N. 440 SENTENZA 12 - 23 dicembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena  -  Conversione  delle  pene   pecuniarie   non   eseguite   per
 insolvibilita'  del  condannato  -  Ragguaglio  e  quantificazione  -
 Criteri di calcolo improntati al  computo  di  venticinquemilalire  o
 frazione  di  venticinquemilalire  anziche'  settantacinquemilalire o
 frazione di settantacinquemilalire di pena pecuniaria per  un  giorno
 di liberta' controllata - Vulnerazione del principio di uguaglianza -
 Disparita'  di  trattamento tra situazioni sostanzialmente omogenee -
 Difetto   di   rilevanza   -    Illegittimita'    costituzionale    -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, terzo comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.53 del 28-12-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof.
 Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,   prof.
 Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  102,  terzo
 comma,  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
 penale) e dell'articolo unico della legge  5  ottobre  1993,  n.  402
 (Modifica  dell'art.  135  del  codice  penale:  ragguaglio  fra pene
 pecuniarie e pene detentive), promossi con le seguenti ordinanze:
      1) n. 4 ordinanze emesse il 18 gennaio 1994  dal  Magistrato  di
 sorveglianza   di   Sassari  nei  procedimenti  di  sorveglianza  nei
 confronti di Massidda Pier Paolo, Serra Gesuino Massimo,  Piovanaccio
 Costantino  e Pisano Giuseppino, rispettivamente iscritte ai nn. 230,
 231, 232 233 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  19, prima serie speciale, dell'anno
 1994;
      2)  ordinanza  emessa  il  28  marzo  1994  dal  Magistrato   di
 sorveglianza   del   Tribunale   per  i  minorenni  di  Cagliari  nel
 procedimento  promosso  dal  Pubblico  Ministero  nei  confronti   di
 Pillittu  Gianluca,  iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1994 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  23,  prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 9  novembre  1994  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  quattro  ordinanze  di  identico  contenuto  emesse  in
 altrettanti procedimenti di conversione della pena della  multa,  non
 eseguita   per   l'insolvibilita'   del  condannato,  nella  sanzione
 sostitutiva della liberta' controllata, il Magistrato di sorveglianza
 di Sassari ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  102,  terzo  comma,  della  legge 24 novembre 1981, n. 689
 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non  stabilisce  un
 criterio di ragguaglio tra pena pecuniaria e liberta' controllata che
 si  raccordi  a  quello  stabilito  dall'art.  135 del codice penale,
 secondo le modifiche apportate dalla legge 5 ottobre  1993,  n.  402.
 Osserva  in  proposito il giudice a quo che se e' vero che l'art. 135
 c.p. e l'art. 102 della legge n. 689 del  1981  disciplinano  materie
 diverse  (l'uno  il  criterio  per il ragguaglio tra pena detentiva e
 pena pecuniaria e l'altro  il  criterio  di  conversione  della  pena
 pecuniaria  in  liberta'  controllata o lavoro sostitutivo), al punto
 che in astratto "si potrebbe ritenere del tutto  ragionevole  che  il
 legislatore  abbia  previsto due differenti criteri di ragguaglio per
 materie fra loro eterogenee", le interferenze che si determinano  tra
 la  disciplina  dettata  dall'art.  135 c. p. e quella prevista dalla
 legge n. 689  del  1981  in  tema  di  sanzioni  sostitutive  e  pene
 pecuniarie  generano  in concreto una disparita' di trattamento priva
 di qualsiasi giustificazione.
   Rileva, infatti, il giudice a quo che la liberta'  controllata,  la
 quale  pure  deve  ritenersi una sanzione sostitutiva piu' afflittiva
 della pena pecuniaria, puo' divenire -  nell'ipotesi  di  conversione
 per  violazione  delle  prescrizioni  -  "meno  severa della sanzione
 sostitutiva della pena pecuniaria, convertita a sua volta in liberta'
 controllata per insolvibilita' del condannato e di nuovo commutata in
 pena detentiva per violazione delle prescrizioni".
    Il tutto a differenza di quanto scaturiva dal sistema  previgente,
 dal   momento  che  lo  stesso  stabiliva  un  identico  criterio  di
 ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva e tra pena pecuniaria
 e liberta' controllata.
