titulo
    per  la  costruzione  di  opera pubblica (nella specie: tratto del
    canale di bonifica circondariale di Capo Pescara)  -  Acquisizione
    del  terreno  da  parte dell'ente proprietario dell'opera pubblica
    (cd.  accessione  invertita)  secondo  la   giurisprudenza   della
    Cassazione,   con   conseguente   diritto   (soggetto  al  termine
    prescrizionale  di  cinque  anni)  del  proprietario   ablato   al
    risarcimento  del danno - Mancata previsione che il sacrificio del
    diritto del privato debba essere indennizzato, anche nella ipotesi
    dell'avvenuta prescrizione dell'azione  risarcitoria  -  Incidenza
    sul  principio  di uguaglianza nonche' sul diritto di proprieta' e
    sul principio della  capacita'  contributiva  -  Riferimento  alle
    sentenze della Corte costituzionale nn. 384/1990 e 486/1991.
 (C.C. artt. 922, 923, 924, 925, 926, 927, 928, 929, 930, 931, 932,
    933,  934,  935, 936, 937, 938, 939, 940, 941, 942, 943, 944, 945,
    946, 947, 832, 834, 838, 948, 1418, comma secondo, e 2043).
 (Cost., artt. 3, 42 e 53).
(GU n.51 del 14-12-1994 )
             IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  collegiale  nella  causa  in
 sede  di appello iscritta nel ruolo generale dell'anno 1993, al n. 37
 vertente tra consorzio di bonifica  Corfinio,  con  sede  in  Pratola
 Peligna, via Trieste n. 63 in persona del commissario regionale geom.
 Carlo  Bizzarri,  autorizzato  a  stare in giudizio con deliberazione
 commissariale n. 19 dell'8 marzo 1993 rappresentato  e  difeso  -  in
 virtu'  di  procura  a  margine  del  ricorso  in appello - dall'avv.
 Giovanni Compagno, nel cui studio  in  Roma,  via  Isonzo  n.  50  e'
 elettivamente   domiciliato   appellante,  contro  Barone  Raffaella,
 residente a Roma in corso Trieste n. 87, e Barone Ugo,  residente  in
 Quercianello  di Livorno in via Vitalba n. 10, rappresentati e difesi
 dall'avv. M. Giuliana Dell'Anno del Foro dell'Aquila,  in  virtu'  di
 procura  a  margine  della  comparsa di costituzione ed elettivamente
 domiciliata in Roma, via Calderini n. 68, presso lo studio  dell'avv.
 Giuseppe Vona, appellati.
    Oggetto:  Appello  per la totale riforma della sentenza emessa dal
 T.R.A.P. di Roma il 5 novembre 1992, n. 1/91 r.g.
                           RITENUTO IN FATTO
    Raffaella e Ugo Barone hanno convenuto, in  giudizio,  dinanzi  al
 tribunale  regionale  delle  acque pubbliche di Roma, il censorzio di
 bonifica  "Corfinio",  e,  assumendo  che  lo  stesso  ha   occupato,
 definitivamente  e  senza  titolo,  mq. 1.560 di un piu' esteso fondo
 rustico di loro proprieta', sito nel comune di Popoli, sul  quale  ha
 costruito  un  tratto  del  canale  di bonifica circondariale di Capo
 Pescara, ne  ha  chiesto  la  condanna  al  risarcimento  dei  danni,
 compresa la perdita del soprassuolo, ed al pagamento della indennita'
 per occupazione legittima.
    Il  convenuto, costituendosi, ha resistito eccependo (tra l'altro)
 la prescrizione  dei  diritti  degli  attori,  essendo  trascorso  il
 quinquennio dalla trasformazione irreversibile del fondo, comportante
 l'acquisizione   del  suolo  dei  privati  da  parte  della  pubblica
 amministrazione.
    Il tribunale regionale, con  sentenza  del  5  novembre  1992,  ha
 accolto la domanda degli attori.
    Ha  precisato  che,  poiche'  dall'esame degli atti, risulta che i
 lavori relativi al tratto di canale sono stati  eseguiti  nel  luglio
 1983  ed il ricorso e' stato proposto il 19 dicembre 1990, il diritto
 dei  Barone  non  si  e'  estinto  per  effetto  della   prescrizione
 decennale,  la quale va applicata alla fattispecie ai sensi dell'art.
