N. 444 SENTENZA 12 - 23 dicembre 1994

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Edilizia e urbanistica - Regione Sicilia - Approvazione del  progetto
 di  ripartizione dell'immobile sede dell' ex ufficio del genio civile
 di Ragusa - Presunta violazione di competenza  legislativa  esclusiva
 della regione in materia - Procedura in contrasto con il principio di
 leale  cooperazione  cui  deve  ispirarsi  il sistema complessivo dei
 rapporti  tra  Stato  e  regione  -  Non  spettanza  allo   Stato   -
 Annullamento  del decreto del Ministro delle finanze, di concerto con
 quello dei lavori pubblici, n. 43205 del 5 novembre 1992
 
(GU n.53 del 28-12-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  prof.  Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi   MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
 Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso della Regione Sicilia notificato il
 24  novembre  1993,  depositato  in Cancelleria il 27 successivo, per
 conflitto di attribuzione sorto a seguito del  decreto  del  Ministro
 per  le  finanze  di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, n.
 43205 del 5 novembre 1992, trasmesso alla  Presidenza  della  Regione
 Sicilia con nota dell'Intendenza di finanza di Ragusa n. 15044 del 22
 settembre  1993, pervenuta il 25 settembre 1993, nella parte relativa
 all'approvazione del  progetto  di  ripartizione  dell'immobile  sede
 dell'ex  ufficio del Genio civile di Ragusa, ed iscritto al n. 39 del
 registro conflitto 1993;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  novembre  1994  il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Uditi l'avv. Francesco Torre per la Regione Sicilia  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Franco  Favara  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Regione Sicilia, con ricorso  notificato  il  24  novembre
 1993,  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione nei confronti dello
 Stato in ordine al decreto del Ministro per le  finanze  di  concerto
 con  quello  dei  lavori  pubblici,  n.  43205  del  5 novembre 1992,
 trasmesso   alla   Presidenza   della   stessa   Regione   con   nota
 dell'Intendenza  di finanza di Ragusa n. 15044 del 22 settembre 1993,
 pervenuta il 25 settembre 1993, nella parte relativa all'approvazione
 del progetto di ripartizione dell'immobile sede dell'ex  ufficio  del
 Genio civile di Ragusa.
    La  ricorrente  ha  premesso  che con il d.P.R. 30 luglio 1950, n.
 878, modificato con d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683,  recante  norme  di
 attuazione  dell'art.  14,  lett.  f),  g),  i),  s),  dello  statuto
 siciliano,  sono  state  trasferite  a  quella   Regione   tutte   le
 attribuzioni  degli  organi  centrali  e  periferici  dello  Stato in
 materia di urbanistica e lavori pubblici - eccettuate le grandi opere
 pubbliche di interesse prevalentemente nazionale - ed in  materia  di
 acque  pubbliche  in  quanto  non  riconnesse  ad  opere pubbliche di
 interesse nazionale e, di conseguenza, anche gli uffici relativi, ivi
 compresi quelli del Genio civile con  esclusione  delle  sezioni  che
 esercitano  le  funzioni  rimaste  di  competenza  statale. Peraltro,
 l'art. 2 del citato d.P.R. n. 878 del 1950 e successive modificazioni
 non reca disposizioni sulle modalita' del trasferimento alla  Regione
 degli  immobili  sede  di  detti  uffici, limitandosi a prevedere, al
 secondo comma,  la  redazione  di  verbali  da  parte  di  funzionari
 delegati   dal   ministero  dei  lavori  pubblici  e  dalla  Regione,
 relativamente alla consistenza degli arredi, delle macchine  e  delle
 attrezzature.
    Il  ministero  delle finanze, con nota del 17 gennaio 1983 diretta
 al  Provveditorato  alle  opere  pubbliche  per  la  Sicilia,   aveva
 sostenuto l'applicabilita' dell'art. 5 del d.P.R. 1 dicembre 1961, n.
 1825,  recante  le  norme  di  attuazione  dello statuto siciliano in
 materia di demanio e patrimonio,  secondo  cui  i  beni  oggetto  del
 trasferimento  dallo Stato alla Regione sono individuati con appositi
 elenchi da compilarsi dal ministero delle finanze di  intesa  con  il
 ministero  del  tesoro,  con  gli  altri  ministeri interessati e con
 l'amministrazione regionale. Il Provveditorato alle opere  pubbliche,
 osserva  la  ricorrente,  aveva,  nell'arco  di poco piu' di un anno,
 trasmesso al predetto ministero delle finanze gli elaborati necessari
 all'individuazione  degli  immobili,  ma poi, nonostante un sollecito
 della Regione, la procedura non aveva avuto luogo.