    A conforto della dedotta violazione del principio di  uguaglianza,
 il  rimettente  prospetta  il  seguente  duplice  esempio. Qualora il
 giudice ritenga di irrogare una pena detentiva pari  a  tre  mesi  di
 reclusione e questa venga convertita ex art. 53 della legge n. 689/81
 in   sei  mesi  di  liberta'  controllata,  nell'ipotesi  in  cui  il
 condannato violi (sin dal primo giorno) le prescrizioni, la  liberta'
 controllata  torna ad essere convertita in tre mesi di reclusione. Se
 invece il giudice decide  di  convertire  la  pena  di  tre  mesi  di
 reclusione  nella  pena pecuniaria, questa sara' pari - in virtu' del
 nuovo criterio di ragguaglio stabilito dall'art. 135 c.p.p -  a  lire
 6.750.000; in caso di insolvibilita', pero', dovra' essere convertita
 ex  art.  102  della  legge  n. 689/81 secondo il diverso criterio di
 ragguaglio  pari  a  lire  25.000  per  ogni   giorno   di   liberta'
 controllata:  il  condannato,  dunque,  dovra'  eseguire nove mesi di
 liberta' controllata e, nel caso di violazione delle prescrizioni sin
 dal  primo  giorno,  la  liberta'  controllata  sara'  a  sua   volta
 convertita  in  nove  mesi  di  reclusione  (art.  108 della legge n.
 689/81).
    Da questo esempio risulta evidente - secondo il giudice  a  quo  -
 l'assurda   disparita'  di  trattamento  scaturita  dalla  situazione
 creatasi  per  effetto  del  mancato  adeguamento  del  criterio   di
 ragguaglio  fissato  nell'art.  102,  comma  terzo,  della  legge  24
 novembre 1981, n. 689, al  nuovo  criterio  di  ragguaglio  tra  pene
 detentive  e  pene  pecuniarie  dall'art.  135  codice  penale,  come
 modificato dalla legge 5 ottobre 1993, n. 402. Ed infatti la liberta'
 controllata, che deve ritenersi una sanzione sostitutiva maggiormente
 afflittiva rispetto  alla  pena  pecuniaria,  finisce  col  divenire,
 nell'ipotesi patologica in cui si renda necessaria la sua conversione
 per   violazione  delle  prescrizioni,  meno  severa  della  sanzione
 sostitutiva della pena pecuniaria, convertita a sua volta in liberta'
 controllata per insolvibilita' del condannato e di nuovo commutata in
 pena detentiva per violazione delle prescrizioni.
    2. - Nello spiegare intervento  in  giudizio,  l'Avvocatura  dello
 Stato,  oltre  a  riportarsi  alle  considerazioni  svolte  in  altro
 giudizio (avente peraltro un  diverso  tema),  ha  osservato  che  la
 questione  "mette in evidenza un problema effettivo" che tuttavia non
 dipende - ad avviso della difesa dello Stato - dalla norma impugnata:
 la questione, sostiene l'Avvocatura, sarebbe pertanto infondata.
    3. - Il Magistrato di  sorveglianza  presso  il  Tribunale  per  i
 minorenni di Cagliari solleva, invece, sempre in riferimento all'art.
 3  della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale della
 legge 5 ottobre 1992, n.  402,  nella  parte  in  cui  ha  omesso  di
 modificare  l'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, nel
 senso di  prevedere  che  nell'ipotesi  di  conversione  in  liberta'
 controllata  o  in  lavoro  sostitutivo  delle  pene  pecuniarie  non
 eseguite per insolvibilita' del condannato, la somma  da  considerare
 per  il  relativo calcolo sia rispettivamente di lire 75.000 per ogni
 giorno di liberta' controllata e di lire 150.000 per ogni  giorno  di
 lavoro sostitutivo.
    Osserva il giudice a quo che la legge n. 689 del 1981, nel dettare
 disposizioni  in  materia di pene pecuniarie, aveva creato un sistema
 armonico stabilendo  che  il  computo  per  il  ragguaglio  tra  pene
 pecuniarie e pene detentive fosse effettuato calcolando lire 25.000 o
 frazione  di  lire  25.000 per un giorno di pena detentiva, e cio' in
 relazione a tutti gli istituti per i quali fosse  necessario  operare
 il ragguaglio.
