N. 759 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 1994
N. 759 Ordinanza emessa il 27 ottobre 1994 dal pretore di Terni nel procedimento penale a carico di Tombesi Euro ed altro Inquinamento - Rifiuti (nella specie: "residui" provenienti dalla lavorazione di marmi) - Esclusione dalla categoria degli stessi se quotati in borse merci o in listini mercuriali istituiti presso le locali camere di commercio - Conseguente inapplicabilita' della disciplina penale in tema di rifiuti a seguito di scelta amministrativa - Disparita' di trattamento a seconda che il materiale sia o meno incluso nei listini ufficiali della Camera di commercio nelle diverse regioni - Lesione del principio di tutela del paesaggio in senso ampio; della salubrita' dell'ambiente naturale ed urbano; di certezza del diritto penale, nonche' di adeguamento dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute - Penalizzazione per le imprese che abbiano affrontato ingenti investimenti per lo smaltimento dei rifiuti in armonia con le esigenze dell'ambiente. (D.-L. 7 settembre 1994, n. 530). (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41).(GU n.1 del 4-1-1995 )
IL PRETORE Nel procedimento penale n. 4207/93A a carico di Tombesi Euro e Tombesi Adino imputati, tra l'altro, "del reato di cui all'art. 25, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 perche' ( ..) realizzavano una discarica costituita da detriti e ritagli di marmo senza autorizzazione" provenienti dalla lavorazione di marmi della ditta SO.TE.MA. della quale sono titolari e legali rappresentanti, nonche' imputati del reato di cui agli artt. 3, quinto comma, e 9-octies, terzo comma, del d.-l. n. 397/1988 convertito in legge n. 475/1988 e 3, terzo comma, e 9-octies, terzo comma, del d.-l. n. 397/1988 convertito in legge n. 475/1988 "perche' omettevano di tenere il prescritto registro di carico e scarico dei rifiuti (detriti e ritagli di marmo)" come sopra indicato facendo anche infedele comunicazione alla regione (capi B e C della rubrica), osserva quanto segue. La difesa ha preliminarmente richiesto immediata declaratoria di non doversi procedere per il reato citato assumendo che il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato ai sensi del decreto-legge n. 530 del 7 settembre 1994 - art. 12 - in quanto i ritagli di marmo per cui e' processo sono considerati residui riutilizzabili dal d.m. 5 settembre 1994. Il p.m. di udienza, dott. Francesco Scavo, si e' opposto a detta istanza ed ha richiesto a questo pretore di dichiarare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del decreto-legge citato, nella sua stesura integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, in quanto in contrasto con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione e con le direttive CEE in materia di rifiuti. Asseriva il p.m.: "Rilevato che nell'odierno processo la difesa ha chiesto l'applicazione della normativa di cui al d.-l. 7 settembre 1994, n. 530, in relazione ai capi B e C contestati agli imputati e che pertanto tale normativa deve ritenersi potenzialmente applicabile, seppur non citata, nei capi in contestazione, ritiene che il decreto-legge stesso contenga precetti in contrasto con la Costituzione della Repubblica. In particolare ritiene il p.m. che il decreto-legge citato nella sua integrita' normativa, in quanto contenente norme tra loro inscindibilmente connesse e comunque in particolare il precetto di cui agli artt. 2 e 12 e degli articoli in essi richiamati, del decreto-legge piu' volte citato, come tali applicabili al d.P.R. n. 915/1982 nonche' al d.-l. n. 397/1988 di cui ai capi B e C, contrasti con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione. Cio' perche' opera preliminarmente una disparita' di trattamento inconciliabile con i principi generali dettati dall'art. 3 della Costituzione. Infatti premesso che i materiali derivanti dal ciclo produttivo dell'azienda sono stati fino ad oggi considerati per costante indirizzo giurisprudenziale come rifiuti dalla Corte di cassazione, si rileva che oggi invece se gli stessi sono indicati come residui e risultano inseriti nel listino mercuriale della camera di commercio locale, consegue che questi materiali sfuggono al regime dei rifiuti e sono di fatto depenalizzati; mentre coloro che, producendo medesimi residui in localita' differenti, oggetto di diversa determinazione da parte della camera di commercio locale, potrebbero vedere in base a tale diversa valutazione soggiacere la propria posizione a diversa sanzione anche penale. Ritiene il p.m. il contrasto tra il decreto- legge citato e l'art. 9 della Costituzione in quanto antitetico con i principi generali concernenti la tutela del paesaggio e del patrimonio ambientale del Paese