    Dopo oltre cinque anni, si legge nel ricorso, il  ministero  delle
 finanze   incaricava   il  Provveditorato  alle  opere  pubbliche  di
 approntare dei piani di ripartizione degli immobili in questione  tra
 lo  Stato  e la Regione, piani che, in molti casi modificati in peius
 dallo stesso ministero, quanto alla quota  dei  locali  di  spettanza
 regionale,  venivano  trasmessi  per  l'accettazione  alla Presidenza
 della Regione. In particolare, per quanto riguarda la sede del  Genio
 civile  di Ragusa, la locale intendenza di finanza, dietro istruzioni
 del ministero, con nota del 20  luglio  1991,  assegnava  un  termine
 perentorio alla Regione per la restituzione col visto di accettazione
 del  progetto  di  ripartizione,  con  l'avvertenza  che  in  caso di
 inottemperanza si sarebbe ugualmente provveduto alla  emanazione  del
 decreto  di trasferimento. La Regione offriva, invece, di cedere, per
 il  riattamento  ad  ufficio,  l'appartamento  per  alloggio  dell'ex
 ingegnere  capo,  ritenuto sufficiente per la attivita' dei due o tre
 impiegati addetti al disimpegno delle residue funzioni statali. Ma il
 ministero emanava ugualmente l'annunciato decreto, in ordine al quale
 la  Regione  Sicilia  solleva  oggi  conflitto  di  attribuzione  nei
 confronti  dello  Stato in quanto l'approvazione del piano di riparto
 dei  locali  del  Genio  civile  di  Ragusa  si  tradurrebbe  in  una
 menomazione  delle  competenze regionali in subiecta materia, dato il
 nesso di strumentalita' che lega i primi alle seconde.
    La ricorrente chiede l'annullamento  del  decreto  impugnato,  che
 ritiene  illegittimo  per  violazione dell'art. 14, lett. f), g), i),
 s), dello statuto siciliano e del d.P.R. n. 878 del 1950,  modificato
 con  d.P.R.  n.  683  del  1977.  Osserva,  al riguardo, che ai sensi
 dell'art. 2, secondo comma, del detto d.P.R. n. 878, il trasferimento
 degli uffici che esercitano funzioni nelle  materie  attribuite  alla
 Regione  comporta  la  successione allo Stato nei diritti ed obblighi
 inerenti agli immobili sede degli uffici stessi.  Ma, anche  a  voler
 ammettere il potere ministeriale di ripartizione di tali immobili, la
 quota  dei  locali  sottratti  alla  Regione  sarebbe  sproporzionata
 rispetto alle esigenze del personale addetto  alle  residue  funzioni
 statali.  Il  piano  di  ripartizione  destina, infatti, alla sezione
 statale una quota di uffici pari a quella  prevista  per  le  sezioni
 regionali.
    In  linea  subordinata,  il  decreto  in esame viene impugnato per
 violazione dell'art. 43 dello statuto siciliano  e  dell'art.  5  del
 d.P.R.  1  dicembre  1961,  n.  1825,  osservandosi  che la eventuale
 lacunosita' riscontrata  nelle  norme  di  attuazione  dello  statuto
 quanto  al  passaggio  degli  uffici  dallo  Stato  alla  Regione non
 potrebbe  che  essere  risolta  con  norme  integrative  emanate  col
 procedimento  previsto  dall'art.  43  dello  stesso  statuto  -  che
 attribuisce il potere di determinare le norme transitorie in  materia
 ad  una  commissione  paritetica di quattro membri nominati dall'Alto
 commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato - ovvero mediante
 applicazione analogica  di  disposizioni  contenute  in  altre  norme
 d'attuazione,   e   mai  con  un  atto  unilaterale.  Del  resto,  il
 procedimento seguito sarebbe  in  contraddizione  con  il  precedente
 orientamento   del   ministero   delle  finanze  di  seguire  la  via
 dell'intesa di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 1825 del 1961, alla quale
 la Regione sarebbe stata pronta ad aderire.
