N. 741 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 ottobre 1994

                                N. 741
 Ordinanza  emessa  il  6  ottobre  1994  dal  pretore  di  Gela   nel
 procedimento penale a carico di La Rocca Angelo ed altra
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Previsione della
    sospensione  di tutti i procedimenti penali relativi a costruzioni
    abusive ultimate  o  interrotte  con  il  sequestro  entro  il  31
    dicembre 1993 ed estinzione degli stessi dopo l'avvenuto pagamento
    -  Indebita  rinuncia  dello  Stato alla pretesa punitiva senza la
    prescritta maggioranza dei due terzi del  componenti  di  ciascuna
    Camera richiesta per la concessione dell'amnistia - Violazione dei
    principi  di  uguaglianza, di tutela del paesaggio, della saluta e
    della liberta' di iniziativa economica privata.
 (D.L. 27 settembre 1994, n. 551, art. 1, primo, secondo e quinto
    comma).
 (Cost., artt. 3, 9, 32, 41 e 79).
(GU n.52 del 21-12-1994 )
                              IL PRETORE
   Visti gli atti  del  sopraccitato  procedimento,  contro  La  Rocca
 Angelo  nato  a  Licata il 18 maggio 1960, e Aurnia Giuseppina nata a
 Mazzarino il 9 febbraio 1966, imputati dei reati di cui  agli  artt.:
 20,  lett.  b),  per avere realizzato senza la prescritta concessione
 edilizia la costruzione costituita da un fabbricato a piano terra  di
 circa  260  mq,  con  pilastri  in  cemento armato e travi in cemento
 armato e travi in acciaio, in c.da Cocuzza, f.m. 112, partt.  11-153;
 1,  2,  4,  13  e  14 della legge 5 novembre 1971, n. 1086, per avere
 realizzato la costruzione sopra indicata con  opere  in  conglomerato
 cementizio  armato  senza  il progetto esecutivo e la direzione di un
 tecnico  abilitato  ed  avendo  omesso  di  denunciare   tali   opere
 all'ufficio  del genio civile prima del loro inizio; 17, 18, 20 della
 legge 2 febbraio 1974, n. 64, per  avere  realizzato  la  costruzione
 sopra  indicata al capo a) in zona sismica senza preavviso scritto al
 sindaco  e  all'ufficio  del  genio  civile  e  senza  la  preventiva
 autorizzazione di quet'ultimo ufficio; in territorio di Gela, fino al
 1  febbraio  1992  e  oltre fino ad oggi ed ancora oltre in quanto la
 costruzione non e' ultimata;
    Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art.  23,
 terzo, primo e secondo, terzo comma;
    Preso  atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 6 del  d.l.  27
 settembre   1994,   n.   551,   in   riferimento  all'art.  79  della
 Costituzione;
    Ritenuto  di  dover  sollevare  anche   d'ufficio   questione   di
 legittimita'  costituzionale  delle  norme  di cui all'art. 1, primo,
 secondo e quinto comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551,  in  cui
 e'  ravvisata  la  violazione  dell'art.  79, e dell'art. 3, sotto il
 duplice  profilo  dell'irragionevolezza  di  tali   norme   e   della
 disparita'  di  trattamento in relazione agli artt. 9, secondo comma,
 32, primo comma, 41, secondo comma, della Costituzione;
    Ritenuto che le prospettate questioni appaiono tutte  rilevanti  e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    Il  fabbricato  oggetto del presente procedimento e' astrattamente
 assoggettabile alla normativa sul condono edilizio.
    Peraltro  il  fabbricato  in   questione   risulta   prima   facie
 rispondente  alla  nozione  di  ultimazione  contenuta  nell'art. 31,
 secondo comma, della legge n. 47/1985, e comunque sanabile  ai  sensi
 dell'art. 43, quinto comma, della medesima legge.
    La  precisazione  contenuta  nel  capo d'imputazione formulato nel
 decreto di rinvio a giudizio, ove si legge che l'opera non  e'  stata
 sino  ad  oggi  ultimata  puo'  valere  semmai  solo sotto il profilo
 dell'attuale del reato.
    L'imputato  ha  chiesto  che  il  processo  venga  sospeso;   tale
 richiesta  rende  evidente,  e  processuale,  la  volonta' di valersi
 dell'intera  procedura  di  sanatoria  per   ottenere   il   "condono
 edilizio".
    Ne consegue che, come ha gia' stabilito la Corte costituzionale in
 caso identico (sentenza 23-31 marzo 1988, n. 369) divengono rilevanti
 nella  specie  le  questioni di costituzionalita' relative a tutte le
 summenzionate disposizioni  aventi  forza  di  legge,  che  risultano
 intimamente  collegate  fra  loro  nell'unico  fine  di regolamentare
 (esternamente  ed  internamente)  il  meccanismo  procedimentale   di
 sanatoria.
