N. 442 SENTENZA 12 - 23 dicembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Trasformazione  del  giudizio  direttissimo   in
 giudizio  abbreviato - Riduzione della pena - Condizione del consenso
 del p.m. - Discrezionalita' nella determinazione della  decidibilita'
 del  processo "allo stato degli atti" - Non ingiustificati i dubbi di
 incostituzionalita' della disciplina  in  esame  -  Esigenza  di  una
 organica   e   generale  riforma  del  giudizio  abbreviato  in  sede
 legislativa secondo le linee e i principi gia' indicati  dalla  Corte
 (v. sentenza n. 92/1992) - Inammissibilita'.
 
 (C.P.P.,  artt.  452, secondo comma; d.-lgs. 28 luglio 1989, n.  271,
 art. 247, secondo comma)
 
(GU n.53 del 28-12-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro
 FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.    Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  452,  secondo
 comma,  del  codice di procedura penale e 247 del decreto legislativo
 28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie  del  codice  di  procedura  penale),  promossi  con n. 3
 ordinanze emesse il 20  dicembre  1993  dal  Tribunale  di  Roma  nei
 procedimenti penali a carico di Giammaria Mirella, Khatib Ben Ayed ed
 altri  e  Nwachuku Obioha Okechutu ed altri, rispettivamente iscritte
 ai nn. 34, 45 e 51 del registro ordinanze  1994  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 9, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 25 maggio 1994 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - In esito a giudizio direttissimo a carico di un imputato  nei
 cui  confronti,  nonostante  la  richiesta  dallo stesso formulata in
 limine al dibattimento, non era stato possibile  procedere  con  rito
 abbreviato  per  il mancato consenso del pubblico ministero, motivato
 sulla base della non definibilita'  del  processo  allo  stato  degli
 atti,  il  Tribunale di Roma, con ordinanza in data 20 dicembre 1993,
 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  25  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  452,  secondo
 comma, del codice di procedura penale, limitatamente all'inciso "e il
 pubblico ministero vi consente" (r.o. n. 34/1994).
    Il giudice a quo rileva che si  verte  nella  medesima  situazione
 gia'  rimessa  alla Corte costituzionale con ord. dell'8 gennaio 1991
 (r.o. n. 408/1991) - cui "si fa integrale  rinvio"  -  e  decisa  con
 sentenza  n.  187  del  1992,  con la quale la Corte aveva dichiarato
 l'inammissibilita' della questione per  la  pluralita'  di  soluzioni
 prospettabili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata.
    Il   Tribunale  sottolinea  che  anche  nel  caso  ora  sottoposto
 all'esame della Corte viene in rilievo il dubbio di costituzionalita'
 dell'art. 452, secondo comma,  cod.  proc.  pen.,  che  subordina  la
 instaurazione  del  giudizio  abbreviato,  e la conseguente riduzione
 della pena, al consenso del pubblico ministero, il quale, con le  sue
 discrezionali  scelte  investigative,  e'  arbitro  di determinare la
 decidibilita'  del  processo  allo  stato  degli  atti  e  quindi  di
 precostituire   le   condizioni   per   negare   il   consenso   alla
 trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato;  pur
 non  essendo  paradossalmente  ostativa  a tale trasformazione la non
 decidibilita' allo stato degli  atti,  tenuto  conto  del  potere  di
 integrazione probatoria attribuito al giudice dalla norma impugnata.
    Rilevato che tale disciplina e' rimasta immutata, nonostante siano
 trascorsi  due anni dal monito rivolto al legislatore dalla Corte con
 la  sentenza  n.  92  del  1992,  con   la   quale   si   sollecitava
 l'introduzione   nella  disciplina  del  giudizio  abbreviato  di  un
 meccanismo di integrazione probatoria, al fine di non  far  dipendere
 il  presupposto  della  decidibilita'  allo  stato  degli  atti dalle
 discrezionali  scelte  investigative  del  pubblico   ministero,   il
 Tribunale  esprime  l'avviso,  da un lato, di non poter ulteriormente
 protrarre  l'attesa  delle  auspicate   modifiche   legislative,   e,
 dall'altro,  di  avere il dovere di non applicare norme che la stessa
 Corte costituzionale ha qualificato illegittime.
    D'altro canto, osserva il remittente, delle quattro soluzioni  al-
 ternative  considerate  dalla  Corte con la sentenza n. 187 del 1992,
 una sola e' quella idonea a ricondurre  la  disciplina  del  giudizio
 abbreviato a coerenza con i principi costituzionali.