    La  ricorrente denuncia, infine, la violazione dell'art. 97 Cost.,
 rilevando che l'esclusione dal trasferimento alla Regione della meta'
 dell'immobile in questione costringera' nell'altra meta'  la  maggior
 parte  dell'ufficio  del  Genio  civile,  costituita da circa ottanta
 dipendenti, con conseguenze negative nell'esercizio di  una  delicata
 attivita'  tecnica  ed in contrasto, quindi, con il principio di buon
 andamento della amministrazione.
    2. - Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
 ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ed
 ha  presentato  successivamente  ampia  memoria, che, quanto al primo
 motivo del ricorso, ne ha eccepito la inammissibilita',  trattandosi,
 in sostanza, di una reivindicatio, nonche' la infondatezza, in quanto
 non  puo'  asserirsi che l'immobile in questione sia stato trasferito
 ope legis alla Regione, occorrendo all'uopo un atto di individuazione
 dei beni da trasferire.
    Inammissibile sarebbe poi, il secondo profilo del primo motivo  di
 ricorso,   come   anche   il   terzo   motivo,  attinenti  al  merito
 amministrativo.
    Quanto al secondo motivo, l'Avvocatura ritiene non necessaria  ne'
 opportuna  la  produzione di una norma di attuazione ad hoc, ossia di
 un provvedimento legislativo recante un elenco di beni da trasferire,
 e rileva che generalmente l'individuazione  di  tali  beni  e'  stata
 operata  con atti amministrativi statali. Riguardo, poi, alla mancata
 intesa si osserva che la ricorrente non ha concretamente  collaborato
 alla  compilazione  dell'elenco  relativo  al bene in questione e che
 tale inerzia, trattandosi di intesa della specie "debole",  non  puo'
 che determinare l'ulteriore corso del procedimento.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il conflitto di attribuzione trae origine dall'impugnativa,
 da parte della  Regione  Sicilia,  del  decreto  del  Ministro  delle
 finanze  di  concerto  con  quello dei lavori pubblici n. 43205 del 5
 novembre 1992, con  il  quale  e'  stato  approvato  il  progetto  di
 ripartizione  tra  lo  Stato  e  la stessa Regione dell'immobile sede
 dell'ex  ufficio  del  genio  civile  di  Ragusa,  per   l'esercizio,
 rispettivamente,  delle  funzioni residuate alla competenza statale e
 di quelle trasferite alla competenza regionale  nella  materia  delle
 opere pubbliche.
    La  ricorrente  si duole in via principale che l'atto in questione
 violi la competenza legislativa esclusiva ad  essa  attribuita  nella
 materia dall'art. 14, lett. f), g), i), s), dello statuto siciliano e
 relative norme di attuazione, contenute nell'art. 2 del d.P.R. n. 878
 del  1950,  modificato dal d.P.R. n. 683 del 1977, rilevando che tale
 disposizione prevede, per la parte che qui  interessa,  il  passaggio
 alle  dipendenze  di  quella  regione degli uffici del genio civile a
 competenza generale, con  esclusione  delle  sezioni  che  esercitano
 funzioni  rimaste  di  competenza  statale  (primo comma), e che tale
 trasferimento comporta la  successione  allo  Stato  nei  diritti  ed
 obblighi  inerenti  agli  immobili  sede degli uffici stessi (secondo
 comma). Non residuerebbe, pertanto, spazio per un ulteriore  atto  di
 trasferimento, sub specie di "piano di ripartizione". Ma, pur ammessa
 che  sia una siffatta possibilita', il decreto impugnato incorrerebbe
 in una ulteriore violazione  del  citato  d.P.R.  n.  878  del  1950,
 sottraendo  alla  Regione una quota dei locali gia' sede dell'ufficio
 del  genio  civile  di  Ragusa   "macroscopicamente   sproporzionata"
 rispetto alle esigenze del personale addetto all'esercizio delle res-
 idue funzioni statali.
    In linea subordinata rispetto al primo dei due profili del ricorso
 sopra  evidenziati,  la  ricorrente deduce la violazione dell'art. 43
 dello statuto siciliano, che prevede una  procedura  ad  hoc  per  la
 emanazione  delle  norme  di  attuazione dello statuto stesso e delle
 norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del  personale
 dallo  Stato alla Regione. Procedura non adottata nella specie, cosi'
 come inattuate sarebbero rimaste le disposizioni contenute  in  altra
 normativa  e  che pure si sarebbero potute applicare. In particolare,
 la ricorrente si richiama all'art. 5 del d.P.R.  1 dicembre 1961,  n.