considerato alla stregua della piu' recente giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale; ancora rispetto all'art. 10 in quanto in contrasto con i principi dettati dalle normative e direttive comunitarie in materia. Infine in contrasto con i rimanenti articoli sopra citati per la non osservanza dei precetti ivi contenuti. Cio' premesso ritiene il p.m. rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' sollevata nel presente giudizio chiedendo altresi' che la questione venga portata a conoscenza della Corte di giustizia europea con richiesta di sentenza interpretativa nel merito della materia in relazione alle direttive europee". Rileva il pretore che la questione sollevata dal p.m. merita esame in quanto direttamente pertinente e pregiudiziale rispetto alla materia processuale in questione. Al riguardo osserva il pretore quanto segue. 1. - La disciplina giuridica del settore ha fino ad oggi considerato come rifiuti tutti i residui derivanti da processi produttivi, anche se riutilizzabili, escludendo, allo stato, la possibilita' di evoluzione diretta dei rifiuti in materie prime secondarie. Costituisce cristallizzazione di questo principio la basilare sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 5 in data 29 maggio 1992 - ud. 27 marzo 1992 - Imp. Viezzoli: "In tema di smaltimento di rifiuti industriali, con il d.-l. 9 settembre 1988, n. 397, convertito in legge 9 novembre 1988, n. 475, si e' inteso riservare un regime giuridico diverso da quello cui sono sottoposti i rifiuti in generali residui derivanti da processi produttivi, suscettibili di riutilizzazione, qualificabili, come materie prime secondarie ai sensi dell'art. 2 del detto d.-l. Peraltro nel menzionato art. 2 il legislatore ha dettato solo una normativa-quadro, di tal che, perche' a siffatti residui sia applicabile la nuova disciplina in deroga, e' necessario che siano prima emanate le norme di cui ai commi quarto e sesto del predetto articolo. Ne consegue che sino a tale momento alle materie prime secondarie continua ad applicarsi la disciplina generale sui rifiuti di cui al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha anche evidenziato che le materie prime secondarie, proprio perche' si tratta pur sempre di sostanze di cui il donatore si disfa o ha l'intenzione di disfarsi, non rappresentano una categoria autonoma ed alternativa rispetto ai rifiuti vari e propri, ma ne costituiscono solo una specie, sia pure particolare, attesa la loro provenienza e la loro attitudine ad essere utilizzate come materie prime in altri processi produttivi)". In tale contesto la giurisprudenza ha fino ad oggi affermato che nella generale categoria dei rifiuti rientrano non solo le sostanze e gli oggetti che si possono considerare tali sin dall'origine (ad es. immondizie), ma anche quelle sostanze ed oggetti non piu' idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico, sicche' "abbandonato o destinato all'abbandono" va inteso non nel senso civilistico di res nullius o di res derelicta, disponibile alla apprensione di chiunque, sebbene di sostanza od oggetto ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui che lo detiene, anche mediante un negozio giuridico (cfr. Cass. sez. III 26 febbraio 1991, n. 2607 - imp. Lunardi). Consegue che, nella dottrina e giurisprudenza fino ad oggi tracciata, se quello sopra delineato e' il concetto di rifiuto, e' evidente allora che "le materie prime secondarie, proprio perche' si tratta pur sempre di sostanze di cui il detentore si disfa o ha l'intenzione di disfarsi, lungi dal rappresentare una categoria autonoma ed alternativa dei rifiuti veri e propri, ne costituiscono solo una specie, sia pure particolare, attesa la loro provenienza e la loro attitudine ad essere utilizzate come materie prime in altri processi produttivi" (cfr. motivazione citata sentenza sezioni unite). 2. - La giurisprudenza italiana, e comunitaria, ha sempre rifiutato di accogliere la tesi che un rifiuto, se riutilizzabile, non e' piu' un rifiuto, con la conseguente deregolamentazione e sottrazione alla disciplina specifica in materia (in Italia, il d.P.R. n. 915/1982). Va rilevato che la sentenza "interpretativa" n. 359 del 14 febbraio 1988 della Corte europea di giustizia precisava che "una normativa nazionale la quale adotti una definizione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non e' compatibile con le direttive CEE" (riportata integralmente in Amendola - "Inquinamento ed industria" - Roma 1992). 