N. 468 SENTENZA 15 - 30 dicembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Referendum - Regione Lazio - Istituzione di nuovi comuni - Referendum
 consultivo  limitato  ai  soli  cittadini residenti nelle frazioni da
 distaccare e  non  a  tutti  i  cittadini  del  comune  di  Marino  -
 Incompletezza dei termini della questione ai fini della sua rilevanza
 - Inammissibilita'.
 
 (Legge  regione  Lazio  8  aprile 1980, n. 19, art. 1, secondo comma,
 lett.  a), come modificato dalla legge regione Lazio 20 agosto  1987,
 n. 49).
 
 (Cost., art. 133, secondo comma).
 
(GU n.1 del 4-1-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare
    RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  secondo
 comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19
 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi comuni, e
 modificazione  delle  circoscrizioni  e  denominazioni  comunali,  in
 attuazione  dell'art.  133,  secondo  comma,   della   Costituzione),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  24  marzo  1994  dal  Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi  riuniti  proposti  da
 Vinciguerra  Franco  ed  altri  contro il prefetto della provincia di
 Roma ed altri, iscritta al n.  615  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 42, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Vinciguerra Franco ed altri, del
 comune di Boville e della Regione Lazio;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  13  dicembre  1994  il  giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi  gli  avvocati  Alessandro  Pace  per  Vinciguerra Franco ed
 altri, Giorgio Marino per il comune di Boville, e Achille  Chiappetti
 per la regione Lazio.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  TAR  del  Lazio  ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge della  regione
 Lazio  8  aprile  1980  n. 19, come modificato dalla successiva legge
 regionale 20 agosto 1987 n. 49, per contrasto con l'art. 133, secondo
 comma, della Costituzione, nella parte  in  cui  non  diversifica  il
 procedimento referendario per l'istituzione di nuovi comuni a seconda
 che  si  tratti  di  distacco di una o piu' frazioni ovvero di vero e
 proprio smembramento della originaria comunita'.
    2. - Il giudice remittente premette che  avanti  a  se'  e'  stato
 impugnato  il  decreto  di  sospensione  della  indizione  dei comizi
 elettorali del comune di Marino,  quale  primo  atto  inteso  a  dare
 esecuzione  alla  istituzione  autonoma  del  comune  di Boville, per
 separazione da quello di Marino, prospettando tra gli  altri  motivi,
 la  violazione  dell'art.  133, secondo comma, della Costituzione, da
 parte dell'art. 1, comma secondo, lett.  a),  della  legge  regionale
 Lazio  8  aprile 1980, n. 19 (con conseguente illegittimita' derivata
 del decreto prefettizio impugnato), in quanto sono stati chiamati  ad
 esprimersi  sul  referendum  soltanto  i  cittadini  residenti  nelle
 frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.
    3.  -  Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del
 Lazio ritiene che  il  problema  di  legittimita'  costituzionale  si
 incentri  tutto  sulla  locuzione  "popolazioni interessate", dettata
 dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se queste  siano
 solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune gia'
 costituito,  ovvero  se  si  debba  intendere  tutta  la  popolazione
 dell'originario  ente  locale,  chiamata,  nel  caso  in   esame,   a
 consentire o meno lo smembramento del Comune.
    Entrerebbero   in   gioco   due  principi  ordinamentali  entrambi
 rinvenienti  da  norme  costituzionali:   quello   della   cosiddetta
 autodeterminazione,  per  il  quale  un  soggetto  o  un  gruppo puo'
 scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e
 quello della volonta' della maggioranza di una collettivita', per  il
 quale  la  modifica  di  qualsiasi  elemento  costitutivo deve essere
 deciso  dal  maggior  numero  dei  soggetti  che  partecipano   della
 originaria  composizione;  il  tutto  trasfuso  nell'altro  principio
 ordinamentale, di carattere  fondamentale,  per  il  quale  gli  enti
 locali  sono,  si'  autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni
 loro decisione deve  pur  sempre  rapportarsi  agli  interessi  della
 comunita' organizzata in ordinamento sovrano.
