N. 792 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 1994
N. 792 Ordinanza emessa il 7 novembre 1994 dal p.m. presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Sicilia nel procedimento nei confronti di Sammaritano Gaspare ed altri Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' amministrativa e contabile - Competenza per territorio per i procedimenti che riguardano i magistrati contabili - Richiamo alle norme del codice di procedura penale che ne disciplinano lo spostamento - Omessa previsione - Lesione del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge - Irragionevole diverso trattamento di eguale situazione (rispetto ai magistrati ordinari per i quali e' previsto lo spostamento nell'ambito dei processi penali) - Incidenza sull'effettivita' del diritto di difesa e sul principio di imparzialita'. (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 26). (Cost., artt. 3, 24 e 97).(GU n.4 del 25-1-1995 )
IL PUBBLICO MINISTERO Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di: Sammaritano Gaspare, Gandolfo Matteo, Adamo Aldo, Alagna Egidio, Titone Pasquale, Genna Vincenzo, Caimi Michele, Sciacca Luigi, Leone Michele, Ferrantelli Pellegrino Guglielmo, Pizzo Pietro, Anselmi Ludovico, Fernandez Gaspare, Figuccia Ernesto, Valenti Giuseppe. F A T T O Il comitato regionale di controllo, sezione provinciale di Trapani con nota del 2 febbraio 1994 trasmetteva a questa procura copia della delibera n. 1855 approvata dalla giunta municipale di Marsala il 31 dicembre 1993 e concernente la liquidazione e pagamento, in via transattiva, alla signora Vincenza Rallo, della somma di L. 35.000.000 a titolo di risarcimento per i danni arrecati al terreno di sua proprieta', sito in contrada Buttagana, dai fumi derivanti dalla combustione dei rifiuti solidi urbani, esalazioni provenienti dalla vicina discarica comunale; controversia per la quale la presunta creditrice aveva gia' notificato atto di citazione in giudizio il 26 aprile 1985. Questo p.m. effettuati i necessari accertamenti istruttori, ravvisati sufficienti elementi di responsabilita' amministrativa a carico degli amministratori indicati in epigrafe, tutti sindaci ed assessori alla N.U. in carica nel periodo durante il quale si sarebbero verificati i danni lamentati dalla Rallo, i quali avevano omesso di adottare i necessari provvedimenti e la richiesta vigilanza affinche' fossero evitati danni a terzi conseguenti dall'esercizio di quella discarica, in data 6 settembre 1994 emetteva nei loro confronti l'avviso di cui all'art. 5 del decreto-legge n. 453/1993. Dalle deduzioni e dagli atti depositati dai presunti responsabili questo p.m. maturava il convincimento dell'assenza del requisito dell'elemento psicologico colposo richiesto dal vigente ordinamento al fine di potere radicare la responsabilita' amministrativa e, pertanto, si determinava nel senso dell'archiviazione del procedimento. Tuttavia, nelle more dell'istruttoria e successivamente all'emanazione dei suddetti avvisi ex art. 5 del decreto-legge citato, in data 4 ottobre 1994 il consiglio di presidenza della Corte dei conti procedeva ad incardinare presso la sezione giurisdizionale per la regione siciliana il consigliere Egidio Alagna, magistrato di nomina governativa, il cui nominativo figura tra quelli "avvisati", per la sua pregressa attivita' politica e nella qualita' di ex sindaco di Marsala, nel corso del presente procedimento. Tale circostanza induce questo p.m. a sospendere ogni giudizio sulla vicenda sottoposta al suo esame ed a rimetterne gli atti al giudice delle leggi, per le considerazione che seguono. D I R I T T O Preliminarmente deve affrontarsi la questione se, innanzi al p.m. contabile ricorrano le condizioni per la proposizione di un giudizio costituzionale in via incidentale su norme delle quali il p.m. medesimo debba fare applicazione. Quattro i requisiti posti dalla giurisprudenza costituzionale (confermati recentemente anche dall'ordinanza n. 168/1992) perche' una questione possa qualificarsi ammissibile sotto il profilo della legittimazione dell'autorita' proponente: a) che si tratti di un'autorita' giurisdizionale; b) che si versi