N. 775 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 novembre 1994

                                N. 775
 Ordinanza  emessa  il  4 novembre 1994 dal pretore di Reggio Calabria
 nel procedimento penale a carico di Andidero Natale
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Previsione della
    sospensione di tutti i procedimenti penali relativi a  costruzioni
    abusive  ultimate  o  interrotte  con  il  sequestro  entro  il 31
    dicembre 1993 ed estinzione degli stessi dopo l'avvenuto pagamento
    - Indebita rinuncia dello Stato alla  pretesa  punitiva  senza  la
    prescritta  maggioranza  dei  due terzi dei componenti di ciascuna
    Camera richiesta per la concessione dell'amnistia - Violazione del
    principio di uguaglianza.
 (D.-L. 27 settembre 1994, n. 551, artt. 1, 2 e 3).
 (Cost., artt. 3 e 79).
(GU n.3 del 18-1-1995 )
                              IL PRETORE
    Visti  gli  atti  del  procedimento  penale  n.  1979/1993  contro
 Andidero  Natale,  nato a Cataforio (Reggio Calabria) il 10 settembre
 1941 ed imputato:
       a) del reato, p. e p. dall'art. 20 della legge n. 47/1985,  per
 avere  eseguito i lavori di costruzione di un manufatto in c.a. a tre
 piani f.t. (estesa mq 35 per  piano)  in  assenza  della  concessione
 edilizia;
       b)  del  reato,  p.  e  p.  dagli  artt. 17 e 20 della legge n.
 64/1974, per avere iniziato la costruzione di cui al  capo  a)  senza
 nulla osta del genio civile;
       c)  del  reato,  p.  e  p.  dagli  artt. 18 e 20 della legge n.
 64/1974, per avere effettuato la costruzione,  di  cui  al  capo  a),
 senza direzione tecnica di un professionista autorizzato.
    Fatti commessi in Mosorrofa di Reggio Calabria il 3 febbraio 1993;
    Letta  l'istanza  presentata  all'odierna  udienza dal p.m. (dott.
 Giuseppe Creazzo) acche'  sia  sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale dagli artt. 1, 2 e 3 del d.-l. n. 551 del 27 settembre
 1994  in  relazione agli artt. 79 e 3 della Costituzione e sentito il
 difensore dell'imputato;
    Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953;
    Ritenuto che la  prospettata  questione  appare  rilevante  e  non
 manifestamente infondata per i motivi che seguono;
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    Il  p.m.  argomenta  sul punto nel modo seguente: "la questione va
 dichiarata rilevante, poiche' deve essere disposta la sospensione del
 presente procedimento - tale sospensione  discende  obbligatoriamente
 dall'applicazione  del  combinato  disposto  dell'art. 1 del d.-l. n.
 551/1994  e  dell'art.  44 della legge n. 47/1985, posto che il reato
 risulta essere stato commesso entro  il  31  dicembre  1993,  termine
 ultimo previsto dall'art. 1, primo comma, del d.-l. n. 551/1994.
    La   sospensione   opera   e  deve  essere  disposta  in  tutti  i
 procedimenti aventi ad oggetto i reati,  di  cui  all'art.  20  della
 legge  n. 47/1985 anche indipendentemente da una richiesta di parte e
 costituisce  il  primo  atto  dell'intera  procedura   prevista   per
 addivenire  alla  declaratoria  di estinzione del reato a seguito del
 pagamento della somma stabilita.
    Ne consegue che, come gia' statuito dalla Corte costituzionale  in
 caso  identico, afferente la disciplina di cui alla legge n. 47/1985,
 divengono rilevanti le  questioni  di  costituzionalita'  relative  a
 tutte   le  disposizioni  della  legge  (adesso  integralmente  fatta
 rivivere  dal  decreto-legge  citato)   che   risultano   intimamente
 collegate  tra  loro  nell'unico  fine di regolamentare il meccanismo
 procedimentale di sanatoria (sent. Corte costituzionale  n.  369  del
 23/31 marzo 1988).
    L'argomentazione del p.m. va senz'altro condivisa.