    Anche  l'art. 102, terzo comma, della stessa legge indicava (forse
 superfluamente, rileva il giudice a quo, in quanto  gia'  operava  la
 previsione  dettata  in  via  generale  dall'art. 135 c.p., valida "a
 qualunque  effetto  giuridico")  la  medesima  somma  ai  fini  della
 conversione  in liberta' controllata delle pene pecuniarie ineseguite
 per insolvibilita' del condannato: il  che,  osserva  il  rimettente,
 consente  di  ritenere  che  la somma di lire 25.000 rispondesse alla
 stessa ratio e fosse ispirata al principio del favor rei. La modifica
 apportata all'art. 135 c.p., priva di una  corrispondente  elevazione
 degli  importi  stabiliti  dall'art. 102, terzo comma, della legge n.
 689 del 1981, ha cosi' determinato una ingiustificata ed  irrazionale
 disarmonia   del   sistema,  regolando  in  modo  diverso  situazioni
 sostanzialmente omogenee e aggravando la posizione di  diseguaglianza
 in  danno dei nullatenenti. In conclusione, osserva il giudice a quo,
 non sussiste alcuna ragione  logica  per  creare  una  diversita'  di
 trattamento  tra  un condannato insolvibile e un condannato che debba
 invece godere di altri benefici, nonostante che  per  entrambi  debba
 operarsi il ragguaglio tra pene di specie diversa.
    4.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato,  la  quale  ha  chiesto  dichiararsi  non fondata la questione
 riportandosi all'atto di intervento spiegato in altro giudizio avente
 peraltro un diverso oggetto.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Pur  se riferite a fonti normative differenti, le questioni
 investono, partendo da versanti fra loro posti  su  di  un  piano  di
 complementarita'  logica,  un  identico tema del decidere: i relativi
 giudizi  vanno  pertanto  riuniti  per  essere  definiti  con   unica
 sentenza.
    2.  - Il Magistrato di sorveglianza di Sassari impugna l'art. 102,
 terzo comma, della legge 24  novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al
 sistema  penale)  nella  parte  in  cui, stabilendo l'ammontare della
 sanzione pecuniaria che deve essere  conteggiata  per  un  giorno  di
 liberta'  controllata  da applicare in sede di conversione delle pene
 della multa  e  dell'ammenda  non  eseguite  per  insolvibilita'  del
 condannato,  fissa un valore che non si rapporta al nuovo criterio di
 ragguaglio tra pena pecuniaria e pena  detentiva  indicato  dall'art.
 135 del codice penale, come modificato dalla legge 5 ottobre 1993, n.
 402. A conforto della dedotta violazione del principio di uguaglianza
 il  giudice a quo adduce l'ipotesi in cui il giudice ritenga di dover
 applicare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva:  in
 tal  caso  - correttamente osserva il rimettente - la quantificazione
 della pena pecuniaria sara' effettuata alla stregua del nuovo importo
 di ragguaglio stabilito dall'art. 135 c.p.,  mentre,  in  ipotesi  di
 insolvibilita',   tale   pena  deve  essere  convertita  in  liberta'
 controllata  secondo  il  diverso  meccanismo  di  computo  stabilito
 dall'art.  102,  terzo  comma,  della legge n. 689 del 1981; sicche',
 nell'ipotesi in cui il condannato  violi  sin  dal  primo  giorno  le
 prescrizioni  inerenti alla liberta' controllata applicata in sede di
 conversione, lo stesso, a norma dell'art. 108,  primo  comma,  dovra'
 espiare un periodo di pena detentiva triplo rispetto a quello preso a
 base dal giudice nella sentenza di condanna. Dal meccanismo normativo
 censurato scaturisce, dunque, che, ove si renda necessario convertire
 la  liberta'  controllata  per  la  violazione delle prescrizioni, le
 conseguenze saranno diverse a seconda che  tale  sanzione  sia  stata
 applicata  in  sostituzione  di  pene  detentive  ovvero  in  sede di
 conversione  di  pene  pecuniarie,  col  paradosso  di  rendere  piu'
 afflittivi gli effetti in quest'ultima ipotesi malgrado la diversita'
 delle situazioni di partenza.