 2946 del c.c.  Cio',  perche'  la  trasformazione  irreversibile  del
 fondo,  alla  quale conseguono contemporaneamente l'acquisto a titolo
 originario da parte della pubblica amministrazione e  la  perdita  da
 parte   dei   privati   del   diritto  di  proprieta'  dell'immobile,
 costituisce non  la  fonte  di  un  illecito  e  di  una  conseguente
 obbligazione  risarcitoria,  ma  la  fonte  di un diritto di credito,
 avente  come  oggetto  il  controvalore  del  fondo   definitivamente
 occupato.
    Avverso  la  decisione anzidetta ha proposto ricorso in appello il
 Consorzio, il quale ha  insistito  sulla  natura  di  illecito  della
 cosiddetta  "accessione  invertita" e sulla natura risarcitoria della
 relativa obbligazione, e, conseguentemente,  sull'applicazione  della
 prescrizione quinquennale, prevista dall'art. 2947 del c.c.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    Il  collegio  ritiene  di  dovere  esaminare, in via pregiudiziale
 d'ufficio, a norma dell'art. 23, terzo comma  della  legge  11  marzo
 1953,  n.  87,  la  compatibilita' delle norme giuridiche nelle quali
 riposa il fenomeno dello speciale procedimento ablativo dedotto nella
 controversia, con principi della vigente costituzione.
    La presente controversia risulta incentrata  principalmente  nella
 risposta   al   quesito   se  alla  fattispecie  sia  applicabile  la
 prescrizione ordinaria,  prevista  dall'art.  2946  del  c.c.  per  i
 diritti  in  generale,  o  quella breve (cioe' quinquennale) prevista
 dall'art. 2947 del c.c.
    La risposta  costituisce  conseguenza  necessaria  del  titolo  di
 responsabilita'  attribuita  alla  pubblica  amministrazione,  per la
 condotta  che  cagiona  il  fenomeno  ablativo  del  dominio   e   la
 corrispondente  acquisizione  pubblica  dell'immobile: se, invero, la
 responsabilita'  e'  da  illecito  l'obbligo corrispondente e' quello
 risarcitorio mentre se si tratta di responsabilita' da  fatto  lecito
 l'obbligo e' indennitario.
    Fino   all'avvento  del  recente  orientamento  giurisprudenziale,
 creativo della cosiddetta occupazione acquisitiva (talora  denominata
 espropriazione   sostantiva   o  accessione  invertita,  con  termini
 incidenti sul concetto) la diade innanzi  cennata  fungeva  da  summa
 divisio,  non  essendo  prevedibile una terza soluzione, derivante da
 ambivalenza del fenomeno  giuridico,  considerato  comtemporaneamente
 lecito  ed illecito. D'altra parte il problema della prescrizione del
 diritto al risarcimento del danno non poteva porsi, tranne che per  i
 ratei  pregressi  al  quinquennio,  fin  tanto  che  era  operante  e
 permanente la illiceita' della occupazione e  costruzione  dell'opera
 pubblica,  con  la  conseguente e permanente attualita' della pretesa
 risarcitoria.
    Il  nuovo   orientamento   giurisprudenziale,   configurando   una
 acquisizione  del  bene immobile al demanio (ed a titolo originario),
 quale effetto oggettivo e diretto della irreversibile trasformazione,
 determinata   dall'opera   pubblica,    e    ravvisando,    tuttavia,
 nell'attivita'  di occupazione e trasformazione del bene (fino al suo
 compimento) un illecito istantaneo (ancorche' protratto per un  certo
 tempo)  con  effetti  permanenti,  ha  scisso  l'unita'  del fenomeno
 giuridico, fino allora considerato globalmente nella  causa  e  negli
 effetti.  Da  una  parte,  invero,  sta  il  "fatto"  genetico  della
 proprieta' pubblica del fondo, costituito dalla presenza su di questo
 dell'opera pubblica, dall'altro sta "l'atto" illecito della  pubblica
 amministrazione,  che  ha  storicamente  causato quella situazione di
 "fatto",  prima  considerata  e  per  il  quale   si   configura   la
 responsabilita' da delitto.
   La  distinzione,  fra  i  due  cennati  momenti  nella dinamica del
 fenomeno, e' percepibile non soltanto  in  re  ma  in  iure,  perche'
 l'acquisto  del  bene,  da  parte  dell'ente pubblico, non puo' esser
 definito illecito, costituendo - se effettivamente si verifica  -  un
 risultato  giuridico  positivo,  previsto  e voluto dall'ordinamento.
 L'illecito, infatti, non puo' realizzare lo  scopo  del  suo  autore:
 puo'  produrre,  soltanto, successi di fatto ed insuccessi giuridici;
 come avviene per ogni reato, a differenza, appunto, del suo  opposto,
 che e' il negozio giuridico.