    Va,  comunque,  rilevato  che,  nel  caso di specie, l'imputato ha
 avanzato un'esplicita richiesta di sospensione del proc. ex  artt.  1
 del  d.-l.  n.  551/1994 e 44 della legge n. 47/1985 e che la stessa,
 nell'attestare in maniera inequivocabile  la  volonta'  dell'imputato
 medesimo  di  valersi  dell'intera procedura di sanatoria e di fruire
 del condono edilizio, e' idonea  a  fugare  a  monte  ed  in  maniera
 definitiva  qualunque  possibile riserva in ordine alla rilevanza dei
 vari articoli di legge disciplinanti la procedura di sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    1. - In ordine alla violazione dell'art. 79 della Costituzione  il
 p.m.  ha  ritenuto che il provvedimento, di cui al d.-l. n. 551/1994,
 comportando la rinuncia da parte dello  Stato  a  punire  particolari
 reati   e   per  un  periodo  di  tempo  definito,  vada  qualificato
 giuridicamente come istituto assimilabile, per  quanto  attiene  alla
 valutazione del rispetto della Costituzione, a quello dell'amnistia e
 che,   pertanto,   lo   stesso   andava  sottoposto  alla  disciplina
 costituzionale dell'art. 79 della Costituzione (che, dopo la modifica
 apportata dall'art. 1 della legge costituzionale 6 marzo 1992, n.  1,
 recita  "l'amnistia  e l'indulto sono concessi con legge deliberata a
 maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in  ogni
 suo  articolo  e  nella votazione finale") e non poteva essere emesso
 nella forma del decreto-legge. Il p.m. ha altresi'  rilevato  che  la
 disciplina  costituzionale in materia di provvedimenti di clemenza e'
 regolata esclusivamente dal citato art. 79 della Costituzione e  che,
 pertanto,  e' ad esso che va fatto riferimento anche qualora si segua
 l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
 369  del  23/31  marzo  1988,  emessa  a  seguito  di  questione   di
 legittimita'  costituzionale analoga, laddove la stessa affermava che
 il condono edilizio, pur non avendo natura di  amnistia,  andava  pur
 sempre   considerato  come  un  provvedimento  di  clemenza  atipico.
 Escludere l'applicabilita' dell'art.  79  della  Costituzione  ad  un
 siffatto  provvedimento  di  clemenza  atipico  finirebbe, secondo il
 p.m.,  con  il  rendere   il   precetto   costituzionale   facilmente
 aggirabile, a cio' bastando di volta in volta far ricorso ad analoghi
 "atipici" provvedimenti di clemenza.
    Sul punto si puo' aggiungere che l'esclusivo riferimento dell'art.
 79  della  Costituzione  all'amnistia  ed  all'indulto e' soltanto la
 conseguenza  della  storica  tipizzazione  in  questi  due   istituti
 dell'attivita',  in  cui  si  e'  manifestata la potesta' di clemenza
 dello Stato con portata generale, e non vale, di certo, ad  escludere
 l'operativita'  del  precetto  costituzionale in ordine a quegli atti
 clemenziali atipici di portata generale ed espressione della medesima
 potesta' statuale.
    Tornando, comunque, al problema della qualificazione giuridica del
 condono edilizio, di cui al d.-l. n. 551/1994, questo pretore ritiene
 che non sia necessario ricorrere ad una figura  di  atto  clemenziale
 atipico,  ma  che  lo  stesso  possa  essere  considerato a tutti gli
 effetti un atto di amnistia sospensivamente condizionata.
    Com'e'  noto  la  sottoposizione  dell'amnistia  a  condizioni  e'
 espressamente  prevista dall'art. 151, quarto comma, del c.p., mentre
 l'art. 672, quinto comma, del c.p.p. ne disciplina l'efficacia, prev-
 edendo la sospensione dell'applicazione del  beneficio  fino  a  che,
 entro   il   termine  previsto,  non  sia  realizzata  la  condizione
 sospensiva imposta.
    Va precisato che l'art. 151,  quarto  comma,  del  c.p.  distingue
 esplicitamente  le "condizioni" dagli "obblighi" e, pertanto, sarebbe
 del tutto non conforme al dettato legislativo la tesi che  escludesse
 gia'  da un punto di vista concettuale la sussistenza di una amnistia
 sottoposta a condizione ed ammettesse soltanto un'amnistia sottoposta
 ad obblighi.
    Non c'e' dubbio che la condizione puo'  essere  costituita  da  un
 fatto qualsiasi, anche dipendente in tutto ed in parte dalla volonta'
 dell'imputato,  come ad esempio il pagamento di una determinata somma
 di denaro od il risarcimento del danno alla parte  offesa  nei  reati
 contro  la persona. Nulla, dunque, puo', da un punto di vista logico-
 giuridico, ostare al fatto che la condizione consista, come nel  caso
 del  condono  edilizio, nell'espletamento ad iniziativa dell'imputato
 di un procedimento amministrativo, che si concluda con  il  pagamento
 di  una  somma,  da  determinarsi, peraltro, in base a parametri gia'
 definiti in via generale dal legislatore.