nel corso di un giudizio; c) che l'autorita' abbia potere decisorio in ordine alla controversia; d) che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della detta questione. Dei primi tre (del quarto si dara' contezza in prosieguo di motivazione) non puo' che riscontrarsene, in questa sede, la sussistenza. Che il p.m. sia, nel nostro ordinamento, autorita' giurisdizionale, costituisce dato assolutamente acquisito e non revocabile in dubbio in virtu' di quanto disposto dal Titolo IV della Costituzione, oltre che dall'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e successive modificazioni ed integrazioni, quest'ultimo applicabile a tutte le magistrature per le materie ed i principi non diversamente disciplinati dalle relative leggi speciali. Parimenti non puo' dubitarsi che, sia pure in una fase ancora istruttoria, innanzi al p.m. contabile ci si trovi nel corso di un giudizio. In disparte la censurabile rarefazione normativa nella quale il legislatore ha lasciato languire i modi di esercizio dei poteri conferiti e recentemente rafforzati in capo al p.m. contabile (la vetusta' ed inadeguatezza del regolamento di procedura ne e' riprova), appare chiaro che, comunque, l'attivazione di quest'ultimo, come di quello penale, sulla base di una notitia damni, inneschi un procedimento che in quanto finalizzato a verificare la riconducibilita' della fattispecie concreta ai parametri normativi astratti nell'ottica dell'eventuale esercizio obbligatorio (argomentando analogicamente ex art. 112 della Costituzione) dell'azione di responsabilita', comporti, in positivo od in negativo una valutazione di fatti (rectius: giudizio) in funzione giurisdizionale (iuris dicere). Il p.m. contabile esercita tutta una serie di poteri istruttori (in quanto tali esclusivamente funzionali ad un giudizio) e inquisitori (autoritativi in quanto funzionali alla tutela di interessi pubblici), prima molto sinteticamente indicati nell'art. 74 del t.u. delle leggi della Corte dei conti, ed adesso analiticamente elencati dalla legge n. 19/1994, sfocianti in sede predibattimentale nell'avviso ex art. 5 del decreto-legge n. 453/1993. Potrebbe da taluno obiettarsi che il potere di archiviazione del p.m. nel contenzioso contabile non trovi conforto legislativo, non essendo disciplinato da alcuna fonte positiva. L'osservazione si palesa priva di pregio giuridico. In disparte la pur fondamentale considerazione che, da sempre, i pubblici ministeri hanno esercitato un tale potere ponendo in essere provvedimenti che, indipendentemente dalla denominazione formale, avevano come effetto quello di archiviare un procedimento in corso, in considerazione dell'assenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione, radicando cosi' nell'ordinamento norme di comportamento procedurale ben connotabili come "diritto vivente", deve comunque rilevarsi che l'obbligatorieta' dell'azione di responsabilita' amministrativa (principio radicato nella dottrina e nella giurisprudenza contabile) implica sempre l'adozione di un "giudizio" finale in ordine all'esame della fattispecie esaminata: giudizio che sara' di archiviazione (o qualunque altra denominazione si voglia adottare) nel senso di ritenere esente da responsabilita' l'indagato; sara' invece di citazione in giudizio (rectius: di rinvio innanzi al Collegio) in caso di ritenuta sussistenza della responsabilita'. Nel primo caso la decisione del p.m. ha valore definitorio, in quanto manda esente da responsabilita' l'indagato senza l'ulteriore fase dibattimentale e senza che, soprattutto, la sezione possa comunque obbligare il p.m. ad esperire ulteriore attivita' istruttoria o, di piu', ad esercitare altrimenti l'azione. Puo' quindi affermarsi che il p.m. contabile, volendo istaurare quanto mai opportuni parallelismi col giudizio penale, dopo l'emanazione dell'avviso ex art. 5 decreto-legge citato, esercita le funzioni che in quel rito sono proprie del giudice dell'udienza preliminare, dovendo operare una prima delibazione delle posizioni degli indagati al fine dell'emissione del successivo provvedimento di citazione in giudizio, emettendo una decisione a carattere definitorio