3. - Le direttive CEE n. 156 del 18 marzo 1991 e n. 689 del 12 dicembre 1991 ed il regolamento n. 259 del 1 febbraio 1993, ancora da recepire in Italia, hanno impostato un criterio a livello europeo per disciplinare alla radice il concetto, creando il principio delle materie prime secondarie con connesse procedure semplificate per quei residui destinati al riutilizzo o alla produzione di energia. Va sottolineato, al riguardo, che in particolare la nuova direttiva-quadro n. 91/156 (per la quale e' scaduto il 1 aprile 1993 il termine ultimo per il recepimento in Italia) delinea da un lato in modo particolareggiato l'ambito dei rifiuti recuperabili, definendo sia le operazioni di recupero sia i rifiuti che ad esse possono essere sottoposti (senza equivoci di carattere soggettivo unilaterale), e dall'altro autorizza adempimenti semplificati per le operazioni che li riguardano (cfr. Amendola - "I rifiuti normativa italiana e comunitaria" - Milano 1992). 4. - In detto contesto si inserisce la decretazione d'urgenza operata nel nostro Paese in materia, il cui ultimo provvedimento e' costituito dal d.-l. n. 530 del 7 settembre 1994. Ad avviso dello scrivente pretore il citato decreto-legge, preved- endo principi che tendono a sottrarsi alla disciplina fino ad oggi delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria come sopra esposta, si pone in contrasto con la direttive CEE in materia. 5. - In primo luogo si rileva che sussiste netto contrasto con le normative di settore esistenti e le sentenze della Cassazione, della Corte costituzionale e della Corte europea di giustizia laddove con un semplice espediente terminologico si sottraggono in blocco ed all'improvviso alla disciplina del d.P.R. n. 915/1982 (che regola anche i rifiuti da recuperare e riutilizzare) ed alla disciplina comunitaria (che li chiama "rifiuti destinati al recupero") tutti quei rifiuti che vengono ribattezzati "residui" e non si chiarisce mai espressamente se essi rientrano nella categoria dei "rifiuti". Va osservato che la categoria dei "residui" (definiti dall'art. 3 - g - "sostanze residuali suscettibili di essere utilizzate come materia prima e fonti di energia") rientra senza ombra di dubbio tra quelli che il d.P.R. n. 915/1982 e la normativa comunitaria 1991-1993 chiamano "rifiuti da recuperare". Del resto, ad esempio, l'art. 7 del decreto sui movimenti transfrontalieri ammette che i "residui" sono disciplinati, quanto ad import-export, dal regolamento CEE n. 259 il quale riguarda i "rifiuti"; ed ancora l'art. 1, quarto comma, premette che queste disposizioni sui residui si applicano in attesa dell'attuazione delle direttive CEE sui rifiuti e richiama espressamente proprio la "definizione e la classificazione dei rifiuti effettuaste dalle direttive CEE". Questi punti confermano ulteriormente l'identita' di fatto e di principio tra "residui" e "rifiuti". 6. - Il decreto-legge in esame sottrae in primo luogo a qualsiasi procedura ed obbligo tutti quei "materiali" che siano quotati in borse merci o in listini e mercuriali ufficiali costituiti presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione, nonche' tutti i semilavorati non costituenti residui di produzione e di consumo; e con cio' si supera anche la categoria dei "residui" creando una zona franca completamente deregolamentata. Quindi per sottrarre quello che fino ad oggi e' stato considerato un "rifiuto" addirittura dalla gia' blanda categoria dei "residui" e' sufficiente un attestato di quotazione di una camera di commercio e una "ricognizione positiva" del Ministero dell'ambiente; ed in detto contesto, secondo le evoluzioni del caso, possono in linea teorica e potenziale rientrare gran parte dei rifiuti industriali. Si tende cosi' a creare di fatto una sottrazione alla fino ad oggi attuata disciplina penale di detti materiali con la semplice annotazione nel corpo di un listino ufficiale amministrativo, peraltro potenzialmente diverso da regione a regione. L'elenco dei materiali predisposto dal Ministero dell'ambiente contiene molti di quelli che la direttiva CEE qualifica come "rifiuti recuperabili", unitamente a rifiuti storicamente oggetto di forte contenzioso penale a carico delle aziende produttrici nel contesto della disciplina sui rifiuti ex d.P.R. n. 915/1982 (si pensi, a titolo di esempio, alle ceneri ed al caprolattame). 7. - Il decreto-legge in esame in secondo luogo crea, in attesa di future evoluzioni regolamentative, una disciplina transitoria ed immediata che di fatto sottrae al regime di gestione dei rifiuti (inclusi obblighi e doveri) tutti i residui, anche tossici e nocivi, definiti come materie prime secondarie dall'allegato 1 del d.m. 26 gennaio 1990, incurante del fatto che la Corte costituzionale con la sentenza n. 512 del 15 ottobre 1990 ha in gran parte cancellato il testo del d.m. stesso argomentando, tra l'altro, che l'individuazione di quelle materie prime secondarie non poteva essere compiuta "con le garanzie di certezza richieste". 