    Qualora   poi   si   voglia   sostenere   che,   il   condizionare
 l'operativita'  dell'amnistia ad esempio al pagamento di una somma di
 denaro non possa configurarsi come una condizione "in senso  tecnico"
 (se  cioe' paragonata all'istituto civilistico), (vedi sentenza Corte
 costituzionale n. 369 del 23/31 marzo 1988), non si  vede  per  quale
 motivo  l'amnistia  medesima  debba  perdere  per  cio' solo tale sua
 natura. Quello che importa e'  che  una  tale  ipotesi  di  amnistia,
 operante   cioe'   solo   in   caso   di  avvenuto  pagamento,  possa
 giuridicamente sussistere. Ne consegue che la  stessa  va  sottoposta
 alle  medesime  garanzie  costituzionali  di  un'amnistia  che  operi
 immediatamente.
    Quanto detto per il pagamento della somma vale ovviamente  per  le
 altre  condizioni prima menzionate, compresa quella dell'espletamento
 di una procedura amministrativa.
    A conforto di quanto  fin  qui  sostenuto,  va  ricordato  che  il
 legislatore  ha piu' volte emanato decreti di amnistia "condizionati"
 in materia di reati finanziari.  In  tali  casi  la  concessione  del
 beneficio  e'  stata sempre subordinata alla condizione del pagamento
 dei diritti o tributi evasi. Ad esempio gli artt. 1 e 2 del d.P.R.  9
 agosto  1982,  n. 525, intitolato concessione di amnistia per i reati
 tributari, nei limiti poi fissati dall'art. 1 del d.P.R. 22  febbraio
 1983,  n.  43,  prevedevano:  che  l'amnistia  per  i reati tributari
 commessi sino al 30 giugno 1982 fosse subordinata alla condizione che
 il contribuente presentasse istanza ai  competenti  uffici  tributari
 per la c.d. definizione "automatica" delle proprie pendenze, ai sensi
 della  legge  7  agosto  1982,  n. 576, e che i relativi procedimenti
 penali fossero sospesi fino a quando l'ufficio finanziario non avesse
 comunicato  al  giudice  "gli  elementi  necessari  per  valutare  la
 sussistenza    delle    condizioni   richieste   per   l'applicazione
 dell'amnistia". Quindi anche nella ipotesi dell'amnistia condizionata
 per  i  reati  tributari  l'operativita'  del   beneficio   postulava
 l'impulso   (con   relativi   esborsi   monetari)   del  contribuente
 interessato, che avviava  una  procedura  amministrativa  presso  gli
 uffici   finanziari   con   conseguente  sospensione  temporanea  del
 procedimento   penale   sino   all'esito   di   detti    accertamenti
 amministrativi.  Anche  in  detta fattispecie giuridica accade che la
 volonta'   degli   interessati   e   delle    competenti    autorita'
 amministrative  diventino,  per usare le stesse parole della sentenza
 della Corte costituzionale n. 369 del 1988, "fattori  determinanti  i
 previsti    sviluppi   delle   vicende   giuridiche   sostanziali   e
 processuali".   Probabilmente   se,   invece,   di   intitolare    il
 provvedimento  come concessione di amnistia per i reati tributari, si
 fosse parlato di condono tributario si sarebbero  posti  problemi  di
 qualificazione  giuridica  analoghi  a  quelli  nati  per  il condono
 edilizio.
    E',  infine,  appena  il  caso  di  sottolineare  che   nel   caso
 dell'amnistia  per  reati  tributari,  come  in  quello  del  condono
 edilizio,  l'effetto  estintivo  del  reato,  non  e'   riconducibile
 all'oblazione,  ma,  analogamente  a quanto avviene per una qualunque
 ipotesi  d'amnistia  condizionata,  va  dichiarato,  dal  giudice  in
 applicazione  di  precise  norme  di legge, una volta che si dimostri
 l'avverarsi della condizione che funzionava da ostacolo  paralizzante
 l'effetto estintivo medesimo.
    2. - Quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione il p.m.
 ha  rilevato  che  e'  proprio  dalla  citata  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  369   del   1988   che   possono   ricavarsi   le
 argomentazioni  piu'  pregnanti a sostegno della non conformita' alla
 Costituzione della normativa di cui al d.-l.  n.  551/1994  sotto  il
 duplice   profilo   dell'irragionevolezza   e  della  violazione  del
 principio di uguaglianza anche in relazione  agli  artt.  9,  secondo
 comma,   41,   secondo  e  terzo  comma,  42,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    La Corte costituzionale nella citata sentenza ha, infatti,  da  un
 lato,  ribadito  il carattere eccezionale degli atti di clemenza e la
 necessita' di contenere nei piu' ristretti limiti  l'esercizio  della
 relativa  potesta' di clemenza, tanto piu' quando l'effetto estintivo
 debba  spiegarsi  nei  confronti  dei  reati  che,   direttamente   o
 indirettamente, violano precetti costituzionalmente sanciti e posti a
 tutela  di  fondamentali esigenze della comunita' e, dall'altro lato,
 ha ritenuto che nei confronti dei vari  moderni  condoni,  in  quanto
 moderne  forme di esercizio della generale potesta' di clemenza dello
 Stato, va posto il problema dei limiti  costituzionali  all'esercizio
 di tale potesta'.