    Ne   consegue  che  in  nessun  caso  potrebbe  dirsi  conseguente
 all'illecito, fuor dal piano  della  mera  consequenzialita'  storica
 degli  eventi,  il fatto giuridico della acquisizione del dominio, da
 parte dell'ente pubblico: deve esistere una norma,  nell'ordinamento,
 che  preveda tale acquisto, come effetto non della attivita' illecita
 ma  della  presenza,  su  di   un   fondo,   di   un'opera   pubblica
 (caratterizzata  dalla  finalita'  di  pubblico interesse). Se non si
 determina tale effetto, l'attivita' illecita che ha posto  in  essere
 il  fatto  considerato,  cioe' la costruzione dell'opera pubblica sul
 fondo altrui, non si consuma ma si riproduce permanentemente. E  poco
 rileva  richiamare  la legge abolitiva del contenzioso amministrativo
 in ordine ai limiti delle azioni  esperibili  a  tutela  dei  diritti
 soggettivi  lesi,  o richiamare fattispecie particolari - come quella
 prevista dall'art. 3 della legge  27  ottobre  1988,  n.  458  -  per
 rimarcare  l'impossibilita'  di  una  pretesa restitutoria dell'opera
 d'interesse  pubblico,  quando quest'opera e' stata compiuta in piena
 illegittimita' delle attivita' ablative del dominio privato,  perche'
 le  limitazioni  dell'azione,  nel sistema moderno ed a differenza di
 quello  romano,  non  costituiscono  fonte  di  diritti  per  l'altro
 soggetto  del  rapporto;  che se, poi, si volesse pensare che possano
 costituire  una  fonte  siffatta,   si   avrebbe   la   riprova   che
 nell'ordinamento  esiste  una  norma,  come  si diceva, capace di far
 sorgere  dalla  edificazione  dell'opera   pubblica   la   proprieta'
 dell'ente interessato.
    Non  e'  possibile  identificare la norma cennata in una specifica
 disposizione di legge ne' e' ammissibile ritenere che essa sia  stata
 creata dal giudice, perche' al giudice non e' dato costruire norme di
 legge,  ma rinvenirle nell'ordinamento; sicche' quando siffatta norma
 e' iurisdicta, non creata ma letta, attraverso un  delicato  processo
 ermeneutico,  dal  quel  giudice  che  e'  il  supremo regolatore dei
 risultati ermeneutici della attivita'  giudiziaria,  ben  puo'  dirsi
 esistente  e,  come  tale, denunciabile alla Corte costituzionale ove
 appaia, appunto, costituzionalmente illegittima.
    Or nel caso in esame il sospetto di incostituzionalita',  dapprima
 eminente  (ancorche'  mai denunciato o comunque esaminato ex professo
 dalla Corte costituzionale, che se ne e' occupata  incidentalmente  e
 marginalmente  nelle  pronuncie  n.  384/1990 e 486/1991), e' apparso
 meno intenso attraverso gli  adattamenti  pratici,  costituiti  dalla
 esclusione   del   fenomeno   acquisitivo   -   e,  per  conseguenza,
 dell'illecito istantaneo - con  riferimento  alla  imposizione  delle
 servitu',  nonche'  dalla distinzione fra indennita' conseguente alla
 ablazione del dominio  e  risarcimento  per  i  fatti  illeciti,  che
 producono,  fra  gli altri danni, la realizzazione del fatto storico,
 dal quale deriva quella ablazione e coerente acquisizione  del  bene,
 da parte della pubblica amministrazione. Senonche' la pronuncia delle
 sezioni  unite  della Cassazione, 25 novembre 1992, n. 12546 induce a
 rimeditare  sulla   legittimita'   costituzionale   della   soluzione
 adottata.
    E'  accaduto,  infatti,  che, dapprima questo tribunale superiore,
 con le pronuncie nn. 14/1988, 54/1988  e  n.  36/1989  e,  dipoi,  la
 sezione  prima  della Cassazione, con le pronuncie n. 6209 e 7210 del
 1990, 7952 e n. 12432 del 1991 nonche' n. 10979/1992, hanno posto  in
 rilievo  la esigenza di collegare il fatto acquisitito-ablativo ad un
 evento diverso  dall'illecito,  inteso  soltanto  come  mera  origine
 storica  dell'evento, con la conseguente necessita' di distinguere il
 carattere indennitario, delle somme comunque dovute per il sacrificio
 del diritto privato, dal carattere risarcitorio di quanto dovuto  per
 la  condotta  illecita  e dannosa della pubblica amministrazione, dal
 momento della occupazione abusiva fino al  venir  meno  del  dominio-
 privato.