 1825,  recante  le  norme  di  attuazione  dello statuto siciliano in
 materia di demanio e patrimonio, secondo il quale i beni oggetto  del
 trasferimento  dallo Stato alla Regione sono individuati con appositi
 elenchi da compilarsi dal  ministero  delle  finanze  di  intesa  con
 quello  del  tesoro,  con  gli  altri  ministeri  interessati  e  con
 l'amministrazione regionale.
    Il decreto impugnato, infine, a giudizio della Regione Sicilia, si
 porrebbe in contrasto  con  il  principio  di  buon  andamento  della
 pubblica  amministrazione,  riducendo  alla  sola meta' dello stabile
 sede dell'ex ufficio del genio civile di Ragusa lo  spazio  riservato
 al  personale  regionale  per l'espletamento della delicata attivita'
 tecnica in questione.
    2. - Cosi' precisati i termini del conflitto, in via pregiudiziale
 occorre esaminare la  eccezione  di  inammissibilita'  dello  stesso,
 sollevata  dall'Avvocatura  generale  dello Stato con riferimento, in
 particolare, al primo motivo del ricorso, che non atterrebbe  ad  una
 vindicatio  potestatis,  cioe'  ad una asserita lesione di competenze
 regionali, bensi' ad una rivendicazione della proprieta'.
    L'eccezione non e' fondata. Non tanto e non solo perche' non  puo'
 disconoscersi   il   nesso   di   strumentalita'   evidenziato  dalla
 ricorrente, che collega, anche ai fini della sua identificazione,  il
 bene  in  questione  -  e  cioe', l'immobile destinato ad ufficio del
 genio civile di Ragusa - all'esercizio delle funzioni in  materia  di
 opere pubbliche, di competenza regionale (v. sent. n. 351 del 1991).
    La  ragione  di  fondo della non configurabilita' del conflitto in
 esame  come  mera  vindicatio  rei  risiede  nel  fatto  che  oggetto
 sostanziale   del   contendere   e'  proprio  l'asserita  lesione  di
 competenze regionali e non,  invece,  una  questione  attinente  alla
 titolarita' del diritto di proprieta' sul bene.
    Se  si  esamina  il ricorso nel suo complesso, e non nelle singole
 articolazioni, e collegando i vari  motivi  di  impugnazione,  appare
 certo  un  dato,  e  cioe'  che  la  Regione  Sicilia non si limita a
 chiedere l'accertamento dell'appartenenza di determinati beni che as-
 sume devoluti al proprio  patrimonio  indisponibile  e  indebitamente
 trattenuti  dallo Stato. La ricorrente muove, invece, dal presupposto
 che il  trasferimento  degli  immobili  sede  degli  uffici  ad  essa
 devoluti per l'esercizio delle attribuzioni spettantile in materia di
 opere  pubbliche  e'  avvenuto  ope legis in attuazione dello statuto
 siciliano, con il d.P.R. n. 878 del 1950.
   Tale presupposto risulta  esatto.  Il  trasferimento  alla  Regione
 siciliana,  in  connessione con l'attribuzione ad essa delle funzioni
 nella materia, degli uffici del genio civile a  competenza  generale,
 con  esclusione  delle  sezioni che esercitano le funzioni rimaste di
 competenza   statale  (quelle,  cioe',  relative  alle  grandi  opere
 pubbliche di interesse prevalentemente nazionale), comporta, ai sensi
 del secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. n. 878 del 1950,  modificato
 dall'art.  2  del  d.P.R. n. 683 del 1977, anche la devoluzione degli
 immobili sede degli uffici stessi  e  del  relativo  arredamento.  Il
 trasferimento dell'edificio e delle connesse pertinenze e', pertanto,
 avvenuto  ope  legis, in base alle norme di attuazione dello statuto.
 Tale devoluzione con effetto traslativo automatico e'  seguita  dalla
 redazione  degli  elenchi dei beni assegnati alla Regione stessa, cui
 fa riferimento  l'art.  5  del  d.P.R.  1  dicembre  1961,  n.  1825.
 L'inclusione  in  tali elenchi presuppone il trasferimento esplicando
 un effetto meramente ricognitivo.