8. - Va ancora rilevato che viene ancora allargato l'ambito di questi residui "identificati" e delle relative operazioni di "recupero" con il d.m. 5 settembre 1994 perche' l'allegato 3 di questo decreto e' vastissimo e, di fatto, estende l'ambito dei residui a questi tutti i rifiuti industriali. Le caratteristiche previste rischiano di restare lettera morta a livello di fatto se si considera la carenza strutturale, numerica e professionale degli organi di controllo tecnici. E' facile prevedere che in detto contesto, nel quale ancora peraltro non e' stata resa operante l'agenzia per l'ambiente, gran parte dei rifiuti industriali saranno trasformati in "materiali" deregolamentati in toto o, al massimo, in "residui". Con azzeramento di tutta la disciplina sui rifiuti fino ad oggi seguita ex d.P.R. n. 915/1982 ed in palese contrasto con le direttive specifiche della CEE in materia. 9. - Si deve inoltre registrare una modifica ad un principio portante del d.P.R. n. 915/1982 eliminando, a determinate condizioni, l'obbligo di autorizzazione e di iscrizione all'albo per lo "stoccaggio provvisorio" dei rifiuti tossici e nocivi "nell'insediamento di produzione o trattamento". E che trattasi di principio-cardine, uno degli assi portanti del sistema di disciplina sui rifiuti fino ad oggi impostato dal d.P.R. n. 915/1982, e' confermato dal fatto che la Corte costituzionale (2 novembre 1992, n. 437) aveva bocciato tentativo analogo perche', trattandosi di rifiuti pericolosi, si elimina questo obbligo vengono meno quei "requisiti specifici affinche' sia garantita l'eliminazione di ogni pericolo per la salute ed il degrado ambientale". 10. - Il sistema sanzionatorio penale e' del tutto svuotato nella sua portata di fondo perche' le sanzioni penali introdotte dall'art. 12 del decreto, in non chiaro parallelo con il d.P.R. n. 915/1982, partono dal presupposto di comune denominatore che i rifiuti-residui sono scarsamente pericolosi per la salute pubblica e per l'ambiente e dunque traccia norme ben piu' benevole in senso deterrente e repressivo. Va notato, peraltro, che trattasi delle stesse sostanze fino ad oggi soggette al severo sistema sanzionatorio penale del d.P.R. n. 915/1982 e che hanno perso pericolosita' soltanto grazie ad una modifica terminologica di definizione. Uno dei punti cardine e' costituito dal fatto che molti dei residui elencati nell'allegato 3, per i quali non e' previsto alcun tipo di trattamento ne' e' prevista con precisione la destinazione a cui essi possono essere indirizzati, vengono considerati sic et simpliciter residui non soggetti al d.P.R. n. 915/1982 perche' "destinabili" ad un "possibile" riutilizzo che pero' non viene precisato. Va ancora rilevato che molti dei rifiuti vengono ad essere classificati come residui prevedendo per la loro utilizzazione dei processi che si possono ricondurre tutti alla combustione, cosicche' nell'ambito di tali processi vengono ad eliminarsi tutte le sostanze organiche in esse contenute appunto mediante combustione o, se si applicasse la normativa sui rifiuti, mediante incenerimento; tutto cio' determina che il processo di incenerimento a cui questi residui sono sottoposti viene pero' sottratto alla disciplina ed alla normativa tecnica precisa che riguarda l'incenerimento che sarebbe invece applicabile se tali residui fossero considerati rifiuti; in pratica la nozione di riciclo viene di fatto a mascherare l'incenerimento delle sostanze inquinanti presenti nel rifiuto iniziale. Molti dei rifiuti, inoltre, vengono ad essere denominati residui non perche' riutilizzabili in reali cicli di produzione come materie prime o come energia, ma ammettendo semplicemente che essi possano essere utilizzati per riempire depressioni del terreno o per realizzare rilevati e quindi di fatto possono essere attuate attivita' che se soggette alla normativa prevista dal d.P.R. n. 915/1982 sarebbero da considerare discariche in depressione o in rilevato. Anche in questo caso, come nel precedente in cui veniva a determinarsi una deregulation dell'incenerimento, si attua una dereg- ulation della discarica che viene ad essere denominata, paradossalmente, ripristino ambientale. Altro elemento da considerare e' che in molti casi le caratteristiche sia dei prodotti di partenza che di quelli riutilizzabili, nel caso questi differiscano dai primi, non sono in alcun modo precisate e quindi il loro utilizzo resta del tutto indefinito perche' unico elemento di riferimento e' la frase ricorrente "nelle forme usualmente commercializzate" che, in considerazione dei notevoli interessi economici che vengono coinvolti nelle attivita' di smaltimento rifiuti, e' del tutto irrilevante. Sempre nell'ambito della deregulation delle attivita' di smaltimento, oltre quanto gia' indicato per gli inceneritori e le discariche, vengono ad essere anche sottratte alla normativa dei rifiuti anche le attivita' di trattamento finalizzate non al recupero ma alla semplice inertizzazione del rifiuto stesso senza che per questo successivamente sia previsto un qualsiasi riutilizzo. 