    4.  - Ove quindi si ricerchi il quid intermediationis, prosegue il
 TAR del Lazio, cioe' il delicato punto  di  equilibrio  ordinamentale
 nel  quale entrambe le esigenze della collettivita' prima evidenziate
 possono trovare composizione satisfattiva, occorre considerare che  i
 gruppi  organizzati di carattere pubblico, come nella specie gli enti
 locali di carattere comunale, sono tali perche'  i  singoli  soggetti
 che  ne  fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza piu' o meno
 intensa, che non e' mai solo l'elemento oggettivo del  territorio  ma
 che si connette ad usi, costumi, dialetti, cemento storico, comunanze
 geografiche,  coerenza  sociale,  costumanze  religiose, specificita'
 folcloristiche, ecc., per cui il "gruppo  sociale"  prima  di  essere
 tale,  si  "sente"  tale  e  la sovrapposizione istituzionale finisce
 soltanto per dare riconoscimento ad una realta' gia' aggregata.
    Se questo e' probabilmente il dato di base, e'  fuori  discussione
 che l'ordinamento nazionale, nella ricerca di quel consenso che forma
 e rafforza il suo prestigio e la sua vitalita', non puo' che favorire
 movimenti  al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare
 le singole strutture sociali di cui esso di compone.
    Non, quindi, qualsiasi richiesta di qualsiasi gruppo in  qualsiasi
 momento  puo'  essere  presa  in  considerazione per smembrare unita'
 sociali che presentano caratteri di compattezza, ma  soltanto  quelle
 richieste  che  sono  collegate  con  un  gruppo  che  ha  una nitida
 differenziazione complessiva che lo rende gia' di per  se'  autonomo,
 come  e'  potuto  accadere  per  il  recente  scorporo  del Comune di
 Fiumicino dal Comune di Roma, dove era evidente il rapporto puramente
 amministrativo che collegava le due comunita'.
    In casi del genere, prosegue il remittente, e'  fuori  discussione
 che  basta  la  manifestazione  della volonta' del gruppo che intende
 distaccarsi; questo e' gia'  esistente  come  fatto  sociologicamente
 distinto,  e' collegato con un'area geografica eccentrica rispetto al
 capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui
 l'autonomia amministrativa non puo'  che  discendere  dalla  volonta'
 degli  autonomisti,  potendosi  vanificare  un fatto naturale per una
 questione  di  maggioranza gia' di per se' precostituita, nel caso si
 ammettesse al voto l'intera cittadinanza.
    Diverso sarebbe  invece  il  caso,  come  nel  Comune  di  Marino,
 allorquando  la  richiesta  di distacco non proviene da una precisa e
 ben identificata (per elementi storico-sociali propri)  comunita'  di
 cittadini,  ma scaturisce invece dall'interno della stessa comunita',
 da  parte  di  quasi  i  due  terzi  dei  cittadini   dell'originaria
 comunita',  perche'  in  questo  caso non si tratta di far conseguire
 l'autonomia ad un gruppo che gia' la possiede, ma si tratta invece di
 operare lo smembramento di una collettivita' organica,  determinando,
 essa si', una suddivisione che puo' essere artificiale e che, quindi,
 l'ordinamento ha interesse ad evitare.
    5.  -  E'  intervenuto  nel  giudizio  il  Presidente della Giunta
 regionale del Lazio concludendo per  l'inammissibilita',  o  comunque
 per l'infondatezza, della questione.
    Quanto  all'inammissibilita', la Regione sostiene che la questione
 mira a richiedere alla Corte una decisione "manipolativa" al fine  di
 introdurre  una norma che il legislatore regionale non aveva ritenuto
 opportuno adottare: con cio' denunciando un  vizio  di  merito  della
 legge ma non un vizio di legittimita' costituzionale.