    La  suprema  Corte,  con  la  citata pronuncia a sezioni unite, ha
 ricondotto ad unita' il fenomento giuridico considerato, muovendo dal
 fatto  illecito  che  lo  produce,  ed  ha   profilato   una   natura
 pubblicistica    dell'acquisto    del    dominio,    collegata   alla
 impossibilita'  di  restituzione,  che  ripropone  all'interprete  la
 originaria  questione  sulla  inammissibilita'  di  effetti  positivi
 dell'illecito; piu' dettagliatamente, ripropone  la  questione  della
 impossibilita'  di  una consumazione istantanea dell'illecito, con la
 conseguente cessazione della sua permanenza, se  non  sopravviene  un
 fatto lecito sanante, costituito dalla acquisizione del dominio, che,
 ovviamente, deve trovare fondamento aliunde, non gia' nello illecito.
    In  sostanza  se  l'illecito  non e' permanente ed esiste un fatto
 lecito, che ha cagionato - per una norma esistente nell'ordinamento -
 l'acquisto del dominio ed il coerente sacrificio del diritto privato,
 allora potra' configurarsi una prescrizione quinquenale per  i  danni
 da  illecito  ma  restera'  salvo  il credito (fino alla prescrizione
 decennale) per la indennita'  dovuta  ai  sensi  dell'art.  42  della
 Costituzione. Se, invece, non esiste la citata norma, che lecitamente
 leghi  al  fatto  l'insorgenza  della proprieta' pubblica, talche' si
 dice acquisito alla pubblica  amministrazione  il  fondo,  sul  quale
 insiste   l'opera   pubblica,   soltanto   perche'  non  puo'  essere
 restituito, in tal caso, come nel vecchio e tradizionale orientamento
 della  giurisprudenza,  l'illecito   e'   permanente   e   non   puo'
 configurarsi prescrizione dell'azione risarcitoria, salvo per i ratei
 via via scadenti.
    Il   problema,   quindi,   si  incentra  sulla  esistenza  o  meno
 nell'ordinamento giuridico di una norma  che  consenta  la  legittima
 ablazione  della  proprieta'  privata  e  la conseguente acquisizione
 della proprieta' pubblica, anche fuori da  un  corretto  procedimento
 amministrativo,   purche'  sul  fondo  privato  sia  stata  costruita
 un'opera  caratterizzata  dalla   formale   finalita'   di   pubblico
 interesse.
    Alla  Corte costituzionale il quesito puo' esser posto soltanto in
 forma negativa, denunciando il conflitto fra tale norma e  l'art.  42
 della Costituzione.
    Per  l'ipotesi  di  infondatezza  di  questa  prima  questione  e,
 percio', di sussistenza della norma cennata, il conflitto con  l'art.
 42  permane  anzi  si  estende  agli  artt.  3 e 53, nel senso che il
 sacrificio del  diritto  del  privato  non  puo'  avvenire  a  titolo
 gratuito,  onde  la  norma anzidetta dovra' comportare un indennizzo,
 senza che tanto pregiudichi il diverso diritto  al  risarcimento  del
 danno,  per  l'attivita' illecita pregressa. Da questo profilo potra'
 anche ritenersi  che  il  ristoro  debba  essere  integrale,  perche'
 comprensivo  di  tutti  i  danni  cagionati,  compreso  quello  della
 perdita, per la situazione di fatto posta in essere, della proprieta'
 di un fondo, quando non avrebbe dovuto verificarsi non ricorrendo  le
 condizioni  sostanziali e formali per l'esproprio e, quindi, mancando
 la giustificazione della conversione del diritto reale in un  credito
 inadeguato  al  valore, ma non potra' confondersi l'indennita' con il
 risarcimento, che dovranno restare oggetto di autonomi e concorrenti,
 diritti  azionabili,  l'uno  a  garanzia   del   domino   sacrificato
 all'interesse pubblico e l'altro a difesa dell'illecito.
    Per  la  ipotesi di infondatezza di entrambe le cennate questioni,
 cioe' per il caso in cui si voglia ritenere che non esista la norma o
 che esista e non dia luogo ad indennizzo, mentre il risarcimento  del
 danno  serve  a  compensare  un  sacrificio  di diritti, a posteriori
 legittimato,  il  conflitto  permane  fra  la   soluzione   normativa
 rinvenuta  ed  i  principi  fondamentali dell'ordinamento, come si e'
 prima cennato nella impostazione del problema.