11. - Il decreto, sempre a livello sanzionatorio, introduce un pericoloso e opinabile elemento di valutazione soggettiva unilaterale laddove prevede nel quarto comma, ultima parte dell'art. 12 che le sanzioni del d.P.R. n. 915/1982 si applicano "qualora i residui non siano destinati in modo effettivo ed oggettivo al riutilizzo". E si riapre cosi' un contenzioso interpretativo antico che la dottrina e la giurisprudenza avevano cancellato prevedendo il gia' sopra esposto concetto dell'impossibilita' del passaggio diretto tra rifiuti e materie prime secondarie e relegando nel concetto comunque di rifiuti anche i materiali suscettibili di riutilizzo. Le citate direttive CEE dettano invece norme oggettive e risolutive in questo campo. Il concetto di destinazione "in modo effettivo ed oggettivo al riutilizzo" ricollega di fatto primaria importanza alle dichiarazioni unilaterali e soggettive dell'imprenditore, posto che spettera' all'accusa provare il contrario e cioe' che non vi e' stato ne' sara' possibile potenzialmente il citato riutilizzo. L'opinabilita' e la infinita possibilita' di interpretazioni diversificate caso per caso, materiale per materiale, creano di fatto una prospettiva di contenzioso infinito dai contorni e dagli estremi privi di ogni punto di riferimento di certezza e limite oggettivo. 12. - Si rileva ancora che il decreto "sana" qualsiasi reato commesso in tema di "residui" in passato utilizzando in bonam partem anche il d.m. del 1990, annullato dalla Corte costituzionale, e le norme regionali di favore; cosi' creando comunque una moratoria penale in un settore di gravissima incidenza sul campo della salute pubblica e della tutela dell'ambiente. 13. - Si rileva inoltre che la modifica in esame, sulla base di quanto sopra esposto, si pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni della Corte di cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. III, 2 febbraio 1994, n. 2525 e Cass. pen. sez. III, 6 aprile 1993, n. 3148). La norma denunciata infatti favorisce apertamente chi ha violato la legge e penalizza, invece, anche sul piano della concorrenza tra imprese, proprio le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti e le proprie procedure di stoccaggio, deposito e smaltimento alle esigenze di tutela ambientale; e cio' appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della Costituzione. 14. - In detto svuotamento sanzionatorio di uno dei sistemi normativi piu' importanti in materia di tutela ambientale, cosi' come tracciato nei punti precedenti, si profila ad avviso dello scrivente pretore una violazione del disposto dell'art. 9 secondo comma, della Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici. L'incertezza del diritto derivante dalla sinergia del sistema creato dal decreto in esame favorisce potenzialmente la dispersione di rifiuti, anche pericolosi, nell'ambiente naturale con conseguenze grave nocumento per l'integrita' dell'ambiente. 15. - Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto anche con l'art. 32 della carta costituzionale. Infatti nel concetto di tutela della salute come principio costituzionalmente garantito deve, per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto della salute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale ed urbano ove ciascun cittadino vive. Il diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza (si veda per tutte la famosa sentenza delle sezioni unite n. 517 del 6 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionale in data 30 dicembre 1987, n. 641 ed in data 16 marzo 1990, n. 127). E' fuor dubbio che la diminuita, ed anzi per certi versi di fatto del tutto caducata, possibilita' di intervento deterrente/punitivo in sede di illeciti da rifiuti, anche potenzialmente pericolosi, crea i presupposti per una evoluzione incontrollata del fenomeno, incoraggiata dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di p.g. e possibilita' di intervento processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per la salute e salubrita' pubblica in un ambiente che resta cosi' maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante. 16. - Si deve quindi argomentare che, con la chiave di volta del ricorso alla differenziazione terminologica ("residui" e "materiali"), il decreto-legge in esame opera una deregolamentazione sulle stesse identiche materie che la normativa europea qualifica come "rifiuti destinati al recupero" e dunque si pone, a livello di fatto, in contrasto con le irettive CEE sopra citate prevedendo rispetto a detti testi normativi un trattamento ben piu' generoso e per certi versi del tutto deregolamentato. Il contrasto si sviluppera' in tutta la sua portata allorquando, entro il marzo 1995 (vedi legge comunitaria n. 146 del 22 febraio 1994), il Governo dovra' dare attuazione alle due direttive CEE del 1991 'uniformando la disciplina nazionale alle definizioni ed alle classificazioni dei rifiuti individuati come tali dalla normativa comunitaria' e con particolare attenzione proprio al settore dei rifiuti recuperabili (art. 38/primo comma). 