nel caso in cui ritenga il convenuto esente da responsabilita', e rinviando (rectius: citando) in giudizio in caso contrario. Anche il terzo elemento, quello del potere decisionale, e' quindi presente in capo al p.m. contabile in modo pieno sul fronte dell'archiviazione o, se si vuole, dell'esercizio negativo dell'azione. Sulla base di tali considerazioni e per il modo in cui si atteggia l'esito cui ritiene di dovere pervenire il p.m. nel presente giudizio di merito, va affrontata la problematica che qui di seguito viene sottoposta al giudizio di compatibilita' costituzionale. L'art. 11 del vigente codice di procedura penale detta talune disposizioni concernenti lo spostamento della competenza per territorio degli uffici giudiziari nel caso in cui ad essere inquisito sia un magistrato che all'epoca dei fatti o in atto eserciti le proprie funzioni nell'ambito del distretto nel quale si trova l'ufficio che sarebbe competente secondo le norme generali. Il principio, gia' presente nell'abrogato codice di rito del 1930 (art. 60 c.p.p., la cui costituzionalita' fu riconosciuta con sentenza del 7 giugno 1963 della Corte costituzionale), va inquadrato tra gli istituti di c.d. "bonifica processuale", diretti a correggere, o ad eliminare, situazioni processuali patologiche, al fine di riportare il processo alla sua normale fisiologia. Come per istituti analoghi, quali l'astensione e la ricusazione del giudice, il principio sopra delineato si giustifica eziologicamente con l'ombra del sospetto che gravita sul giudice investito del procedimento: questi, capax et abolis, tuttavia puo' denunciarsi judex suspectus, e quindi inhabilis, in relazione al rapporto che lo lega alla causa o ad i suoi protagonisti (astensione e ricusazione), o in relazione al rapporto tra la causa stessa (ed i suoi protagonisti) e l'ambiente presso il quale il procedimento relativo si svolge, in relazione alla sua topografia giurisdizionale. Lo strumento processuale qui in esame, prima conosciuto come l'unico caso di rimessione obbligatoria, non presuppone quindi, come la ricusazione, suspectus il giudice in vista delle sue qualita' o rapporti personali, ma in relazione all'ambiente nel quale l'organo giurisdizionale deve giudicare una determinata causa: in tal caso, e nel concorso delle condizioni volute dalla legge, la rimessione del procedimento determina la sostituzione di un organo giurisdizionale non sospetto ad uno ritenuto tale, con eccezione alle norme che regolano la competenza territoriale. L'istituto risponde, in presenza dei preminenti interessi pubblici protetti dalle norme penali, alla tutela di valori costituzionalmente garantiti, quali l'eguaglianza sostanziale dei cittadini innanzi alla legge (art. 3 della Costituzione), l'effettivita' del diritto alla difesa (art. 24 della Costituzione) e, ma non da ultimo, l'imparzialita' della p.a. (art. 97 della Costituzione), concetto nel quale ben si comprende anche quello dell'aministrazione della giustizia. In ambito processuale penale militare questo strumento trova identica applicazione, in forza della legge 7 maggio 1981, n. 180, che ha abrogato la diversa disciplina prima esistente. Nessuna traccia di un tale meccanismo di spostamento della competenza territoriale e' dato invece rinvenire nel rito civile, al quale rinvia l'art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, a differenza dell'astensione e della ricusazione, pure presenti, invece, nel codice di procedura civile; ne', nell'ambito delle specifiche norme che disciplinano il processo contabile e' possibile individuare qualunque altra disposizione afferente l'istituto in questione. Ne deriva, essendo le norme sulla competenza e la giurisdizione di stretta interpretazione, l'impossibilita' di applicare nell'ambito di questa giurisdizione l'istituto della c.d. rimessione obbligatoria ad altro ufficio giudiziario per i procedimenti a carico dei magistrati della Corte dei conti ritenuti perseguibili a titolo di responsabilita' amministrativa o contabile e che si trovino nelle medesime condizioni previste dall'art. 11 c.p.p. L'assenza di un tale meccanismo di salvaguardia solleva, pero', fondati dubbi