    6.  -  Sarebbe  comunque  evidente l'infondatezza della questione,
 prosegue la Regione, in  quanto  la  legge  impugnata  consente  alla
 popolazione   interessata  al  processo  di  autonomia  di  esprimere
 adeguatamente il proprio parere sul  procedimento  per  l'istituzione
 del  nuovo  Comune, poiche' essa, a tali fini, deve coincidere con la
 popolazione che viene direttamente coinvolta dalla nuova istituzione.
 Nel caso non potrebbe porsi in dubbio che la popolazione direttamente
 interessata coincide con la popolazione residente nei  territori  che
 formeranno il nuovo Comune.
    Gli  argomenti prospettati dal giudice a quo non potrebbero essere
 condivisi poiche' con  essi  il  remittente  sembra  preoccuparsi  di
 estendere  il  piu'  possibile  il  suffragio anche a popolazioni che
 potrebbero solo subire una  mera  influenza  dall'istituzione  di  un
 nuovo Comune.
    7. - Si e' costituito in giudizio il Comune di Boville, in persona
 del    commissario    prefettizio    protempore,    concludendo   per
 l'inammissibilita' e per l'infondatezza della questione.
    Dopo aver premesso alcune considerazioni sulla  legittimazione  ad
 agire  dei  ricorrenti  e  sul  loro  interesse a proporre il ricorso
 avanti il TAR remittente, il Comune di Boville richiama la  sent.  n.
 453 del 1989 della Corte per concludere che il diritto costituzionale
 di  autodeterminazione  spetta esclusivamente agli elettori residenti
 nell'area  territoriale  oggetto  della  variazione,   e   non   alla
 popolazione  di  tutto  il  Comune  da  trasformare.  Fermo restando,
 sottolinea il Comune, che anche accertata la effettiva volonta' della
 popolazione, il potere di costituire o meno nuovi enti locali  spetta
 comunque  alla  Regione  quale atto di responsabilita' socio-politica
 derivante dall'art. 117 della Costituzione.
    8. - Si sono altresi' costituiti i ricorrenti nel giudizio  a  quo
 concludendo  per  la  fondatezza  della  sollevata questione, nonche'
 instando, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, per la dichiarazione
 d'illegittimita' costituzionale in  via  conseguenziale  della  legge
 della  Regione  Lazio  n. 56 del 1993, istitutiva del nuovo Comune di
 Boville.
    Dopo  aver  richiamato le conclusioni raggiunte dalla sent. n. 453
 del 1989  della  Corte,  i  ricorrenti  affermano  che  l'indicazione
 univoca  che  scaturisce  dalla sentenza e' nel senso che l'ambito di
 popolazione da consultare a mezzo di  referendum  va  determinato  in
 relazione all'entita' della modifica territoriale da attuare.
    Una  cosa  sarebbe la erezione a Comune autonomo (o l'aggregazione
 ad altro Comune) di una piccola frazione di un grande  Comune,  altro
 e', invece, l'erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del
 territorio  di  un  Comune  preesistente,  come  avviene nel caso del
 Comune di Marino.
    Nel primo caso sarebbe evidente che l'entita' della variazione  e'
 tale   da  lasciare  sostanzialmente  integra  l'identita'  non  solo
 storico-politica, ma anche territoriale, del  Comune,  ben  potendosi
 ritenere  che concretamente "interessata" alla costituzione del nuovo
 Comune sia esclusivamente quella piccola entita' di  popolazione  che
 dovrebbe distaccarsi.