    Posta questa premessa, appare evidente, dal raccordo tra i  motivi
 del  ricorso,  che la impugnativa della Regione Sicilia non e' intesa
 ad una rivendicazione del titolo di proprietario del bene ma  attiene
 alla richiesta di una declaratoria di non esclusiva spettanza in capo
 allo  Stato  di  una  particolare  attribuzione, quella relativa alla
 potesta' di individuazione delle sedi degli uffici per l'espletamento
 delle funzioni residuate  allo  Stato  nelle  materie  di  competenza
 regionale.
    E  certamente  la  controversia  intorno  alla  spettanza  di tale
 potere, direttamente connesso all'attuazione dello statuto siciliano,
 e' idonea a produrre un conflitto attuale di attribuzione tra Stato e
 Regione.
    Ancora e piu' precisamente, la ricorrente lamenta  che  lo  Stato,
 nell'espletamento   dell'attivita'   di  cui  si  tratta,  a  cagione
 dell'esercizio illegittimo di essa, e cioe' per non avere  consentito
 alla  Regione stessa di partecipare al procedimento di individuazione
 dei beni ad esso residuati, abbia menomato le competenze regionali.
    Ora, secondo il  consolidato  orientamento  di  questa  Corte,  il
 conflitto   di   attribuzione  puo'  essere  proposto  non  solo  per
 rivendicare  la  titolarita'   di   attribuzioni   costituzionalmente
 conferite,  ma  anche  per  la difesa di proprie competenze di natura
 costituzionale che si suppongono lese dall'esercizio  illegittimo  di
 poteri  altrui  (v.,  da ultimo, sentt. nn. 211 e 126 del 1994, con i
 precedenti ivi richiamati).
    3.1. - Nel merito la Corte osserva che in base all'art.  14  dello
 statuto  speciale  per  la  Sicilia (R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455)
 lett. f), g), i), s), e' attribuita alla Regione in via esclusiva  la
 potesta'  legislativa,  tra  le  altre, nelle materie rispettivamente
 dell'urbanistica, dei lavori pubblici,  eccettuate  le  grandi  opere
 pubbliche   di   interesse  prevalentemente  nazionale,  delle  acque
 pubbliche,  in  quanto  non  siano  oggetto  di  opere  pubbliche  di
 interesse  nazionale,  e  della espropriazione per pubblica utilita';
 alla stregua dell'art. 20 sono demandate al Presidente ed alla giunta
 le  funzioni  esecutive  ed  amministrative  concernenti  le  materie
 anzidette.
    L'art.  43  attribuiva  ad  una  commissione paritetica di quattro
 membri, nominati dall'alto commissario della Sicilia  e  dal  governo
 dello  Stato,  la  determinazione delle norme transitorie relative al
 passaggio degli uffici e del  personale  dello  Stato  alla  Regione,
 nonche'  le  norme  per l'attuazione dello statuto. Tali norme, nella
 materia delle opere pubbliche,  sono  state  dettate  dal  d.P.R.  30
 luglio  1950,  n.  878,  che,  all'art.  2,  primo  comma, modificato
 dall'art. 1 del d.P.R. 1 luglio 1977,  n.  683,  stabilisce  che  per
 l'esercizio  delle  attribuzioni spettanti alla regione nelle materie
 sopra elencate passano alle dipendenze  di  questa,  per  quanto  qui
 interessa,  "gli  uffici del genio civile, a competenza generale, con
 esclusione delle  sezioni,  anche  se  autonome,  che  esercitano  le
 funzioni  rimaste  di  competenze  statale".  Il  secondo comma dello
 stesso  articolo  precisa  che  il  trasferimento  alla  Regione  dei
 predetti  uffici  comporta  "la successione allo Stato nei diritti ed
 obblighi inerenti agli  immobili  sede  degli  uffici  stessi  e  del
 relativo arredamento".
    Il citato testo legislativo, peraltro, non contiene specificazioni
 in  ordine  alle  modalita'  del trasferimento dei predetti immobili.