    3.  -  Considerazioni e censure di indiscutibile esattezza, quelle
 svolte dal giudice a quo, che testimoniano  le  profonde  aporie  che
 hanno  turbato  l'armonia  del sistema a seguito della non coordinata
 modifica che il legislatore ha recentemente  apportato  all'art.  135
 del  codice  penale.  Malgrado  cio', non puo' tuttavia non rilevarsi
 come la questione, per  i  termini  in  cui  e'  stata  proposta,  si
 presenti  del  tutto  eventuale  agli  effetti della decisione che il
 rimettente e' chiamato ad adottare,  giacche'  la  conversione  della
 pena  pecuniaria  in  liberta'  controllata  -  oggetto dei giudizi a
 quibus - prescinde evidentemente dagli epiloghi, soltanto  ipotetici,
 che  possono  scaturire  dalle  vicende  applicative  della  sanzione
 sostitutiva e, quindi, da una eventuale conversione di  questa  nella
 pena  detentiva  della  specie  corrispondente  a  quella  della pena
 pecuniaria originariamente inflitta.
    La questione  deve  dunque  essere  dichiarata  inammissibile  per
 carenza del necessario requisito della rilevanza.
    4.  -  Il Magistrato di sorveglianza del Tribunale per i minorenni
 di  Cagliari  ha   invece   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'articolo  unico  della  legge 5 ottobre 1993, n.
 402, nella parte in cui, aumentando da lire  venticinquemila  a  lire
 settantacinquemila   il   valore  in  base  al  quale  effettuare  il
 ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, ha omesso di operare
 l'identica  variazione  del  corrispondente  importo alla cui stregua
 deve essere determinato, a norma dell'art. 102,  terzo  comma,  della
 legge  n.  689  del  1981,  il  periodo  di  liberta'  controllata da
 applicare nell'ipotesi  di  conversione  delle  pene  pecuniarie  non
 eseguite  per  insolvibilita'  del condannato. Da cio' scaturisce, ad
 avviso  del  giudice  a  quo,  un  ingiustificato  ed   irragionevole
 squilibrio  del sistema atto a vulnerare il principio di uguaglianza,
 considerato che l'omesso coordinamento normativo finisce per generare
 una  disparita'  di  trattamento  fra   situazioni   "sostanzialmente
 omogenee",  aggravando  la  posizione  dei  condannati che versino in
 condizioni di insolvibilita'.
    Pur se formalmente attinta e' la fonte novellatrice dell'art.  135
 c.p.,  il  petitum  che  il  giudice  a  quo  mostra di perseguire e'
 chiaramente  volto  a  sollecitare  una   pronuncia   "riadeguatrice"
 dell'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, nel senso di
 raccordare  il  valore ivi indicato al nuovo importo che ora funge da
 criterio  di  ragguaglio  fra  pene  detentive  e  pene   pecuniarie.
 Ricondotta in tali esatti termini, la questione e' fondata.
    5.  -  Dai  lavori parlamentari che hanno preceduto l'approvazione
 della legge n. 402 del 1993 emerge infatti con estrema chiarezza come
 l'unico aspetto preso in considerazione  dal  legislatore  sia  stato
 quello  di aumentare, triplicandolo, il valore di ragguaglio tra pene
 pecuniarie e pene detentive, nel dichiarato intento  di  ampliare  la
 possibilita'  di  fruire del beneficio della sospensione condizionale
 della pena nei casi di condanna a pena congiunta o anche  soltanto  a
 pena   pecuniaria   ma  di  ammontare  elevato,  avuto  riguardo,  in
 particolare, al diminuito valore della moneta intervenuto  dall'epoca
 in  cui  l'art.  101  della  legge 24 novembre 1981, n. 689, aveva in
 precedenza riadeguato l'importo posto a base dell'art. 135  c.p.  (si
 veda,  a  tal  proposito,  la  relazione  al  disegno di legge n. 982
 presentato al Senato il 17 febbraio 1993). Una valutazione di favore,
 dunque, alla quale non sono state mosse obiezioni di  rilievo,  salvo
 le  "riserve"  espresse  dal  rappresentante  del  Governo  "circa un
 provvedimento che altera comunque il  rapporto  di  valori  tra  pene
 detentive  e  pecuniarie",  a  fronte  della  ritenuta  "esigenza  di
 procedere congiuntamente ad un generale  innalzamento  delle  entita'
 delle pene pecuniarie edittali, che pure hanno risentito dell'effetto
 erosivo  dell'inflazione"  (Commissione  Giustizia del Senato, seduta
 del 22 aprile 1993 in sede deliberante).