    Nel  secondo  caso,  invece, il Comune preesistente sarebbe scosso
 nelle sue fondamenta, in quanto la dimensione  territoriale  di  esso
 (se  non,  addirittura,  la  stessa  sua  identita' storico-politica)
 verrebbe profondamente incisa,  potendo  subire  (in  caso  di  esito
 positivo  del  referendum)  una  trasformazione  quantitativa di tale
 entita' da divenire  qualitativa.  In  tale  ipotesi  la  popolazione
 "interessata"  ad  esprimere  il  proprio  giudizio  sarebbe, allora,
 l'intera popolazione del comune preesistente. Nessun membro  di  tale
 popolazione  potrebbe  dirsi  indifferente rispetto ad un processo di
 trasformazione cosi' radicale.
    9.  -  Infine,  i  ricorrenti  rilevano  che  una  volta   espunto
 dall'ordinamento  l'art.  1,  secondo  comma,  lett.  a), della legge
 Regionale n. 19 del 1980, non potrebbe piu' essere applicata la legge
 Regionale n. 56 del 1993, istitutiva del  nuovo  Comune  di  Boville,
 perche'   priva  dei  suoi  presupposti  giustificativi  e  dei  suoi
 referenti normativi. Tale ultima disposizione costituirebbe  infatti,
 un  provvedimento  legislativo  meramente  applicativo delle norme di
 legge sopra richiamate, che disciplinano il procedimento che ha  dato
 origine alla legge n. 56 del 1993.
    Tuttavia,   sottolineano   i   ricorrenti,   la  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale della legge Regionale n.  56  del  1993
 riveste  una  importanza  decisiva  dal  punto  di vista processuale,
 poiche',   una   volta   accolta   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  cosi'  come  formalmente  sollevata  (con conseguente
 declaratoria d'incostituzionalita' della sola legge Regionale  n.  19
 del  1980),  il  giudice  a  quo  dovrebbe, all'esito di questo primo
 giudizio, richiedere un nuovo intervento della Corte affinche', sulla
 base  della  prima  sentenza,  ne  deduca  esplicitamente  tutte   le
 conseguenze  logiche,  in  punto  d'incostituzionalita'  della  legge
 Regionale n. 56 del 1993.
    Pertanto, concludono i ricorrenti, sia per  esigenze  di  economia
 processuale,  sia  perche'  a  cio'  non osterebbe nessuna ragione di
 ordine formale o sostanziale  -  essendo  la  questione  della  legge
 Regionale  n.  56  del  1993  "derivativa"  rispetto  alla  prima  e,
 soprattutto, ictu oculi rilevante per lo svolgimento del  processo  a
 quo   -   ben   potrebbe  questa  Corte  dichiarare  l'illegittimita'
 costituzionale, in via conseguenziale, della legge  Regionale  n.  56
 del 1993.
    10.   -   Con   successive   memorie,  depositate  in  prossimita'
 dell'udienza pubblica, la Regione Lazio, il Comune di  Boville,  e  i
 ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,  hanno  ulteriormente illustrato e
 ribadito le tesi precedentemente svolte.
                        Considerato in diritto
   1. - Il TAR  del  Lazio  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  secondo  comma,  lett. a), della legge
 della Regione Lazio 8  aprile  1980  n.  19,  come  modificato  dalla
 successiva  legge  regionale  20 agosto 1987 n. 49, per contrasto con
 l'art. 133, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non
 diversifica il procedimento referendario per l'istituzione  di  nuovi
 Comuni  a  seconda  che  si tratti di distacco di una o piu' frazioni
 ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comunita'.
    2. - Il giudice remittente premette che  avanti  a  se',  con  due
 ricorsi  successivamente riuniti, sono stati impugnati: il decreto di
 sospensione della indizione  dei  comizi  elettorali  del  Comune  di
 Marino,  quale  primo  atto inteso a dare esecuzione alla istituzione
 del Comune di Boville per separazione da quello di Marino, nonche' il
 decreto di nomina del  Commissario  prefettizio  per  la  provvisoria
 amministrazione del nuovo Comune.
