N. 477 ORDINANZA 15 - 30 dicembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Inutilizzabilita' degli atti di indagine compiuti
 dopo la scadenza del termine da computarsi dalla  data  di  ricezione
 della notizia di reato anziche' dall'iscrizione nel relativo registro
 -  Non  applicabilita'  della norma impugnata da parte del giudice  a
 quo - Difetto di rilevanza - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 335).
 
 (Cost., artt. 3, 76 e 112).
 
(GU n.1 del 4-1-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare
    RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 335 del  codice
 di  procedura  penale,  promosso  con ordinanza emessa il 22 febbraio
 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il  Tribunale  di
 Tolmezzo   nel  procedimento  penale  a  carico  di  Pellegrini  Afri
 Giovanni, iscritta al n. 339 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  25,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 23 novembre  1994  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
    Ritenuto  che  il  Giudice  per  le indagini preliminari presso il
 Tribunale  di  Tolmezzo  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  335 del codice di procedura penale, "nella
 parte in cui non prevede, qualora il pubblico ministero  non  iscriva
 immediatamente  la  notizia di reato, che sia comunque applicabile la
 disciplina degli artt. 406 e 407 c.p.p. dell'inutilizzabilita'  degli
 atti   di   indagine  compiuti  dopo  la  scadenza  del  termine,  da
 computarsi, questo ultimo, dalla data di ricezione della  notizia  di
 reato e non dall'iscrizione nel relativo registro";
      che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe:
        a)  con  l'art.  3  della  Costituzione,  per  "la  situazione
 deteriore e l'ingiusta disparita' di trattamento che viene  (  ..)  a
 subire  l'indagato  rispetto  alla  situazione  tipica prevista dalla
 legge";
        b) con l'art. 76 della Costituzione, non essendosi  rispettata
 la  previsione  dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
 diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  implicitamente
 richiamata  dall'art. 2 (alinea) della legge-delega 16 febbraio 1987,
 n. 81, che assicura ad ogni persona che la sua causa sia esaminata in
 un tempo ragionevole da parte di un organo giurisdizionale;
        c) con l'art. 112 della Costituzione, in quanto  il  principio
 dell'obbligatorieta'    dell'azione    penale   dovrebbe   intendersi
 funzionale sia al corretto esercizio dell'attivita'  giudiziaria  sia
 all'uguaglianza  di  trattamento dei cittadini davanti alla legge, il
 che  implicherebbe certezza sulle condizioni e sui tempi di esercizio
 dell'azione penale medesima;
      che in punto di fatto il giudice a quo espone:
       - che il procedimento penale, condotto secondo  le  regole  del
 previgente  codice  di  rito,  si  era in un primo tempo concluso con
 decreto del giudice istruttore  in  data  5  novembre  1985  "di  non
 doversi  promuovere  l'azione penale perche' non erano emerse ipotesi
 di reato";
       - che in data 20 febbraio 1986 il Procuratore della  Repubblica
 "chiedeva   al   giudice   istruttore   di  revocare  il  decreto  di
 impromovibilita' dell'azione  penale  e  di  procedere  con  il  rito
 formale" a carico dell'imputato;
       -  che  in  data 20 aprile 1990 il giudice istruttore, ritenuto
 che non sussistesse alcuna delle ipotesi previste dall'art. 242 disp.
 trans. cod. proc. pen. ,  trasmetteva  il  fascicolo  al  Procuratore
 della Repubblica perche' il procedimento proseguisse secondo il nuovo
 rito;
       -  che il pubblico ministero iscriveva la notizia nominativa di
 reato l'8 settembre 1992 e, all'esito di indagini  preliminari,  dopo
 aver  richiesto  e  ottenuto  in  data  15 marzo 1993 una proroga del
 termine, chiedeva  in  data  7  maggio  1993  il  rinvio  a  giudizio
 dell'imputato;
      che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per la infondatezza della questione.
    Considerato   che,   secondo  quanto  esposto  nell'ordinanza,  il
 procedimento a quo, in corso alla data del 24 ottobre  1989,  risulta
 regolato dalla disciplina transitoria, e in particolare dall'art. 258
 del  decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione,
 di coordinamento e transitorie del codice di  procedura  penale),  in
 forza  del  quale,  tra  l'altro,  per  i  procedimenti  in corso che
 proseguono con l'osservanza delle disposizioni del  nuovo  codice,  i
 termini  di  durata  delle indagini preliminari "sono computati dalla
 data di entrata in vigore del codice" (comma 3);
      che  pertanto,  in  base  a   tale   disciplina,   espressamente
 derogativa di quella "a regime", non trova applicazione la regola per
 la  quale  i  termini  di  durata  delle  indagini preliminari (artt.
 405-407 cod. proc. pen. ) decorrono "dalla data in cui il nome  della
 persona  alla  quale  e' attribuito il reato e' iscritto nel registro
 delle notizie di reato" (art. 405 comma 2 cod. proc. pen. );
      che,  conseguentemente,   essendo   nella   specie   del   tutto
 irrilevante,  ai  fini  della  decorrenza dei termini di durata delle
 indagini preliminari, il momento di iscrizione della notizia di reato
 nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. , la questione  deve  essere
 dichiarata manifestamente inammissibile, non dovendo il giudice a quo
 fare applicazione della norma impugnata.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 335  del  codice  di  procedura
 penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  76 e 112 della
 Costituzione, dal Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale di Tolmezzo con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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