    Tale essendo stato il circoscritto obiettivo perseguito attraverso
 la disposizione novellatrice dell'art. 135 c.p., ne consegue  che  il
 legislatore  ha  assunto una posizione per cosi' dire amorfa rispetto
 agli   inevitabili   riverberi   che   dalla    modifica    normativa
 ineluttabilmente  scaturivano, vuoi sul piano generale delle sanzioni
 sostitutive, vuoi, soprattutto, sullo specifico tema che qui  rileva,
 vale  a  dire  sull'ormai  squilibrato  valore  che l'art. 102, terzo
 comma, della legge n.  689  del  1981  stabilisce  agli  effetti  del
 computo   della   liberta'   controllata  da  applicare  in  sede  di
 conversione delle pene pecuniarie. Posizione questa che se da un lato
 non consente di ritenere un siffatto e macroscopico  squilibrio  come
 frutto  di  una  scelta  discrezionale,  dall'altro,  e per converso,
 impedisce di pervenire ad una ragionevole ricostruzione del  sistema,
 per   essere   la  norma  sottoposta  a  scrutinio  ormai  fortemente
 compromessa  da  un  sostanziale  e sopravvenuto "vuoto di fini". Se,
 infatti, la determinazione del valore secondo  il  quale  operare  la
 conversione   delle   pene  pecuniarie  in  liberta'  controllata  fu
 stabilita dal legislatore del 1981 in perfetta  aderenza  all'importo
 che  l'art.  135  c.p.  ,  contestualmente  novellato,  fissava  come
 criterio di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene  detentive,  e  se,
 ancora,  tutto  cio'  ebbe  a  ricevere  veste  precettiva attraverso
 disposizioni non soltanto topograficamente ma anche  logicamente  fra
 loro  correlate  (artt. 102 e 101 della legge n. 689 del 1981), se ne
 puo' allora desumere che l'identita' degli importi indicati nelle due
 norme poste a raffronto non fu dovuta al  caso,  ma  rappresento'  il
 frutto  di  una  precisa  e coerente scelta di politica criminale, al
 fondo della quale stava l'avvertita esigenza - piu'  volte  posta  in
 risalto  da  questa  Corte  -  di  non  aggravare  le conseguenze che
 derivano dalla condanna in dipendenza delle condizioni economiche del
 reo. Cosi' ricostruita la funzione che la norma sottoposta a  censura
 e'  chiamata  a svolgere nell'ordinamento, ne consegue che l'immutato
 valore ivi indicato, in presenza delle modifiche subite dall'art. 135
 del codice penale, finisce  per  determinare  uno  svuotamento  delle
 finalita'  tipiche  che l'istituto della conversione deve soddisfare,
 con conseguente grave compromissione del principio di uguaglianza che
 qui assume tutto il suo risalto  per  le  intuibili  conseguenze  che
 quell'istituto  e'  in  grado di determinare sul piano delle liberta'
 della persona.
    Pur essendo, quindi, in astratto  da  condividersi  l'osservazione
 svolta  dal  Magistrato di sorveglianza di Sassari circa il fatto che
 "si potrebbe ritenere del tutto ragionevole che il legislatore  abbia
 precisato  due  differenti criteri di ragguaglio per materie fra loro
 eterogenee", resta assorbente il  rilievo  che,  in  assenza  di  una
 chiara  scelta  innovativa su tale specifico profilo, spetta a questa
 Corte il compito di riadeguare il sistema - ormai incrinato  -  negli
 stessi  termini  e  con  le  medesime proporzioni che il legislatore,
 facendo corretto uso del proprio potere discrezionale, aveva previsto
 prima della recente novella, caducando, dunque, in parte qua, l'ormai
 inaccettabile previsione dettata dall'art. 102,  terzo  comma,  della
 legge n. 689 del 1981.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 102, terzo
 comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
 penale),  nella  parte  in  cui  stabilisce  che,  agli effetti della
 conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del
 condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando venticinquemila lire, o
 frazione di venticinquemila lire, anziche' settantacinquemila lire, o
 frazione di settantacinquemila lire, di pena pecuniaria per un giorno
 di liberta' controllata;
      dichiara   inammissibile   la    questione    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  102,  terzo comma, della medesima legge n.
 689  del  1981,  sollevata,   in   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione,  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Sassari  con le
 ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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