    Condividendo  la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del Lazio
 ritiene  che  la  norma  impugnata  si  ponga  in  contrasto  con  il
 richiamato art. 133, secondo comma, della Costituzione in quanto sono
 stati  chiamati  ad  esprimersi  sul referendum consultivo soltanto i
 cittadini residenti nelle  frazioni  da  distaccare  e  non  tutti  i
 cittadini  di  Marino.  Il problema di legittimita' costituzionale si
 incentrerebbe  quindi  sulla  locuzione  "popolazioni   interessate",
 dettata  dalla  norma  costituzionale,  con  riferimento  al fatto se
 queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il  distacco  da
 un  Comune  gia'  costituito  ovvero  se, nel caso in esame, si debba
 intendere  tutta  la   popolazione   dell'originario   ente   locale,
 interessata a consentire o meno la scissione del Comune.
    Ad  avviso  del  remittente la questione assumerebbe rilevanza nel
 giudizio in quanto "soltanto  la  declaratoria  d'incostituzionalita'
 della  norma  suddetta  puo'  portare  all'accoglimento  dei ricorsi,
 avendo la Regione Lazio posto in essere il procedimento  referendario
 di  istituzione  del Comune di Boville sulla base della sopraindicata
 norma legislativa".
    3. - La questione e' inammissibile.
    Preliminarmente si deve rilevare che tutte le eccezioni  sollevate
 dal  Comune di Boville, in ordine all'insussistenza dell'interesse ad
 agire o di  altre  condizioni  dell'azione  proposta  dai  ricorrenti
 avanti  il  TAR  del  Lazio,  non possono avere ingresso nel presente
 giudizio in quanto tali accertamenti rientrano nell'apprezzamento del
 giudice di merito e non sono soggetti a  controllo  nel  giudizio  di
 costituzionalita' (cfr. sentt. n. 70 del 1960, n. 168 del 1987).
    Cio'  posto, occorre considerare che il TAR del Lazio ha impugnato
 la  sola  norma  di  legge  regionale  disciplinante  il   referendum
 consultivo   per   il   procedimento   istitutivo   di  nuovi  Comuni
 (nell'ipotesi di scorporo da aree comunali di piu' vasta dimensione),
 ma ha omesso di estendere la questione di legittimita' costituzionale
 anche alla legge della Regione Lazio n. 56 del 1993 che ha  istituito
 il   Comune   di   Boville,  e  che  costituisce  l'atto  finale  del
 procedimento  previsto  dal  secondo  comma   dell'art.   133   della
 Costituzione.
    Ne   consegue   che   ove  anche,  in  ipotesi,  fosse  dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  regionale  impugnata,
 resterebbe  comunque  in vigore la legge regionale n. 56 del 1993 che
 sorregge direttamente  i  provvedimenti  amministrativi  oggetto  del
 giudizio a quo (cfr. per analoga fattispecie: sent. n. 154 del 1994),
 e che, naturalmente, il giudice amministrativo non puo' disapplicare.
    Ne', come auspica il "Comitato Citta' di Marino" costituito avanti
 questa  Corte,  puo' essere utilizzato lo strumento offerto dall'art.
 27 della Legge 11 marzo  1953  n.  87,  ai  fini  della  declaratoria
 d'illegittimita' conseguenziale della legge regionale n. 56 del 1993,
 in  quanto  tale  norma  consente  di dichiarare soltanto quali altre
 disposizioni legislative divengono costituzionalmente illegittime  in
 conseguenza della decisione adottata, ma non certo di sanare, o, come
 nel caso in esame, di "completare" i termini di una questione ai fini
 della  sua rilevanza. Donde, conclusivamente, l'inammissibilita', per
 irrilevanza  ai  fini  del  decidere,  della  questione  cosi'   come
 formalmente prospettata nell'ordinanza di rimessione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio
 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla legge della Regione  Lazio
 20 agosto 1987 n. 49, sollevata, in riferimento all'art. 133, secondo
 comma,  della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0016