    Ad  ogni buon conto, dal combinato disposto degli artt. 1, secondo
 e quinto comma, del d.l. n. 551/1994, e 44 della  legge  n.  47/1985
 discende  che  la  sospensione  opera  anche  a  prescindere  da  una
 richiesta di parte, e serve a creare  la  condizione  necessaria  per
 l'operativita'    (immediatamente    successiva),    del   meccanismo
 procedimentale del condono; dunque le disposizioni che  regolamentano
 piu'  direttamente  tale  meccanismo  assumono rilevanza nel presente
 processo (e  con  esse  le  questioni  di  costituzionalita'  che  le
 investono)  nel  momento  stesso  in cui il giudice deve provvedere a
 sospendere (o meno) il processo.
    Come precisato poi dal giudice di legittimita', non ogni  processo
 per  illeciti  urbanistici  o  edilizi va sospeso, ma soltanto quelli
 relativi  a  reati  suscettibili  di  essere  estinti  attraverso  la
 procedura  amministrativa;  il  giudice  deve  dunque  esaminare,  ad
 esempio, il tempus commissi delicti, e nel far cio' deve osservare le
 norme contenute nel primo e secondo comma dell'art. 1  del  d.l.  n.
 551/1994.  Tali norme assumono dunque a maggior ragione rilevanza nel
 presente processo.
    Le restanti norme di cui all'art. 1, e agli artt. 2 e 5 del  d.l.
 in  questione,  rilevano  nel  presente  processo nella misura in cui
 disciplinano modalita' e fasi del procedimento di sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
     a) Violazione dell'art. 79.
    Il "condono edilizio"  si  configura  come  istituto  di  clemenza
 attraverso  il  quale  viene  meno,  limitatamente  a  fatti  tipici,
 commessi in un circoscritto periodo  di  tempo,  anteriore  alla  sua
 operativita', la pretesa punitiva dello Stato.
    Analizzandone  il meccanismo operativo, la Corte costituzionale si
 e' espressa (con la sentenza n. 369/1988) nel senso che tale istituto
 non  possa  essere  ricondotto  alla  figura   tipica   dell'amnistia
 condizionata,  e introduca invece una causa atipica di estinzione del
 reato.
    Rimane    tuttavia    inesplorata   dalla   Corte   costituzionale
 l'argomentazione,  addotta  dal  p.m.,  circa   la   riconducibilita'
 dell'istituto  del  condono  a  quello  dell'amnistia  sottoposta  ad
 obblighi; tale figura e' espressamente  prevista  dall'art.  151  del
 codice penale.
    Il  "potere  di  clemenza" incontra dei limiti, anche procedurali,
 nella Carta costituzionale; tra essi quello, recentemente  posto  dal
 legislatore  costituzionale  con  la  revisione  dell'art.  79 (legge
 costituzionale 6 marzo 1992, n. 1): prevede la norma  che  l'amnistia
 sia  concessa  con  legge  deliberata a maggioranza dei due terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale.
    Conclude dunque il p.m. che il  "condono",  in  quanto  rientrante
 nella     tradizionale     figura     dell'amnistia,     e'     stato
 incostituzionalmente concesso dal Governo con decreto-legge.
    Il quesito che invece viene posto da questo pretore alla  Consulta
 muove   dall'assunto  che  il  condono,  comunque  lo  si  etichetti,
 costituisce forma d'esercizio della  generale  potesta'  di  clemenza
 dello  Stato,  e  debba  percio' essere concesso con le forme dinanzi
 prospettate.
    Anche tale questione, per molti versi analoga alla  prima,  appare
 non   manifestamente   infondata:  a  ritenere  che  l'esecutivo  sia
 legittimato a dar vita, con decretazione  d'urgenza,  ad  una  misura
 generale  di  clemenza  che  si  distingue solo per fisionomia, e non
 anche per effetti giuridici, dall'amnistia,  si  giungerebbe  ad  una
 sostanziale elusione del dettato costituzionale.
    Dal disposto dell'art. 79 della Costituzione emerge chiaramente la
 volonta' che l'emanazione di misure clemenziali generali, comportanti
 l'estinzione  del reato, debba essere riservata all'apprezzamento del
 Parlamento, al quale soltanto e' rimessa la potesta' di limitare  con
 tale estensione la pretesa punitiva pubblica.
    E  dunque il termine "amnistia", contenuto nel citato art. 79, non
 va  inteso  in  senso  strettamente  tecnico  (dando  cioe'   rilievo
 preminente  al  peculiare  meccanismo  operativo  dell'istituto),  ma
 ricondotto  ad  una  nozione  generale   di   misura   di   clemenza,
 caratterizzata  da  elementi  "sostanziali" tipici (effetto estintivo
 del reato limitato a fatti determinati, commessi in  un  circoscritto
 periodo  di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore) comuni tanto
 alla tradizionale amnistia quanto al condono.
    Violazione dell'art. 3, anche in relazione agli artt.  9,  secondo
 comma, 32, primo comma, 41, secondo comma.