    Esposte le ragioni per le quali non possono ritenersi appaganti le
 altre soluzioni (previsione di un dovere di completezza investigativa
 in  capo  al  pubblico  ministero; previsione del potere del medesimo
 organo di prestare un consenso condizionato all'espletamento da parte
 del giudice di un'attivita' di  integrazione  probatoria;  previsione
 del  dovere  del  giudice  di ritenere ingiustificato il dissenso del
 pubblico ministero qualora la non decidibilita' allo stato degli atti
 possa  essere  colmata  dal  meccanismo  di  integrazione  probatoria
 previsto  dall'art.  452),  il Tribunale individua nella eliminazione
 del presupposto del consenso del pubblico ministero "l'unica via  per
 conciliare  con  i  principi  costituzionali  di  uguaglianza (art. 3
 Cost.) e di stretta legalita'  (art.  25  Cost.)  la  permanenza  del
 giudizio abbreviato nell'ordinamento processuale".
    Rileva da ultimo il Tribunale che il far dipendere l'instaurazione
 del  giudizio  abbreviato  dalla  sola  richiesta  dell'imputato  non
 contrasta con la  finalita'  deflattiva  per  la  quale  il  giudizio
 abbreviato  e'  stato  introdotto nel nostro ordinamento processuale,
 poiche' la piena utilizzabilita' degli atti di indagine  fa  si'  che
 l'assunzione  delle  ulteriori prove - nelle forme semplificate della
 camera  di  consiglio  -  "sarebbe   limitata   ai   necessari   atti
 integrativi,   con  evidente  ed  incisivo  profitto  per  l'economia
 processuale".
    2. - La medesima questione di cui sopra  e'  stata  sollevata  dal
 Tribunale  di Roma con altra ordinanza in data 20 dicembre 1993 (r.o.
 n. 45/1994), di contenuto sostanzialmente identico alla precedente.
    3. - Con una terza ordinanza in data 20  dicembre  1993  (r.o.  n.
 51/1994),  il  Tribunale  di  Roma  ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3 e 25 della Costituzione, la  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.  452,  secondo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,
 limitatamente all'inciso "e il pubblico  ministero  vi  consente",  e
 dell'art. 247, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989,
 n.  271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento e transitorie del
 codice di procedura penale), limitatamente alle  parole  "sospese  le
 formalita'  di  apertura  del  dibattimento  se gia' iniziate, ne da'
 avviso al  pubblico  ministero,  che  nei  cinque  giorni  successivi
 esprime  o  nega  il proprio consenso. Se il consenso interviene e il
 giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti".
    Il Tribunale ricorda che nella propria ordinanza del 18 marzo 1991
 - alla quale si fa "integrale rinvio" -  era  stata  prospettata  "la
 illegittimita'  del citato art. 247 sia nell'ipotesi in cui al regime
 transitorio del giudizio abbreviato si ritenesse  applicabile  l'art.
 452   comma   2  c.p.p.  sia  nel  caso  inverso";  e  che  la  Corte
 costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1992, aveva dichiarato  la
 questione  inammissibile  (recte,  manifestamente inammissibile), sul
 rilievo che fosse "basata su un  quesito  interpretativo  (  ..)  che
 spetta allo stesso giudice a quo risolvere".
    Raccogliendo  ora  l'invito della Corte, il remittente, anche alla
 luce della giurisprudenza nel frattempo affermatasi, esprime l'avviso
 che anche al giudizio abbreviato del regime transitorio  si  applichi
 l'art.  452,  secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,  e che "tuttavia la
 questione gia' prospettata conservi la  sua  validita'  alla  stregua
 delle  considerazioni svolte nella ordinanza in pari data" r.o. n. 45
 del  1994,  della  quale  il  Tribunale,  nella  presente  ordinanza,
 riproduce  integralmente  il  contenuto, aggiungendo da ultimo che "i
 sospetti di illegittimita' sopra illustrati non possono non investire
 di per se' la condizione della decidibilita' allo stato  degli  atti"
 cui fa riferimento la disposizione transitoria impugnata.
    4.  -  E'  intervenuto  nei  giudizi,  con  tre  identici atti, il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni
 relative   all'art.  452,  secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,  siano
 dichiarate irrilevanti, inammissibili e comunque infondate.
    Nell'atto di intervento relativo al giudizio di cui alla ordinanza
 r.o. n. 51/1994 non vengono prese in esame le censure  all'art.  247,
 secondo comma, disp. trans. cod. proc. pen.