di legittimita' costituzionale del sistema processuale contabile sotto tale specifico profilo. Deve innanzi tutto chiarirsi, anche al fine della rilevanza della questione nel presente giudizio, che la c.d. "rimessione" si applica nel rito penale anche per la semplice pronuncia del decreto di archiviazione (Cass. 15 marzo 1980), in quanto, considerato il particolare valore del provvedimento in questione, appare vieppiu' necessario eliminare in radice l'ombra di qualsiasi sospetto in ordine alla sua adozione, e cio' anche se il provvedimento di archiviazione emesso dal p.m. contabile dopo l'emissione degli avvisi ex art. 5 del decreto-legge citato sembrerebbe assimilabile maggiormente al proscioglimento operato dal giudice penale in sede di udienza preliminare. Nel rito contabile esercizio dell'azione come pure l'archiviazione della notitia damni competono allo stesso organo, il pubblico ministero, il quale nella fase istruttoria pre-dibattimentale somma in se', come gia' detto, le funzioni di titolare dell'azione, istruttore e giudice, senza l'intermediazione di un organo che debba valutare in posizione di terzieta', come nel rito penale, l'effettiva assenza di ogni responsabilita' a carico dell'indagato. Tale condizione, in presenza dell'obbligatorieta' dell'azione di responsabilita' contabile a tutela degli interessi del pubblico erario, esalta maggiormente quegli stessi motivi che nel processo penale hanno determinato l'introduzione di quel particolare meccanismo di spostamento della competenza per territorio degli uffici giudiziari. Basti pensare che, mentre nel processo penale il giudice dell'udienza preliminare puo' obbligare il pubblico ministero che abbia chiesto l'archiviazione od il proscioglimento dell'indagato ad effettuare un supplemento istruttorio, o addirittura ad esercitare comunque l'azione per il rinvio a giudizio, nulla di tutto cio' e' possibile nel processo contabile, nel quale il pubblico ministero e' giudice unico ed insindacabile nel caso in cui ritenga di dovere archiviare il procedimento, mandando esente l'indagato da ogni responsabilita'. Questa stessa struttura procedimentale che risente della originaria struttura civilistica dell'azione di responsabilita' amministrativa, ormai inadeguata ed ampiamente superata dalla legislazione vigente che ha rimodulato le caratteristiche della giurisdizione contabile sempre piu' assimilandola a quella sanzionatoria penale, consacrandone la natura inquisitoria e di diritto oggettivo, radica in capo al p.m. il potere decisorio finale in ordine al giudizio sull'esistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione e lo legittima, secondo i parametri fin qui elaborati dalla giurisprudenza, a poter sollevare questioni di costituzionalita' di norme delle quali, in corso di procedimento, e maggiormente per la definizione di quest'ultimo, debba fare applicazione. V'e' da dire che, probabilmente e' lo stesso rinvio al codice di procedura civile per i giudizi di responsabilita' amministrativa che nel vigente ordinamento, con gli accresciuti poteri del p.m. appare ormai inadeguato ad un corretto svolgersi della dialettica processuale contabile, e, forse, anche per la vetusta' e lacunosita' del vigente regolamento di procedura, pure in contrasto con qualche parametro costituzionale afferente, innanzitutto, l'effettivita' del diritto alla difesa, attesa la manifesta sproporzione tra i poteri riconosciuti al soggetto agente (p.m.) ed a quello convenuto (privato), in una struttura processuale tutta fondamentalmente proiettata al ne cives ad arma veniant ed alla regolamentazione di interessi privati, con un giudice in rigorosa posizione di terzieta' e che certo non conosce (in quanto non puo'), come invece avviene nel processo contabile, alcun potere di stimolo dell'azione delle parte pubblica nella ricerca della verita' oggettiva. Orbene, in assenza di ogni norma specifica in materia di rimessione nell'ambito dell'ordinamento processual-contabile, questo p.m. e' tenuto a dare applicazione alla generale norma di rinvio contenuta nell'art. 26 del regolamento di procedura, il quale prevede che, per quanto non disposto, viga