    La   rinunzia   alla   pretesa   punitiva  da  parte  dello  Stato
 relativamente   a   determinati   reati,   comporta    un'inevitabile
 pregiudizio  al  principio  di  uguaglianza;  essa  deve  ispirarsi a
 criteri di ragionevolezza sostanziale e "trovare giustificazione  nel
 quadro  costituzionale  che  determina  il  fondamento  e  di  limiti
 dell'intervento punitivo dello Stato" (Corte costituzionale  sentenza
 n.  369/1988),  ed adeguato bilanciamento all'interno della gerarchia
 dei valori e  dei  beni  costituzionalmente  tutelati.  Cio'  a  pena
 d'irragionevolezza e di ingiustificate disparita'.
    Con  riguardo al condono edilizio del 1985 la Corte costituzionale
 verifico' che l'eccezionale introduzione di una causa atipica di "non
 punibilita'" e "non procedibilita'" per condotte recanti  pregiudizio
 a  fondamentali esigenze della collettivita', trovava giustificazione
 nell'intento di "chiudere un passato d'illegalita'  di  massa"  e  di
 "porre  sicure  basi normative per la repressione futura di fatti che
 violano fondamentali esigenze" quali il governo  del  territorio;  la
 sicurezza  dell'esercizio dell'iniziativa economica privata ed il suo
 coordinamento a fini sociali; la funzione sociale  della  proprieta';
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico.
    E'   ritenuta   non   manifestamente  infondata  la  questione  di
 costituzionalita' concernente l'irragionevolezza delle norme che oggi
 reiterano, a  distanza  di  nove  anni,  il  meccanismo  del  condono
 edilizio;  non  si  puo' infatti parlare piu' di eccezionalita' della
 misura clemenziale, stante la sua riproposizione ciclica e l'ampiezza
 del periodo di tempo nell'ambito del quale e' destinata  ad  operare;
 ne'  puo'  nuovamente valere l'intento, gia' vanificato una volta, di
 chiudere con un passato di diffusa illegalita'.
    Appaiono invece compromessi, nella materia edilizia, in virtu'  di
 tale   reiterazione,   gli   aspetti   di  certezza,  uguaglianza  ed
 obbligatorieta' (dell'azione penale e della pena)  che  informano  il
 sistema costituzionale-penalistico.
    Deve  infine  osservarsi che le norme incriminatrici su cui incide
 il condono edilizio mirano a salvaguardare beni fondamentali  per  la
 collettivita':  a)  il  paesaggio, e dunque sia il razionale sviluppo
 urbanistico del territorio che la tutela del pregio naturalistico; b)
 la salute psico-fisica,  compromessa  particolarmente  in  zone  dove
 l'enormita'  del  fenomeno dell'abusivismo edilizio ed il conseguente
 degrado dei centri abitati sottrae all'individuo il diritto di vivere
 in un ambiente sano. La questione di costituzionalita'  sollevata  in
 riferimento   all'art.   3  della  Costituzione  appare  percio'  non
 manifestamente infondata anche quando involge l'aspetto del  corretto
 (o  meno)  bilanciamento tra le ragioni del nuovo "condono" (e cioe',
 in  base  alle  premesse  del  d.l.  n.   551/1994,   il   "rilancio
 dell'attivita'    economica    ..    la   ripresa   delle   attivita'
 imprenditoriali .. l'esigenza di semplificazione dei procedimenti  in
 materia  urbanistico-edilizia") e le ragioni di tutela dei beni sopra
 indicati.
    Considerando la questione secondo la prospettiva  del  divieto  di
 irragionevoli  disparita' di trattamento per situazioni meritevoli di
 pari tutela, si rileva che il nuovo (seppur limitato) sacrificio  dei
 beni  costituzionali tutelati dagli artt. 9 e 32 della Carta non pare
 trovare adeguata giustificazione, e  dunque  razionale  bilanciamento
 all'interno  del  quadro  costituzionale:  cio'  nella misura in cui,
 mentre non vengono sanzionate penalmente le offese  arrecate  a  quei
 beni,  ricevono  invece  un  trattamento di favore alcune espressioni
 della liberta' di iniziativa economica privata le quali,  pur  avendo
 "rango"  costituzionale,  tuttavia  non possono, come invece pare nel
 caso di specie, contrastare con  l'utilita'  sociale  e  la  dignita'
 umana.
    E'  stata la stessa Corte costituzionale a definire in particolare
 il paesaggio come "valore  primario  dell'ordinamento"  (sentenze  21
 dicembre 1985, n. 359, 27 giugno 1986, n. 151, ed a sottolineare come
 tutela  di  tale  valore  sia  collocata "fra i principi fondamentali
 dell'ordinamento", e che il perseguimento di tale  tutela  presuppone
 necessariamente  la  comparazione  ed  il  bilanciamento di interessi
 diversi, in particolare  degli  interessi  pubblici  ..  (sentenza  1
 aprile 1985, n. 94).
                               P. Q. M.
   Sospende   il   presente   procedimento   e   dispone   l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della   presente
 ordinanza,  letta  in  dibattimento,  al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
 della Camera dei deputati.
      Gela, addi' 6 ottobre 1994
                           Il pretore: TOSO

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