    Osserva in primo luogo la difesa dello Stato che, a quanto risulta
 dalle  tre  ordinanze,  e'  lo  stesso  Tribunale a ritenere che agli
 imputati potrebbe applicarsi  la  riduzione  di  pena  nonostante  il
 dissenso  del  pubblico  ministero; dal che deriverebbe l'irrilevanza
 delle questioni.
    Le questioni sarebbero poi inammissibili (anche) perche' identiche
 ad  altre  gia'  esaminate  e dichiarate inammissibili con precedente
 sentenza: l'unico elemento di  novita'  sarebbe  costituito,  per  un
 verso,  dal  mero decorso del tempo e, per altro verso, dal fatto che
 non appare prevedibile, a breve, alcun intervento normativo.  Ma,  si
 rileva,   il   decorso   del  tempo,  accompagnato  dall'inerzia  del
 legislatore, non legittima un intervento  "suppletivo"  della  Corte;
 come  sarebbe dimostrato dalla circostanza che con la sentenza n. 187
 del 1992 si e' ribadita  la  declaratoria  di  inammissibilita'  gia'
 avutasi,  sulla  stessa  materia, con la sentenza n. 92 del 1992. Non
 corrisponderebbe poi al vero l'assunto del giudice  remittente  circa
 il  suo  dovere  di non applicare norme qualificate illegittime dalla
 stessa Corte, dato che, con le citate  sentenze,  e'  stato  espresso
 solo   l'auspicio   di   un   intervento  normativo  razionalizzatore
 dell'istituto del rito abbreviato.
    Nel merito, l'Avvocatura deduce che la sentenza n. 183 del 1990 ha
 comportato come conseguenza la non configurabilita' della  violazione
 degli  artt.  3  e  25  Cost.,  in quanto, nonostante il dissenso, il
 giudice e' comunque in grado con la sua valutazione finale di evitare
 i riflessi negativi sull'imputato del rifiuto del pubblico ministero.
 Inoltre  all'imputato  non  deriverebbero   pregiudizi   da   "lacune
 probatorie"  riconducibili  alla discrezionale attivita' del pubblico
 ministero, posto che, nel particolare giudizio disciplinato dall'art.
 452, secondo comma, cod. proc. pen., il giudice non  e'  vincolato  a
 decidere allo stato degli atti.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt.
 3  e  25  della  Costituzione,  la  questione  di   costituzionalita'
 dell'art.   452,   secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,  limitatamente
 all'inciso "e il pubblico ministero vi consente",  che  subordina  la
 trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, e la
 conseguente riduzione della pena, al consenso del pubblico ministero,
 il  quale,  con  le  sue  discrezionali scelte investigative, sarebbe
 arbitro di determinare la decidibilita' del processo allo stato degli
 atti e quindi di precostituire le condizioni per negare  il  consenso
 alla   trasformazione  del  rito,  pur  non  essendo  paradossalmente
 ostativa a tale trasformazione la non decidibilita' allo stato  degli
 atti,  tenuto  conto del potere di integrazione probatoria attribuito
 al giudice dalla norma impugnata (r.o. nn. 34, 45 e 51 del 1994).
    Il medesimo Tribunale ha  inoltre  sollevato,  in  riferimento  ai
 medesimi  parametri costituzionali, la questione di costituzionalita'
 dell'art. 247, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989,
 n. 271 (Norme di  attuazione,  di  coordinamento  e  transitorie  del
 codice  di  procedura  penale), limitatamente alle parole "sospese le
 formalita' di apertura del dibattimento  se  gia'  iniziate,  ne  da'
 avviso  al  pubblico  ministero,  che  nei  cinque  giorni successivi
 esprime o nega il proprio consenso. Se il consenso  interviene  e  il
 giudice  ritiene  di poter decidere allo stato degli atti"; e cio' in
 quanto, dato il presupposto interpretativo per  il  quale  il  regime
 dell'art.  452  cod.  proc.  pen.  si  applica  anche alla disciplina
 transitoria, i dubbi di costituzionalita' prospettati a carico  della
 predetta  norma necessariamente vengono a investire anche l'art. 247,
 che regola l'innesto del giudizio  abbreviato  nei  dibattimenti  che
 proseguono  con l'osservanza delle norme del codice abrogato (r.o. n.
 51 del 1994).
    2.  -  Le  tre  ordinanze  espongono,  in  termini sostanzialmente
 identici, censure attinenti al medesimo istituto. I relativi  giudizi
 vanno pertanto riuniti, per essere decisi con un'unica decisione.