    In proposito la Corte continua dicendo che la non punibilita' o la
 non  procedibilita'  di  cui ai moderni condoni penali, specie quando
 cancellano reati lesivi di  beni  fondamentali  della  comunita',  va
 usato  negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale, il
 quale precisa fondamento, finalita' e limiti dell'intervento punitivo
 dello Stato.  Contraddire  vanificare  sia  pure  temporaneamente  le
 ragioni  prime  della  punibilita'  attraverso l'esercizio arbitrario
 della "non punibilita'" equivale non  soltanto  a  violare  l'art.  3
 della    Costituzione,    ma    ad    alterare   con   il   principio
 dell'obbligatorieta'  della  pena,   l'intero   volto   del   sistema
 costituzionale in materia penale.
    In  ordine al condono edilizio del 1985 la Corte arrivo' a trovare
 una  giustificazione  sulla  base   della   considerazione   che   il
 legislatore,  con  la  legge  citata,  ha  inteso chiudere un passato
 d'illegalita' di massa, alla quale aveva  anche  contribuito  la  non
 sempre  perfetta efficienza delle competenti autorita' amministrative
 ed ha iniziato a porre "sicure" basi  normative  per  la  repressione
 futura  di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo
 del territorio,  come  la  sicurezza  dell'esercizio  dell'iniziativa
 economica  privata,  il  suo  coordinamento  a fini sociali (art. 41,
 secondo e terzo comma, della Costituzione) la funzione sociale  della
 proprieta' (art. 42, secondo comma, della Costituzione) la tutela del
 paesaggio  e del patrimonio storico artistico (art. 9, secondo comma,
 della Costituzione), ecc. E questi beni, secondo la discrezionale, ed
 incensurabile in questa sede, valutazione del legislatore  del  1985,
 non   potevano  essere  validamente  difesi  per  il  futuro  se  non
 attraverso  la  "cancellazione"  del  notevole,  ingombrante  "carico
 pendente" relativo alle passate illegalita' di massa.
    Analoghe  considerazioni non possono di certo essere riesumate per
 giustificare oggi, a distanza di nove anni dall'emanazione del  primo
 condono  edilizio, un successivo provvedimento che arrivi a statuire,
 addirittura, la "riapertura dei termini" dell'altro.
    Ne' d'altro canto  puo'  bastare  ad  assicurare  una  ragionevole
 compatibilita'  costituzionale  del  condono  edilizio  l'esigenza di
 perseguire le finalita' enunciate dal  governo  per  giustificare  la
 sussistenza  del requisito di necessita' ed urgenza, e, precisamente,
 quella del rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici  e
 dell'edilizia  privata,  nonche'  quella  della  semplificazione  dei
 procedimenti in materia urbanistica edilizia.
    Non c'e' dubbio che la decisione  della  Corte  costituzionale  di
 respingere  le  censure di costituzionalita' del condono edilizio del
 1985   fu   fondamentalmente   suggerita   dall'eccezionalita'    del
 provvedimento e dall'esigenza di chiudere con il passato in occasione
 dell'emanazione di una nuova organica disciplina legislativa.
    Un'analoga  decisione  della Corte oggi, nei confronti del condono
 edilizio, del 1994, non potendo avere a base ne'  le  citate  ragioni
 ne' altri validi motivi, finirebbe con il riconoscere per il presente
 e per il futuro la facolta' di rompere a piacimento il nesso costante
 tra  reato  e  punibilita', in modo da "svilire il senso stesso della
 comminatoria edittale e della punizione" e cio' con grave  danno  del
 principio  costituzionale  di eguaglianza e della stessa certezza del
 diritto.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli  artt.  1,  2  e  3  del  d.-l.  27
 settembre  1994,  n.  551,  in  relazione  agli  artt.  79  e 3 della
 Costituzione;
    Dispone la sospensione del  presente  procedimento  e  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda   alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza, letta in dibattimento, al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente
 della Camera dei deputati.
      Reggio Calabria, addi' 4 novembre 1994
                         Il pretore: LEONARDO
 
 95C0056