    In fondo, se si considera la dottrina piu'  antica,  in  relazione
 alla  giusta  esigenza,  che  ha  dato  ragione al nuovo orientamento
 giurisprudenziale, in ordine  a  quel  fenomeno  che  si  puo'  anche
 definire  espropriazione illecita, ci si accorge, che la singolarita'
 per  la  quale,  in  difetto  di  un regolare atto di espropriazione,
 doveva concepirsi esistente la proprieta' privata sul fondo  occupato
 dall'opera  pubblica,  non  era piu' intollerabile della singolarita'
 per la quale la  proprieta'  privata  si  voglia  ritenere  ablata  e
 sostitutiva  della  proprieta' pubblica senza che sia mai intervenuto
 un procedimento di  espropriazione:  l'ipotesi  antica  prevedeva  la
 compressione  indefinita  del  diritto  privato,  con  la  permanenza
 dell'illecito, fino alla reintegrazione  del  patrimonio  offeso;  la
 nuova   ipotesi  prevede  la  ablazione  attraverso  la  compressione
 arbitraria, della proprieta' privata e l'acquisto del dominio con  la
 costruzione  illecita  dell'opera pubblica, compensando il sacrificio
 imposto  con  il  risarcimento  del  danno.  Le  due  conclusioni  si
 equivalgono sul piano pratico (non certamente sul piano giuridico) ma
 resta,  da un lato, la maggiore apertura all'esonero di ogni forma di
 regolare espropriazione da parte del potere esecutivo e,  dall'altro,
 la  forca  caudina di una prescrizione quinquennale, nelle more della
 quale o si pensa che l'inerzia del creditore faccia cadere il diritto
 di  proprieta'  ovvero  si  considera  che  tale   proprieta'   possa
 acquistarsi  senza  indennizzo: non possono non avvertirsi, pertanto,
 quella incertezza e quel sospetto  di  incostituzionalita'  che  sono
 stati denunciati.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritiene  non  manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3,
 42 e 53  della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  delle
 seguenti e contrapposte norme:
       a)  le  norme,  non corrispondenti a specifiche disposizioni di
 legge ma rinvenute nell'ordinamento giuridico vigente  dalla  suprema
 Corte di cassazione, in ordine alla ablazione del dominio ed acquisto
 di  esso  alla  pubblica amministrazione, senza atti espropriativi ma
 per effetto di costruzione di opera pubblica su suolo altrui;
       b) le norme, che,  come  sopra,  prevedono  l'acquisizione  del
 dominio  ed  il  sacrificio  del  diritto  privato senza indennizzo o
 comprendono tale indennizzo nel risarcimento del danno  fondando  sul
 fatto  illecito  la  cennata acquisizione ma escludendo la permanenza
 dell'illecito fino al risarcimento (od alla usucapione);
       c)  le  disposizioni  di  legge  che,   nella   interpretazione
 nomofilattica  della  Cassazione, assumono il senso di cui alle norme
 sopra indicate, cioe' le disposizioni di legge relative  ai  modi  di
 acquisto  della  proprieta'  (artt. da 922 a 947 del c.c.), gli artt.
 832, 834 e 838 del c.c. e l'art. 948 del c.c. laddove  non  prevedono
 che  la  presenza  di  opera  caratterizzata  da formale finalita' di
 pubblico  interesse,  anche   senza   il   compimento   di   regolare
 espropriazione,  determina  l'acquisto del dominio da parte dell'ente
 pubblico, senza indennita';
       d) gli artt. 1418, secondo comma e 2043 del  c.c.  laddove  non
 prevedono  che  il  negozio  o l'atto illecito possano esser sanati e
 spiegare gli effetti dell'atto valido necessario se consistono  nella
 costruzione  di  opera  pubblica  su  suolo  altrui  da parte di ente
 pubblico o soggetto delegato con la sola conseguenza del risarcimento
 del danno, dovuto da mancanza della sanatoria.
    Dispone  la  sospensione  del  presente giudizio e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che a cura della cancelleria la presente  ordinanza  venga
 notificata  alle  parti  ed  al Presidente del Consiglio dei Ministri
 nonche' comunicata ai presidenti delle due camere parlamentari.
    Cosi' deciso in Roma  nella  camera  di  consiglio  del  tribunale
 superiore delle acque pubbliche il 20 giugno 1994.
                       Il presidente: PALAZZOLO
    Depositata oggi in Cancelleria 6 ottobre 1994.
               Il collaboratore di cancelleria: COPPARI

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