    3.  -  Il  giudice  a  quo ripropone, con nuove argomentazioni, le
 medesime   censure   dichiarate   inammissibili   o    manifestamente
 inammissibili  da  questa  Corte  con  la  sentenza  n. 187 del 1992,
 concentrando tuttavia il petitum, con riferimento sia alla disciplina
 a regime sia a quella transitoria, sulla  eliminazione  del  consenso
 del  pubblico  ministero  quale presupposto per la trasformazione del
 giudizio direttissimo in rito  abbreviato,  soluzione  indicata  come
 costituzionalmente obbligata.
    Considerata  sia la nuova prospettiva cui si indirizza l'autorita'
 remittente sia  la  diversita'  delle  argomentazioni,  va  rigettata
 l'eccezione di inammissibilita' che l'Avvocatura generale dello Stato
 ha fondato sulla identita' delle questioni.
    Non  puo'  nemmeno  essere  condiviso  il  rilievo  di irrilevanza
 formulato dalla difesa del Governo, perche', contrariamente a  quanto
 da  questa  sostenuto,  il  giudice  a  quo esclude che la disciplina
 impugnata  consenta  al  giudice  di   applicare   al   termine   del
 dibattimento   la   diminuzione   di   pena  conseguente  a  condanna
 pronunciata con rito abbreviato.
    4. - Con la citata sentenza n. 187 del  1992,  questa  Corte,  nel
 dichiarare   inammissibili  parte  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale sollevate dal medesimo Tribunale di Roma  e  da  altra
 autorita'  remittente,  pur  non  negando  rilievo  al problema della
 possibile incidenza sull'esperibilita'  del  giudizio  abbreviato  di
 scelte  discrezionali  del pubblico ministero (problema che del resto
 era stato gia' oggetto del giudizio di costituzionalita' definito con
 la sentenza n.  92  del  1992),  aveva  affermato  che  la  questione
 sottopostale   non   era  suscettibile  di  soluzione  univoca,  come
 dimostrato dalle stesse prospettazioni dei giudici a  quibus,  indic-
 ative  di  ben quattro soluzioni tra loro alternative, alle quali, si
 osservava, non era  da  escludere  potessero  essere  aggiunte  altre
 ancora, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata.
   Ora il Tribunale di Roma, individuando il petitum nei termini sopra
 precisati,  espone  le ragioni per le quali, "a ben vedere", le altre
 soluzioni  prese  in  rassegna  nella  citata  sentenza  non  possono
 considerarsi idonee a risolvere il problema di costituzionalita'.
    Ma,  senza  entrare  nel  merito  delle  specifiche argomentazioni
 svolte dal remittente su questa o quella  ipotesi  di  soluzione,  e'
 sufficiente  per  ribadire  il  giudizio  di  inammissibilita'  delle
 questioni,   per   pluralita'   di   scelte   da    riservare    alla
 discrezionalita'  del  legislatore, la considerazione delle variabili
 che offre la stessa via  di  uscita  ora  univocamente  indicata  dal
 Tribunale.
    L'eliminazione   del   consenso   del   pubblico  ministero  quale
 presupposto del rito in  esame  potrebbe  considerarsi  senza  dubbio
 un'opzione    idonea    a   risolvere   i   rilevanti   sospetti   di
 incostituzionalita'  prospettati  con  riferimento   alla   normativa
 impugnata,  ma la divaricazione che essa determinerebbe rispetto alla
 disciplina degli altri  tipi  di  giudizio  abbreviato  previsti  dal
 codice    potrebbe   aprire   la   via   a   ulteriori   censure   di
 incostituzionalita', superabili solo attraverso un generale riassetto
 del procedimento speciale di cui si discute.
    5.  - L'elemento comune alle varie forme di giudizio abbreviato e'
 il presupposto costituito dall'accordo tra le parti su cui  si  fonda
 l'esperibilita' di un modello di giudizio per il quale la definizione
 del merito della regiudicanda avviene sulla base dell'attribuzione di
 valore  di  prova  a (tutti) gli atti compiuti nella fase che precede
 l'esercizio dell'azione penale.
    Con l'escludere la necessita' del consenso del pubblico  ministero
 ai  fini  della  instaurabilita'  della particolare procedura dettata
 dall'art. 452 cod. proc. pen., si verrebbe  a  consentire  all'organo
 dell'accusa,  attraverso  la  scelta  del  rito ordinario in luogo di
 quello  direttissimo,  di  variare   i   presupposti   del   giudizio
 abbreviato,  cosi'  da  condizionare,  tra  l'altro,  le  prospettive
 dell'imputato di essere assoggettato a un trattamento  punitivo  piu'
 vantaggioso per il caso di condanna.