 Sicche' lo stesso ministero delle finanze, in una nota del 17 gennaio
 1983, diretta al provveditorato alle opere pubbliche per la  Sicilia,
 aveva  ritenuto  applicabile,  per  l'individuazione delle sedi degli
 uffici in questione, l'art. 5 del d.P.R. 1 dicembre  1961,  n.  1825,
 recante  le norme di attuazione dello statuto in materia di demanio e
 patrimonio. La disposizione ricordata  prevede  che  l'individuazione
 dei beni demaniali e patrimoniali disponibili e indisponibili - della
 cui  ultima  categoria  fanno  parte,  ai sensi dell'art. 33, secondo
 comma, dello statuto, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici
 - sia effettuata con appositi elenchi  da  compilarsi  dal  ministero
 delle  finanze  di  intesa  con  quello  del  tesoro,  con  gli altri
 ministeri  interessati  e  con  l'amministrazione   regionale.   Tale
 procedimento  non  e'  stato,  poi,  di fatto, seguito, e lo Stato ha
 provveduto unilateralmente, con il decreto impugnato - adottando  uno
 schema che, se mai, si accosta a quello previsto dall'art. 11, quinto
 comma,  della legge 16 maggio 1970, n. 281, per la individuazione dei
 beni da trasferire alle Regioni a statuto  ordinario  -  a  ripartire
 l'immobile  sede  dell'ex  ufficio  del genio civile di Ragusa in due
 parti, una delle quali da trasferire alla Regione siciliana,  l'altra
 destinata all'espletamento dei residui compiti dello Stato in materia
 di opere pubbliche.
    3.2.  - Siffatta procedura appare in contrasto con il principio di
 leale cooperazione cui deve  ispirarsi  il  sistema  complessivo  dei
 rapporti  tra  Stato e Regione, ed al quale e' connaturato l'istituto
 dell'intesa, invocato in  modo  appropriato  dalla  ricorrente  quale
 strumento di necessaria codeterminazione dell'atto in questione, alla
 stregua del citato art. 5 del d.P.R. n. 1825 del 1961.
    Ne'   puo'  l'obbligo  di  collaborazione  a  carico  dello  Stato
 ritenersi adempiuto,  con  la  conseguenza  di  legittimare  una  sua
 decisione  unilaterale, per il rilievo che si sia soddisfatto un mero
 onere di informazione, come nel caso concreto e' avvenuto.
    L'intendenza di finanza di Ragusa,  su  istruzioni  impartite  dal
 ministero,  ha,  infatti, con nota del 20 luglio 1991, trasmesso alla
 Regione  Sicilia  il  progetto  di  ripartizione   dell'immobile   in
 questione, per la restituzione con il visto, con l'avvertenza che, in
 caso  di mancata restituzione entro il termine del 15 settembre 1991,
 si sarebbe  ugualmente  provveduto  alla  emissione  del  decreto  di
 trasferimento.
    L'intesa,  come  piu'  volte  ha  chiarito la Corte, e' una tipica
 forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che  i  soggetti
 partecipanti  siano  posti  sullo  stesso  piano  in  relazione  alla
 decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come
 il  prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta tra
 il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e  quello  la
 cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa (v. sentt. nn. 116
 del 1994, 21 del 1991, 220 del 1990).
    Ora,  per  quanto,  nella  fattispecie,  l'intesa  prevista  possa
 considerarsi del tipo "debole", come sostiene l'Avvocatura, nel senso
 che il mancato raggiungimento di essa non possa  essere  di  ostacolo
 insuperabile alla conclusione del procedimento - attesa la preminenza
 dell'interesse  generale  ad una tempestiva individuazione dei locali
 di cui e' questione -, occorre, pero', almeno che l'autorita' statale
 si attivi  per  promuovere  la  necessaria  collaborazione  dell'ente
 regionale,  attraverso una richiesta, e, quindi, una fase di contatto
 che, come gia' evidenziato dalla Corte  (sentt.  nn.  482  e  21  del
 1991),  superi il rigido schema della sequenza non coordinata di atti
 unilaterali da parte dell'uno e dell'altro ente.
    Tema,  questo  delle  intese  tra  le  amministrazioni  pubbliche,
 specificamente  affrontato  anche  dalla  legge  n.  241 del 1990 sul
 procedimento amministrativo.
    E' pacifico che nella fattispecie manca una siffatta richiesta  di
 partecipazione  della Regione al procedimento di formazione dell'atto
 ne' risulta una effettiva volonta' da parte dello Stato di addivenire
 ad una definizione concordata del contenuto dell'atto stesso.
    Restano, cosi', assorbiti gli altri motivi del ricorso.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara che  non  spetta  allo  Stato  approvare  il  progetto  di
 ripartizione  dell'immobile  sede dell'ex ufficio del genio civile di
 Ragusa senza la partecipazione  della  Regione  Sicilia  al  relativo
 procedimento;  conseguentemente,  annulla il decreto del ministro per
 le finanze, di concerto con quello dei lavori pubblici, n. 43205  del
 5 novembre 1992.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C1363