N. 732 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 ottobre 1994

                                N. 732
 Ordinanza  emessa  l'11  ottobre  1994  dal  pretore  di  Torino  nel
 procedimento civile vertente tra D'Antino Raffaele e Paggi Claudio
 Processo penale - Difensore d'ufficio - Diritto alla retribuzione -
    Ritenuta obbligazione a carico dell'imputato - Eccesso di delega -
    Lamentato  egual  trattamento  per  situazioni  diverse  (imputato
    assistito  da  difensore  d'ufficio e imputato legato ex art. 2230
    del cod. civ. al difensore di fiducia).
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 31).
 (Cost., artt. 3, 76 e 77).
(GU n.51 del 14-12-1994 )
                              IL PRETORE
    In relazione al procedimento civile iscritto al n. 4339  rg.  1994
 della pretura circondariale di Torino, rileva quanto segue.
    Con  atto  di  citazione  notificato  il  17 aprile 1994 l'avv. R.
 D'Antino conveniva in giudizio Claudio Paggi per sentirlo  dichiarare
 tenuto  e  condannare al pagamento delle spettanze dovutegli in forza
 dell'attivita'  di  difensore  d'ufficio  espletata  a   favore   del
 convenuto  in  un procedimento penale instaurato dinanzi al tribunale
 di Torino. Claudio Paggi rimaneva contumace.
    Al termine dell'udienza istruttoria del 29 settembre 1994, il pre-
 tore assumeva la causa a riserva.
    Ad avviso di questo  giudicante,  alla  fattispecie  in  esame  e'
 applicabile  l'art.  31 delle norme di attuazione, di coordinamento e
 transitorie del codice di procedura penale approvate  con  d.lgs.  28
 luglio  1989,  n.  271  che prevede come "fermo quanto previsto dalle
 norme sul gratuito patrocinio, l'attivita' del difensore d'ufficio e'
 in ogni caso retribuita".
    A  sommesso  avviso  di  chi   scrive,   tale   norma   dev'essere
 interpretata  (almeno)  nel  senso  che (anche) l'imputato, che abbia
 usufruito della difesa obbligatoria d'ufficio di cui all'art. 97  del
 c.p.p., e' tenuto a retribuire il difensore stesso.
    Ora, il d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, e' stato emanato sulla base
 dell'art.  6,  della  legge  16  febbraio  1987,  n.  81,  di  delega
 legislativa al Governo della Repubblica per  l'emanazione  del  nuovo
 codice di procedura penale. Tale art. 6, delega il Governo ad emanare
 le norme di attuazione delle disposizioni previste negli artt. 2, 3 e
 5 della legge di delegazione.
    L'art.   31   suddetto,  quindi,  e'  una  norma  delegata  e,  di
 conseguenza, ex artt. 76 e 77 della Costituzione, deve  adeguarsi  ai
 principi   ed   ai   criteri   direttivi  contenuti  nella  legge  di
 delegazione.
    Secondo il piu'  autorevole  pensiero  dottrinario-costituzionale,
 data  la  portata  non  solo  di specificazione, ma anche di parziale
 determinazione del  contenuto  della  norma  delegata,  la  legge  di
 delegazione non e' solo norma sulla produzione, bensi' anche norma di
 produzione  giuridica. La correlazione che ne deriva rende plausibile
 la configurazione delle due leggi, delegante e delegata, come momenti
 di un unico speciale procedimento legislativo.
    Il riferimento dell'art. 76 della Costituzione tanto  ai  principi
 quanto  ai  criteri  di  determinazione  cui  deve adeguarsi la legge
 delegata,  di  conseguenza,  vogliono  esprimere,  secondo  il   piu'
 autorevole  pensiero,  proprio un'endiadi adoperata dal Costituente e
 suggerita dall'intento di limitare al massimo il potere del delegato.
    La legge di delegazione in questione  pero',  non  pare  contenere
 alcun  principio  o  criterio  direttivo  dal  quale  far  discendere
 l'obbligo dell'imputato di retribuire il difensore d'ufficio  di  cui
 non  si siano richieste le prestazioni professionali. Tali principi e
 criteri, infatti, non  paiono  poter  discendere  dalle  disposizioni
 dell'art.  2,  primo comma, legge di delegazione, che prevede come il
 nuovo codice di procedura penale debba  adeguarsi  alle  norme  delle
 convenzioni  internazionali  ratificate dall'Italia, ne' dall'art. 2,
 primo  comma,  n.  3,  legge   di   delegazione,   che   prevede   la
 partecipazione  dell'accusa e della difesa su basi di parita' in ogni
 stato e grado del procedimento. Ad avviso  del  giudicante,  infatti,
 ne'  l'art.  6, terzo comma, lettera c) della legge 4 agosto 1955, n.
 848, di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la  salvaguardia
 dei  diritti  dell'uomo  (che  prevede  solo il diritto di difendersi
 personalmente o con l'assistenza di un difensore  di  fiducia  e,  in
 mancanza  di  mezzi,  di essere assistito da un difensore d'ufficio),
 ne' il suddetto principio di parita' rappresentano principi o criteri
 da  cui  possa  discendere  l'obbligo  giuridico  per  l'imputato  di
 retribuire  un  difensore  del  quale  non sia stata richiesta (o sia
 stata addirittura rifiutata) l'assistenza.
    Su tali basi, ad avviso dello scrivente, puo' essere reputata  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 31 delle norme di attuazione del codice di procedura penale
 in relazione agli artt. 76 e  77  della  Carta  costituzionale  nella
 parte  in  cui  prevede  che  il  difensore  d'ufficio  debba  essere
 retribuito dall'imputato.
    Ulteriore    questione    non    manifestamente    infondata    di
 costituzionalita'   dell'art.  31  suddetto,  puo'  essere  posta  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione che  prevede  l'eguaglianza
 dei  cittadini  davanti alla legge. Difatti, l'interpretazione di cui
 sopra della norma contenuta  nel  d.lgs.  28  luglio  1989,  n.  271,
 porterebbe   a  considerare  identicamente  obbligati  alla  medesima
 prestazione pecuniaria nei confronti del difensore, tanto  l'imputato
 che  abbia stipulato con lo stesso un contratto ex art. 2230 c.c., da
 cui discendono le relative obbligazioni negoziali, quanto  l'imputato
 che da tale difensore sia stato assistito ex lege, in forza dell'art.
 97   del   c.p.p.,   senza   averne  fatto  alcuna  richiesta  ovvero
 rifiutandone l'assistenza.
    Le questioni prospettate sono  rilevanti,  ai  fini  del  presente
 giudizio,  giacche'  influiscono sulla stessa sussistenza del diritto
 di credito fatto valere  da  parte  attrice,  che  trae  dalla  norma
 impugnata la propria legittimita'.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone la rimessione d'ufficio degli atti del giudizio alla Corte
 costituzionale  ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza
 della questione di legittimita' costituzionale dell'art.  31,  d.lgs.
 28  luglio  1989,  n. 271, nella parte in cui prevede che l'attivita'
 del difensore d'ufficio e' in ogni caso retribuita, in relazione agli
 artt. 3, 76 e 77 della Costituzione;
    Dispone la sospensione del presente procedimento;
    Demanda alla Cancelleria gli incombenti di cui all'art. 23, quarto
 comma, legge 11 marzo 1953, n. 87.
      Torino, addi' 11 ottobre 1994
                           Il pretore: RIZZI

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