    Si  riprodurrebbe,  dunque,  sia  pure  in  un  altro contesto, la
 problematica esaminata da questa Corte con la citata sentenza  n.  92
 del   1992,   con   la   quale   era  stata  proprio  messa  in  luce
 l'incompatibilita' con i principi costituzionali di uguaglianza e  di
 legalita' della pena di una disciplina che faccia dipendere l'accesso
 dell'imputato  a  un  rito  avente automatici effetti sul trattamento
 sanzionatorio da scelte discrezionali e  insindacabili  del  pubblico
 ministero.
    6.  -  Ma  l'accoglimento del petitum del remittente comporterebbe
 anche problemi di riequilibrio "interno" dell'istituto in esame.
    Persa la facolta'  di  interloquire  sulla  scelta  del  rito,  il
 pubblico ministero si vedrebbe singolarmente esposto alla prospettiva
 di un giudizio allo stato degli atti nell'ambito del quale sarebbe il
 solo  giudice,  titolare  del  potere  di  attivare  il meccanismo di
 integrazione probatoria ex art. 422 cod. proc.  pen.,  arbitro  della
 formazione  del  materiale  probatorio. L'innovazione sollecitata dal
 remittente  non  potrebbe  dunque  non  essere  accompagnata  da  una
 disciplina   sull'esercizio  del  diritto  alla  prova  del  pubblico
 ministero, nonche' del diritto alla controprova della parte  privata,
 la  cui  elaborazione - attesa la pluralita' di scelte discrezionali,
 anche  in  relazione  alla  evidente  esigenza  di  salvaguardare   i
 caratteri distintivi di un giudizio "abbreviato" rispetto al giudizio
 dibattimentale - non puo' che competere al legislatore.
    7.  -  Altro  aspetto  implicato  dalla  prospettiva coltivata dal
 giudice a quo e', poi, quello  dei  limiti  all'appellabilita'  della
 sentenza  da  parte del pubblico ministero (art. 443 cod. proc. pen.,
 richiamato dall'art.  452),  che,  in  linea  di  principio,  possono
 trovare   una   giustificazione   razionale   solo  se  collegati  al
 presupposto di un consenso dato dalla parte pubblica a un  rito  che,
 tra l'altro, incide marcatamente sulla sua facolta' di impugnazione.
    8. - Esclusa l'accoglibilita' del petitum, in considerazione della
 pluralita'  di  interventi di tipo manipolativo che potrebbero essere
 adottati, appare  dunque  chiaro  che  la  via  per  superare  i  non
 ingiustificati dubbi di incostituzionalita' della disciplina in esame
 avanzati   dal   Tribunale  di  Roma  non  possa  essere  che  quella
 legislativa, nel quadro  di  una  organica  e  generale  riforma  del
 giudizio  abbreviato,  secondo le linee e i principi gia' indicati da
 questa Corte con la citata sentenza n. 92  del  1992.  Le  questioni,
 pertanto, vanno dichiarate inammissibili.
    Va  tuttavia  rilevato che, a quanto consta, da parte degli organi
 costituzionalmente  competenti  non  e'  stato  dato  alcun  concreto
 se'guito  al  pressante invito rivolto al legislatore con la sentenza
 sopra citata, invito ribadito con le sentenze nn. 56 e 129 del  1993;
 sicche',   perdurando  tale  stato  di  inerzia,  questa  Corte,  ove
 investita di ulteriori questioni di costituzionalita' riguardanti  lo
 specifico  tema,  non potra' esimersi dall'adottare le decisioni piu'
 appropriate ad evitare che permanga la piu' volte constatata distonia
 dell'istituto con i principi costituzionali.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
       a) dichiara l'inammissibilita' della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 452, secondo comma, del codice di procedura
 penale  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.   3   e   25   della
 Costituzione, dal Tribunale di Roma con le ordinanze in epigrafe;
       b)  dichiara l'inammissibilita' della questione di legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  452,  secondo  comma,  del  codice   di
 procedura  penale  e  247,  secondo comma, del decreto legislativo 28
 luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie del codice di procedura penale) sollevata, in riferimento
 agli  artt.  3  e  25  della  Costituzione, dal Tribunale di Roma con
 l'ordinanza in epigrafe (r.o. n. 51/1994).
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C1361