il rinvio dinamico al codice di procedura civile, il quale, essendo finalizzato alla regolamentazione e tutela di interessi essenzialmente privati non possiede (e non poteva contemplare) alcuna norma del genere di quella dettata dall'art. 11 c.p.p. Tale omessa previsione, non appare pero' costituzionalmente compatibile con gli interessi pubblici preminenti, al pari di quelli oggetto di tutela penale, garantiti dall'azione di responsabilita' del p.m. contabile, tenuto pure conto della sempre maggiore assimilazione alle potesta' esercitate nel processo penale di quelle gia' esistenti o recentemente introdotte nel processo contabile dalle recenti leggi 19 e 20 del 1994. Appare difatti non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del regolamento di procedura dei giudizi innanzi alla Corte dei conti, nella parte in cui non rinvia, per i giudizi di responsabilita' amministrativa e contabile, alle disposizioni vigenti nel codice di procedura penale in materia di competenza territoriale per i procedimenti a carico di magistrati, in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione. Se e' vero che ad ogni cittadino deve essere garantita un'effettiva eguaglianza davanti alla legge (art. 3 della Costituzione), questa deve consistere, innanzitutto, nella garanzia di un giudizio obiettivo e sganciato da ogni influenza o refluenza derivante dall'essere il giudicando in posizione qualificata e differenziata nei confronti dell'organo chiamato a iuris dicere nei suoi confronti, e cio', maggiormente qualora si versi nell'ambito della tutela di interessi pubblici costituzionalmente protetti, come del caso della tutela penale e di quella contabile, situazione che non si verifica laddove l'organo giudiziario chiamato a pronunciarsi sulla responsabilita' amministrativa del magistrato sia lo stesso nel quale quello era all'epoca dei fatti o e' in atto incardinato. Peraltro non e' dato comprendere sulla base di quale principio di razionalita' si possano trattare in modo radicalmente difforme due situazioni, quella dei magistrati ordinari nell'ambito del processo penale e quella dei magistrati contabili nell'ambito di quello di responsabilita' amministrativa, sostanzialmente identiche. Analoghe argomentazioni valgono per l'effettivita' del diritto alla difesa (art. 24 della Costituzione) che puo' esplicarsi soltanto in un contesto il piu' possibile asettico - ed impermeabile a condizionamenti provenienti da fattori ambientali che, nel caso della denunciata appartenenza organica all'ufficio giudicante da parte del convenuto raggiungono, anche sotto il profilo presuntivo dell'id quod plerumque accidit, livelli di massima rilevanza, e non necessariamente pro reo. Infine, il principio di imparzialita' (art. 97 della Costituzione) che puo' dirsi immanente, per definizione, all'organizzazione delle strutture giudiziarie ed all'impianto del giusto processo, verrebbe gravemente compromesso dalla presenza di elementi procedurali, quali quelli in atto nel rito contabile, capaci di elidere l'immagine stessa di terzieta' del giudice innanzi al convenuto e nei confronti dell'opinione pubblica, con grave nocumento per il prestigio stesso della funzione giurisdizionale. Sotto tali profili la norma appare pertanto ampiamente censurabile. La questione, poi, e' rilevante al fine di decidere. Infatti, nel caso in cui il giudice delle leggi dovesse ritenere infondate le censure qui prospettate, questo p.m. potra' provvedere alla definizione del procedimento mediante l'emissione del decreto di archiviazione, mentre, in caso contrario, dovra' provvedere a rimettere gli atti alla procura regionale competente ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 11 c.p.p. e 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.
P. Q. M. Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante al fine di decidere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, nei termini di cui in motivazione visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Onera la segreteria per l'esecuzione della presente ordinanza. Palermo, addi' 7 novembre 1994 Il pubblico ministero sostituto procuratore generale: ZINGALE 95C0073