17. - Premesso quanto sopra, questo pretore dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del decreto-legge n. 530 del 7 settembre 1994, nella sua stesura integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, in relazione agli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione. In relazione agli artt. 3 e 25 richiama le argomentazioni sopra esposte con particolare riferimento al fatto che il decreto in esame ha attribuito di fatto alle camere di commercio il potere di sottrarre alla disciplina dettata per i rifiuti i materiali inseriti nei listini ufficiali, con la conseguenza di sottrarre gli stessi alla regolamentazione prevista dallo stesso decreto o, in alternativa, al trattamento sanzionatorio del d.P.R. n. 915/1982, con cio' creando di fatto un contrasto con i principi costituzionali di parita' di trattamento e riserva di legge penale atteso che, tra l'altro, dall'inclusione nei listini ufficiali operata dalla camera di commercio in una regione e non in un'altra dipenderebbe l'operativita' o meno degli obblighi sanciti nel decreto, con le rel- ative sanzioni, e specularmente di quelli stabiliti nel d.P.R. n. 915/1982, con la conseguenza che uno stesso materiale potrebbe ricevere un diverso trattamento a seconda del luogo ove la legge viene applicata. Quanto alla violazione della riserva di legge, il meccanismo in questione rende possibile, diversamente configurando un elemento della fattispecie penale, la rilevanza penale di un medesimo fatto ( sub d.-l. n. 530/1994 e sub d.P.R. n. 915/1982) in relazione alla diversa e non definitiva classificazione dei materiali da parte delle locali camere di commercio. Si rileva peraltro che non sana detto problema il d.m. 5 settembre 1994 perche' trattasi di d.m. modificabile in ogni momento e quindi dalle sue modifiche in sinergia con l'attivita' delle camere di commercio, dipende l'applicazione della legge penale con totale incertezza del diritto in sede relativa. In relazione all'art. 10 della Costituzione si richiama in modo integrale quanto sopra esposto in riferimento al contrasto di fondo generale tra il decreto-legge in esame e la normativa CEE in materia, fatto che determina in via diretta una possibile mancata conformazione dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale riconosciute. In ordine agli altri articoli della Costituzione si richiama quanto espresso nei punti precedenti. Su detti temi si sottopone, la questione alla Corte costituzionale affinche' stabilisca se il dettato del decreto-legge n. 530 del 7 settembre 1994 nella sua stesura integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, con particolare riferimento agli artt. 2 e 12 ed agli articoli ivi richiamati, si ponga in contrasto con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione. Da quanto sopra esposto, emerge che in applicazione della norma oggetto del giudizio di costituzionalita' alla Corte costituzionale dovrebbe procedersi a verifica in ordine al capo di imputazione per appurare se la richiesta della difesa debba essere accolta ritenendo legittima la classificazione dei materiali in questione cosi' come proposta dalla difesa stessa in relazione al decreto-legge in esame (con conseguente proscioglimento degli imputati in via preliminare) o se, invece, debba procedersi a giudizio ordinario sulla base dei principi antitetici sopra tracciati e secondo i canoni di certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia. Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito, allo stato e vigente i principi del decreto-legge n. 530/1994 in esame, in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del decreto-legge n. 530 del 7 settembre 1994 avente per titolo "Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti", nella sua stesura integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, con particolare riferimento agli artt. 2 e 12 ed agli articoli ivi richiamati; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli imputati, ai loro difensori, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Terni, addi' 27 ottobre 1994 Il pretore: SANTOLOCI 94C1377